Apologia della metafisica - Parte Prima (1/2)

Apologia della metafisica

Parte Prima (1/2)

Papa Francesco in mezzo alla tempesta

Ho di recente commentato le parole di Papa Francesco di lode a San Tommaso, pronunciate ad un convegno tomistico internazionale tenutosi recentemente all’Angelicum di Roma. Ritengo bene prendere occasione da questo importante intervento del Papa per trattare di un argomento filosofico, del cui peso ed urgenza purtroppo pochi si rendono conto, ma che invece bisogna focalizzare per dare un valido contributo alla serenità degli animi, oggi turbati da un diffuso clima di conflittualità, da un sentimento oscuro di insensatezza, di smarrimento religioso e morale, nel quale sembra in declino, ancor prima che la luce della fede, il lume della ragione, e per conseguenza la rettitudine della ragion pratica, offuscata dal soggettivismo, dall’egocentrismo, dal sensualismo e dal libertinismo. Si tratta dell’importanza e dell’utilità spirituale, umana ed ecclesiale del pensiero metafisico di San Tommaso.

Nella società e nella cultura odierne è vigorosa l’operatività della ragione nel campo della tecnologia e delle scienze sperimentali. La ragion pratica non è priva di serie applicazioni, grazie a Dio, nel campo sociale, politico ed economico, benché sempre permangano gravi inadempienze, ingiustizie, sperequazioni, ineguaglianze, bisogni insoddisfatti, diritti calpestati, per non parlare delle guerre in corso, dove la luce della ragione sembra totalmente spenta e sostituita dalla follìa e dalla crudeltà.

Invece la ragione spesso è svigorita ed offuscata o distorta o pare addirittura assente laddove essa può e deve dare il meglio di sé: alle radici del sapere, nell’orizzonte dei primi princìpi e delle prime certezze, nell’ambito degli universali valori di fondo e delle supreme istanze del pensiero.

Occorre rivitalizzarla, quasi farla risuscitare, raddrizzarla, farla funzionare regolarmente, infonderle nuove energie, riorientarla nel senso giusto, renderla forte contro i suoi nemici, liberarla dai lacci dei sofismi e dalla violenza delle passioni, farla uscire dalla nebbia, darle nuovo coraggio ed iniziativa per il bene dell’uomo e la gloria di Dio. E per ottenere ciò, nulla di meglio di una forte ripresa della metafisica tomista.

In molti spiriti oggi domina ancora col suo fascino illusorio il mito della «filosofia moderna», diffuso dai cartesiani per propagandare quell’idealismo cartesiano, dal quale è sorto l’idealismo tedesco culminato in Hegel. L’applicazione di questa ideologia deleteria, con l’aggiunta di altri fattori scatenanti, ha prodotto, come sanno gli storici, le due guerre mondiali del secolo scorso. Tuttavia, nonostante l’accaduto. permane in molti la convinzione che per essere moderni, occorre sostituire l’idealismo tedesco a San Tommaso.

O, se si vuole conservare Tommaso, bisogna secondo costoro farne un idealista. Addirittura l’ammodernamento della Chiesa e il progresso della teologia promossi dal Concilio Vaticano II sono stati interpretati da questi innovatori non nel senso di far progredire il tomismo, qual è la vera mente del Concilio, ma di realizzare il rinnovamento in senso modernistico, assumendo l’idealismo cartesiano-hegeliano.

La vera metafisica – alcuni pensano - non è quella di Tommaso, ma quella di Cartesio, per il quale l’oggetto della metafisica non è, come per Tommaso ed Aristotele, l’ente in quanto ente, ma la coscienza che io esisto. Da questo «io esisto» Fichte ha poi ricavato l’Io Sono – il cosiddetto Io trascendentale -, che Fichte attribuisce a se stesso, dopo averlo tolto dalle labbra di Gesù Cristo. Volendo porsi la questione della metafisica cristiana, c’è da dubitare che questa sia la metafisica cristiana. 

Altri pensano che Kant abbia dimostrato vana e chimerica presunzione il credere che dai sensi possiamo elevarci a un sapere metafisico che oltrepassi l’esperienza per navigare nel puro intellegibile. Ha bensì creduto di poter stabilire, come egli si esprime, dei «prolegomeni ad ogni futura metafisica che vorrà presentarsi come scienza», ma non ha fatto altro che riproporre il medesimo metodo cartesiano, per cui non vale il partire dalla considerazione dell’ente in quanto ente, ma dal cogito cartesiano peggiorato dalla negazione della conoscibilità della realtà esterna, cosa che almeno Cartesio ammetteva.

Oltre a ciò nel secolo scorso si sono verificati ulteriori sviluppi dell’idealismo nato da Cartesio, con la fenomenologia di Husserl, l’ontologia esistenziale di Heidegger, l’«unità dell’esperienza» di Bontadini e l’eternalismo di Severino, tutte proposte, le quali, col loro vagare nell’astrazione o soffermandosi inutilmente in una insoddisfacente concretezza, comportano la disattenzione o il rifiuto esplicito di quella metafisica cristiana, che animò, soprattutto con San Tommaso, la spiritualità e l’umanesimo medioevali.

Così accade che invece di riattivare il bisogno di verità e di certezza, la dinamica della dignità umana, l’elevazione intellettuale, la crescita della virtù, la spiritualità, la religiosità, l’energia morale, la giustizia, la coesione e la concordia nella società e nella Chiesa e la sete di Dio, queste nuove correnti di pensiero, salvo alcuni spunti positivi, hanno finito per creare insoddisfazione, delusione, noia ed un ulteriore disgusto per la metafisica, facendole una cattiva pubblicità e per conseguenza non hanno contribuito al risanamento dei costumi, ma semmai ad aggravare il disorientamento e la corruzione.

Così da alcuni decenni ormai sempre di meno si sente parlare di metafisica[1].  Non solo la gente comune, ma nemmeno persone colte, accademici, intellettuali, letterati, pastori della Chiesa, filosofi, scienziati, teologi in gran numero non usano mai il termine «metafisica» o, se lo fanno, lo usano in tono  ironico o sprezzante o come una forma ormai abbandonata di apparente sapere, alla pari dell’astrologia e della alchimia, salvo poi al sorgere e rinascere di innumerevoli superstizioni e false credenze, quasi ad appigliarsi ad alternative, tali da sostituire quelle certezze di base, delle quali tutti sentiamo il bisogno per dare un senso o uno scopo alla vita ed un orientamento all’azione.

Occorre ricostruire la ragione alla luce della fede

Ora di fatto, è proprio questo il grande problema filosofico di oggi, strettamente connesso con la teologia e la rettitudine della stessa fede, e quindi con la vita morale ed ecclesiale, come ha segnalato vigorosamente San Giovanni Paolo II, nella Fides et ratio, è il problema del valore della metafisica.

Ma non solo e non tanto questo. È il problema dell’esistenza o meno di una metafisica cristiana e di determinare che cosa sia e quali contenuti debba avere una metafisica cristiana. Per alcuni infatti, non ha senso parlare di una metafisica cristiana, come non avrebbe senso parlare di una fisica cristiana o una matematica cristiana.

E questo perché? L’argomentare di costoro sembra persuasivo e invece è fallace. Essi dicono infatti: fisica, matematica e metafisica sono i tre livelli del sapere razionale, per il quale bastano le forze della ragione. Dunque perché mai la metafisica avrebbe bisogno della rivelazione cristiana? Basta la ragione!

E invece sta proprio qui l’inganno. La metafisica ha cominciato a deviare proprio quando con Guglielmo di Ockham e Cartesio, ha preteso di costruirsi da sé, utilizzando una ragione che non tiene conto dell’apporto della Sacra Scrittura. Lutero, dal canto suo, ha sbagliato a rifiutare la metafisica di Aristotele e San Tommaso in nome della Scrittura, perché la metafisica dell’Aquinate è costruita proprio tenendo conto dell’apporto in metafisica, della Sacra Scrittura. D’altra parte, Lutero, nonostante la sua polemica contro la ragione, non poteva non usarla nell’interpretare la Scrittura. E fu così che egli, alla metafisica raffinata di Tommaso preferì quella grossolana di Ockham[2].

Ci sarebbe però da chiedersi quale teologia scaturisce dalla metafisica sensista di Ockham.  È veramente una teologia biblica? Abbiamo il vero concetto biblico di Dio? L’ipsum Esse? Per nulla. Se si disprezza l’astrazione metafisica come fecero Ockham e Lutero al suo seguito, si resta chiusi nell’orizzonte dell’immaginazione e della mitologia, non ci si eleva al puro intellegibile, al livello del puro spirito; non si sa pensare qualcosa che sia libero dalla materia per cui viene fuori un Dio legato al mondo, alla materia e all’immaginazione.

Il Dio di Lutero, per un verso, oscuro e maestoso fantasma terrificante e per l’altro il nonno maliziosamente connivente, che chiude un occhio e fa finta di non vedere la marachella del nipotino, non stimola tanto la sottile indagine metafisica sugli attributi divini, quanto piuttosto richiama alla mente un personaggio colorito della narrativa per ragazzi.

Tommaso è stato invece raccomandato dai Papi proprio perché fra tutti i Dottori della Chiesa, eccelle nel tener conto dell’apporto metafisico che proviene dalla Scrittura, apporto che concerne la concezione dell’ente, oggetto proprio della metafisica e per conseguenza la nozione dell’uomo, del mondo e di Dio.

È stata questa attenzione al dato biblico, al di là del pensiero aristotelico, che ha condotto Tommaso a capire che oggetto della metafisica, al di là dell’ente (on, ens), è l’essere (einai, esse) e che quindi Dio è sì primum e summum Ens, ma è più precisamente, da come risulta da Es 3,14 e dall’Ego Sum di Cristo, l’ipsum Esse per Se subsistens, l’essere sussistente, fatto persona.

Per questo Leone XIII nella sua famosa enciclica Aeterni Patris del 1879 raccomandò San Tommaso come modello del filosofo cristiano[3]. È perché nella Bibbia appare la nozione analogica dell’ente (Sap 13,5), che Tommaso ha assunto la nozione aristotelica dell’ente[4] pollacòs legòmenon, detto in molti modi.

Ancor oggi la metafisica dell’Aquinate, attraverso i suoi discepoli continua ad illuminare la Chiesa e l’umanità. Ma occorre correggere alcune deviazioni presenti nella stessa Chiesa cattolica, deviazioni che diminuiscono od offuscano la brillantissima luce della fede, necessaria alla luce della ragione, per lasciarsi da essa illuminare.

Si tratta di due orientamenti ideologici dannosi per la fede e per la Chiesa: da una parte la proposta rahneriana di una metafisica pseudotomistica, ma in realtà idealistica ed hegeliana; dall’altra, il disprezzo esplicito della metafisica da parte delle tendenze materialiste, positiviste e scientiste, duramente attaccate da Benedetto XVI, che più volte ha auspicato un «allargamento della ragione», evidente riferimento alla metafisica, per superare i limiti dei fenomeni e dell’esperienza sensibile ed assurgere alla trascendenza del mondo dello spirito, della morale e del divino.

Nella Bibbia la metafisica corrisponde alla sapienza, al gusto per le cose dello spirito. Al metafisico corrisponde sul piano umano colui che San Paolo chiama «uomo spirituale», che «esprime cose spirituali in termini spirituali» (I Cor 2, 13). Così similmente all’antimetafisico, al falso metafisico positivista o materialista corrisponde l’«uomo carnale, che non comprende le cose dello Spirito di Dio e non è capace d’intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito» (v,14). Chi non sa gustare la spiritualità naturale, non può gustare neanche quella soprannaturale divina. Chi non apprezza i valori della ragione, non può apprezzare quelli della fede.

Nell’enciclica Fratelli tutti Papa Francesco ci fa capire l’importanza della metafisica. Egli infatti ci ricorda che «l’intelligenza può scrutare la realtà delle cose attraverso la riflessione, l’esperienza e il dialogo, per riconoscere in tale realtà che la trascende la base di certe esigenze morali universali» (n.213), che il Papa, riprendendo un’espressione di Benedetto XVI, chiama «princìpi etici universali e non negoziabili» (n.214).

Inoltre, riprendendo certe parole di Benedetto XVI, il Papa ha fatto un forte richiamo alla «verità trascendente, obbedendo alla quale l’uomo acquista la sua piena identità». In questa obbedienza l’uomo trova «un principio sicuro che garantisca giusti rapporti tra gli uomini» (n. 273).

Senza il riferimento a questo principio – prosegue Benedetto citato dal Papa -, i loro interessi «li oppongono inevitabilmente gli uni agli altri. Se non si riconosce la verità trascendente» (cioè metafisica), «allora trionfa la forza del potere e ciascuno tende ad utilizzare fino in fondo i mezzi di cui dispone per imporre il proprio interesse o la propria opinione, senza riguardo ai diritti dell’altro» (ibid.). Come a dire che senza la metafisica abbiamo il trionfo della barbarie, della discordia, dell’egoismo e della violenza.

Occorre rilevare inoltre che la polemica ricorrente di Papa Francesco contro le «idee astratte» non ha nulla a che vedere con quella che è l’astrazione metafisica, ma colpisce l’astrattismo gnostico ed idealista, che, in modo farisaico, crede di poter sostituire l’astratto del pensiero al concreto dell’azione. Il Papa sa benissimo che l’operazione astrattiva è necessaria al pensiero e non è certamente un occamista, che non capisce che senza l’astrazione è impossibile cogliere i valori universali, per cui senza di essa è impossibile capire che cosa è la fratellanza umana e l’universalità della natura umana.

Il Santo Padre sa benissimo che se il nostro intelletto non fosse capace di astrarre l’intellegibile dal sensibile, ma restasse fermo al sensibile e all’immaginazione, non potrebbe superare la conoscenza propria degli animali per elevarsi alla conoscenza umana; solo che egli è giustamente preoccupato che non venga elaborata una metafisica vuota, sterile ed autoreferenziale, che riduca l’essere all’essere pensato ed imprigioni il reale negli schemi delle idee umane.

A proposito dell’attenzione del Santo Padre alla metafisica, è stata interessante ed utile la recente iniziativa de La Civiltà Cattolica, di pubblicare una breve sintesi di metafisica, che l’allora Jorge Mario Bergoglio, studente in Germania, scrisse in privato, quasi a riassumere e a fermare nello scritto quanto aveva appreso a scuola.

Non aspettiamoci un trattato del Gredt o dello Zigliara o del Gaetano. Ma quanta sapienza promana da quelle espressioni, semplici e profonde, che comprenderebbe anche un lettore digiuno di metafisica, attento con umiltà e  onestà alla voce dell’essere!  Ho fatto un commento sul mio blog di questo prezioso scritto, che Papa Francesco, con eccessiva modestia, teneva celato.

Occorre notare che la metafisica, prima di essere alla base della morale, è alla base della teologia. Sappiamo come l’oggetto della metafisica è l’ente in quanto ente. Ora l’ente è ciò che esiste in qualunque modo. L’ente esiste in infiniti modi diversi l’uno dall’altro e diversi sempre sotto il profilo dell’essere.

D’altra parte, l’uso del verbo essere nel parlare, parola nella quale tutti ci intendiamo, ci rende consapevoli che tutti sappiamo che cosa vuol dire quella parola e che cosa è l’essere. È pertanto perché noi possediamo spontaneamente la nozione analogica dell’ente e dell’essere, che noi possiamo capire che cosa intende dire Dio a Mosè quando gli dice: «Io Sono Colui Che è» (Es 3,14). È in possesso di queste nozioni che possiamo capire ed apprezzare che cosa intende dire Cristo quando dice «Io Sono».

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 26 novembre 2022

Tommaso è stato raccomandato dai Papi proprio perché, fra tutti i Dottori della Chiesa, eccelle nel tener conto dell’apporto metafisico che proviene dalla Scrittura, apporto che concerne la concezione dell’ente, oggetto proprio della metafisica e per conseguenza la nozione dell’uomo, del mondo e di Dio.

È stata questa attenzione al dato biblico, al di là del pensiero aristotelico, che ha condotto Tommaso a capire che oggetto della metafisica, al di là dell’ente (on, ens), è l’essere (einai, esse) e che quindi Dio è sì primum e summum Ens, ma è più precisamente, da come risulta da Es 3,14 e dall’Ego Sum di Cristo, l’ipsum Esse per Se subsistens, l’essere sussistente, fatto persona.


È perché nella Bibbia appare la nozione analogica dell’ente (Sap 13,5), che Tommaso ha assunto la nozione aristotelica dell’ente pollacòs legòmenon, detto in molti modi.

Nell’enciclica Fratelli tutti Papa Francesco ci fa capire l’importanza della metafisica. Egli infatti ci ricorda che "l’intelligenza può scrutare la realtà delle cose...".

D’altra parte, l’uso del verbo essere nel parlare, parola nella quale tutti ci intendiamo, ci rende consapevoli che tutti sappiamo che cosa vuol dire quella parola e che cosa è l’essere. È pertanto perché noi possediamo spontaneamente la nozione analogica dell’ente e dell’essere, che noi possiamo capire che cosa intende dire Dio a Mosè quando gli dice: «Io Sono Colui Che è» (Es 3,14). È in possesso di queste nozioni che possiamo capire ed apprezzare che cosa intende dire Cristo quando dice «Io Sono».


Immagini da Internet:
- Mosè davanti al roveto ardente, Raffaele Sanzio
- Cristo Portacroce, Michelangelo Buonarroti


[1] Vittorio Possenti ha addirittura parlato di «morte della metafisica»: Il nichilismo teoretico e la «morte della metafisica», Armando Editore, Roma 1995.

[2] Famosa è rimasta la sua dichiarazione: «ego sum occamicae factionis».

[3] Cf La filosofia cristiana tra ottocento e novecento e il magistero di Leone XIII, Atti del convegno del 29 maggio-1 giugno 2003, Perugia 2004. Vedi l’ottimo lavoro di Maritain su questo tema: Sulla filosofia cristiana, Vita e Pensiero, Milano 1978.

[4] Cf Tomas Tyn, Metafisica della sostanza. Partecipazione e analogia entis, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009.

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.