Filosofia e scienza in dialogo sul potere dell’uomo sulla natura - Terza Parte

Filosofia e scienza

in dialogo sul potere dell’uomo sulla natura

Terza Parte

 

Prima Partehttps://padrecavalcoli.blogspot.com/2023/05/filosofia-e-scienza-in-dialogo-sul.html

Seconda Parte: https://padrecavalcoli.blogspot.com/2023/05/filosofia-e-scienza-in-dialogo-sul_26.html

 

Facebook (chat) – dal 30 Maggio al 10 Giugno 2023

 

Giovanni Sarruso

Faccio un piccolo riepilogo di quanto sostengo

Attraverso la scienza di oggi è possibile dimostrare l’esistenza di Dio. Poi bisogna accettare il principio tomistico dell’analogia altrimenti non si va oltre.

P. Giovanni Cavalcoli

Caro Professore, le ricordo che l’oggetto della scienza sperimentale sono i fenomeni della natura, che fanno riferimento a sostanze materiali. Sono d’accordo che per dimostrare l’esistenza di Dio si può partire dai dati della fisica, ma occorre fare intervenire l’intelligenza filosofica, la quale nei fenomeni coglie l’ente sensibile. Una volta colto questo ente, che risulta essere contingente, la fisica è superata dalla filosofia, perché soltanto questa può stabilire il dato oggettivo che stimola a sua volta la ragione a interrogarsi sulla causa sufficiente dell’ente contingente.

A questo punto utilizziamo l’analogia dell’ente, grazie alla quale dall’ente contingente saliamo, in base al principio di causalità, all’ente assolutamente necessario, che è Dio.

C’è da notare inoltre che l’atto con cui la ragione supera l’ente sensibile, la mette in contatto con la sostanza spirituale, inquantoché la natura di Dio appartiene all’ordine dello spirito.

 

Per quanto riguarda Aristotele in parte la logica è tuttora valida. Il resto è importante nella storia del pensiero.

Invero la Chiesa col dogma della transustanziazione evidenzia l’accettazione del pensiero aristotelico, tuttavia per il credente è importante credere che pane e vino siano corpo e sangue di Gesù. Non credo che sia indispensabile la spiegazione.

Le faccio notare che nel Mistero dell’Eucarestia non si può dire che il pane è il corpo e il vino è il sangue, perché, dopo le parole della consacrazione, il pane non è più pane e il vino non è più vino, ma sono la sostanza del Corpo e del Sangue di Cristo, mentre rimangono soltanto le specie o accidenti del pane e del vino. Ora questa spiegazione, data dal Concilio di Trento, ci dice che cosa succede nel momento in cui il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione. E appunto questa conversione della sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo, è ciò che la Chiesa chiama transustanziazione.

 

Aggiungo che la Fides et ratio raccomanda Tommaso e implicitamente Aristotele.

Indubbiamente c’è una approvazione di Aristotele, però purgato dai suoi errori e completato da San Tommaso.

Possiamo precisare comunque che la Chiesa, da un punto di vista filosofico, non utilizza soltanto Aristotele, ma anche Platone, per esempio per quanto riguarda la nozione dell’idea, del bene, della verità, della rivelazione, della partecipazione, della imitazione, dell’immagine, dell’amore, dello spirito, dell’intelletto, della virtù, della mistica. Per questo Sant’Agostino aveva la massima stima di Platone, anche perché non conosceva Aristotele.

È difficile capire come mai la conoscenza di Aristotele è arrivata presso i Latini soltanto nel sec. XIII, probabilmente perché era strumentalizzato dai Musulmani, in particolare da Averroè. Sono stati i Domenicani a scoprirne il valore e quindi è stato merito di San Tommaso, incaricato dal Papa, di evidenziare gli aspetti positivi di Aristotele. Per questo la Chiesa accolse l’interpretazione tomista di Aristotele, la cui filosofia si affiancò a quella di Platone.

 

Cosa manca alla teoria aristotelica della sostanza? Il fatto che essa è tale in relazione all’uso che l’uomo ne fa.

Ma non credo che questo faccia di me un eretico.

Nella teoria aristotelica della sostanza manca la possibilità di utilizzarla per formare la nozione di persona, ossia la sussistenza di una sostanza individuale razionale, come poi la definirà Boezio.

Per Aristotele l’individuo umano è riconosciuto (il tode ti). Sappiamo come egli riconosce l’essenza della natura umana, il famoso “animale ragionevole”. Ma sembra mancare la percezione della concretezza della singola persona, in particolare nella sua situazione di fragilità morale, che la Bibbia spiega come conseguenza del peccato originale.

Altra cosa che Aristotele non poteva conoscere, non conoscendo la rivelazione cristiana, è la separabilità della sostanza dall’accidente, separabilità che invece la Chiesa ha dovuto ammettere per spiegare il mistero dell’Eucarestia, nel quale, pur mutando la sostanza, rimangono gli accidenti, ossia la sostanza del pane si converte nella sostanza del Corpo di Cristo, ma rimangono gli accidenti del pane. Teniamo presente comunque che gli accidenti del Corpo di Cristo sono presenti nel Corpo del Signore in cielo, mentre Cristo è presente nell’Eucarestia non esattamente come sostanza, ma a modo di sostanza (ad modum substantiae).

Altra utilizzazione della categoria aristotelica di accidente, che è stata fatta dalla Chiesa nel Concilio di Firenze nel 1442, è stata quella di utilizzare la categoria della relazione, che di per sé è un accidente, per darle invece una sussistenza ipostatica personale al fine di offrirci il concetto della Persona Trinitaria, ossia il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono tre Relazioni Sussistenti.

Così di Gesù Cristo la teologia dice che la natura umana di Cristo è ipostaticamente unita alla Persona del Figlio, in modo che Gesù Cristo è una Persona divina in due nature, umana e divina.

 

Si certo ma non si può credere semplicemente nella trasformazione senza spiegazioni come pare facciano i fratelli ortodossi?

Occorre notare che nella consacrazione eucaristica non avviene una trasformazione, perché propriamente, come dice la parola stessa, la trasformazione è una sostituzione di forma nel medesimo soggetto materiale. Per esempio nell’alimentazione, la forma del cibo viene sostituita dalla forma dell’organismo vivente, che ingerisce il cibo, mentre la materia del cibo rimane la stessa.

Ora, nell’Eucarestia non c’è la permanenza di una materia, ma è l’intera sostanza, materia e forma, che si converte in un’altra sostanza. Restano solo gli accidenti della sostanza precedente. Quindi in questo caso gli accidenti del pane e del vino non hanno un soggetto che li sostenga, ma sono sostenuti direttamente da Dio. Il Corpo di Cristo, con i suoi accidenti, è in cielo, però è presente nell’Eucarestia a modo di sostanza.

Allego un link con lo splendido e famoso Inno eucaristico di San Tommaso d’Aquino.

 

 

Beh capisco la necessità della precisione, ma i fratelli ortodossi in questo semplificano molto.

Se non erro è nell’Apologia I di san Giustino che si afferma chiaramente il realismo dell’Eucarestia. Ma la questione rimase in sospeso per secoli. Ricordo che il papa Gregorio VII sepolto nella mia città si adoperò affinché l’eretico Berengario di Tours ritrattasse la sua concezione sul simbolismo eucaristico.

Vero è che solo nel Duecento con l’Adorazione eucaristica e il Corpus domini la situazione si sbloccò

I Padri greci parlano di mutamento e di divenire e cioè che il pane si muta nel Corpo oppure diventa il Corpo. Ma quando la filosofia di Aristotele fu introdotta presso i Latini si cominciò ad usare la distinzione tra sostanza ed accidenti e materia e forma e quindi non avvenne una complicazione delle cose, ma al contrario ci fu un miglioramento della conoscenza del mistero.

Gli Ortodossi sono rimasti alla concezione dei Padri greci, concezione che non si può considerare più semplice, ma come arretrata, perché il parlare di mutamento o divenire potrebbe far pensare alla trasformazione e invece, come ho detto, non si tratta di trasformazione, ma di transustanziazione.

Dire mutamento o divenire non è eresia. L’eresia nasce se mutamento o divenire li si intende come trasformazione oppure intenderli come un fatto simbolico, come fece Berengario di Tours, il quale fu accusato di eresia, perché negava la transustanziazione, in quanto non riusciva a concepire la separabilità della sostanza dall’accidente, secondo l’impostazione di Aristotele. E la cosa si può capire, perché Aristotele non conosceva il sacramento dell’Eucarestia.

Quindi, per spiegare questo mistero si usavano le categorie aristoteliche, precisando però che nell’Eucarestia si separano tra di loro, per cui l’accidente del pane, al posto della sua sostanza, sussiste del sostegno ontologico ricevuto da Dio. Questo è il Miracolo Eucaristico, un miracolo che non possiamo verificare, ma che è puro oggetto di fede.

 

Amico di internet mi spiega la precisione della costante gravitazionale, ma poi dice che è dovuta al caso. Per me è una prova scientifica.

Riguardo alla costante gravitazionale, lei dice che è una prova scientifica. Prova di che cosa?

 

Della presenza di un ordine che non può essere casuale

E non è la sola costante

Sono d’accordo che si può partire da questa costanza gravitazionale; tuttavia bisogna riconoscerle il suo statuto ontologico di ente contingente. Solo a questo punto, mediante il principio di causalità, possiamo stabilire l’esistenza dell’ente assolutamente necessario.

Questo vuol dire, come ho già detto altre volte, che, per arrivare alla teologia, la scienza sperimentale deve passare attraverso la filosofia.

Il caso non può essere all’origine delle leggi fisiche, perché esse si spiegano solo con una mente ordinatrice, mentre il caso, per definizione, si oppone alla razionalità.

Il caso in se stesso non esiste, perché tutto è ordinato da Dio. Semmai noi possiamo usare la parola “caso” per indicare che non conosciamo la causa, ma Dio, ordinatore di tutto, certamente la conosce.

 

Le principali costanti fondamentali sono la costante di Avogadro, la costante di Boltzmann, la costante dielettrica e la permeabilità magnetica del vuoto, la carica e la massa dell’elettrone, la costante della gravitazione, la costante di Planck, la massa del protone e la velocità della luce nel vuoto.

La ringrazio per queste precisazioni, che confermano la nostra convinzione che questi elementi di costanza nelle attività della natura sono il segno di una necessità, seppur negli enti in divenire, necessità che consente l’acquisizione della scienza, inquantoché, come dice Aristotele, la scienza è scienza del necessario e pertanto del permanente.

In questo modo Aristotele ci ha permesso di acquistare una scienza del divenire, che associa il permanente col mutamento ed entrambi questi elementi consentono alla ragione di arrivare a dimostrare l’esistenza di Dio: il permanente relativo, che conduce al permanente assoluto, e il mutamento, che richiede un motore immobile.

 

9.6.23

Caro padre finché lei come teologo tiene in gran conto il pensiero di Aristotele e cerca di coniugarlo con la scienza di oggi mi sta anche bene perché la Chiesa invita a procedere in questo modo, tuttavia, mi creda, gli scienziati non tengono affatto conto dell’aristotelismo.

Non dico che facciano bene, ma è un dato di fatto. Inoltre nessun mio collega di materie scientifiche faceva cenno al pensiero aristotelico.

Caro Professore,

le nozioni fondamentali della cosmologia di Aristotele non sono delle idee fisse di Aristotele o delle sue private opinioni, come se ancor oggi dovessimo andare avanti a conservare le sue fisime, ma corrispondono a dati di fatto della mente umana, ossia a contenuti spontanei della ragione, indispensabili, non dico solo alla scienza, ma a qualunque forma di sapere.

Aristotele non ha fatto altro che mettere in luce queste che sono nozioni spontanee, immutabili ed universali della ragione.

Quindi, anche gli scienziati contemporanei non possono snobbarle, ma soltanto che essi vogliano, non dico fare scienza, ma anche solo pensare, devono utilizzare queste nozioni. E se non lo fanno si illudono di fare scienza e finiscono nelle fantasticherie oppure cadono nelle ben note tendenze materialistiche, positivistiche ed empiristiche, che sono la rovina del vero sapere scientifico.

Naturalmente non è necessario che gli scienziati raffinino queste nozioni a livello filosofico; tuttavia è sufficiente e necessario che essi diano ascolto alla voce di queste nozioni spontanee della ragione.

L’idea secondo la quale le nozioni che Aristotele ci ha insegnato non siano altro che invenzioni della sua fertile fantasia, potrebbe essere paragonata all’idea che Cristoforo Colombo non ha scoperto l’America, ma l’ha inventata lui, per cui, morto Colombo, sarebbe ora di smettere di credere nell’esistenza dell’America.

 

Ricerche storiche hanno evidenziato che la condanna di G. Galilei fu dovuta non solo all’eliocentrismo ma anche all’atomismo, che allora era ritenuto contrario alla fede.

Per quanto riguarda l’atomismo, non è mai stato condannato dalla Chiesa. Il fatto è che è contrario all’esperienza scientifica, perché già Aristotele aveva notato che la sostanza materiale è indivisa in atto, perché è un’unica sostanza composta di materia e forma, ma è divisibile indefinitamente in potenza.

Infatti questo fatto corrisponde esattamente ai progressi della scienza fisica, la quale volge lo sguardo ad una realtà sempre più piccola, senza la possibilità di arrivare agli elementi atomici, ossia indivisibili, perché possiamo essere sicuri che anche le particelle subatomiche un giorno mostreranno di essere divisibili.

Stando le cose in questi termini, l’atomismo può entrare in conflitto con la fede, perché la Chiesa ha dogmatizzato le nozioni di materia e forma, di sostanza e accidenti, di potenza e atto, di natura e persona, come nozioni esplicative di alcuni Misteri della fede, come per esempio l’Eucarestia, i Sacramenti, l’Incarnazione e la Santissima Trinità. È chiaro che queste nozioni, in quanto dogmatizzate, sono incompatibili con l’atomismo.

Per essere più precisi, l’atomismo è in contrasto con la fede, perché nega la divisibilità della sostanza nell’unità della sua forma.

 

No padre purtroppo non è così. Aristotele alla scienza non serve, lo dico col dovuto rispetto per un grande filosofo. Il suo nome non compare nei libri di fisica, chimica o scienze naturali. C’è chi, provenendo dagli istituti tecnici, lo ignora del tutto.

Se il suo pensiero fosse utile per la ricerca scientifica un pochino nelle università lo avrebbero fatto studiare.

Sono perfettamente d’accordo che il linguaggio della fisica sperimentale non mette in campo tutte le nozioni della cosmologia aristotelica. Tuttavia di alcune non può fare a meno di usarle esplicitamente, come per esempio quando parla di sostanza, energia, materia, quantità, qualità, proprietà, tensione, azione, massa, moto, trasformazione, luogo, spazio, tempo.

Detto questo, è vero che per alcune di queste nozioni non c’è una esatta corrispondenza, perché per esempio lo spazio di Aristotele non è lo spazio curvo di Einstein, la materia prima di Aristotele non è la materia della quale parla il fisico, la massa del fisico non è esattamente la quantità di materia di Aristotele. E la nozione di moto in fisica ed in Aristotele non è la stessa, perché nel primo caso si tratta di un’entità matematicamente formulabile, mentre nel caso di Aristotele si tratta di un passaggio dalla potenza all’atto.

Detto questo, rimane quella verità fondamentale, che ho già detto, e cioè che le nozioni della cosmologia aristotelica riflettono un patrimonio nozionale spontaneo ed universale della ragione, quale che sia il tipo di conoscenza o il livello di sapere esercitato dalla ragione.

Per questo le nozioni tecniche della fisica moderna sono evidentemente estranee alla cosmologia aristotelica, però non potrebbero essere formulate senza un implicito riferimento ad essa, perché se avessimo la pretesa di accantonarle, i contenuti stessi della fisica moderna verrebbe a risolversi in meri enti di ragione o schemi immaginari o astrazioni matematiche privi di qualunque riferimento alla realtà.

C’è da notare inoltre che la filosofia e la metafisica realistiche, come quelle di San Tommaso, mediano tra l’esperienza scientifica e la fede. Credere, come fanno alcuni, che sia possibile passare direttamente dall’esperienza scientifica alla fede è un’illusione. Non si raggiunge la vera fede, ma soltanto stati emozionali soggettivi, senza un fondamento reale, con pericolo per la stessa condotta morale.

Il lavoro interdisciplinare, del quale in tutti gli ambienti accademici si sta parlando da quasi un secolo, richiede appunto questa attenzione e collaborazione reciproche tra scienziati e filosofi e quindi la capacità degli uni e degli altri di apprezzare il patrimonio nozionale e il linguaggio gli uni degli altri, perché solo a queste condizioni è possibile un vero progresso generale della cultura, per il quale gli uni si avvantaggiano dei contributi degli altri e sono al servizio del lavoro degli altri, tutti assieme a vantaggio di tutti.

Sono perfettamente d’accordo che il linguaggio della fisica sperimentale non mette in campo tutte le nozioni della cosmologia aristotelica. Tuttavia di alcune non può fare a meno di usarle esplicitamente, come per esempio quando parla di sostanza, energia, materia, quantità, qualità, proprietà, tensione, azione, massa, moto, trasformazione, luogo, spazio, tempo.

Detto questo, è vero che per alcune di queste nozioni non c’è una esatta corrispondenza, perché per esempio lo spazio di Aristotele non è lo spazio curvo di Einstein

Detto questo, rimane quella verità fondamentale, che ho già detto, e cioè che le nozioni della cosmologia aristotelica riflettono un patrimonio nozionale spontaneo ed universale della ragione, quale che sia il tipo di conoscenza o il livello di sapere esercitato dalla ragione.

C’è da notare inoltre che la filosofia e la metafisica realistiche, come quelle di San Tommaso, mediano tra l’esperienza scientifica e la fede.

Immagini da Internet


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