Uomo è uomo e donna - Prima Parte (1/2)

 Uomo è uomo e donna

Prima Parte (1/2)

Maschio e femmina li creò

Secondo la rivelazione cristiana l’uomo è creato da Dio ed esiste in una duplice forma e secondo un duplice modo di esistenza, che tocca tutti i piani della persona: fisico, biologico, psicologico e spirituale; per cui la sua essenza, benché sia sostanzialmente unica - da cui l’uguaglianza umana – è modalmente duplice – da qui la complementarità reciproca - : uomo e donna.

L’esser uomo e donna completa, integra e precisa, secondo una dimensione duale, al di là del generico esser uomo, l’essenza immutabile dell’uomo. Ciò dipende dal fatto che l’uomo, benché animato da un’anima spirituale, appartiene al genere animale (animal rationale). Non è un semplice animale superiore, come credono Darwin e Freud; ma non è neppure un puro spirito, come ritenevano Platone, Origene e Cartesio.

Inoltre, per poter capire qual è l’essenza dell’uomo, occorre distinguere il corpo dallo spirito, e non confonderli fra di loro, come fanno Hegel e Rahner, e sapere che nell’uomo spirito e corpo si uniscono tra di loro a formare un’unica sostanza al modo col quale la forma sostanziale dà forma alla materia prima, come insegnano Aristotele e San Tommaso, confermati dai dogmi antropologici del Concilio Lateranense IV del 1215 e da quello di Viennes del 1312.

Da qui la necessità di distinguere una norma morale generale per l’uomo in quanto uomo a prescindere dal sesso – la legge naturale - ed una norma morale più precisa e differenziata, adatta all’uomo e alla donna – l’etica sessuale -, per la quale la legge morale è duplice: maschile e femminile. 

Ciò non intacca la sostanziale uguaglianza specifica di tutti gli individui umani, maschi o femmine, in quanto partecipi in modi diversi della medesima natura umana, soggetta dei medesimi diritti e doveri, vincolata, come tale, alle medesime leggi morali, uguali per gli uni e per le altre, orientata al medesimo fine ultimo, che è Dio, maschi e femmine di pari dignità in quanto tutti realizzanti la dignità della persona umana, creata da Dio a sua immagine e somiglianza e destinata alla figliolanza divina nella vita ecclesiale della grazia di Cristo.

Esistono infatti doveri dove c’entra il sesso e doveri dove non c’entra.  Per esempio in campo liturgico i doveri e le facoltà degli uomini e delle donne non sono gli stessi, benché gli uni e le altre siano tenuti a frequentare i sacramenti. Nell’ambito della famiglia non sono gli stessi i doveri del marito e della moglie, del padre e della madre, benché entrambi siano parimenti tenuti alla fedeltà reciproca, all’amore reciproco esclusivo e all’educazione dei figli. Così pure nell’ambito della società civile o della politica uomo e donna come cittadini hanno genericamente pari diritti e doveri e sono uguali davanti alla legge, gli uni e le altre possono salire ai massimi gradi della scala sociale, gli uni e le altre hanno pari doveri a contribuire al bene comune, ma diversi specificamente sono i diritti e i doveri degli uni e  delle altre,  diverse sono le modalità, le attitudini e i compiti specifici e giuridici relativi alle facoltà e alla diversità del loro sesso e alle qualità proprie del loro sesso.

La duplicità uomo-donna comporta un’etica sessuale, il cui dovere fondamentale in questo mondo è l’accordo e la collaborazione reciproca fra uomo e donna nella propagazione della specie, nel matrimonio monogamico ed indissolubile, nell’educazione dei figli, nell’edificazione della società e della Chiesa e nella ricerca comune della comunione con Dio, quindi una condotta etica, la quale comporta l’unione fra uomo e donna e la proibizione che l’uomo divida ciò che Dio ha unito, in vista di un’unione non generativa alla risurrezione futura.

Anche se la natura umana maschio-femmina è universale, immutabile, sovratemporale ed eterna, la realizzazione concreta e pratica dell’uomo è però concepita e narrata dalla Bibbia in una forma storica, perché l’uomo non è puro spirito, ma animale ragionevole, ossia sostanza ilemorfica vivente, collocata nello spazio e nel tempo, agente evolutivamente in successione di atti del corpo, del pensiero e della volontà.

Una storia drammatica ma a lieto fine

Dunque il destino dell’uomo per la Bibbia si svolge e si compie in una dimensione temporale e si concluderà in un futuro al termine della storia presente iniziata con la creazione del mondo. Questa storia non è giustificata solo dalla realtà evolutiva della natura umana, ma anche dal fatto che in questa storia, a partire dalla creazione dell’uomo, sono da registrare eventi fondamentali, i quali segnano un percorso orientato dalla Provvidenza secondo tre stati fondamentali della natura umana: 1) lo stato iniziale edenico o d’innocenza, esente dal peccato e dalla morte; 2) lo stato di miseria  conseguente alla colpa originale, lo stato presente terreno  e mortale della natura peccatrice e redenta e 3) lo stato celeste ed immortale della futura risurrezione gloriosa.

Hegel ha colto bene in tre tappe in forma dialettica la storia dello spirito umano: 1. affermazione iniziale (virtù); 2. negazione (peccato); 3. Negazione della negazione (riparazione e innalzamento). Lo stato finale della vita umana o stato dei figli di Dio, è superiore a quello edenico ed è insuperabile, perché è, mediante la grazia, partecipazione alla stessa vita divina.

Il difetto di questa triade, come è noto, è dato dal concetto sbagliato del divenire e della funzione del negativo nella realizzazione del progresso, perché  Hegel concepisce il divenire e il fatto del progresso non sulla base del passaggio dalla potenza all’atto e del positivo che toglie il negativo, ma sulla sua famosa dialettica della contraddizione, per la quale il divenire comporta contraddizione, per cui il nuovo contraddice all’antico e il negativo produce il positivo finale negando il positivo iniziale.

Per quanto riguarda in particolare l’unione uomo-donna, essa si spezza col peccato originale, che dà luogo allo stato di natura decaduta e al sorgere della concupiscenza. Uomo e donna non sono più sorgente di santità l’uno per l’altra, ma tentazione al peccato. È lo stato della presente vita mortale. Se nello stato presente vige ancora l’attività riproduttrice della specie, alla risurrezione tale attività sarà cessata, e rimarrà l’attività essenziale, che consiste nell’esprimere fisicamente l’unione spirituale.

Nella vita presente, peraltro, ai soggetti desiderosi di una più alta spiritualità, quali sono i religiosi, conviene l’astinenza sessuale, giuridicamente regolata dal voto di castità. Come l’occhio è fatto per vedere, così il sesso è fatto per l’unione sessuale. Ma se, come dice Gesù, «il tuo occhio di scandalizza, toglilo» (Mt 9,47). Parimenti, se l’unione sessuale ci scandalizza, vi dobbiamo rinunciare. Questo non vuol dire che il religioso sia scandalizzato dal matrimonio, ma semplicemente che aspira a una superiore libertà spirituale, alla quale il matrimonio, per quanto santo, creerebbe ostacolo.

L’uomo e la donna in Lutero

Lutero da giovane aveva capito queste parole del Signore; e per questo si era fatto monaco. In tal modo, come dice bene il Maritain, «ha gustato i frutti nascosti della grazia di Cristo; è entrato nel giardino spirituale della Chiesa»[1]. Come mai, allora, a un certo punto, è venuto meno al suo impegno religioso? Che cosa gli è successo? Cerchiamo di comprendere i fatti in relazione al nostro tema del rapporto uomo-donna e del voto di castità.

Ritengo che in Lutero la questione della castità fosse in relazione con la questione del rapporto con Dio. Probabilmente si nascondeva nel profondo della psiche del giovane monaco un conflitto irrisolto tra la sua visione terrificante di un Dio tirannico e colpevolizzante, derivante dall’amara esperienza di un padre crudele e dall’altra un fortissimo bisogno di un Dio misericordioso, che lo aveva spinto a farsi monaco. Dunque due immagini opposte di Dio: il Deus absconditus dell’Antico Testamento – si nota qui un pizzico di inconscio marcionismo antisemita – in contrasto col Deus revelatus, il dolce Cristo crocifisso perdonante. Ma insieme con questo groppo del Dio punitore infieriva sulla materia incandescente di un forte impulso sessuale quasi incontrollabile, come accade nei giovani. Come uscire da questa situazione?

Per questo a un certo punto Fra Martino è entrato in crisi. E ciò per diversi motivi: primo, una formazione teologica occamistica del Dio che punisce non si sa perché; secondo, un’idea sbagliata della castità, che egli concepì non come moderazione ragionevole dell’istinto, mortificazione energica dei cattivi impulsi, nonchè sano e sereno rapporto con la donna, sotto l’influsso della grazia, ma come sforzo affannoso, disperato e irrazionale contro una concupiscenza prepotente, per difendersi dalla donna tentatrice, cosa che non poteva non portare, come portò, alla disperazione.

Terzo, il suddetto rapporto conflittuale e tormentato col Dio punitore, giacchè Martino probabilmente, a seguito delle sofferenze e dei terrori patiti da un padre crudele, si era fatto un’idea di Dio come giudice inesorabile, terrorizzante, inaffidabile e tirannico, un Dio che lo seguiva occhiuto nei minimi moti di sensualità gettandolo in angosciosi sensi di colpa.

 Così accadde a un certo punto che questo materiale esplosivo, che Martino aveva tenuto nascosto, la cui presenza quindi era sfuggita ai Superiori, questo terrore di Dio e questa prepotente concupiscenza esplosero assieme con una tale inaspettata violenza, che egli, probabilmente per la mancanza di sufficienti certezze razionali e di fede, privo di un adeguato soccorso da parte del confessore, credette di potersi liberare da una situazione che gli appariva insopportabile con la famosa «esperienza della torre» del 1515.

In tale esperienza apparentemente liberante, ma in realtà soltanto sentimentale – Lutero è il primo dei romantici – c’è già in nuce il germe della futura decisione di abbandonare la vita religiosa, Martino si convinse di esser più che mai preso dall’amore e dalla misericordia di Cristo, di possedere più che mai la fede in Cristo, ma in realtà perdendo quota, giacchè per quale inganno del diavolo ha potuto immaginare che la defezione dal proprio impegno monastico potesse costituire una liberazione, e corrispondere ad una maggiore unione con Cristo e ad una maggiore rivelazione della sua misericordia?

Il demonio lo ingannò facendogli credere che la vita religiosa fosse un peso insopportabile, un’impresa disperata da presuntuosi, una specie di farisaismo e di pelagianismo antievangelici e che la vera sequela del Vangelo consistesse nella vita laica e coniugale. Ritenne la concupiscenza invincibile e si convinse che tutto sommato è meglio godersi la donna piuttosto che sforzarsi invano di evitarla.

Così egli, convintosi ad un certo punto di non farcela più, abbandonò la vita religiosa, dimenticandosi lui, il dottore della «sola grazia», della potenza corroborante e consolante della grazia, perdendo di vista la preziosità del privilegiato dono ricevuto, concesso da Dio a quei pochi che sentendo un maggior bisogno di unione con Lui e di una più alta spiritualità, vogliono liberarsi dai lacci della concupiscenza e sentono come intollerabili questi lacci  e pertanto decidono di «farsi eunuchi per il regno dei cieli» (Mt 19,12).

Martino aveva ricevuto questo dono e quindi avrebbe dovuto contare, come tutti i buoni Religiosi, sul soccorso della grazia per conservarlo. Non avrebbe dovuto lasciarsi prendere dallo scoraggiamento e credere di non farcela più. Fu il demonio a persuaderlo che la vita religiosa non è una più alta forma di sequela di Cristo, ma una forma ipocrita e vana di farisaismo e di pelagianesimo, che lusinga la superbia e spinge a credersi migliori degli altri.

Ora è vero che, nella presente vita mortale esiste un conflitto fra uomo e donna, per il quale, come si esprime l’Antico Testamento, è meglio vivere da solo che con una donna cattiva. È vero che nella vita di quaggiù l’uomo tende a dominare sulla donna, mentre la donna accalappia l’uomo col suo fascino femminile.

 Esiste effettivamente un doloroso conflitto fra lo spirito e la carne. Nasce quindi la necessità di una certa separazione cautelativa fra uomo e donna, e la necessità di rinunciare alla carne (verginità) o di controllare la carne (temperanza) in nome dello spirito, anche se la prospettiva ultima è quella della riconciliazione fra spirito e carne e quindi fra uomo e donna.

Ma il rimedio eccellente a tutto ciò è appunto la vita religiosa, la quale, mentre attua una prudente separazione fra i sessi, che comporta l’astinenza sessuale, stimola e favorisce un apprezzamento e collaborazione reciproci, ancora migliore che nel matrimonio, in quanto posti su di un livello di spiritualità e di servizio ecclesiale, che il matrimonio non riesce a raggiungere.

Invece il povero Lutero, oltre a tradire il suo impegno religioso, perse la fede nel sacramento del matrimonio, che da allora gli apparve come un semplice contratto terreno, rescindibile a volontà dei contraenti. Egli tuttavia, come pure è noto, contrasse matrimonio con Caterina Von Bora, ex-monaca, dalla quale ebbe cinque figli.

Fu un buon padre e un buon marito e i suoi discendenti giunsero sino al sec. XVIII. E pure Caterina fu una buona moglie e una buona madre, abile amministratrice dei beni della famiglia e ospite di molti studenti che venivano ospitati nei locali dell’ex-monastero agostiniano, un tempo abitato da Lutero ed ora dalla coppia.

Si direbbe quindi che Martino e Caterina si compresero profondamente. E difatti il loro fu un amore felice, fedele e fecondo. Martino scoprì in Caterina, donna di notevoli qualità, la dignità femminile e il tormento della concupiscenza cessò. Lasciamo comunque a Dio il giudizio su di un’unione che non è contemplata dai canoni della Chiesa. Forse la Chiesa di oggi avrebbe concesso la dispensa dai voti.  Martino e Caterina i conti li hanno fatti direttamente col Signore.

 In ogni caso Lutero non seppe vedere il valore escatologico dell’amore fra uomo e donna e restrinse tale amore alla sola condizione terrena, con finalità procreativa. Manca del tutto, inoltre, in Lutero, la coscienza della reciprocità spirituale fra uomo e donna. Caterina non figura fra i collaboratori di Lutero, anche se fu una buona madre e una buona moglie.

L’antropologia dualista è all’origine della teoria genderista

Il genderismo è chiaramente una forma di sessuologia edonista, che sembrerebbe mettere in ombra lo spirito ed appare come una forma di volgare epicureismo. Invece la sua radice – chi lo penserebbe? – è proprio quel dualismo platonico, che a tutta prima sembrerebbe esserne agli antipodi.

Ma questo vuol dire che gli estremi si toccano: allo spiritualismo esagerato sessuofobo risponde per reazione la sessolatria genderista. Al disprezzo per il piacere sessuale risponde l’assolutizzazione del piacere. Oggi stiamo vivendo questa reazione edonista come risposta ad una tradizione ascetica sessuofoba, che ha antiche radici pagane e si riscontra nel’antifemminismo dell’Antico Testamento.

Essa compare nel cristianesimo sin dalle sue origini. Si pensi per esempio ai Padri del deserto. Ed è presente in San Paolo, con l’accusa fatta ad Eva di esser stata lei, ingannata del demonio, a far cadere Adamo. Da allora tutta una tradizione ascetica vedrà nella donna lo strumento di Satana. È solo con la maternità che nell’Antico Testamento la donna sarà degna di stima. Per questo la verginità femminile, lungi dall’essere apprezzata, è considerata cosa vergognosa.

Ma ecco che la solubilità del matrimonio e la poligamia nell’Antico Testamento testimoniano della scarsa importanza che l’uomo dà al legarsi con una donna e del fatto che la donna, salvo che l’uomo voglia considerarla uno strumento di piacere, la interessa solo perchè gli dà figli e per avere più figli ricorre alla poligamia o a più donne. La donna è serva dell’uomo o nel piacere o nel far figli.

La personalità propria della donna, la sua pari dignità col maschio, il donarsi dell’uomo per sempre ad una sola donna, la fedeltà assoluta a lei per tutta la vita, la reciproca complementarità, la donna come via di salvezza sono cose totalmente ignorate.

C’è peraltro da tener presente che sessuofobia e misoginia vanno assieme, perché rispecchiano il punto di vista maschile, che vede la donna come immagine di Eva, che, seducendo Adamo con la sua bellezza, lo ha indotto a credere di poter essere come Dio.

È vero che arriverà Maria a rimediare i guasti provocati da Eva. Con Maria appare l’ideale della vergine. Ma siamo sempre lì: la verginità non è intesa come occasione data alla donna di completare la spiritualità maschile, ma come soppressione della sua femminilità, considerata come un difetto e l’occasione per raggiungere la virtus, ossia per imitare il vir, il maschio, inteso come modello di virtù.

 C’è voluta la mariologia del Concilio Vaticano II per presentare Maria come ideale della donna e la donna come immagine di Maria ed è stato necessario il ricco Magistero di San Giovanni Paolo II, perchè venisse in piena luce la complementarità spirituale reciproca fra uomo e donna.

Ma resta la domanda che sorge spontanea da ciò che ho detto all’inizio del paradossale legame fra platonismo e genderismo: dov’è questo legame? Occorre che ci addentriamo nelle distinzioni che occorre fare a proposito dell’antropologia dualista.

Secondo questa antropologia, come è noto, l’uomo è puro spirito che governa un corpo sessuato. Il sesso ha per fine la procreazione. Esso procura piacere ma è ostile allo spirito. Può essere manipolato oppure lo si può respingere in blocco.

Il dualismo antropologico, tradizionale in oriente, ha la sua prima realizzazione storica in occidente, nel catarismo medievale e la formulazione rigorizzata in Cartesio ed ha una duplice direzione a seconda che si disprezzi o si valuti il piacere sessuale.

a)    spiritualismo astensionista (Origene)

Prima di Cartesio e nella linea di Platone il primo teologo cristiano che interpreta l’antropologia biblica in senso platonico è Origene. Per lui l’uomo è puro spirito creato all’inizio della creazione del mondo, gettato nel sesso in castigo del peccato originale.

L’uomo è una res cogitans. Di per sé non ha alcun bisogno del sesso, perché esso non concorre a costituire la persona umana. A seguito del peccato, il sesso è una res extensa ostile allo spirito. Il sesso è incompatibile con lo spirito. L’astinenza sessuale non è una misura d’emergenza adatta ad alcuni alla vita presente segnata dalla concupiscenza, ma è un valore universale, assoluto ed eterno, perché l’uomo è puro spirito e lo spirito non ha sesso.

Affinchè lo spirito possa essere felice e unito a Dio deve liberarsi dal sesso. Ne consegue che l’unione uomo-donna è solo un dato tollerabile della vita presente, ordinato alla riproduzione della specie, ma non è una prospettiva della risurrezione.

b)   spiritualismo erotico (Hegel)

La natura umana non è un composto di materia e forma creato da Dio, ma è la concretizzazione empirica e storica dell’Assoluto astratto, che è Spirito come Universale concreto. L’uomo è sintesi di spirito e sesso, ma sintesi dialettica, la quale richiede che il sesso sia affermato e negato ad un tempo: affermato, come tesi, negato come antitesi, affermato-negato come sintesi.

Lo spirito pone e al contempo nega se stesso come sesso, il quale pertanto non è dato allo spirito, presupposto allo spirito, ma proprio in quanto opposto allo spirito, è posto ed è effetto dello spirito, è soggetto alla libera determinazione dello spirito.

La libertà dello spirito, pertanto, per lo spiritualismo hegeliano, non sta nella separazione dal sesso, e neppure in un’armonia col sesso, cosa che impedirebbe la contraddizione dialettica, ma sta nella libera plasmazione del sesso ad opera dello spirito. Il sesso non è un dato di natura, ma un artefatto. Ne consegue sul piano morale la liceità che lo spirito manipoli il sesso per goderne indipendentemente dalla sua finalità procreativa.

Al dualismo si oppone per reazione il monismo. Lo smodato bisogno di unità porta alla confusione di spirito e materia. Abbiamo la tesi di Rahner: «l’anima è il corpo allo stato liquido e il corpo è l’anima allo stato solido». L’uomo carnale si oppone all’uomo disincarnato. Lo spirito è immerso nel sesso e schiavo del sesso. Fine del sesso è il godimento fisico, non importa come il sesso è usato, se nel matrimonio o fuori del matrimonio, se secondo natura o contro natura. L’importante è godere.

Secondo la teoria del gender, i sessi umani non sono solo due, ma tanti quanti l’ingegneria genetica sessuale è capace di costruire. Infatti i due sessi biologici maschio e femmina sono certamente riconosciuti. Ma sono considerati come semplici materiali da costruzione, circa i quali l’ingegnere può operare liberamente e creativamente per ottenere sessi diversi da quelli naturali.

Occorre ricordare invece che così come ognuno di noi nasce naturalmente e normalmente con due mani, due piedi e due occhi, altrettanto nasce o maschio o femmina. Anche qui vale il principio de terzo escluso: tertium non datur.

Certo è possibile nascere con una tendenza omosessuale. Ma ciò non significa che anche l’omosessuale non nasca fondamentalmente e originariamente maschio o femmina. La tendenza omosessuale rientra nella corruzione o deformazione del sesso originario, come conseguenza del peccato originale, nell’ambito di quella concupiscenza, alla quale tutti, tranne Cristo e la Madonna siamo soggetti e che spinge all’omosessualità o spinge all’eterosessualità, in ogni caso ci stimola ad accontentarla e quindi al peccato di lussuria.

Il rimedio alla tendenza omosessuale è dato da un’apposita educazione, tale da correggere questa tendenza e da orientare l’inclinazione sessuale nel senso giusto.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 11 luglio 2021


Secondo la rivelazione cristiana l’uomo è creato da Dio ed esiste in una duplice forma e secondo un duplice modo di esistenza, che tocca tutti i piani della persona: fisico, biologico, psicologico e spirituale; per cui la sua essenza, benché sia sostanzialmente unica - da cui l’uguaglianza umana – è modalmente duplice – da qui la complementarità reciproca - : uomo e donna.

Immagine da internet

[1] Tre Riformatori, Morcelliana, Brescia 1964, p.46.

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