Papa Francesco tesse le lodi di Papa Benedetto

 Papa Francesco tesse le lodi di Papa Benedetto

Cose mai viste

La Chiesa sta vivendo un periodo di novità inaudite: mai come oggi la Chiesa sta parlando a tutto il mondo ed è conosciuta in tutto il mondo; ma nel contempo mai la Chiesa è stata tanto minacciata dal potere delle tenebre, tanto che alcuni parlano dell’apostasia finale, dei segni della fine del mondo, dell’avvento dell’anticristo e dei castighi finali; mai è successo nella Chiesa che si avessero due Papi simultaneamente, senza che per questo venga meno, in Papa Francesco, l’unicità della guida pastorale della Chiesa; mai si era avuto un Papa come Francesco, che sorprendesse ad un tempo sia per i problemi che crea a molti nell’interpretazione della verità di fede, sia per certi suoi atti di magistero o di governo di portata storica mai realizzati dai suoi predecessori, come la condanna dello gnosticismo, il cambiamento di alcune parole del Padre Nostro, il magistero demonologico, l’utilizzazione cristiana della triade illuministica liberté-égalité-fraternité, la predicazione dell’ecologia integrale, le lodi di Lutero giovane monaco, l’accordo con l’Islam e con la Cina Comunista, la pastorale degli omosessuali e dei migranti.

Nel quadro di questi fatti nuovi di portata storica si inserisce il notevolissimo discorso che Papa Francesco ha fatto il 13 novembre scorso in Vaticano in occasione del conferimento del «premio Ratzinger». In questo discorso Papa Francesco ha avuto parole di lode, stima ed ammirazione per l’opera di Papa Ratzinger e in particolare per il suo servizio come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e come Pontefice. Dice Francesco:

«Non dimentichiamo che Benedetto XVI ha continuato a studiare e scrivere fino alla fine del suo pontificato. Circa dieci anni fa, mentre adempiva le sue responsabilità di governo, era impegnato a completare la sua trilogia su Gesù e così lasciarci una testimonianza personale unica della sua costante ricerca del volto del Signore. È la ricerca più importante di tutte, che egli poi ha continuato a portare avanti nella preghiera. Ce ne sentiamo ispirati e incoraggiati, e gli assicuriamo il nostro ricordo al Signore e la nostra preghiera.

Come sappiamo, le parole della Terza Lettera di Giovanni: “cooperatores veritatis” sono il motto da lui scelto quando divenne Arcivescovo di Monaco. Esse esprimono il filo conduttore delle diverse tappe di tutta la sua vita, dallo studio all’insegnamento accademico, al ministero episcopale, al servizio per la Dottrina della Fede – a cui fu chiamato da San Giovanni Paolo II 40 anni fa – fino al Pontificato, caratterizzato da un luminoso magistero e un indefettibile amore per la Verità. Cooperatores Veritatis è perciò anche il motto che campeggia sul diploma che viene consegnato ai premiati, perché continui a ispirare il loro impegno.

Sono parole a cui anche ognuno di noi può e deve ispirarsi nella sua attività e nella sua vita, e che lascio a tutti voi, cari amici, come augurio, insieme con la mia benedizione».

Le parole del Santo Padre cadono estremamente opportune per far tacere una insistente lamentela che da anni ed oggi come non mai sentiamo in certi ambienti della Chiesa, secondo i quali Papa Francesco nutrirebbe una certa disistima per la teologia e per le questioni dottrinali, nonché per il pontificato di Benedetto XVI.

Alcuni, nei quali la temerarietà è pari alla dissennatezza, giungono ad insinuare che Papa Francesco simpatizzerebbe per la teologia di Rahner in opposizione al pontificato di San Giovanni Paolo II e del servizio reso dall’allora Card. Ratzinger alla CDF, allorchè molti interventi sia del Santo Pontefice che di Ratzinger furono diretti a colpire errori rahneriani, anche se il nome di Rahner non è mai stato fatto.

Detto questo, certamente queste parole del Papa non bastano a sanare del tutto l’esistenza di un certo contrasto del pontificato di Francesco con quello di Benedetto.  Una cosa che al riguardo è apparsa evidente a tutti è stato il recente Motu proprio Traditionis custodes, che ha posto severe restrizioni alla celebrazione della Messa vetus ordo, mentre, come sappiamo il Motu proprio di Benedetto la concedeva con larghezza.

Si potrebbe osservare però, come afferma Papa Francesco nel suo Motu proprio, che egli è intervento anche in difesa di Benedetto, circonvenuto dagli scismatici, i quali hanno slealmente approfittato del permesso dato da Benedetto per osteggiare la Messa novus ordo, le dottrine del Concilio Vaticano II e l’autorità dei Papi da San Giovanni XXIII a Papa Francesco.

La lode che Papa Francesco ha fatto a Papa Benedetto potrebbe essere il segnale – così almeno ci auguriamo – del fatto che Francesco si sta confrontando col Papato di Benedetto, la cui conduzione della riforma conciliare aveva un equilibrio, un’imparzialità e una saggezza che non ci pare di riscontrare nello stile di Papa Francesco, troppo indulgente verso i modernisti e troppo aspro verso i filolefevriani, con una alternanza di eccessive tolleranze e di interventi bruschi. Francesco fatica a far incontrare i due partiti sulla comune base della fede, riconoscendo pregi e difetti di entrambi e ponendosi con chiarezza super partes.

Francesco trova la strada giusta

Questo discorso di Papa Francesco segna una svolta nel suo pontificato, una correzione di rotta, invocata da anni dagli spiriti più saggi e più acuti nella Chiesa. Ciò peraltro ripropone la questione mai definitivamente risolta e tuttavia risolvibile ad uno sguardo attento, del vero e profondo perché Benedetto ha dato le dimissioni.

Come ormai è stato appurato da testimonianze degli stessi protagonisti, a nome di tutti il Card. Danneels, l’elezione di Francesco fu illegittimamente e clandestinamente orchestrata dall’ormai nota «mafia di San Gallo», un gruppo di rahneriani, desideroso di vendicarsi dell’opposizione a Rahner fatta da Ratzinger sin da quando era Prefetto della CDF[1]. Ciò non significa assolutamente, come alcuni sostengono, che l’elezione di Francesco non sia stata valida e che quindi egli non sia vero Papa, essendo rimasto come vero Papa Benedetto.

I complottisti avevano il proposito di portare un rahneriano al soglio di Pietro. Essi però non scelsero un vero e proprio rahneriano, ma un Cardinale di orientamento liberazionista, Bergoglio, che si poteva collegare piuttosto con Metz e Gutiérrez che con Rahner. Ma sappiamo che il sistema rahneriano assomiglia a quello di Hegel: è una forma di idealismo che porta al materialismo.

Marx, come sappiamo bene, è un Hegel rovesciato. Egli, infatti, come dichiarò espressamente, invece di basare la materia sullo spirito, basa lo spirito sulla materia. Ma questo rovesciamento è possibile proprio perché sia Hegel che Marx, in fin dei conti, confondono lo spirito con la materia: Hegel riduce la materia a spirito, Marx riduce lo spirito alla materia.

Quando c’è questa confusione si può benissimo passare da un estremo all’altro. È come la strada da Bologna a Milano: si può andare da Bologna a Milano come da Milano a Bologna. Così Metz, per quanto opposto a Rahner è stato discepolo e ammiratore di Rahner. La teologia della liberazione sudamericana ha radici hegeliane attraverso Marx. Per questo gli astuti congiurati di San Gallo hanno scelto un liberazionista.

Ma c’è un altro motivo. Il rahneriano pensa di poter manovrare il liberazionista come meglio crede, perchè lo considera uno sprovveduto allocco di intelligenza inferiore, dato che il rahnerismo e l’hegelismo che ne è alla base è la forma più evoluta dello gnosticismo moderno.

Il rahneriano, in possesso dello Spirito assoluto, guarda dall’alto al basso il rozzo liberazionista, che si arrabatta nelle miserie della materia. Il rahneriano affetta di assumere una superiore moderazione nei confronti delle escandescenze rivoluzionarie del liberazionista e può avere anche l’ipocrisia di disapprovarle sdegnosamente. Eppure è proprio lui che ne è l’istigatore segreto, istillando nella mente del liberazionista quella mentalità dialettica, che è il meccanismo infernale della conflittualità e della doppiezza irresolubili erette a sistema.

Così è proprio il rahneriano che ha generato il liberazionista, e dirò di più: quando la materia viene umiliata dall’idealista, e ridotta a semplice pensiero, essa si vendica, lo seduce, lo schiavizza e lo acceca come giusta punizione della sua superbia. È così che Rahner, partendo dalla sperticata esaltazione dell’uomo come «spirito» ed «ente che si autotrascende nell’essere assoluto», finisce poi per abbracciare l’evoluzionismo materialista di Teilhard de Chardin. “L’uomo che vuol fare l’angelo – come già Pascal aveva avvertito i cartesiani – diventa una bestia”.

Ma i miseri congiurati hanno fatto i conti senza l’oste. Politicanti e uomini senza scrupoli e senza fede, finti riformatori, quali sono stati, si sono presentati a Bergoglio come gli esponenti dell’ala più avanzata della Chiesa, lo hanno coccolato, adulato e riempito di lodi, alle quali Bergoglio non è del tutto insensibile, lo hanno illuso con chissà quali mirabolanti prospettive di riforma, anzi di palingenesi ecclesiale – il «nuovo paradigma», come dirà Kasper -, ed hanno creduto di poter attuare il loro piano con calcoli puramente umani, in base a rapporti di forza, come se si fosse trattato di sostituire in un partito politico un capo d un altro.

Hanno creduto così di poter avere in mano il povero Francesco e di averlo docile strumento del loro piano diabolico, ma non hanno fatto i conti con lo Spirito Santo, del quale Francesco è molto devoto, si sono dimenticati dell’infallibilità ed indefettibilità del carisma pontificio, e del fatto che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi.

Papa Francesco delude i modernisti

Dopo i primi anni dei peana a Francesco, Papa della misericordia, della pace, della fraternità e della libertà, principe dell’ecumenismo, padre dei poveri, Papa rivoluzionario della svolta epocale, leader della sinistra internazionale, liberatore dei popoli oppressi dal giogo del capitalismo americano, riconciliatore dell’uomo con la natura, sono arrivate ai Cardinali rahneriani le amare delusioni, il pupillo ha cominciato a non corrispondere più alle attese dei protettori. Le lodi di Rahner, tanto attese, non sono mai arrivate[2].

Naturalmente essi hanno fatto suonare il più possibile con enormi mezzi propagandistici la gran cassa adulatoria modernista, come se tutto andasse secondo i loro piani, ma inesorabilmente benché lentamente, faticosamente, con oscillazioni e momenti d’incertezza Francesco si è accorto di essere strumentalizzato, per cui si sta liberando dall’abbraccio mortale e dalla falsa parte che il gruppo di San Gallo voleva fargli giocare.

In tal modo il Santo Padre ci sta rimettendo in luce, come aveva iniziato a fare Papa Benedetto, la dignità divina del papato umiliata ed offuscata dall’impostura rahneriana, senza per questo rinunciare affatto alla concezione conciliare del papato come guida di una Chiesa non del sembrare ma dell’essere, non della mastica ma della mistica, non del successo mondano, ma di Gesù Crocifisso, non della doppiezza ma della sincerità, fondata sulla pietra ma non pietrificata, una sì, ma non monolitica, bensì poliedrica, universale ma non uniforme, immutabile ma non sclerotica, progressiva e non stagnante, non militarizzata ma sinodale, non burocratica ma fraterna, libera ma non libertina, di uguali ma non di clonati, non politicizzata ma spirituale, non dei ricchi ma dei poveri, non del potere ma del servizio.

Francesco si è mostrato nei primi anni del suo pontificato agli occhi dei Cardinali modernisti anche troppo zelante, abbandonandosi a qualche eccesso e a momenti di collera col pigliarsela con i Cavalieri di Malta, i Francescani dell’Immacolata ed altri istituti antirahneriani, ma soprattutto i Cardinali rahneriani sono rimasti delusi, benché dovevano aspettarselo, del fatto che Papa Francesco  si è guardato bene dall’insegnare anche una sola delle eresie o delle corbellerie di Rahner, senza per questo respingere i suoi lati buoni, ma come ogni buon Papa, conscio del suo sacro dovere, ha basato sempre la sua predicazione e i suoi documenti  sulle verità di fede del Credo e del Catechismo, dando ad esse qualche volta, con gesuitica astuzia, una patina o una vaga risonanza rahneriana, ma nulla più.

Oggi i rahneriani sono delusi e questo discorso di Francesco per loro è un colpo tremendo. È un chiaro avvertimento ad essi come se dicesse: «smettete di insistere perché io assuma le idee di Rahner perché non lo farò mai e non posso assolutamente farlo. Piuttosto correggere voi i vostri errori».

Il discorso, tra parentesi, è anche una risposta, se ce ne fosse bisogno, ad alcuni sedicenti cattolici, i quali, con argomentazioni dissennate o capziose, che non stanno né in cielo né in terra, sostengono che le dimissioni di Benedetto sono invalide e che Francesco non è vero Papa,

Il discorso del Santo Padre getta anche luce sulla vexata quaestio del «Papa emerito» e dà quindi materia di riflessione ai canonisti per comprendere esattamente che cosa si deve intendere per «Papa emerito» al fine di inserire questa figura nel Diritto Canonico. Certo, Papa Francesco non chiude qui la questione, ma dà però utili indicazioni per risolverla. Egli accenna infatti a quello che può essere il rapporto fra un Papa regnante e un Papa emerito.

Ma come mai Papa Benedetto ha dato le dimissioni?

A questo punto allora ci si ripresenta la serissima domanda di prima: perché e in forza di quali fatti Benedetto ha dato le dimissioni? Il motivo appare chiaro a chi come me sta seguendo come teologo da 50 anni le vicende del rahnerismo e della Chiesa. Tale motivo sta nel fatto che i potenti rahneriani avevano creato attorno a Benedetto il vuoto o, come si dice, avevano fatto terra bruciata, privandolo, mediane una gigantesca campagna denigratoria, di validi, fidati e sufficienti aiuti e collaboratori, sicchè il povero Benedetto si è trovato alla fine nelle condizioni simili a quelle di un generale senza esercito. Può avere le qualità di Napoleone; ma anche Napoleone a Sant’Elena che cosa ha potuto fare?

Chiedersi come mai, se le cose stanno così, Benedetto nella dichiarazione delle sue dimissioni non ha avanzato i suddetti motivi è più che un’ingenuità, alla quale non occorre neppur rispondere, tanto è evidente la risposta. Vi immaginate quale spaventoso subbuglio, quale terribile terremoto in una Chiesa già squassata dalla crisi e dagli scandali, sarebbe accaduto e cosa sarebbe successo se Benedetto avesse parlato con tanta chiarezza ed inoltre vi immaginate quale intollerabile umiliazione per lo stesso Benedetto dover dire «mi arrendo»? Tuttavia lo ha la lasciato intendere e noi lo comprendiamo.

Il motivo ufficiale addotto della salute fragile è, dispiace doverlo dire, la classica «malattia diplomatica». In realtà Benedetto è rimasto lucidissimo fino ad oggi. Forse ha avuto poca fede nella potenza del carisma petrino? Quanti Papi sono stati fedeli al loro mandato fino all’esaurimento delle loro forze, malati e in avanzatissima età!

C’è chi ha parlato per Benedetto di umiltà, e del dovere di non tentare Dio. Ma se la storia millenaria dei Papi ce li mostra tutti fedeli fino alla morte, anche i peggiori, vuol dire che umiltà non significa tirarsi indietro, ma vuol dire non confidare nelle proprie forze ma confidare nell’aiuto del Signore.

Fare il Papa non è come fare il giocatore di calcio o di pallacanestro, che a 40 anni al massimo è giocoforza che si ritiri. Fare il Papa, dal punto di vista della salute fisica, è sostanzialmente questione di lucidità mentale e Benedetto è rimasto lucidissimo fino ad adesso.

Però è da tenere presente che Papa Benedetto XVI, nella pienezza della sua autorità pontificia, ha istituito la figura del Papa emerito come esplicitazione dogmatica dell’essenza del Papato. Questo fatto importantissimo testimonia, a mio parere, il vigore spirituale di Papa Benedetto, che in qualche modo fa da contrappeso alla rinuncia e che costituisce in ogni caso una partecipazione del potere pontificio.

Conclusione escatologica

Il pensiero e la speranza del ritorno glorioso di Cristo precorrono tutti questi 2000 anni di storia. Le prime generazioni cristiane credevano che questo evento fosse imminente. Lo stesso San Paolo, a quanto pare, attendeva Cristo mentr’egli era ancora in vita: «Noi che viviamo e che saremo ancora in vita per la venuta del Signore» (I Ts 4,15).

È solo successivamente che si ricredette, facendosi la convinzione che la venuta del Signore sarebbe stata in un futuro indeterminato; ma pone precise condizioni all’imminenza della venuta: il diffondersi di una vasta apostasia e la venuta dello

«uomo iniquo, figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio» (II Ts 2, 3-4).

È probabilmente quello che San Giovanni chiama «anticristo» (I Gv 2, 18.22; 4,3; II Gv 7) e che corrisponde probabilmente alla «bestia» di Ap 13,18.

Come non vedere qui quelle dottrine gnostiche, o panteiste ed atee, oggi così diffuse, che presentano Dio come l’autotrascendenza dell’uomo o negano Dio perché hanno posto l’uomo al posto di Dio? Mai nella storia hanno avuto tanto prestigio e diffusione tali dottrine persino all’interno della Chiesa.

Altra considerazione. Curiosamente in nessuno dei passi neotestamentari né Cristo né San Paolo né l’Apocalisse parlano della funzione del Papa in quei terribili momenti. Se il Papa è la guida della Chiesa nei più difficili momenti della sua storia, tanto più avrà un ruolo determinante, chiarificatore e confortante in quel frangente decisivo per il destino eterno dell’umanità, un ruolo ben più importante che quello di suggerire soluzioni per i problemi dell’immigrazione, del debito e della finanza internazionali, dell’ecologia e del riscaldamento globale.

Spetterà invece al Papa indicarci i segni della presenza del Cristo parusaico, così che siamo preparati ad accoglierlo senza spaventarci della sua venuta. Ora Papa Francesco nulla ci dice di questo eventuale arrivo del Signore. Indubbiamente vi sono al riguardo molte rivelazioni private, ma è chiaro che non possiamo lasciare la chiarificazione di cose così importanti, che toccano il destino eterno di tutti noi, la missione di Cristo e della Chiesa, alle rivelazioni private, che non siano riconosciute ed approvate dal Papa.

Un ultimo punto. Il pontificato di Papa Francesco sta ormai volgendo al termine. Quale bilancio vogliamo fare? Quali obiettivi ha ottenuto? Quali questioni ci lascia aperte?  L’eredità che Francesco lascia al prossimo Papa secondo me è una Chiesa più aperta all’umanità, ma anche una Chiesa più divisa al suo interno. Occorrerà un Papa, che mantenendo le aperture di Francesco all’esterno, abbia maggior cura dell’unità della Chiesa al suo interno.

Sono convinto che Cristo verrà quando ci sarà un Papa che non riesce più a difendere sufficientemente la Chiesa dagli assalti di Satana. È questo il caso di Francesco? Alcuni lo credono. Io non sono di questo parere. Resta ancora alla Chiesa e quindi al Papa un compito non del tutto evaso e in gran parte mal realizzato: condurre a termine la riforma conciliare, mezzo fallita per colpa dei rahneriani. È questo l’immane compito che attende il nuovo Papa.

Con la virata operata da Francesco col discorso che stiamo commentando, Francesco fa uno forzo supremo per indirizzare la riforma conciliare nel senso giusto seguendo le orme di Benedetto. Il prossimo Papa dovrà partire da qui: riannodare le fila con i Papi precedenti, non solo con quelli del postconcilio, ma anche con quelli del preconcilio. Così ci sarà la pace fra lefevriani e modernisti.

Francesco non è riuscito in quest’opera difficilissima; ci riuscirà il prossimo? Dovrà imitare Benedetto più che Francesco. Francesco è intervenuto troppo tardi? O forse non si darà a questo discorso l’importanza che merita e la crisi continuerà come prima?

A questo punto la mia convinzione è che allora, affinchè la Chiesa non crolli, Gesù stesso scenderà dal cielo a sostenere personalmente l’ultimo Papa e darà a lui e alla Chiesa la forza di vincere il potere delle tenebre e di condurre a compimento su questa terra quell’edificazione del regno di Dio, che in cielo è già completata dal giorno della Pentecoste. L’edificazione terrena, allora, si congiungerà con la realtà celeste e l’una e l’altra assieme formeranno la pienezza finale e completa del regno di Dio, che non è altro che la Chiesa salvezza del mondo, quello che Sant’Agostino chiama «mundus reconciliatus».

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 20 novembre 2022

Solennità di Cristo Re dell’universo 

Nel quadro di fatti nuovi di portata storica si inserisce il notevolissimo discorso che Papa Francesco ha fatto il 13 novembre scorso in Vaticano in occasione del conferimento del «premio Ratzinger». 

In questo discorso Papa Francesco ha avuto parole di lode, stima ed ammirazione per l’opera di Papa Ratzinger e in particolare per il suo servizio come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e come Pontefice.

Le parole del Santo Padre cadono estremamente opportune per far tacere una insistente lamentela che da anni ed oggi come non mai sentiamo in certi ambienti della Chiesa, secondo i quali Papa Francesco nutrirebbe una certa disistima per la teologia e per le questioni dottrinali, nonché per il pontificato di Benedetto XVI.

 

Dice Francesco:

«Non dimentichiamo che Benedetto XVI ha continuato a studiare e scrivere fino alla fine del suo pontificato. Circa dieci anni fa, mentre adempiva le sue responsabilità di governo, era impegnato a completare la sua trilogia su Gesù e così lasciarci una testimonianza personale unica della sua costante ricerca del volto del Signore. È la ricerca più importante di tutte, che egli poi ha continuato a portare avanti nella preghiera.

Immagini da internet:

https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2021/november/documents/20211113-premio-ratzinger.html

https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2021/11/13/premio-ratzinger.html 

 

[1] Non è difficile, per esempio, leggere fra le righe la condanna del rahnerismo nel famosissimo «Rapporto sulla fede» (Edizioni Paoline 1985). Perchè non l’ha fatta apertamente? Perché già da allora i rahneriani avevano acquistato nella Chiesa una tale potenza che per non aggravare la situazione già San Paolo VI aveva scelto questo metodo di condannare l’errore senza nominare l’errante. C’è inoltre da ricordare che Rahner ha riesumato vecchie eresie già condannate dalla Chiesa sin dai primi secoli. Anche il limitarsi ad esporre la sana dottrina è implicita condanna di chi dice il contrario.

[2] Al limite nulla impedirebbe a Papa Francesco di lodare Rahner per qualche aspetto positivo del suo pensiero; ma il fatto che si rifiuti di farlo è estremamente significativo, mentre molte sono le volte che ha citato l’odiato San Tommaso.

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