Dio
onnipotente e misericordioso
Dio onnipotente vi faccia trovare
misericordia
Gen 43,14
Il
vero senso dell’onnipotenza divina
Dio è misericordioso perché è onnipotente. La
sua misericordia è infinita perché la sua potenza benefica è infinita. Dio non
è una specie di Ercole dalle dodici fatiche, potente alla maniera di uno
spaccone, o di un campione di sollevamento pesi, che vuol far esibizione della
sua forza o di un tiranno o un prepotente che s’impone e vuol dominare con la
forza e schiaccia, ma impiega la sua infinita potenza solo nel fare il bene:
sollevare i miseri dalla loro miseria, operare meraviglie a favore degli
uomini, perdonare i peccatori, arricchire i santi dei suoi doni, suscitare le
loro più grandi imprese, vincere le forze delle tenebre e della morte.
L’onnipotenza divina è una qualità della
volontà divina, fondata sulla sapienza,
regolata, normata, governata, giustificata e mossa da essa. Sorge
dall’infinita bontà e perfezione; è infinita potenza di pensiero, di ideazione,
di progettazione, di volontà, di inventiva, di libertà, di amore, di giustizia
e di misericordia. Non si tratta, quindi, come pensava Guglielmo di Ockham e
come crede il Corano, sotto pretesto che Egli è sovrano assoluto, di una
potenza cieca, dispotica, arbitraria, irrazionale, inaffidabile e
ingiustificabile.
L’onnipotenza è proprietà dell’infinita
potenza ed efficienza della divina causalità, che ha il potere di suscitare
l’essere dal nulla, di compiere miracoli, di perdonare i peccati, di sollevare
i miseri dalla loro miseria, di innalzare l’uomo alla condizione di figlio di
Dio.
Onnipotente vuol dire che Dio e solo Lui può fare,
ottenere e creare tutto ciò che è fattibile, creabile, ottenibile. Il suo potere spazia per tutto lo spazio
dell’essere. Nulla gli è impossibile di ciò che è possibile o può esistere. L’esistente
è lontanissimo dall’attuare tutto ciò che Egli può attuare. La sua potenza non
ha limiti, sì che raggiunti quei limiti Egli possa dire: ecco, ho messo in atto
tutto il mio potere; più oltre non posso andare.
No, può andare sempre oltre, senza limiti;
quindi, quando diciamo che Dio non può fare l’impossibile o l’assurdo, per
esempio una montagna senza valli o un cerchio quadrato o che quel che è stato
non sia stato, non poniamo un limite alla sua potenza, ma esprimiamo la condizione
ontologica della sua possibilità. Infatti l’impossibile, in quanto contradditorio,
non è creabile. Concepire pertanto un’onnipotenza che crei ciò che non è
creabile, vuol dire cadere in un concetto contradditorio e falso di
onnipotenza.
Attenzione
alle false interpretazioni
Dio non agisce per necessità di natura, come
fosse un agente fisico, ma agisce con sapienza e volontà, quindi liberamente,
perché è spirito e persona ed è bontà infinita. La sua potenza infinita,
quindi, è infinita potenza benefica liberamente attuata o attuabile in infiniti
modi, forme e gradi.
Onnipotente vuol dire che Dio può creare
tutto ciò che vuole in piena libertà, senz’alcun limite, scegliendo fra
infiniti oggetti, in quanto infinite sono le cose che col suo intelletto può
concepire e infinite sono le cose che la sua volontà può volere e creare senza che
sia obbligato a crearle. Nulla Egli vuole necessariamente se non Se Stesso,
perfezione infinita. Le creature non gli
aggiungono nulla e per questo le crea solo per amore di esse, ma è libero di
crearle o non crearle, perché di esse non ha alcun bisogno.
Dire che Dio è onnipotente non vuol dire che
può agire o non agire. Al contrario. la potenza divina non va intesa come un
poter agire, una potenza che può passare all’atto ed ora agisce, ora non
agisce, ora fa questo, ora fa quello. In quanto vivente, Dio non è mai
inattivo, ma sempre esercita la sua potenza. Anzi è azione per essenza.
Tuttavia gli effetti della sua potenza, ossia le creature e le loro azioni,
dipendono dalla sua volontà. Si può dire allora che Dio ora vuole questo, ora
vuole quello non perchè moltiplichi o diversifichi atti della sua volontà nel
tempo, ma perché gli effetti della sua volontà, la quale è sempre in atto, esistono
nel tempo. Dio agisce nel tempo, ma non è immerso nel tempo, come crede
l’idealismo tedesco[1].
Ciò che esiste o è esistito o esisterà non
esaurisce tutte le possibilità creative dell’onnipotenza divina. Un’infinità di
cose entrano nelle possibilità creative dell’onnipotenza divina, che però non
esisteranno mai. Onnipotenza divina, quindi, non vuol dire che quello che
esiste è tutto quello che può esistere e che il mondo è l’attuazione necessaria
di Dio. Se no, si finirebbe col dire quello che dice un teologo panteista di
mia conoscenza: «tutto è bene così com’è». Il conservatore più ipocrita ed
egoista non troverebbe nulla di meglio da dire. A lui va bene un Dio così
inquantochè, secondo questo teologo, l’onnipotenza divina consisterebbe nel
fatto che ciò che esiste coincide con ciò che può esistere ed anche ciò che a
noi sembra male per la nostra vista limitata, è bene agli occhi di Dio, che
vede la «totalità»: qualcosa che si trova anche in Spinoza.
Eppure è innegabile che nel mondo esiste il
male. Certo, però, che se concepiamo il mondo come attuazione di Dio, allora
per forza tutto è bene, se Dio è bontà infinita. Ma il fatto è che Dio non è attuazione
di potenza di esser Dio, che passa all’atto, Dio non diviene, ma è atto puro di
essere. La storia non è il divenire necessario di Dio. Dio interviene nella
storia, ma Egli resta trascendente e immutabile.
Volendo dare uno sguardo ad Hegel, per lui il
nulla passa da sé nell’essere. Quindi non occorre ammettere un Dio onnipotente
e creatore, puro atto d’essere, che ottenga l’essere dal nulla. All’inizio, per
lui, non c’è l’essere, non c’è un Dio come ipsum
Esse, ma la coincidenza dell’essere col nulla, che per lui sarebbe il
divenire. È il nulla, il negativo dell’essere, che negando sé stesso, pone
l’essere. Questi, a sua volta, negando o «alienando» sé stesso nel nulla, si
riafferma come essere, in quanto negazione della sua negazione.
Per Hegel l’onnipotenza divina, che è il
potere proprio del negativo di edificare la «sintesi» dialettica («in sé e per sé»),
che è Dio stesso, per Hegel, è la «potenza del negativo» («per sé»), che è già
potere divino, ossia la potenza del nulla opposto all’essere. Dio nega sé
stesso per affermare sé stesso. Questa potenza non appartiene quindi solo
all’essere, che si annulla nel nulla e diviene, ma anche al nulla, perché
essere e nulla sono interscambiabili, eguagliabili e comunicabili nella
totalità o identità che è identità di essere e nulla, che è Dio stesso. Per
Hegel, allora, il contradditorio (l’essere è il non-essere) fonda l’identità,
mentre la semplice identità («in sé») è contradditoria. Per questo, per
«risolvere» la contraddizione, occorre elevare ad identità il contradditorio
(«in sé e per sé»).
Hegel poi applica la sua dialettica per
interpretare la dottrina neotestamentaria dell’Incarnazione del Verbo. Hegel respinge
l’«atreptos» («senza mutazione») del dogma di Calcedonia, per cui ne viene che
natura divina e natura umana di Cristo non sono in armonia immutabilmente
distinte, ma «storicizzate», il che vuol dire, per lui, che perdono la loro
identità astratta, «astorica», ed entrano in contraddizione reciproca, perché
l’una afferma l’altra negando sé stessa o mutando o divenendo l’altra.
Quindi, per Hegel, l’unità della persona di
Cristo è data dall’«unità», cioè identità delle due nature, che quindi sono
identiche, anche se non in una semplice identità, ma nell’identità come la
intende Hegel, che è «passaggio» dall’una all’altra, nell’opposizione-unità dell’una
con l’altra. In Cristo Dio nega se stesso e l’uomo per divenire uomo, mentre
l’uomo nega se stesso e Dio per divenire Dio.
Inoltre, nell’ambito delle nostre
considerazioni sull’onnipotenza divina, c’è da notare che Dio non è affatto, come
credeva il Cusano, ingannato da una falsa mistica, «coincidentia oppositorum», al
sopra del principio di non-contraddizione. Il mistero dei decreti o giudizi divini
non vuol dire affatto assurdità od offesa alla ragione umana, perché su questo
piano radicale del pensiero e dell’agire, la ragione sa irrefutabilmente ciò
che Dio stesso sa, comunica con Dio, perché la verità è una sola per Dio e per l’uomo e il principio di non-contraddizione
vale sia per noi che per Lui, anzi ne è Lui il supremo garante e custode, perché
Egli stesso è la Verità.
Dio, nel suo essere ed agire, è semplice e non
doppio. È leale, non si smentisce e mantiene le promesse. È il diavolo ad essere
doppio. L’uomo dev’essere leale con Dio, perché Dio è il primo ad essere leale con
l’uomo. Il vero Dio, benché libero, «ab-solutus» da tutto e sovranamente libero
di fare tutto ciò che vuole, ossia onnipotente, è un Dio coerente con Sé stesso
un Dio che sta ai patti, non cambia le carte in tavola, e come li rispetta Lui,
così giustamente vuole che li rispettiamo noi, senza sotterfugi e senza doppiezza.
L’onnipotenza divina è fumo negli occhi per
l’empio e all’ateo, che non vuole nessuno al di sopra di sé ed aspira egli
stesso, per quanto può, alla «volontà di potenza», alla prepotenza, alla sopraffazione
ed al sopruso. L’empio certamente sa benissimo di non poter creare un bel
nulla. Si sfoga allora nel vagheggiare sogni utopistici o deliranti e col
concedere alla volontà ogni sorta di piaceri e soddisfazioni peccaminose. Se
non ha il potere di far sorgere l’essere dal nulla, però può dar corpo ai suoi
deliri e dar briglie sciolte alla falsa libertà di una volontà anarchica e
senza freni.
L’onnipotenza
divina si manifesta nell’atto creativo
L’onnipotenza ha relazione al mondo creato o
creabile. Non è un attributo interno e necessario all’essenza divina, come
l’essere, la sapienza, la volontà l’infinità, l’eternità, l’immutabilità. Si
esercita, quindi, se Dio vuol creare e in relazione al creato. Essa è
immediatamente manifestazione della bontà divina, alla quale piace liberamente
donare e donarsi: bonum est diffusivum
sui, motto neoplatonico spesso citato da S.Tommaso. Frutto ed effetto
immediato dell’onnipotenza è la creazione del mondo.
Per creare le cose, per farle balzare dal
nulla all’essere, occorre una potenza produttiva o realizzatrice infinita.
Infatti, per far passare una cosa da uno stato ad un altro, per ricavare una statua
da un blocco di marmo, è sufficiente una potenza produttiva finita, giacché la
distanza ontologica fra il marmo e la statua è finita. Lo scultore imprime una
limitata modalità di essere – l’esser
statua – a un ente già completo in se stesso – il marmo.
Perché venga in essere la statua, basta che la potenza produttiva
dello scultore conduca il marmo a cambiar figura esterna; ma detta potenza non
lo produce affatto dal nulla. Il marmo c’era già, e la statua non è altro che
quel blocco di marmo che ha cambiato la sua forma accidentale da naturale ad
artificiale. Anche un animale, ma che dico, anche le forze inanimate della
natura cambiano altre forze della natura, ma certamente non le creano. Tutto si
trasforma, come già diceva il Lavoisier.
Infatti, nel caso dell’opera dello scultore, abbiamo
un soggetto materiale presupposto, il marmo, che cambia forma; lo scultore con
la sua arte conferisce al marmo un nuovo modo di essere: essere statua. Non produce
la statua dal nulla. Tra l’essere un semplice blocco di marmo e l’essere statua
si attua un mutamento ontologico, avviene un passaggio ontologico finito dal
non-essere statua all’essere statua.
Invece, tra la non-esistenza del marmo e l’esistenza
del marmo c’è un passaggio o salto ontologico infinito, perché non c’è alcun divenire
dal nulla all’essere, così che questo divenire possa essere misurato. Tra le varie modalità e misure dell’essere nel
creato esiste una distanza ontologica, che può essere coperta dalla produttività
finita della creatura.
Invece non c’è nessuna mediazione ontologica
fra l’essere e il nulla, non si può dare alcun paragone, non c’è comune misura.
Qualcosa di simile avviene tra il bene e il male e tra la creatura e il Creatore.
Ma qui, nel primo caso non solo manca qualcosa di comune, ma i due termini si
escludono a vicenda, mentre essere e nulla si corrispondono. E nel secondo caso
abbiamo un collegamento sulla base dell’analogia dell’essere.
Invece l’opera del Creatore non sta né in una
negazione (il bene che nega il male), né
nel superare infinitamente il finito (rapporto Dio-creatura). E non sta
neppure nel semplice aggiungere un tanto di essere finito al precedente nulla.
È stato, questo, l’equivoco del Beato Duns Scoto, il quale credeva che, siccome
la creazione pone un essere finito, tra il non-essere della creatura e il suo essere
ci fosse solo una distanza finita. Ma così c’era il rischio di spiegare
l’esistenza della creatura solo con una
causa finita, senza far ricorso all’onnipotenza, giacché per spiegare il finito
può bastare il finito.
Scoto certo tiene all’onnipotenza divina, ma
non la collega con Dio ispum Esse,
come aveva fatto Tommaso, bensì a Dio come Ente infinito. Ma S.Tommaso, più
sensibile all’importanza dell’esse, distingue l’essenza finita della creatura dal suo
essere, che egli riconosce essere finito; senonché, quando definisce l’atto
divino creatore, non considera l’essere del creato come finito, ma
semplicemente come essere.
Ciò porta come conseguenza che, mentre Scoto
concentra l’attenzione sul finito, Tommaso la concentra sull’essere. Così
succede che mentre per Scoto nell’esser creato c’è un passaggio dal nulla al
finito, per Tommaso il passaggio è semplicemente dal nulla all’essere. Ecco
allora che mentre per Scoto tra il nulla e l’essere della creatura c’è una distanza
finita, per Tommaso il balzo dal nulla al suo essere è infinito. Ora un simile
salto non può che essere causato che da potenza infinita. E così è giustificata
l’onnipotenza divina.
In altre parole, l’ente creato, nella sua
essenza finita, è certo finitamente distante dal nulla; su ciò Tommaso e Scoto
sono d’accordo. Ma Tommaso mette in luce, cosa che a Scoto sfugge, che l’essere
del finito come essere, è infinitamente
distante dal suo non-essere, prima di essere creato. Insomma: tra il non-essere
e l’essere dell’intero ente, c’è una distanza infinita, che solo una potenza creatrice
infinita può coprire o travalicare.
L’azione divina è infinita, perché Dio è
Azione sussistente, ma gli effetti sono finiti. Dio non causa un altro Dio. Il
mondo non è, come crede Hegel, il compimento di Dio. Dio è già perfettissimo in
sé stesso senza il mondo, senza che occorra aggiungerGli nulla. L’onnipotenza è
emanazione dell’infinita perfezione divina. L’essere mondano, invece, è
semplice essere per partecipazione, mentre l’essere divino è l’Essere per
essenza, contenente in Sé l’infinta totalità dell’essere, senza alcuna
limitazione. Tuttavia Dio Padre genera Dio Figlio. E per questo nel Credo si dice: Dio da Dio.
Alla creazione dell’uomo segue un altro
effetto dell’onnipotenza: la misericordia, che ha pietà dell’uomo peccatore,
gli perdona in Cristo il peccato, lo solleva dalla sua miseria e lo riconduce
all’innocenza originaria: la grazia medicinale o sanante. L’onnipotenza
misericordiosa divina si manifesta così in modo speciale nella giustificazione
del peccatore. Ma non contenta di ciò, la bontà divina e il suo amore per
l’uomo esprimono la loro onnipotenza ad un livello superiore, divino per
partecipazione, quello della grazia elevante, che crea l’ordine soprannaturale
delle virtù teologali e dei doni dello Spirito Santo, che eleva l’uomo in
Cristo e nello Spirito Santo alla condizione di figlio di Dio, ad immagine di
Cristo.
L’onnipotenza
divina si manifesta anche nei miracoli
L’onnipotenza divina si manifesta nella
produzione dei miracoli[2].
Il miracolo è un fatto o un evento fisico benefico per l’uomo, empiricamente
constatabile o credibilmente testimoniabile, utile in ordine all’acquisto della
fede o della salvezza, ottenuto da Dio per mezzo della preghiera, dal quale,
per le sue peculiari caratteristiche straordinarie, si evince con evidenza e
certezza che è avvenuto superando le forze della natura e quindi come effetto
di un atto creativo di materia che si aggiunge alle condizioni fisiche interne
o esterne del miracolato, con finalità o di guarigione (per esempio la vista a
un cieco) o di soddisfazione a un bisogno (per esempio la moltiplicazione dei
pani) o di rivitalizzazione (per esempio la resurrezione di un morto) o di
dimostrazione della perfezione del corpo risorto (per esempio la levitazione) o
di immunità da danni (per esempio un fuoco che non brucia) o di potere sulla
natura (per esempio allontanare i topi) o di guida spirituale (per esempio la
lettura dei cuori) o di penitenza (per esempio veglie o digiuni straordinari),
tutti fatti i quali, come dice il Concilio Vaticano I, «mentre dimostrano
luminosamente l’onnipotenza e l’infinita scienza di Dio, sono segni certissimi
della divina Rivelazione, adatti all’intelligenza di tutti» (Denz. 3009).
Il Concilio parla in linea di principio. Il
che non toglie che per sapere con certezza se un fatto prodigioso o
straordinario è o non è un miracolo, spesso occorra un attento discernimento.
Per quanto riguarda i miracoli utilizzabili per le Cause di Beatificazione o
Canonizzazione, la Chiesa stabilisce apposite condizioni per il loro
riconoscimento e delimita per lo più il genere di miracolo alla sola guarigione
fisica.
Il pacifismo
utopista di Padre Turoldo
L’onnipotenza divina si manifesta nel fatto
che Dio sconfigge i suoi nemici. Per Padre Davide Maria Turoldo invece
concepire un Dio che con la sua potenza sconfigge le forze del male e fa
vincere in guerra, è la «sconfitta di Dio»[3]. Egli confonde il giusto uso della forza a protezione
dei deboli e per la liberazione degli oppressi, con il sopruso e la violenza
del tiranno oppressore e distruttore. Il che è molto grave.
Non riesce a concepire che ci sono o possono
esserci guerre giuste e guerre ingiuste, guerre doverose e guerre moralmente illecite,
che un conto furono le guerre di Hitler o di Maometto o di Napoleone, e un
conto fu la battaglia di Lepanto del 1571 o quella di Vienna del 1683, che impedì
all’Islam di invadere l’Europa o la liberazione dell’Italia dai nazifascisti. Non
siamo più nel giardino di Eden o non siamo ancora l’umanità della futura
resurrezione, dove tutti sono buoni e ben intenzionati, e tutto si risolve con
una serena trattativa; ma, anche se avanza quaggiù il regno di Dio, esistono in
noi e tra di noi forze malvagie, che non possono essere represse, se non con la
forza. Si sa che anche nelle guerre motivate dai più alti ideali,
inevitabilmente avvengono fatti incresciosi; ma saggezza vuole che per un
opportuno senso delle proporzioni si sappiano accettare, pur con dolore, questi
incidenti, pur di salvare valori collettivi di molto superiori, un po’ come in
un’operazione chirurgica accettiamo l’asportazione di un organo per salvare l’intero
organismo. Salvare una parte a costo di perdere il tutto non è amore della pace
ma stoltezza.
E nulla ci impedisce di chiedere soccorso, se
siamo assaliti od oppressi, all’onnipotenza divina. Dio non assiste impotente
all’ingiustizia, come il Dio di Turoldo o il «Dio debole» di Sergio Quinzio, ma
interviene nei modi e menti e tempi da lui stabiliti, e a volte con terribili
castighi. Non è sempre un bel segno non avere nemici. Il Dio che ha permesso
Auschwitz non è stato, per quanto possa sembrare paradossale, un Dio debole, ma
è sempre stato l’onnipotente Dio buono, giusto e misericordioso, che ha voluto
rendere il suo popolo partecipe dei dolori del Messia.
Chiediamoci piuttosto ogni tanto se il nostro
pacifismo e il fatto che il mondo non ci odia dipende dal fatto che non stiamo
dalla parte di Dio ma del mondo e se siamo così miti e dialoganti non perché
siamo pazienti e comprensivi, ma perché non vogliamo avere noie e vogliamo
tenerci buoni i potenti di questo mondo. Crediamo di più alla potenza di questi
che alla potenza di Dio.
Cedere al prepotente in cose gravi, quando è
possibile, senza peggiorare il male, difendere sé, i propri cari o i propri
sudditi o la patria non è Vangelo, ma vigliaccheria, della quale si dovrà
render conto a Dio. Come dice il profeta Geremia? «Liberate l’oppresso dalle
mai dell’oppressore!» (22,3). Quando Cristo ci comanda di «non opporci al
malvagio» (Mt 5,39), come risulta chiaro dal contesto, non intende avallare
l’ingiustizia o fare l’apologia della vigliaccheria o di Don Abbondio, come male
ha inteso Nietzsche, ma intende comandare, sia pur in termini enfatici, la
disponibilità al servizio, la mitezza, la dolcezza e la pazienza nei confronti
di persone sgradevoli, arroganti, intrattabili, difficilmente sopportabili,
scorbutiche, pesanti, ingrate e petulanti, ma bisognose.
Il falso, dolciastro ed imbelle pacifismo di
Turoldo è un’ipocrisia, forse inconscia, che finisce per fare il gioco dei prepotenti,
lasciando gli oppressi a gemere sotto il loro giogo. Non confondiamo l’eroismo militare
con la violenza scatenata delle delle orde barbariche.
Questo gravissimo equivoco di Turoldo probabilmente
dipende dal fatto che egli fraintende il mistero della Croce di Cristo, nel quale,
certo, c’è il momento della debolezza, ma, come chiarisce S.Paolo, «Cristo fu
crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio» (II Cor 13, 4).
Il che vuol dire che per la nostra redenzione certamente è stato necessario il sacrificio
di Cristo; ma non dimentichiamo, per non cadere nella trappola di Hegel, che la
salvezza, in quanto opera di Dio, se è
stata pagata dalla Croce di Cristo, tuttavia in sé stessa è stata opera dell’onnipotenza del Padre.
Non confondiamo la debolezza e la sofferenza
di Cristo come uomo col negativo
hegeliano che produce il positivo! La Redenzione non è stata effetto della
dialettica gnostica di Hegel, ma della pura e gratuita misericordia del Padre! Le
idee oggi diffuse, col pretesto della Redenzione, del Dio che muta, diviene, che
soffre, che è debole e che muore, se non sono intese secondo la regola della comunicazione
dei predicati[4], ossia
se sono riferite alle due nature e non alla Persona di Cristo, sono delle pure e
semplici bestemmie, che suscitano l’ira divina.
Per Turoldo, qui sorprendentemente
superficiale e ingiusto, tutte le guerre sono ingiustizia, violenza e morte. Ci
si domanda come fa a mescolare assieme in un’unica condanna, gli eroi che hanno
dato la vita per la patria e per la libertà, con i barbari, che, per sete di preda
e di dominio, hanno aggredito, invaso, profanato, razziato, stuprato, devastato,
seminato morte e distruzione, trucidando fra orribili crudeltà popolazioni
pacifiche ed inermi.
Ma quello che è ancora più grave per un Religioso
come Padre Turoldo, è che trascura completamente, con un utopismo astratto e
falsamente evangelico, l’aspetto conflittuale della storia e quello agonistico
della vita cristiana, destinato, per espresso insegnamento biblico, alla
battaglia finale tra giusti ed empi dell’Apocalisse.
Conclusione
L’onnipotenza divina è proprietà del volere e
dell’agire divini, che rende possibile e attuale la creazione, che è effetto
dell’onnipotenza. La divina provvidenza, che regola l’attuazione
dell’onnipotenza, organizza e presiede allo svolgimento dell’evoluzione cosmica
e in special modo della storia degli angeli, dell’uomo e della Chiesa. Onnipotenza,
creazione e provvidenza sono tre attributi operativi divini, che, come tali,
hanno per termine d’applicazione non l’essenza divina, ma il mondo e la storia,
che sono fuori dell’essenza divina e da essa distinti.
Quindi non sono attributi necessari
dell’essenza divina, ma necessari ex
suppositione, ossia supposta la volontà divina di creare il mondo e la sua
storia. Il piano della provvidenza divina
attua l’onnipotenza e si svolge secondo la modalità della misericordia e della
giustizia, le quali suppongono l’esistenza e la storia della creatura umana,
perché questa è il loro termine di applicazione. L’esistenza della creatura,
invece, non è effetto è della misericordia né della giustizia, ma della
semplice potenza o bontà creatrice guidate dalla provvidenza nella storia.
La storia, poi, è il succedersi nel tempo degli
atti e degli eventi dell’uomo, guidati secondo misericordia e giustizia dalla
provvidenza. La storia appartiene chiaramente al mondo della creatura umana,
benché Dio, in ordine alla salvezza dell’uomo, si riservi, si sia riservato e
si riserverà, stando alle narrazioni ed alle profezie bibliche, di intervenire
ed operare nella storia in molti modi e in molti momenti.
Massimo intervento è stato l’evento
dell’Incarnazione del Verbo. Facendosi uomo, Dio si è fatto storia, giacché
l’esistenza umana è nella storia. Ha assunto una natura umana immersa nella
storia. Tuttavia la natura divina di Cristo è eterna ed immutabile e trascende
il tempo e la storia.
La storia invece dice divenire, spazio-temporalità,
particolarità, contingenza, mutamento, sorgere, perire, cambiamento, movimento,
rinnovamento, progresso. Ma Dio non diviene nulla, perché è già Tutto; non è
nel concreto spazio-tempo, perché non è materiale, ma astrae da essi, perché è
spirituale; no è un dato particolare, ma si pone sul piano dell’universalità; non
è contingente, ma necessario; non muta, perché è stabile; non sorge, perché è
da sempre; non perisce perché è immortale; non cambia, perché è fedele; non si
muove perché nessuno Lo muove, essendo Lui il Motore immobile; non si rinnova
perché non invecchia e non progredisce perché è già al vertice di ogni
perfezione.
Gesù uomo ha avuto una storia: ma la sua nature
divina non ha storia, è astorica e trascende la storia. La storia è essenziale
al creato, ma non entra dell’essenza divina. Per questo, Dio non ha una storia,
non è una realtà storica e neppure ha un aspetto storico; non esiste una
«storia di Dio» e neppure una «storia della SS.Trinità», se non per
comunicazione dei predicati (communicatio
idiomatum).
Il mistero dell’Incarnazione è ad un tempo
effetto della provvidente onnipotenza creatrice di Dio Padre, che, nella
potenza dello Spirito Santo, ha creato l’umanità di Cristo figlio di Maria, e manifestazione
eterna e storica del Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli, per
il trionfo della sua giustizia e della sua misericordia.
P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato 17 febbraio 2020
[1] Alcuni cristologi hanno frainteso l’aspetto
storico-temporale del mistero dell’Incarnazione, come se l’essenza divina fosse
soggetta al tempo e al divenire. Vedi, per esempio: W.Kasper, L’Assoluto nella storia nell’ultima
filosofia di Schelling, Jaca Book, Milano 1986; Gesù il Cristo, Queriniana, Brescia 1992; B.Forte, Trinità
come storia. Saggio sul Dio cristiano, Edizioni Paoline, Torino 1985; Gesù di Nazaret. Storia di Dio, Dio della storia,
Edizioni Paoline, 1985; cf il mio libro K.Rahner.
Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009, pp.181-185.
[2] Cf E.A. de Poulpiquet, Le miracle et ses suppléances, Beauchesne, Paris 1914; A.Zacchi, Il Miracolo, Vita e Pensiero,Milano
1923; F.Leuret – H.Bon, Les guérisons
miraculeuses modernes, Presses universitaires de France, Paris 1950;
Antonio Giordano da Castellammare, La
polivalenza del miracolo filosofica apologetica teologica, PUL Roma 1969; Piero
Vigorelli, Nuovi miracoili e guarigioni
straordinarie, PIEMME 2003.
[3] Cf Dialogo
tra cielo e terra, PIEMME, 1996, pp.129-143.
[4] Vedi il mio recente articolo sull’argomento La comunicazione dei predicati come metodo
per l’interpretazione del dogma.
Buonasera padre Cavalcoli. Potrebbe gentilmente indicarmi dove approfondire la tematica in oggetto specie in merito dell'onnipotenza e alla creazione? Grazie
RispondiElimina- Può consultare le opere di S.Tommaso come la Summa Theologiae o la Summa contra Gentes;
Elimina- il mio libro Gesù Cristo Fondamento del Mondo, Edizioni L'Isola di Patmos, Roma 2019:
- G.Van Noort, Tractatus de Deo Creatore, Bussum de Hollandia 1920;
- Trattati di teologia dogmatica come quelli del Tanquerey, Schmaus, Bartmann sui temi suddetti;
- Angelo Zacchi, Dio,vol.II - L'affermazione, Editore Francesco Ferrari, Roma 1946;
- Battista Mondin, Il problema di Dio Edizioni ESD, Bologna 2012;
- Lezioni di teologia dogmatica di Padre Tomas Tyn, nl sito ArPaTo.org