La Messa al di là del novus ordo e del vetus ordo - La Messa è più importante delle sue diverse modalità rituali - Seconda Parte (2/2)

 La Messa al di là del novus ordo e del vetus ordo

La Messa è più importante delle sue diverse modalità rituali

Seconda Parte (2/2)

Alcuni suggerimenti al Papa

Vorremmo supplicare e consigliare il Papa, in questo frangente doloroso, scandaloso e drammatico, di assumere in pienezza con la forza dello Spirito Santo e l’intercessione di Maria Regina della pace, tutto il suo ufficio di maestro e padre comune di tutti i cattolici, di supremo garante e fautore della carità vicendevole fra i fratelli, di debellatore della menzogna e della divisione, di promotore della diversità nell’unità, di emanare una lettera pastorale o un’esortazione apostolica sulla Messa, che potrebbe intitolarsi Sacrificium laudis o qualcosa del genere, un documento nel quale ricordare l’istituzione della Messa in rapporto al Calvario, il sacerdozio, l’eucaristia, la Comunione, l’irraggiamento della grazia che promana dalla Messa, la Messa come prefigurazione del banchetto escatologico e della Gerusalemme celeste.

Il Papa potrebbe spiegare inoltre i seguenti punti. Innanzitutto, da un confronto fra il novus ordo e il vetus ordo risulta evidente che uno dei motivi che hanno generato la riforma del rito della Messa è un motivo ecumenico. San Pio V fissò il nuovo rito della Messa nel corso della tremenda lotta antiluterana, che assunse toni tragicamente sanguinosi, come avvenne per esempio nella famosa «strage di San Bartolomeo» del 1572, sotto il Pontificato di Gregorio XIII, pochi mesi dopo la morte di San Pio V. Era allora in gioco non tanto la salvezza di questo o quel modus celebrandi, ma l’esistenza stessa e l’autenticità della Messa, negata, infangata  e sbeffeggiata dai luterani.

Il Papa dovrebbe inoltre spiegare che novus ordo e vetus ordo non sono due assoluti in opposizione fra loro, sì che si debba per forza scegliere o l’uno o l’altro. Infatti l’assoluto è uno solo: se se ne sceglie uno, per forza si dovrà respingere l’altro. Ora nei confronti del novus o vetus ordo non si è obbligati a fare una scelta così drastica, come fosse tra il bene e il male. L’uno e l’altro ordo sono relativi e funzionali a quell’unico assoluto immutabile, che è la Messa. La Messa, questa sì, va scelta in modo assoluto e incondizionato.

In quanto relativi, invece, il novus e il vetus ordo sono semplicemente diversi tra di loro, secondo la regola dell’et-et. Se invece si fa questione di assoluto, vale la regola dell’aut-aut: o è assoluto A o è assoluto B. Due relativi possono stare insieme, ma non così due assoluti, perchè l’uno esclude l’altro. E se Papa Francesco ha detto che la diversità delle religioni è voluta da Dio, a ben maggior ragione sarà voluta da Dio la diversità tra novus ordo e vetus ordo, entrambi appartenenti alla religione cattolica.

Inoltre, dal Motu proprio Traditionis custodes non risulta chiaro il rapporto fra novus ordo e vetus ordo. Si ha l’impressione che il vetus ordo sia privo di qualità positive e che sia semplicemente tollerato. Per evidenziare questo rapporto, Papa Benedetto aveva trovato due denominazioni, rispettivamente «rito ordinario» e «rito straordinario», che aiutavano a comprendere questo rapporto.

 Papa Francesco si limita a parlare di rito precedente e rito attuale. Ma tale distinzione non rende sufficientemente l’idea del rapporto, perché un qualcosa di precedente può essere in antitesi con l’attuale. Sarebbe bene quindi ripristinare la distinzione di Benedetto o comunque trovarne un’altra equivalente. Benchè infatti il novus ordo abbia sostituito il vetus, ciò non toglie che questo abbia suoi peculiari pregi che non si trovano nel novus.

Inoltre, il vetus ordo fu concepito in funzione antiluterana; il novus ha un valore ecumenico.  È chiaro che questo valore va mantenuto e incrementato nella sua retta interpretazione. Ma finché i fratelli luterani non abbandonano i loro errori sulla Messa, il mantenimento del vetus ordo può servire a ricordare loro che la Chiesa mantiene la condanna di quegli errori. Se invece – e questo è l’errore di oggi -, mostriamo disprezzo per il vetus ordo, enfatizziamo eccessivamente il novus, lasciando che esso venga interpretato in senso luterano, senza una sufficiente repressione degli abusi, è chiaro che non aiutiamo i fratelli luterani ad apprezzare il valore della Messa e spingiamo i cattolici a credere che la Chiesa abbia legittimato la Cena protestante. 

Inoltre, una differenza fra il vetus e il novus ordo è il differente equilibrio posto nei due ordo fra il mistero della passione e morte del Signore e la sua risurrezione, fra il Venerdì Santo e la Pasqua.

La Messa tridentina mette in primo piano e giustamente l’attualizzazione incruenta del Sacrificio di Cristo, ma in vista e nell’attesa della nostra risurrezione. È chiaro che anche per il Concilio di Trento il sacrificio di Cristo non è fine a se stesso: sarebbe un obbrobrioso masochismo. Cristo si è sacrificato per donarci la vita eterna, che inizia sin da quaggiù proprio con la partecipazione alla Messa.

D’altra parte, Cristo vittima sull’altare è evidentemente Cristo risorto, ma è simultaneamente l’Agnello immolato. Sull’altare il ricordo della morte di Cristo 2000 anni fa è trasceso nell’attuarsi del Sacrificio della Croce, che significa e produce la vittoria della vita sulla morte. Sull’altare Cristo non è morto, ma misticamente muore sulla Croce per risorgere.

Il novus ordo tiene conto di tutto questo, ma accentua la gioia della Pasqua. In ciò Kiko Arguello ha ragione. Egli però dimentica che la Pasqua è effetto della Croce, attualizzata dal sacrificio della Messa. Non c’è Pasqua senza Croce. E così torniamo alla Messa tridentina. Vediamo dunque che tra Messa riformata e Messa tridentina c’è un legame inscindibile. Se si spezza questo legame, non si capisce più che cosa è la Messa. Queste cose Papa Francesco dovrebbe dirle chiaramente.

Un’altra cosa vorremmo dire al Papa. Egli ha detto nel Motu-proprio che le restrizioni alla celebrazione del vetus ordo ha dovuto prenderle, seppur con dolore, per frenare quegli «scismatici», i quali approfittando della libertà concessa da Benedetto col suo Motu proprio Summorum Pontificum, hanno trasformato quel Motu proprio in una bandiera e in un segno di riconoscimento di coloro che accusano il novus ordo di filoluteranesimo e si oppongono alle dottrine del Concilio e del magistero pontificio postconciliare.

Ora c’è da osservare che non tutti i devoti del vetus ordo sono scismatici di questo tipo. Il Papa, quindi, avrebbe dovuto precisare con maggior chiarezza che le misure restrittive non valgono indiscriminatamente per tutti i devoti del vetus ordo, ma solo per gli scismatici.

Inoltre, per quanto riguarda la tradizione, il Papa potrebbe far presente che è falsa la diceria che il novus ordo sarebbe stato fatto «a tavolino» in modo affrettato da menti cervellotiche, ignare di pastorale, e prone al gusto secolaresco di oggi. È vero il contrario: la riforma è nata ed è stata decisa a seguito di approfonditi studi storici iniziati già nell’800[1], i quali hanno recuperato tradizioni antichissime, precedenti quelle conosciute ai tempi di San Pio V. Per esempio l’altre tipo mensa, rivolto verso il popolo lo troviamo già nella basilica di San Vitale a Ravenna del sec. V.

C’è da tener presente inoltre che i vari ordo Missae sono anche relativi ai tempi e si succedono l’un l’altro senza pertanto la pretesa di durare per sempre. Ma questo non vuol dire che gli ordo precedenti siano soppressi. Essi restano nella memoria della Chiesa e nessuno impedisce, in linea di principio, che possano ancora essere utilizzati per la celebrazione della Messa, se è salvo il rispetto dell’essenziale della Messa, cosa che non si riscontra in certe celebrazioni attuali di tendenza modernista.

Così il rito di San Pio V è succeduto ai precedenti ed è stato sostituito con quello di San Paolo VI. Questo in futuro sarà sostituito da un altro rito. Qui vale la legge del progresso: ogni nuovo rito risponde sempre meglio a ciò che Cristo ha voluto che la Messa fosse.

C’è da notare inoltre che, checché ne dicano i lefevriani, la dottrina della Messa del Concilio Vaticano II arricchisce quella data dal Concilio di Trento, il quale si limita a dire quello che fa il celebrante, ossia l’offerta di un sacrificio propiziatorio per i vivi e per i defunti, per la remissione dei peccati[2].

Invece il Vaticano II, partendo da questa base, ha un occhio verso il popolo ed esalta l’importanza e l’efficacia salvifiche della Messa giungendo a dire che in essa «attuiamo l’opera la nostra redenzione»[3], sì da «pregustare la liturgia celeste»[4], cosicchè la grazia della Messa è la «fonte dalla quale promana tutta la virtù della Chiesa»[5]. La partecipazione alla Messa è un momento essenziale dell’edificazione della nostra salvezza, senza per questo arrivare all’esagerazione di Arguello, per il quale la partecipazione alla Messa si risolve nella presa di coscienza che siamo già salvi.

La Messa è una pregustazione del cielo, è primizia e caparra dello Spirito, è il banchetto escatologico, è promessa e pegno di risurrezione, come canta San Tommaso: «O sacrum convivium, in quo Christus sumitur, recolitur memoria passionis eius, mens impletur gratiae et futurae gloriae nobis pignus datur».

Inoltre, il Concilio ha voluto liberarsi da quella visione pragmatistica della Messa, come se il parteciparvi si limitasse all’apprendimento di cose da fare. Al contrario, il Concilio ha voluto presentare la Messa come esperienza contemplativa, come incontro mistico e personale con Dio. Da qui il silenzio prescritto dopo la Comunione. 

Andare a Messa non è semplicemente come assistere ad una lezione di teologia morale, dove facciamo solo la metà del nostro dovere, giacchè siamo tenuti a farne l’altra metà, che consiste nel mettere in pratica ciò che abbiamo ascoltato.

 Questa visuale essenziale ma in fin dei conti riduttiva e ristretta, era quell’obiezione che abbiamo sentito tante volte: a che vale andare a Messa se poi non si mette in pratica quello che si è imparato? È vero, non serve, ma anzi è dannoso ed ipocrita. Ma da qui si poteva fare un altro passo, giusto in se stesso, ma che imboccava una via ingannevole: ci sono persone – si diceva e si continua a dire - che non vanno a Messa, eppure sono più oneste di tante che ci vanno! Ed ecco la conclusione sofistica: l’importante è essere onesti. L’andare o non andare a Messa è irrilevante.

Dove sta l’inganno? Nel confondere l’innocenza davanti a Dio data dall’ignoranza invincibile con un proposito cosciente e deliberato di non andare a Messa sotto pretesto che chi patisce ignoranza invincibile è scusato. Ma questi ipocriti non credano di essere scusati.

Comunque il Concilio, pur riconoscendo la necessità della messa in pratica, non si è lasciato ingabbiare da questo sofisma moralistico e ne è sfuggito sottolineando che la Messa, nel suo valore più alto, è un evento fine a stesso, escatologico, non funzionale o pragmatico, perché non si gode di Dio in vista di un fine pratico, ma solo perchè è bello godere di Dio. «Gustate e vedete quanto è buono il Signore» (Sal 34,9).

Ma la riforma della Messa, col taglio ecumenico dato al novus ordo, ha voluto affrontare di petto il problema del disprezzo luterano per la Messa, prendendo un’altra strada, diversa dall’attacco frontale fatto dal Concilio di Trento: la via del dialogo e dell’avvicinamento. Certo non è priva di rischi, ma occorre fidarsi di questo nuovo corso della Chiesa. È qui che Mons. Lefebvre è caduto, dando prova di una irragionevole diffidenza, e fraintendendo la proposta del Concilio.

È ancora il problema di Lutero, ma affrontato in modo diverso, con più magnanimità e apertura di mente. Da cinque secoli siamo abituati all’esistenza dei luterani. Se ci interroghiamo seriamente nasce, drammatica, la domanda: come è possibile un cristianesimo senza Messa? Che cristianesimo è? Questa è la sfida che dobbiamo affrontare.

Ci domandiamo ancora a proposito di Lutero: come egli ha potuto vantarsi contro il Papa di conoscere meglio di lui la volontà di Cristo? Quale migliore carisma di comprensione del Vangelo aveva ricevuto Lutero rispetto a quello di colui al quale Cristo ha comandato confirma fratres tuos? Come possono tanti cristiani da 500 anni ancora lasciarsi sedurre dalla millanteria di simile personaggio, nonostante le tante prove fornite della sua inattendibilità? Mistero.

La Chiesa cattolica ha preso atto serenamente del fatto e col Concilio Vaticano II, riconoscendo i valori cristiani rimasti comuni tra noi cattolici e i luterani, ha creduto di poterli avvicinare alla Messa, accantonando il rito di San Pio V, esclusivamente polemico nei confronti della Cena luterana, e recuperando alcuni elementi validi dell’uso e della teologia luterani.

Ma ecco che si apre un’altra ferita: lo scandalo dei lefevriani, incapaci di apprezzare questo sforzo di bontà e di comprensione della Santa Madre Chiesa, la quale elabora un nuovo ordo Missae, fatto apposta per attirare i protestanti onesti e di buona volontà. Risultato? A questo punto il diavolo si è intromesso un’altra volta col deformare la riforma conciliare in senso luterano, senza peraltro che possiamo vedere i luterani avvicinarsi alla Chiesa cattolica.  Non dobbiamo abbandonare il Papa in questo frangente. Occorre insistere nel seguire le direttive del Concilio.

Infine un ultimo consiglio: Papa Francesco giustamente insiste sulla «Chiesa in uscita». Mosso da un intento missionario ed evangelizzatore, gli ripugna una Chiesa chiusa e centrata su se stessa e la vuole giustamente sollecita ad andare «per le strade», alle periferie, verso coloro ai quali nessuno pensa, di cui nessuno si occupa. Giustissimo.

Ma per portare che cosa? Il Vangelo. Ma è così semplice saper annunciare il Vangelo agli uomini del nostro tempo? Per nulla. Occorre essere preparati. E dove acquistiamo la preparazione necessaria e sufficiente? Naturalmente lasciandoci formare dalla Chiesa. Dunque la Chiesa deve aver cura di se stessa e della propria adeguatezza ad annunciare il Vangelo agli uomini del nostro tempo.

Ma come la Chiesa diventa credibile? Lo dice Gesù stesso: mostrando al mondo come i suoi figli si amano fra loro. E dove ricevono questo amore che li unisce, li scalda e li rende missionari? Dalla Messa. Senza una Messa sentita, vissuta, partecipata, convinta, niente preparazione alla missione, niente fraternità accattivante. Senza questa preparazione dottrinale, morale e pastorale, l’uscire di casa non comporta nessuna conquista, ma al contrario si cade nelle trappole preparate dal mondo, si resta ingannati dai suoi falsi ideali, si resta infetti dalla sua cattiveria.

Nell’avvicinare i lontani occorre fare attenzione a non allontanarsi dai vicini. Proprio al fine di una vera efficacia dell’evangelizzazione del mondo, vorremmo suggerire al Papa una maggior cura e una maggiore attenzione ai problemi interni della Chiesa, con uguale attenzione a tutti, da vero pastore di tutti, giudice super partes, senza propendere per una parte a svantaggio dell’altra, per quanto sia una minoranza. Mi riferisco ai lefevriani e ai filolefevriani.

Un padre di famiglia insegnante di scuola ha cura più dei suoi figli, che dei suoi alunni; un parroco bada innanzitutto alla sua parrocchia, un vescovo, alla sua diocesi. È vero che il Papa deve guardare all’umanità intera e alle forze che agiscono al di fuori dei confini visibili della Chiesa. Eppure, che cosa ha detto Cristo a Pietro? Pasce oves meas. Cristo ha avuto una attenzione primaria per la formazione degli apostoli. È così formati che essi hanno conquistato il mondo e lo conquisteranno fino alla fine dei secoli.

P. Giovanni Cavalcoli   

Fontanellato, 29 agosto 2021


Una differenza fra il vetus e il novus ordo è il differente equilibrio posto nei due ordo fra il mistero della passione e morte del Signore e la sua risurrezione, fra il Venerdì Santo e la Pasqua. 

Il rito di San Pio V è succeduto ai precedenti ed è stato sostituito con quello di San Paolo VI. 

Questo in futuro sarà sostituito da un altro rito. Qui vale la legge del progresso: ogni nuovo rito risponde sempre meglio a ciò che Cristo ha voluto che la Messa fosse.

Immagine da http://www.photogallery.va/content/photogallery/it/eventi/iraq2021.html


[1] Per esempio la rivalutazione della dignità della liturgia compiuta da Dom Prospero Guéranger, che culminò nella grandiosa enciclica Mediator Dei di Pio XII del 1947.

[2] Denz.1738-1743.

[3] Sacrosanctum Concilium, 2

[4] Ibid., 8

[5] Ibid., 10.

10 commenti:

  1. Buon pomeriggio, p. Giovanni. Sono don Pietro Paolo, il tanto bistrattato sacerdote che ogni tanto scrive per amore della Chiesa nel blog di Tosatti. Volevo ringraziarla e lodare il Signore per i suoi commenti, esortazioni ed inviti che sono intrisi di competenza teologica e di buon senso. L'impresa di far ragionare alcuni tradizionali, che forse dovrebbero essere meglio chiamati "passatisti" in quanto rifiurano il progresso ecclesiale,è ardua, ma necessaria in questo tempo di grande confusione e di straordinario attacco infernale. Mi permetto di invitarla a trattare un argomento che spopola nel dibattito acceso con i cosiddetti"tradizionalisti": i frammenti delle ostie consacrate che cadono solo se la Santa Comunoone viene data sulle mani.Come fare capire che anche se un Ostia consacrata viene inavvertitamente calpestata non c'è nessun sacrilegio e che il buon Gesù non ne subisce alcuna sofferenza?

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    1. Caro Don Pietro Paolo,
      la sua proposta mi sembra buona. Io ho già trattato l’argomento della Comunione in bocca e della Comunione nella mano.
      https://padrecavalcoli.blogspot.com/2021/08/comunione-in-bocca-e-comunione-nella.html
      Ad ogni posso preparare un breve articolo per chiarire che cosa vuol dire toccare l’Ostia e quale dev’essere il comportamento adatto nei due casi suddetti.
      Il termine “passatisti” mi sembra utile e conveniente per non insistere troppo sul termine “lefevriani”. E d’altra parte “tradizionalisti” è ambiguo, perché possono esserci dei tradizionalisti del tutto innocenti e in regola con la Chiesa di oggi, in quanto si tratta di cattolici, i quali, in piena comunione con la Chiesa, hanno la propensione per certi valori della Tradizione, magari trascurati o dimenticati, che hanno bisogno di essere ricordati o ripristinati, restando sempre pienamente nell’orizzonte dell’ortodossia, a differenza di quel tradizionalismo scismatico, al quale il Papa accenna nel MP.

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  2. La ringrazio per la risposta. Si dovrebbe insistere di più non solo sulla presenza reale e sostanziale di Cristo nell' Eucarestia, ma anche nello specificare che l'Eucarestia è il Corpo di Cristo glorificato e non FISICO (c'è tanta ignoranza su questo), che la sostanza del Risorto non trasmette alcun virus, ma che gli accidenti del pane e del vino, che permangono dopo la Consacrazione, lo possono fare benissimo, oltre alle dita del minstro sacro e le labbra di chi si sta comunicando. Mi provoca non poca sofferenza il sentire che alcuni sacerdoti asseriscono che distribuendo la comunione sulle mani, per paura di contagiare e contagiarsi,i loro confratelli non credono pienamente alla presenza di Cristo e che diventano fautori di sacrilegi in quanto i frammenti che cadono vengono calpestati. Per fortuna, le ostie che oggi usiamo difficilmente hanno dei frammenti. In ogni caso, anche nell'atto di dare la Santa Eucaristia nella bocca possono inavvertitamente cadere frammenti. Che si fa? Dio la benedica

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    1. Caro Don Pietro,
      la ringrazio per questo suo nuovo intervento, che mi stimola ulteriormente a trattare, seppur brevemente, di questo importante argomento.

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  4. "San Pio V fissò il nuovo rito della Messa nel corso della tremenda lotta antiluterana..."
    "Inoltre, il vetus ordo fu concepito in funzione antiluterana..."
    La prima frase è chiaramente così. E per questo ha chiesto ai riti destinati a sopravvivere che abbiano un'antichità di oltre 200 anni. Quindi non avrebbero alcuna traccia di luteranesimo.
    La seconda frase, invece, sembra più un anacronismo. Implica che il vetus ordo sia stato concepito ed elaborato nella concezione antiluterana.
    Il "vetus ordo" non è stato "elaborato" nella concezione antiluterana. Perché semplicemente non è stato "creato". Si può vedere la prima edizione a stampa che conosciamo nel 1474 e sostanzialmente lo stesso rito e gli stessi testi per la Messa (soprattutto per quanto riguarda l'ordo missae: offertorio, canone, ecc.) del 1570 e così via fino al 1962. Voler vedere l'"elaborazione" del Messale di Paolo VI alla luce di quella di Pio V è anacronistico. L'edizione del 1570 non "elaborava" nulla. C'è la differenza. Il Messale del 1970 elaborava su una scrivania il rito dell'offertorio, le preghiere eucaristiche (una era delineata in una trattoria), ecc.

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    1. Caro Rigoberto,
      della Messa di San Pio V non ho detto che sia stata “elaborata” da San Pio V. Questo me l’ha fatto dire lei. Io mi sono limitato a dire che fu “concepita in funzione antiluterana” e non ho nessuna difficoltà ad accettare quanto dice lei, e cioè che essa raccolse testi precedenti, perché questo lo sapevo già.
      Io non sono un liturgista, ma, per quanto riguarda il Messale di San Paolo VI, da quanto mi risulta, fu elaborato dopo serissimi studi facenti capo alla riforma liturgica, che aveva già avuto origine nel sec. XIX.
      Ora, il fatto che la Messa di San Paolo VI sia il risultato di una elaborazione non inficia affatto l’autorevolezza di questo nuovo modus celebrandi, dato che, come lei sa bene, è facoltà del Papa determinare questo modus a seconda delle convenienze o delle necessità dei luoghi e dei tempi.
      Inoltre, un pregio del NO consiste nel suo taglio ecumenico, come ho detto nel mio articolo, senza che per questo vada perduta la sostanza della sacralità della Messa di San Pio V.

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  5. Caro Padre Cavalcoli:
    Hai ragione, non hai detto "elaborato". Ma ancora, non credo di poter spiegare: l'"antiluterano" del Messale del 1570 è l'antiluterano della Chiesa in quella stessa data. Il Messale che viene stampato nel 1570 è lo stesso che fu stampato nel 1474. Si possono avere più forme nel calendario, nel santorale, o nelle ad diversa. Ma il temporal e l'ordo missae sono gli stessi. L'offertorio e il canone sono identici. In tal senso, vi dico che neanche essa è stata concepita in nessuna chiave. Non è stato concepito. È quello che c'era. L'abolizione dei riti senza antichità ha, tra l'altro, una lettura antiluterana.
    L'anacronistico è il concetto di "fare qualcosa" nel materiale liturgico che viene prima discusso a tavolino e in una commissione e poi incarnato in un libro liturgico. Ciò non avveniva nell'edizione tridentina dei libri liturgici. È successo con Pio XII nella riforma della Settimana Santa e Paolo VI con l'edizione di tutti i libri liturgici. In entrambi i casi ricercando in antiche raccolte eucologiche e in misura minore creando alcuni testi. Nel caso di Paolo VI che crea molti testi. Per questo basta leggere la Riforma Liturgica di Bugnini e le opere di Carlo Braga. Le discussioni a partire dal XIX secolo sulla critica del rito romano non possono mai portare alla creazione di offertorio e preghiere eucaristiche, perché non era qualcosa che all'epoca era nella mente di nessuno.

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    1. Caro Rigoberto,
      sono d’accordo con lei che San Pio V ha conservato quello che esisteva dal 1474. Ma perché l’ha fatto? Evidentemente l’ha fatto per richiamare Lutero a rispettare la struttura essenziale della Messa, che egli aveva stravolto. Infatti, considerando il rito di San Pio V si nota come esso insista nell’affermare ciò che Lutero nega, per esempio il concetto dell’offerta sacerdotale del Sacrificio, quello della transustanziazione come interpretazione del mutamento del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, nonché la supplica che il Padre voglia ricevere soddisfazione dall’offerta del Sacrificio.
      San Pio V, per mandato del Concilio di Trento, non ha cambiato nulla per fare capire a Lutero che sbagliava nel cambiare quello che non andava cambiato e nel declassare la riattualizzazione incruenta del Sacrificio di Cristo in una semplice commemorazione dell’Ultima Cena, oltre ad escludere la transustanziazione.
      San Paolo VI, invece, che cosa ha fatto? Anch’egli, per il mandato di un Concilio Ecumenico, ha sanzionato con la sua autorità di Sommo Pontefice un precedente lavoro preparato da liturgisti esperti. Questa volta il Papa, a differenza di San Pio V che non ha voluto cambiare le modalità del rito, assecondando l’istanza ecumenica che fa da filo conduttore a tutti i documenti del Concilio, ha approvato legittimamente, ossia nella pienezza della sua competenza e della sua facoltà, il lavoro compiuto dalla Commissione incaricata per la riforma del modus celebrandi.
      È vero che c’è stato un cambiamento, ma del tutto legittimo, perché rientrante nella facoltà pastorali del Papa. Ma perché Paolo VI ha voluto cambiare? Appunto per andare incontro alle istanze del Concilio, il quale questa volta, invece di sottolineare gli errori di Lutero, ha recuperato alcuni elementi della Cena luterana, che potevano essere assunti nel Novus Ordo.
      E quali sono questi elementi? Il memoriale dell’Ultima Cena, l’importanza della lettura della Parola di Dio; l’aspetto pastorale dell’azione del celebrante; la partecipazione dei laici, uomini e donne, in quanto battezzati ed esercitanti il sacerdozio comune dei laici; la lingua volgare, in quanto da tutti comprensibile; la nuova configurazione dell’altare, più vicina all’immagine di una mensa; la sottolineatura dell’assemblea eucaristica come esperienza di comunione con Cristo e con i fratelli.

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