Il sacrificio di Gesù secondo Alberto Maggi

Il sacrificio di Gesù secondo Alberto Maggi

 

Un Lettore mi ha proposto un’interpretazione del Sacrificio di Cristo elaborata dal noto teologo Alberto Maggi.

Io l’ho attentamente esaminata ed essendo anch’io cristologo, avendo insegnato questa materia alla Facoltà Teologica di Bologna ed avendo scritto alcuni libri sull’argomento, pur apprezzando alcuni aspetti positivi, devo dire di aver notato alcune cose, che sono in contrasto con la dottrina della fede, così come è esposta nel CCC (nn.213-618).

https://www.vatican.va/archive/catechism_it/index_it.htm

https://www.vatican.va/archive/catechism_it/p122a4p2_it.htm

 

Ecco il testo di Alberto Maggi, con i miei commenti.

Scrive Alberto Maggi:

 

1)    Gesù Cristo è morto per i nostri peccati. È questa la risposta che si dà normalmente a quanti chiedono come mai il Figlio di Dio abbia finito i suoi giorni nella forma più infamante per un ebreo, il patibolo della croce, la morte dei maledetti da Dio (Gal 3,13).

Alberto Maggi parte col piede sbagliato. Infatti la formula giusta è la seguente, come risulta dalle parole della Consacrazione. Cristo è morto non “per i peccati”, che sembra voler essere una esortazione a peccare, come dice Lutero “pecca fortiter et crede firmius”, ma è morto per la remissione dei peccati, ossia affinchè noi fossimo liberati dalla colpa, perdonati dal Padre e ricostituiti in grazia.

Per quanto riguarda il passo di San Paolo, dovrebbe essere evidente che l’apostolo, citando il detto “maledetto chi pende dal legno” non intende assolutamente dire che Cristo sia stato maledetto da Dio, perché questa sarebbe una orribile bestemmia. Invece Paolo cita quel passo per farci capire che la morte di Cristo è stata terribilmente fraintesa da coloro che non hanno saputo vedere nella sua crocifissione non una punizione divina, ma quel gesto di supremo amore e di totale dedizione per il quale il Figlio di Dio innocente ha preso su di sé, come è detto in Isaia 53, il castigo del peccato senza avere peccato e così facendo, come dice il Concilio di Trento satisfecit pro nobis (Denz. 1529), ossia ha pagato per noi il debito del peccato placando l’ira divina e riconciliandoci col Padre misericordioso, il Quale gratuitamente in Cristo ci libera dal peccato. Questo è il dogma del Sacrificio di Cristo.

 

2)    Gesù è morto per i nostri peccati. Non solo per i nostri, ma anche per quegli uomini e donne che lo hanno preceduto e quindi non lo hanno conosciuto, e perfino per tutta l’umanità che verrà. Se è così, è inevitabile che guardando il crocefisso, con quel corpo che è stato torturato, piagato, rigato da fiotti e grumi di sangue, quei chiodi che squarciano la carne, quelle spine infilzate nella testa di Gesù, chiunque si senta in colpa… il Figlio di Dio è finito sul patibolo per i nostri peccati! Sensi di colpa che rischiano di infiltrarsi come un tossico nel profondo della psiche umana, diventare irreversibili al punto da condizionare per sempre l’esistenza dell’individuo, come ben sanno psicologi e psichiatri ai quali non manca il lavoro con persone religiose devastate da scrupoli e turbamenti.

Occorre inoltre osservare che il fedele che guarda al Crocifisso indubbiamente avverte il peso della colpa. Tuttavia, sapendo che Gesù col suo sacrificio gli offre la possibilità di liberarsi dalla colpa, unendosi con amore e cuore pentito al sacrificio di Cristo, si unisce appunto a questo sacrificio in modo tale che beneficia della grazia redentiva che emana dal Figlio di Dio e così, investito da questa grazia, ottiene dal Padre quel perdono che il Figlio ci ha ottenuto grazie alla sua croce.

Stando così le cose, è importante non esagerare il proprio senso di colpa, perché è sufficiente questo atto di pentimento, di amore e di fiducia nella misericordia del Padre, che si rileva attraverso il sacrificio di Cristo, per essere liberati dalla colpa e trovare la gioia e la pace di ritrovare la benevolenza e la grazia del Padre.

È bene inoltre osservare che il fenomeno dei sensi di colpa che si infiltrano nel profondo della psiche e la compromettono in modo irreversibile, questo fenomeno non ha nulla a che vedere con la vera consapevolezza di aver commesso una colpa contro la volontà di Dio, cioè un peccato. Infatti, nel primo caso abbiamo semplicemente una ferita psichica, che può essere affrontata anche con un certo successo dalla psicanalisi, ma che purtroppo a volte resta inguaribile. Invece, nel secondo caso siamo davanti ad un atto della volontà peccatrice, la quale ha sempre la facoltà di convertirsi e diventare buona pentendosi del peccato commesso e facendo penitenza.

Per quanto riguarda la ferita psichica, essa non è colpevole, ma è un semplice fatto patologico, che indubbiamente procura sofferenza, ma che può essere sopportata in sconto dei propri peccati ed in unione appunto al Sacrificio di Cristo, il quale non ci libera dalla sofferenza in questa vita e tuttavia la allevia e le dà un valore redentivo.

3)    Eppure basta leggere i vangeli per vedere che le cose stanno diversamente. Gesù è stato assassinato per gli interessi della casta sacerdotale al potere, terrorizzata dall’idea di perdere il dominio sul popolo, e soprattutto di vedere svanire la ricchezza accumulata a spese della credulità delle persone.

La morte di Gesù non è dovuta soltanto a un problema teologico, ma economico. Il Cristo non era un pericolo per la teologia (nell’ebraismo erano molte le correnti spirituali che competevano tra esse ma che erano tollerate dalle autorità), ma per l’economia. Il delitto per il quale Gesù sarà eliminato è l’aver presentato un Dio completamente diverso da quello imposto dai capi religiosi, un Padre che ai suoi figlioli non chiede, mai, ma che dona, sempre. La florida economia del tempio di Gerusalemme, che ne faceva la banca più sicura di tutto il Medio Oriente, si reggeva sulle imposte, sulle offerte, e soprattutto, sui rituali per ottenere – a pagamento – il perdono di Dio. Era tutto un commercio di animali, di pelli, di offerte in denaro, frutta, grano, tutto per l’onore di Dio e le tasche mai sature dei sacerdoti, “cani avidi, che non sanno saziarsi” (Is 56,11).

Per quanto riguarda la questione delicatissima di chi ha voluto la morte di Gesù, il Nuovo Testamento ci fa capire chiaramente che nella morte di Gesù hanno concorso due volontà completamente opposte: la volontà del Padre, volontà misericordiosa e salvatrice, la quale ha voluto il sacrificio del Figlio, come risulta chiaramente dal dialogo tra il Padre e il Figlio nella Lettera agli Ebrei, dove il Figlio dice al Padre: “Un corpo mi hai preparato” (Eb 10,5). E pertanto Gesù al Getsemani, come uomo, benchè angosciato, ha detto al Padre di preferire di compiere la volontà divina, volontà che è identica nel Padre e nel Figlio, piuttosto che la propria volontà umana.

L’altra volontà invece è stata quella malvagia dei Sommi Sacerdoti, che hanno considerato Gesù come un bestemmiatore (Mt 26,66). Mentre gli uccisori di Gesù hanno voluto la sua morte in quanto morte, il Padre celeste ha voluto che il Figlio donasse la propria vita per la nostra salvezza, il che ha comportato che Gesù accettasse di salire sulla croce.

Nel dramma della croce, da una parte c’è un’unica volontà divina, che è la volontà del Padre e del Figlio, in quanto Dio, e dall’altra ci sono due volontà, ossia la volontà del Padre e la volontà umana del Figlio.

Che poi i Sommi Sacerdoti fossero estremamente irritati che Gesù togliesse a loro dei fedeli per condurli a Sé, e che questo fatto costituisse un danno economico ai sacerdoti, questo è certamente plausibile. Tuttavia, se vogliamo stare a quello che esplicitamente narra il Vangelo, resta sempre che il motivo della condanna di Gesù non è stato un reato di carattere economico, ma un delitto di carattere religioso.

Nello stesso tempo non ci è proibito di ritenere che in questa condanna ci sia dell’ipocrisia, ossia che ai sacerdoti non interessasse realmente il culto divino, ma i proventi economici.

4)    Quando gli scribi, le massime autorità teologiche del paese, ritenute il magistero infallibile della Legge, vedono Gesù perdonare i peccati a un paralitico, immediatamente sentenziano: “Costui bestemmia!” (Mt 9,3). E i bestemmiatori dovevano essere subito uccisi (Lv 24,11-14). L’indignazione degli scribi può sembrare una difesa dell’ortodossia, in realtà è volta a salvaguardare l’economia. Per il perdono dei peccati, infatti, il peccatore doveva andare al tempio e offrire quel che il tariffario delle colpe prescriveva, secondo l’entità del peccato, elencando dettagliatamente quante capre, galline, piccioni o altro offrire in riparazione dell’offesa al Signore. E Gesù invece perdona, gratuitamente, senza invitare il perdonato a salire al tempio per portare la sua offerta.

Per quanto riguarda il potere divino di perdonare i peccati, che Gesù si attribuisce, i sacerdoti si scandalizzano perché sanno bene che solo Dio può rimettere i peccati, ma se la prendono con Gesù perché non credono alla sua divinità. Questa è la narrazione del Vangelo.

Che poi dietro a questo scandalo ci sia dell’ipocrisia nel senso che questi sacerdoti fossero più preoccupati dei danni economici che non del potere divino di rimettere i peccati, questo è anche molto probabile. Tuttavia non siamo autorizzati a generalizzare, ma dobbiamo ammettere almeno la possibilità che qualcuno di loro si fosse sinceramente scandalizzato, a prescindere dagli interessi economici, e che quindi fossero in buona fede.

5)    “Perdonate e sarete perdonati” (Lc 6,37) è infatti lo sconvolgente annuncio di Gesù: appena due parole che però rischiano di destabilizzare tutta l’economia di Gerusalemme. Per ottenere il perdono da Dio non c’è più bisogno di andare al tempio, di portare delle offerte, di sottostare a riti di purificazione, nulla di tutto questo. No, basta perdonare e si viene immediatamente perdonati… E l’allarme cresce, i sommi sacerdoti e gli scribi, i farisei e i sadducei sono tutti inquieti, sentono franare il terreno sotto i piedi, finché, in una drammatica riunione del sinedrio, il massimo organo giuridico del paese, il sommo sacerdote Caifa prende la decisione. Gesù va ammazzato, e non solo lui, ma anche tutti i discepoli perché non è pericoloso solo il Nazareno, ma la sua dottrina, e fintanto ci sarà un solo seguace capace di propagarla, le autorità non dormiranno sonni tranquilli (“Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui…”, Gv 11,47). E Caifa per convincere il sinedrio dell’urgenza di eliminare Gesù non si rifà a temi teologici, spirituali, no, il sommo sacerdote conosce bene i suoi, quindi brutalmente tira in ballo quel che sta a loro più a cuore, l’interesse: “Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo…” (Gv 11,50). Gesù non è morto per i nostri peccati e tantomeno perché questa fosse la volontà di Dio, ma per l’avidità dell’istituzione religiosa, capace di eliminare chiunque intralci i suoi interessi, fosse pure il Figlio di Dio: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità” (Mt 21,38). Il vero nemico di Dio non è il peccato, che il Signore nella sua misericordia riesce sempre a cancellare, ma l’interesse, la convenienza, l’avidità, che rendono gli uomini completamente refrattari all’azione divina.

Per quanto riguarda l’obbligo che Gesù impone di perdonare le offese, anche qui indubbiamente si può immaginare che la reazione negativa da parte dei sacerdoti sia motivata dal timore del danno economico. Tuttavia ribadisco la narrazione evangelica suddetta, che motiva la condanna a morte di Gesù per la sua supposta bestemmia.

Ribadisco inoltre che l’uccisione di Gesù è stata certamente voluta dai suoi nemici, ma bisogna sempre ricordare che, secondo il dogma della redenzione, ricavato dalla chiarezza delle Parole del Signore e dai dati del Nuovo Testamento, il sacrificio di Cristo è stato voluto dal Padre in riparazione ed espiazione dei nostri peccati, come risulta chiarissimamente dalle parole stesse della consacrazione eucaristica.

Inoltre bisogna ribadire che, da una parte Cristo ha voluto il proprio sacrificio obbedendo come uomo al Padre, ma dall’altra che questa volontà di Cristo era la stessa identica volontà del Padre, perché è la volontà della natura divina, che nella Santissima Trinità è una sola, appunto la volontà di Dio. Gesù esprime sia la sua volontà divina che quella umana quando dice: “Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio” (Gv 10, 17-18).

Chi negasse questi dati, negherebbe automaticamente il valore della Messa, del sacerdozio e della Redenzione: una posizione ancora più eretica di quella di Lutero, il quale, se negò il valore della Messa e del sacerdozio, si guardò bene dal negare il valore del sacrificio di Cristo, che per lui costituiva tutta la sua speranza di salvezza ed era la somma espressione della misericordia di Dio.

6)    Questa ricostruzione giustamente attribuisce alla malvagità umana la morte di Gesù e non alla necessità di espiare il peccato originale, come una tradizione teologica, che ha il suo acume nel Cur Deus homo di sant’Anselmo d’Aosta, ha sostenuto. Invero anche Joseph Ratzinger ha definito questa tradizione teologica molto rozza e ha sostenuto che Gesù si incarna per amore, non per farsi uccidere.

Come abbiamo rilevato poc’anzi, in questo campo la coscienza cristiana è in genere ancora largamente improntata ad una grossolana e irrozzita idea della teologia d’espiazione risalente ad Anselmo di Canterbury, della quale abbiamo esposto le grandi linee in un contesto precedente. Per molti cristiani, e specialmente per quelli che conoscono la fede solo piuttosto da lontano, le cose stanno come se la croce andasse vista inserita in un meccanismo, costituito dal diritto offeso e riparato. Sarebbe la forma in cui la giustizia di Dio infinitamente lesa verrebbe nuovamente placata da un’infinita espiazione.  Sicché la vicenda della croce appare all’uomo come l’espressione di un atteggiamento, che poggia su un esatto conguaglio tra dare e avere; ma nello stesso tempo, si ha la sensazione che questo conguaglio si basi peraltro su un piedistallo fittizio. Di conseguenza, si dà segretamente con la mano sinistra, ciò che poi si toglie solennemente con la destra. Col risultato che la ‘infinita espiazione’ su cui Dio sembra reggersi, si presenta in una luce doppiamente sinistra. Da molti libri di devozione, s’infiltra così nella coscienza proprio l’idea che la fede cristiana nella croce immagini un Dio, la cui spietata giustizia abbia preteso un sacrificio umano, l’immolazione del suo stesso Figlio. Per cui si volgono con terrore le spalle ad una giustizia, la cui tenebrosa ira rende inattendibile il messaggio dell’amore.

Per quanto riguarda la questione della metafora economica, non c’è dubbio che essa corrisponde al linguaggio del Nuovo Testamento. La Scrittura vede il peccato come un debito da pagare, come insegna Gesù nel Padre Nostro. Questo debito può essere rimesso, però occorre che Cristo risarcisca il Padre per la perdita subita, la quale consiste nel fatto che l’uomo col suo peccato si è sottratto alla soggezione a Dio ed è passato dalla parte del diavolo.

Che cosa fa Gesù? La Scrittura mantenendosi in questa metafora economica dice che siamo stati comprati da Lui, Creatore e Redentore, a caro prezzo. Qual è questo prezzo? È il sangue di Cristo. Che significa ciò? Che Cristo ci ha acquistati col suo sangue e ci ha “ri-comprati” (redenti), nel senso che, in quanto Dio, dopo averci acquistati con la creazione, ci ha acquistati una seconda volta con la redenzione.

Il Padre, dal canto suo, ha valuto che l’uomo peccatore gli restituisse l’onore che gli è dovuto e che quindi l’uomo potesse essere in grado di farlo. Per suo amore ha voluto allora che il Figlio, capace di rendergli adeguato onore, si immolasse vittima innocente al nostro posto e per nostro vantaggio (pro nobis), così che noi, partecipando alla sua passione, potessimo acquistare il merito di estinguere il merito del peccato, nel momento in cui il debito ci è rimesso grazie al sangue di Cristo.

Nessuna crudeltà nel Padre per avere voluto l’immolazione del Figlio, ma immenso amore per il Figlio con l’affidargli l’ufficio di Salvatore e di Redentore e ancora immenso amore per l’uomo col renderlo capace di espiare in Cristo il peccare e acquistarsi la salvezza.

Per quanto riguarda il brano di Ratzinger, occorre dire che esso è tratto da un libro pubblicato in Italia nel 1968, quando Ratzinger era ancora legato a Rahner. Ma ben presto avrebbe preso le distanze e nel 1981 avrebbe lanciato a Rahner l’accusa di essere un hegeliano. Il Ratzinger autorevole è quello che, da Prefetto della CDF, avrebbe collaborato alla stesura del CCC, dove è esposto il dogma della Redenzione ai nn. 613-618, riprendendo la teoria di Sant’Anselmo, il cui difetto è solo il fatto che egli sembra sostenere che Dio non poteva non fare quello che ha fatto, mentre in realtà poteva salvarci anche in altri modi.

7)    Ma allora perché si parla di sacrificio? Perché nei popoli antichi si usava sacrificare alla divinità e così, alla fine, è stata interpretata la vicenda umana di Gesù. Però qualche testo di diverso segno pure esiste. Per esempio in Atti san Pietro dice ai Giudei: Voi lo avete ucciso, Dio lo ha resuscitato.

Perché si parla di sacrificio? Perché questa parola la troviamo nella formula della Consacrazione Eucaristica.

Quando Osea dice che Dio non vuole sacrifici (Os 6,6) si riferisce ai sacrifici degli animali, ma non al sacrificio del Figlio, che è il tema fondamentale del Nuovo Testamento ed è prefigurato dal cap. 53 di Isaia.

Quanto alle parole di Pietro, esse non escludono il sacrificio di Cristo perché il sacrificio è stato voluto dal Padre, mentre l’uccisione è stata voluta dagli uomini. Il credere, come fanno alcuni, che il sacrificio di Cristo comporti che il Padre lo ha ucciso, non corrisponde alla volontà del Padre, ma è una bestemmia.

Dobbiamo dire, con San Giovanni, non che il Padre ha ucciso il Figlio, ma che lo ha donato per la nostra salvezza, perché il Figlio ha donato la sua vita, ma non l’ha perduta, perché Egli, come Dio, la possiede in Se Stesso, e come l’ha donata così l’ha ripresa.

8)    Se intendiamo il termine sacrificio come da noi proposto allora Gesù è morto per i nostri peccati nel senso che ha annunciato il vangelo, ha indicato la strada della redenzione e non si è sottratto al pericolo di essere ucciso (lo ha fatto solo all’inizio della predicazione). Poi dopo la resurrezione ha raccomandato agli apostoli di proseguire la sua opera avvertendoli che sarebbero stati perseguitati e talvolta uccisi.

Le opere di Cristo elencate sopra certamente contribuiscono a procurarci la salvezza, ma non costituiscono il momento decisivo che è invece il momento della Croce, perché è in quel momento che Cristo, offrendosi al Padre per la remissione dei peccati, vince il peccato, la morte e satana.

L’efficacia del Sacrificio di Gesù gli viene dal fatto che è Dio, la Seconda Persona divina della Santissima Trinità, perché se fosse stato un semplice uomo il suo sacrificio non avrebbe avuto il potere di salvare l’intera umanità.

9)    «Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13).

Queste parole di Gesù non si riferiscono al suo Sacrificio, ma ai sacrifici dell’Antica Alleanza, infatti il suo Sacrificio è esattamente l’effetto della misericordia del Padre nei nostri confronti, perché, come dice San Tommaso, il fatto stesso che noi possiamo espiare in Cristo per i nostri peccati è effetto della divina misericordia.

Anche la misericordia verso il prossimo ci è resa possibile dalla misericordia che il Padre ci ha usato, rendendoci capaci in Cristo di espiare i nostri peccati, perché è l’uomo innocente e libero dal peccato che può esercitare efficacemente la misericordia verso i fratelli.

P. Giovanni Cavalcoli, OP

Memoria di San Giustino Martire

Fontanellato, 1 Giugno 2022

 

 

L’efficacia del Sacrificio di Gesù gli viene dal fatto che è Dio, la Seconda Persona divina della Santissima Trinità, perché se fosse stato un semplice uomo il suo sacrificio non avrebbe avuto il potere di salvare l’intera umanità.


 

 

Immagini da Internet:
- La Crocifissione di San Pietro di Bologna, gruppo scultoreo policromo in legno di cedro, databile al 1170-1180 circa e conservato sull'altare maggiore della cattedrale di San Pietro a Bologna



 

2 commenti:

  1. Ringrazio di questo contributo, che é un raro momento di correzione filiale, pacata ma precisa e soprattutto pubblica che non vedo mai fare da chi dovrebbe attuarla in prima persona (penso al vescovo della diocesi). Dico correzione pubblica perché le affermazioni di Maggi sono anche pubbliche e di larga portata essendo ospite in trasmissioni TV, conferenze, libri e oggi diffuse anche attraverso un canale youtube.
    Maggi, secondo me, si inserisce nella corrente di coloro che usano la loro posizione di prestigio (presbitero, teologo, biblista) per turbare la fede dei piccoli. Per coloro vale più ,ad esempio, il film neorealista di Pasolini "Il Vangelo secondo Matteo" che non il Catechismo della Chiesa Cattolica. La tentazione in cui cadono é quella della "novità" anche a sproposito o sbilanciata come in questo caso. Ho notato che, tali persone, spesso usano ragionamenti complessi, anche sofismi, oppure utilizzano un linguaggio ambiguo, con sfumature non sempre chiare. Nel caso concreto del testo di Maggi di questo articolo, il linguaggio é chiaro, ma mi pare che egli segua un sentiero troppo individuale, come se volesse arrivare ad una cima montuosa per una nuova via che lo porta altrove e non alla meta. Il risultato é quello che osserviamo: scarsa se non nulla umiltà e messaggio da dimenticare se non per un punto, per me: non seguirò certo una tale guida perché anche istintivamente sento che a me non ha fatto del bene per il mio viaggio nella Fede.

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    1. Caro Alessandro,
      condivido pienamente le sue considerazioni.
      Il caso Maggi è un segno eclatante di quanto la cristologia modernista e del protestantesimo liberale sulla linea di Bultmann sia riuscita ad ottenere successo nell’ambiente cattolico.
      Sono d’accordo con lei, che non vedo per quale motivo qualche buon vescovo, preparato e fedele non dovrebbe intervenire con un tono paterno a dimostrare con chiarezza gli errori di Maggi, pur riconoscendo gli aspetti positivi, e nel contempo suggerendo a Maggi il modo per correggere i suoi errori e dare il meglio delle capacità che Dio gli ha dato e che si è conquistato con il suo assiduo lavoro di teologo.
      Come spiegare questo silenzio dei vescovi? Da una parte, secondo me, alcuni sono intimiditi dal successo dei modernisti, che danno l’apparenza di esprimere un pensiero avanzato e progredito, e dall’altra altri mantengono un atteggiamento buonista e misericordista, il quale, se da una parte sa riconoscere i lati buoni, dall’altra è portato ad una eccessiva indulgenza e, secondo me, ad una insufficiente consapevolezza del grave danno che ne viene ai fedeli.

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