Dibattito sulla Santissima Trinità - Prima Parte (1/2)

Dibattito sulla Santissima Trinità

Prima Parte (1/2)

Un Lettore, mi ha inviato una serie di dotte considerazioni attorno al tema del mio articolo Le opere dello Spirito Santo.  Si tratta di sentenze dei Padri e di alcuni Dottori Scolastici molto interessanti. Molto meno validi sono i pareri di certi teologi contemporanei.

Ho pensato di raccogliere qui in un unico articolo gli interventi di Bruno (ben 8!), a ciascuno dei quali faccio seguire la mia risposta.

Dopo la lettera con la quale Bruno ha iniziato la conversazione, che pubblico sotto, egli ha fatto un elenco di considerazioni tratte soprattutto dal libro di un teologo dell’Università Gregoriana, Padre Etienne Vetö.

 

Riporto gli interventi di Bruno: https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/le-opere-dello-spirito-santo-quinta.html

E a ciascun intervento di Bruno, segue la mia risposta articolata in più osservazioni.

 

Disamina critica delle tesi di Vetö riportate da Bruno

 

1)              Caro Padre Giovanni,

vorrei sottoporre ad un suo primo giudizio, se lei è d’accordo, la metafora dello spirito Santo come Respiro divino, per come è stata sviluppata da Etienne Vetö nel suo testo “Il Soffio di Dio” (Libreria Editrice Vaticana, 2020, pag. 82 - 128). A mia modesta impressione, la riflessione di Vetö contiene degli spunti originali, interessanti, anche suggestivi e tuttavia nutro dei dubbi sull’effettiva solidità teologica, rispetto alla verità dogmatica, di alcune sue conclusioni. Come già le scrissi in un commento, da lei condiviso, la ricerca dell’originalità in teologia può rivelarsi rischiosa.

Nel peggiore dei casi a scapito della verità, nel migliore fornendo un contributo più squisitamente poetico, emozionale, piuttosto che prettamente teologico (il che non esclude che anche l’arte possa aiutarci all’intelligenza della fede). E penso che il tomismo, di cui non è adulazione definire lei, Padre Giovanni, uno degli ultimi maestri, possa essere tra i migliori strumenti per discernere cosa salvare e valorizzare, cosa rifiutare.

Vetö è partito da un dato quantitativo che si riscontra nella Bibbia, relativamente ai nomi con cui si riferisce allo Spirito di Dio. E cioè che: “Sulle 378 occorrenze del termine Ruah nella Bibbia ebraica, quasi la metà si riferisce allo Spirito di Dio, mentre nel Nuovo Testamento ciò accade per 275 delle 379 occorrenze di Pneuma” (Ivi, pag. 20).

Dunque se Ruah-Pneuma, ovvero Soffio-Vento-Respiro, sono i nomi di gran lunga più suggeriti dalla Sacra Scrittura per lo Spirito Santo, nell’ambito quindi della Trinità economica ai fini della salvezza, allora, conclude Vetö, anche nella Trinità eterna in sé stessa (“immanente” secondo la scorretta definizione di Rahner), “la terza ipostasi dovrebbe essere considerata nel modo più concreto possibile come l’eterno Soffio del Padre, il Respiro che egli alita al Figlio e nel Figlio, e che il Figlio gli rivolge” (Ivi, pag. 75).

Pur cercando di stralciare il meno possibile dalle oltre quaranta pagine in cui il teologo della Pontificia Università Gregoriana tratta l’argomento, la sintesi che riporto occupa più commenti lunghi, e questo è il primo.

Il significato principale di ruah e pneuma è vento e respiro […] Ruah trascende la realtà corporale di una persona […] Pneuma, sia nella Septuaginta che nel Nuovo Testamento, è molto vicino a ruah, poiché significa fondamentalmente vento o respiro, e per estensione il principio di vita e diversi aspetti della vita interiore di una persona. […] I “nomi” offerti dalle Scritture, tuttavia, non sono solo, né primariamente, nomi personali […] sono immagini e “similitudini”, come direbbero gli scolastici. Più precisamente, si tratta di metafore. […] In effetti, tutto il linguaggio su Dio è analogico, giacché tutte le parole e le nozioni necessitano di essere “allargate” per esprimere ciò che è oltre la loro semantica. Comunque, non tutto il linguaggio su Dio è metaforico. In una metafora, un tema è espresso dall’interazione di due pensieri: uno che lo esprime direttamente, il contenuto (nel nostro caso lo Spirito Santo), e uno che proviene da un’altra area di pensiero, il mezzo (nel nostro caso, il soffio). […]»,

 

Osservazioni

 

1. Il concepire lo Spirito Santo sul modello del soffio, mi pare del tutto conforme al linguaggio biblico. A tal riguardo è interessante la differenza tra il linguaggio di Aristotele e quello di San Paolo, riguardo all’essenza dello spirito. Aristotele aveva a disposizione il termine “pneuma”, sennonché non lo usa per indicare il nus, ossia lo spirito. E questo perché in greco “pneuma” significa semplicemente un soffiare fisico. Inoltre, in Aristotele l’idea di un dio spirituale, che possa soffiare sull’uomo, è praticamente assente. Qualcosa del genere invece c’è in Platone, dove la Musa è ispiratrice di amore e di poesia. In quanto a San Paolo, egli usa il termine “pneuma”, perché dietro ad esso c’è il termine ebraico “ruach”.

2. Tuttavia che nel concepire l’essenza dello Spirito Santo, prima ancora di pensare al vento, al soffio o alla rùach, sia bene ricordare che la Persona dello Spirito è l’Amore sussistente, che unisce il Padre al Figlio. È lo Spirito della Libertà. Esso quindi corrisponde a quell’atto dello spirito che è il volere. Essendo poi Spirito di Dio ed essendo Dio bontà infinita, è chiaro allora che è uno Spirito Santo, quindi Purezza, Bontà, Santità e Perfezione sussistenti. Egli è spirato dal Padre e dal Figlio; è la spirazione dell’Amore che li unisce. La volontà amante è attributo della natura divina, comune quindi a tutte e tre le Persone. Ma questa volontà è nel contempo specificità propria della Persona dello Spirito.

3. Detto questo, occorre però affermare con chiarezza che il soffio dello Spirito Santo non fa parte dell’essenza dello Spirito Santo, ma è piuttosto da intendersi come soffiare sull’uomo, innanzitutto sull’umanità di Cristo e poi sulla Chiesa. Lo Spirito è sì Soffio e soffia, ma non necessariamente sul mondo. Soffia per sua essenza, anche se il mondo non ci fosse. Per sua essenza non soffia su qualcosa, ma semplicemente soffia.

4. Quindi il suo soffio è più un’attività ad extra che non uno stato ad intra. Interiormente alla Trinità lo Spirito è spirato dal Padre e dal Figlio ed Egli stesso è spirazione; se vogliamo è un espirare, in quanto esce dalle altre due Persone. È come vento che spira. Ma il vento spira per sua essenza indipendentemente da un corpo sul quale esso spiri o soffi.

5. Il soffiare o soffio dello Spirito, pertanto, in quanto il soffio dello Spirito, non entra nella sua essenza, è un suo libero atto finalizzato alla nostra salvezza. Ciò significa che, se Dio non avesse creato il mondo, il soffio dello Spirito Santo non esisterebbe, perché è un opus ad extra. È su questo punto che Vetö sbaglia.

 

2) «La primitiva comprensione cristiana della prima e della seconda persona della Trinità si sviluppò in riferimento ai nomi rivelati dalle Scritture: Padre e Figlio, o Verbo. Applicati a Dio, anche questi sono analogici. Ora, i Padri vi fecero ricorso gestendoli come metafore, utilizzando nel loro ragionamento teologico alcune dimensioni della paternità e della figliolanza, e del pronunciare una parola. […] È coerente comprendere Dio “Figlio” alla luce di un “Padre” dal quale riceve il suo essere, essendo “generato” da lui. Quando si estende la metafora del pensiero e della parola, è logico anche comprendere il Padre nell’atto di pronunciare o proferire la Parola e il Verbo come provenienti dalla sua bocca, come parola interiore e poi esteriore, espressa. Allargando ulteriormente l’immagine, si può dire che il Padre concepisce sé stesso e tutte le cose nella Parola e che esprime sé stesso in essa. Quindi, le due metafore si intersecano […] “Sebbene [i nomi dati dalla Scrittura e dalla Chiesa alle persone divine siano] espressioni analogiche, pure la loro analogia è così ricca, così conseguente, e così viva, da offrirci la più chiara e la più perfetta idea del sublime mistero” (M. J. Scheeben, I misteri del cristianesimo, Morcelliana, 1953, 88).

Basilio nota che la terza ipostasi “proviene da Dio: non al modo della generazione, come il Figlio, ma come soffio della sua bocca” (Basilio di Cesarea, Lo Spirito Santo, XVIII, § 46, 152). Cirillo di Alessandria interpreta il secondo racconto della creazione di Adamo, quando Dio alita in lui il suo soffio vitale, spiegando che lo Spirito Santo viene dal Padre come il respiro esce dalla bocca di un essere umano e che Dio sta donando ad Adamo una partecipazione nel suo Spirito, allo stesso modo in cui il Signore Risorto soffia sui discepoli in Gv 20, 22 (Cirillo di Alessandria, Adversus Julianum, 55; In Io., 9; De Trinitate, 2). Nel Medioevo, Riccardo di San Vittore nota: “Il fatto che [lo Spirito Santo] sia chiamato Spiritus Dei o Spiritus sanctus non è del tutto contrario ai principi della similitudine. La parola “soffio (spiritus)” indica ciò che procede dagli esseri umani e senza il quale essi non hanno assolutamente vita […] Il Maestro di verità non ha forse insegnato [anch’egli], con una sorta di similitudine, che lo Spirito Santo è un “soffio” divino (divinum spiramen), allorché apparendo ai discepoli alitò [su di loro] e disse: “Ricevete lo Spirito Santo (Gv 20, 23)?” (Riccardo di San Vittore, La Trinità, Città Nuova, 1991, VI, §9, 223).

Un ultimo testimone sarà Tommaso stesso, in una delle questioni sulla terza persona: ”Il nome spirito (spiritus), sembra che significhi nelle realtà corporee un certo impulso e una certa mozione. Infatti, chiamiamo spirito il soffio (flatum) e il vento (ventum)” (Tommaso d’Acquino, ST, I, q.36, a.1 resp.). L’Aquinate usa anche la bella espressione baptismus flaminis – letteralmente “battesimo di respiro” o “battesimo della brezza” – per designare il battesimo nello Spirito Santo. (L’espressione compare diciassette volte nell’opera dell’Aquinate: cf. soprattutto ST, III, q. 66 aa.11 - 12).

Crediamo che lo studio delle metafore di Janet Soskice offra un fondamento epistemologico più preciso che non solo le rende legittime, ma anche indispensabili per la teologia. […] “La particolarità di una descrizione metaforica non è quella di tradurre il pensiero letterale, ma il fatto che il pensiero stesso è intrapreso in termini metaforici. Ciò che ci interessa della metafora è precisamente che in essa troviamo un aumento (increment) della comprensione” (Janet Soskice, Metaphor and Religious Language, Clarendon, Oxford, 1985, 27; 31; 44). […] Ovviamente, bisogna esser chiari sul tipo di conoscenza fornita dalle metafore: esse non definiscono, bensì si riferiscono, o “indicano” (Ivi, 140; 148) […]».

 

Osservazioni

1. La Scrittura parla di «soffio», di «vento», di «espirazione», di «spirazione», ma niente affatto di «respiro», il quale è propriamente la congiunzione di una spirazione con un’inspirazione, fenomeno tipico della vita animale. Ora, se ha senso che lo Spirito spiri e soffi, non ha nessun senso l’immagine dell’inspirare, perché suggerisce l’idea di un ricevere qualcosa dal di fuori. Ora lo Spirito Santo spira bensì dal Padre e dal Figlio, ma non riceve nulla da loro, giacchè è Dio. E cosa può ricevere Dio dal di fuori di sé?

2. Riguardo la funzione della metafora, io direi che essa non ci fa conoscere in un modo più preciso. Questa è la funzione del concetto proprio. Sono invece d’accordo che la metafora non definisce, ma indica; è indispensabile e allarga la conoscenza anche al di là della comprensione del concetto, mediante il metodo dell’analogia.

Per questo sono convinto che la metafora e il concetto si aiutano a vicenda, anche in campo teologico: il concetto serve per le menti abituate alla più alta astrazione; la metafora serve alle menti dei semplici, i quali trovano una certa difficoltà nei confronti dell’astrazione metafisica. Ad ogni modo, anche le menti più elevate hanno bisogno della metafora, come è vero che anche i più semplici sono capaci di concettualizzare.

Del resto, anche la metafora è un concetto, solo che non è capace di definire l’oggetto, ma, come dice lei, rimane ad una certa distanza dall’oggetto e si limita ad indicarlo, mentre il concetto vero e proprio afferra la cosa intenzionalmente e rappresentativamente.

3) «Applicati a Dio, i nomi di Padre, Figlio e Ruah-Pneuma potrebbero non essere metaforici allo stesso modo della paternità o della figliolanza umane, o allo stesso modo del respiro e del vento come realtà creata. […] Le metafore possono aver bisogno di essere purificate più che le semplici parole. […]

I Padri […] al fine di estendere i nomi del Padre e del Figlio-Logos in nozioni teologiche, li “correggono” facendoli passare per il setaccio della teologia negativa. […] Proprio perché non cerca di definire o di descrivere direttamente, ma invece parla di qualcosa consciamente e metodicamente in termini che sembrano appartenere a un’altra, il ragionamento teologico metaforico è un atto di teologia negativa (Ivi, 140 – 141; 148). […]

La metafora del respiro è un tipo di ragionamento teologico legittimo, in effetti necessario, che può aumentare indirettamente, ma realmente, la nostra conoscenza dello Spirito Santo […]”. “Parlare della spirazione di Dio non è accurato da un punto di vista trinitario […] perché il soggetto delle operazioni nella Trinità non è la sostanza divina […] ma le tre ipostasi divine. La prima di queste, la fons o il principium totius divinitatis, è il Padre. […] Allo stesso modo in cui il respiro di una creatura vivente viene dalla profondità del suo essere, il Respiro del Padre verrà dalla più profonda intimità del suo essere.

Persino un teologo tanto speculativo come Anselmo considera l’uso della metafora del respiro, ad esempio nella Pentecoste di Giovanni (Gv 20, 22), in quanto espressione dello Spirito che procede dalle profondità e intimità della sostanza divina e dalle ipostasi che ne sono la fonte [Anselmo d’Aosta, Sulla processione dello Spirito Santo, in A. Granata (cur.), Trattati, vol. II, Jaca Book, 2016, 293]. Anselmo si riferisce qui al Figlio, ma nella sua concezione occidentale del Filioque, esprime anche la spirazione del Padre. […]

Proprio come nell’economia Pneuma abita l’intero essere, in Dio è co-esteso a tutto ciò che il Padre è. Ciò significa che nel dare il suo Spirito, il Padre darà qualcosa, o meglio, qualcuno, che viene dalle sue profondità più intime e che tocca tutto ciò che egli è. […] Negli esseri viventi, il respiro non ha “sostanzialità” o afferrabilità propria. […] Allo stesso modo, il Respiro del Padre è sostanza, ma lo è secondo un modo diverso dal Padre. Veramente, egli sembra quasi “insostanziale” senza il Padre: egli non è il Padre e non c’è senza di lui.

L’azione di spirazione del Padre fa sì che il Respiro esista. Il Respiro gli è sempre relativo e il suo locus è l’intimità del Padre. […] [il Respiro] sarà anche intimamente legato a ogni azione del Padre: non avrà una propria azione indipendente, ma accompagnerà l’azione del Padre dall’interno. Ora, nell’economia, le caratteristiche fluide, eteree e liquide dello Spirito confermano l’attuale lettura intra-trinitaria e sono a loro volta fondate su di essa: Ruah e Pneuma sono fluidi nell’economia poiché lo sono già nelle profondità di Dio. Questo è anche il motivo per cui, nell’economia, lo Spirito è sempre relativo a un corpo, a un altro attore piuttosto che a sé stesso. […]».

Osservazioni

 

1. Propriamente la teologia negativa non è quella che fa uso della metafora. La metafora rientra nella teologia affermativa o catafatica, ossia quella che ci dice chi è Dio, non che cosa non è. Solo che ce lo dice appunto non in concetti propri, ma metaforici.

 

2. «Il Respiro del Padre è sostanza, ma lo è secondo un modo diverso dal Padre». No.

Il Respiro (=lo Spirito del Padre) non è la sostanza del Padre, ma è Relazione sussistente al Padre in quanto originato o spirato dal Padre. La sostanza divina è comune al Padre ed allo Spirito. Lo Spirito non è sostanza «in modo diverso». La Persona divina non è un modo di essere sostanza. Questa è l’eresia del modalismo, notoriamente condannata dalla Chiesa sin dai primi secoli.

 

4) «Il soffio (spiritus) procede dall’uomo e senza di esso l’uomo non vive in nessun caso; nel definire, perciò, lo Spirito Santo come Soffio di Dio (Spiritus Dei), si pone in evidenza il fatto che la sua processione da colui che è eterno è [essa stessa] eterna” (Riccardo di San Vittore, La Trinità, VI, §9, 223).

Se si prova ad essere perfino più letterali di Riccardo nel comprendere lo Spirito come Respiro del Padre, si deve ammettere che il Padre non può “vivere”, ovvero, non può “essere”, senza di lui. […] In quanto atto, respirare è una dimensione fondamentale dell’atto di vivere. Allo stesso modo, il Respiro del Padre non è la sua vita o la sua esistenza come tale: il Padre è la fonte della divinità e non è derivato, perché è ingenerato. Tuttavia, una delle dimensioni della sua esistenza e vita divina è la spirazione di un respiro. E’ un aspetto dell’atto di sussistenza del Padre. […] allo stesso modo in cui il Padre non è tale senza il Figlio, egli non è Padre senza lo Spirito […] non è senza la spirazione del Respiro. […]

La teologia latina […] a partire da Anselmo d’Aosta, ha definito la “processione dello Spirito Santo” una “spirazione (spiratio)” […] Spiratio significa “espirazione”, “esalazione”. […] le Persone e le processioni sono intimamente legate in teologia trinitaria ed è impossibile comprendere le prime senza le seconde. […] la processione è costitutiva della persona, come la via verso la relazione (cf. E. Durand, Le Père en sa relation constitutive au Fils selon saint Thomas d’Aquin, RTh 107, 2007, 47 - 72). […]

Ora, se una generazione divina produce un Figlio, è estremamente coerente pensare che una spirazione divina produca un Respiro. […]. Il respiro non è solo ciò che è presente nei recessi più profondi di una persona, è anche emesso all’esterno. Nonostante sia immateriale e abbia bisogno di un corpo, o proprio perché è immateriale, può superare i limiti del corpo della persona. […] Ciò è coerente con il tratto economico mediante il quale lo Spirito è dato e riversato da Dio: è la capacità di Dio di essere “al di fuori di sé stesso” come avrebbe detto H. Muhlen (Heribert Muhlen, Morgen wird Einheit sein…, Schoningh, Paderborn, 1974, p. 53).

Meglio ancora, è la capacità di Dio di essere in un altro rispetto a sé stesso. […] Certo in Dio non c’è esteriorità spaziale; non ci sono limiti fisici da superare. Verso dove può spirare il Padre? Mentre non c’è esteriorità, c’è un’alterità, ossia l’alterità tra il Padre e il Figlio. “Emettere” il suo Respiro, per il Padre, significa spirare verso il Figlio. Ora, nella Trinità tutta l’alterità è relazionale, così anche tutte le operazioni intra-trinitarie sono relazionali […] Di conseguenza, “espirare” in Dio è identico a “comunicare” e “condividere con” […]

Quando il Respiro è spirato nel Figlio, presenta le stesse caratteristiche che ha nel Padre. […] Egli diventa “lo Spirito del suo Figlio” (Gal 4, 6), co-estensivo all’essere del figlio, parte del suo atto di sussistenza, ricevuto dal Padre. Ciò significa che, allo stesso modo in cui l’espirazione dello Spirito è parte dell’atto di sussistenza del Padre, ugualmente la comunicazione dello Spirito dal Padre al Figlio costituisce il Figlio come tale. […] In altre parole, l’ispirazione del Respiro nel Figlio è parte della sua generazione. […] sebbene il Respiro passi da un’ipostasi all’altra […] egli sussiste solo nel Padre e nel Figlio: egli ha bisogno della loro sostanzialità. […]».

Osservazioni

 

1. Lei dice: «Lo Spirito è dato e riversato da Dio: è la capacità di Dio di essere “al di fuori di sé stesso” come avrebbe detto H. Muhlen. Meglio ancora, è la capacità di Dio di essere in un altro rispetto a sé stesso».

Osservo che lo Spirito non è una «capacità», ma una Relazione sussistente, Oltre a ciò dobbiamo dire che Dio non ha nessuna «capacità», che dice potenzialità, mentre Dio è Atto puro di essere. Dio ha solo dei poteri attivi, non delle capacità passive. Inoltre ciò che è fuori di Dio è la creatura. Parlare di un Dio fuori di Dio non ha senso, a meno che non ci si voglia riferire alla distinzione del Padre dallo Spirito Santo: Deum de Deo. Ma in ogni modo lo Spirito Santo non è «fuori di Dio», ma in Dio perché è Dio.

2. «Se una generazione divina produce un Figlio, è estremamente coerente pensare che una spirazione divina produca un Respiro».

Osservo che il Padre genera il Figlio; il Padre e il Figlio spirano lo Spirito Santo. Dire che la spirazione divina produce una spirazione («respiro») non significa assolutamente nulla. Se Padre e Figlio spirano lo Spirito, allora vuol dire che lo Spirito è spirato dal Padre e dal Figlio, il che è come dire che procede da entrambi. Ed essendo l’Amore il nome proprio dello Spirito Santo, si può dire che Padre e Figlio spirano l’Amore che unisce l’Uno all’Altro.

È inoltre importante precisare che l’idea di soffio, rùach implica l’idea di impulso, mozione, ispirazione, energia, forza propulsiva, che sono le caratteristiche dell’amore. Per questo lo Spirito Santo, che è l’Amore fatto persona, è detto «soffio» del Padre e del Figlio. Sono il Padre e il figlio a spirare o emettere lo Spirito all’interno della Trinità. Essi poi lo mandano anche in missione nel mondo – opus ad extra - come immenso Dono d’amore, che conduce al Figlio e al Padre.

La spirazione dello Spirito, attiva e passiva, si esaurisce all’interno della Trinità. Ma nell’attività ad extra lo Spirito a sua volta spira o manda i suoi doni all’uomo mediante Cristo. Occorre dunque distinguere la spirazione dello Spirito dalla missione dello Spirito. La spirazione è atto del Padre e del Figlio all’interno della Trinità. Qui si può parlare del soffio intratrinitario dello Spirito, che è soffiato dal Padre e dal Figlio. Per dire che il Padre e il Figlio spirano lo Spirito Santo, San Tommaso[1] dice che «spirano l’Amore da loro procedente».

Ma a sua volta lo Spirito Santo per mandato del Padre e del Figlio «scende» nel mondo e soffia nell’uomo mediante Cristo e la Chiesa, spinge, promuove, eccita, attira, stimola, purifica, incoraggia, entusiasma, rafforza, trascina, libera, illumina, infervora, infiamma e riscalda. San Tommaso connette strettamente lo spiritus, lo spirare ossia il soffiare, con l’amore, giacchè l’amore è appunto l’atto supremo dello spirito. Dice l’Aquinate:

 

«Il nome spirito nelle realtà corporali sembra significare un certo impulso e una certa mozione. Infatti noi chiamiamo spirito il soffio e il vento. Ora è proprio dell’amore il fatto che muova e spinga la volontà dell’amante verso l’altro. Ora è attribuita la santità a quelle cose che sono ordinate a Dio. Poiché dunque la Persona divina procede per modo d’amore per mezzo del quale Dio è amato, convenientemente lo Spirito Santo è chiamato così»[2].

Sotto questa angolatura lo Spirito Santo diventa Dono del Padre e del Figlio[3]. Ora appunto il donare è atto dell’amore, per cui essendo lo Spirito d’amore, è convenientissimo che Lo si nomini Dono di Dio per eccellenza e per antonomasia. E sempre in considerazione della libertà e della imprevedibilità dello Spirito Gesù può dire «il vento soffia dove vuole» (Gv 3,8), riferendosi appunto al soffio dello Spirito.

3. «Una delle dimensioni della esistenza e vita divina del Padre è la spirazione di un respiro. È un aspetto dell’atto di sussistenza del Padre». No, la spirazione dello Spirito non è «una delle dimensioni della esistenza e vita divina del Padre». La vita divina del Padre è la vita di Dio, che non ha dimensioni, ma è semplicissimo Atto puro di essere. E non è neppure «un aspetto dell’atto di sussistenza del Padre», la quale sussistenza a sua volta è semplicissima e non ha più aspetti, come fosse un ente composto. La spirazione dello Spirito ha semplicemente origine dal Padre, che spira  lo Spirito.

4. Inoltre, il Padre spira lo Spirito Santo. Ma Questi a sua volta non è un «respiro», ossia una spirazione o una espirazione, ma è Ciò che viene spirato, ossia l’Amore che intercorre tra Padre e Figlio. È vero che lo Spirito è uno spirare, però il Padre non può spirare uno spirare, perché questo spirare dovrebbe a sua volta spirare uno spirare e così si andrebbe all’infinito. Occorre allora fermarsi e dire che spira l’Amore.

5. «Verso dove può spirare il Padre? Mentre non c’è esteriorità, c’è un’alterità, ossia l’alterità tra il Padre e il Figlio. “Emettere” il suo Respiro, per il Padre, significa spirare verso il Figlio». All’interno della Trinità Il Padre non spira verso nessuno. Spira lo Spirito e basta. Semmai nell’opus ad extra il Padre spira o manda lo Spirito sull’umanità di Cristo e sulla Chiesa. Ma noin spira affatto lo Spito sul Figlio, il quale essendo Dio, lo possiede già ed anzi cime GFglio è Lui cg lo spra unsiemecolPadre.

6. «Allo stesso modo in cui l’espirazione dello Spirito è parte dell’atto di sussistenza del Padre, ugualmente la comunicazione dello Spirito dal Padre al Figlio costituisce il Figlio come tale. […] In altre parole, l’ispirazione del Respiro nel Figlio è parte della sua generazione. […] sebbene il Respiro passi da un’ipostasi all’altra […] egli sussiste solo nel Padre e nel Figlio: egli ha bisogno della loro sostanzialità».

7. Non è affatto vero che «l’espirazione dello Spirito è parte dell’atto di sussistenza del Padre». L’atto di sussistenza del Padre è un atto semplice ed indivisibile, perché è il Padre stesso in quanto sussistente, è Dio. Il Padre certo spira lo Spirito. Ma questa spirazione è lo stesso Spirito, non è un atto che sia «parte» del Padre. Lo Spirito non è oggetto della spirazione del Padre, ma è questo stesso spirare, è il soffio del Padre, lo spirare dell’Amore.

8. Il Figlio non è affatto costituito dalla «comunicazione dello Spirito dal Padre al Figlio», ma è costituito per il semplice fatto che nasce dal Padre. Il Padre non comunica lo Spirito al Figlio, ma spira lo Spirito come Amore sussistente mediatore fra Padre e Figlio, Egli pure spiratore dello Spirito.

9. «L’ispirazione del Respiro nel Figlio è parte della sua generazione». Falso. Il Padre genera il Figlio da Sé senza bisogno dell’aiuto dello Spirito Santo.

10. Non è affatto vero che «il Respiro» (=lo Spirito) «passi da un’ipostasi all’altra». Lo Spirito non và dal Padre al Figlio, nè và dal Figlio al Padre. Spirato dal Padre e dal Figlio, lo Spirito è il nesso d’Amore che unisce il Padre al Figlio.

Fine Prima Parte

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 7 novembre 2021

 

 

San Tommaso connette strettamente lo spiritus, lo spirare ossia il soffiare, con l’amore, giacchè l’amore è appunto l’atto supremo dello spirito. 

Dice l’Aquinate:

 

«Il nome spirito nelle realtà corporali sembra significare un certo impulso e una certa mozione. Infatti noi chiamiamo spirito il soffio e il vento. Ora è proprio dell’amore il fatto che muova e spinga la volontà dell’amante verso l’altro. Ora è attribuita la santità a quelle cose che sono ordinate a Dio. Poiché dunque la Persona divina procede per modo d’amore per mezzo del quale Dio è amato, convenientemente lo Spirito Santo è chiamato così».


 Immagini da internet


[1] Summa Thelogiae, I, q.37, a.1.

[2] Ibid., q.36, a.1.

[3] Ibid., q.38.

 

7 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    le sono davvero molto grato per aver accolto il mio invito a commentare la proposta del teologo Vetö sullo Spirito Santo. E molte sue osservazioni mi risultano illuminanti. Faccio ora qualche commento per approfondirle ulteriormente.

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  2. Lei ha sin dall’inizio sottolineato e valorizzato la classica definizione dello Spirito come “l’Amore sussistente, che unisce il Padre al Figlio”.
    Successivamente ha inoltre riproposto il nome di Dono, assai caro a san Giovanni Paolo II che nella “Dominum et Vivificantem” utilizza spesso l’espressione “Dono increato”, e oltremodo appropriato per significare l’incommensurabile valore che noi cristiani riceviamo dal Padre:
    “Sotto questa angolatura lo Spirito Santo diventa Dono del Padre e del Figlio[3]. Ora appunto il donare è atto dell’amore, per cui essendo lo Spirito d’amore, è convenientissimo che Lo si nomini Dono di Dio per eccellenza e per antonomasia.”
    Vorrei puntualizzare che tanto il nome di Amore che di Dono, per lo Spirito di Dio, non vengono affatto negati da Vetö, che pure li apprezza. Solo che, per la sua riflessione sulla terza ipostasi divina, non li ha ritenuti, se interpreto correttamente il suo pensiero, il punto di partenza più valido per tentare di colmare il “divario tra rappresentazioni economiche e rappresentazioni intra-trinitarie” (E. Vetö, op. cit., pag.13) tuttora presenti in teologia rispetto alo Spirito Santo.
    Sullo Spirito come Amore, scrive Vetö:
    “Il problema è che lo Spirito come amore ha pochi fondamenti economici. Lo Spirito dà l’amore di Dio: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rom 5,5). Allo stesso modo, Paolo fa appello ai destinatari della lettera «per il nostro Signore Gesù Cristo e l’amore dello Spirito» (Rom 15,30). […] Ma lo Spirito Santo non è mai identificato con l’amore nelle Scritture. Le tre persone amano; l’amore è poi attribuito al Padre (2Cor 13,13); mentre la “definizione” di Giovanni, «Dio è amore» (1Gv 4, 8.16), può designare il Padre o le tre persone insieme, ma non direttamente lo Spirito come tale. Infatti l’idea dello Spirito come Amore si sviluppa storicamente come una conseguenza dell’analogia – peraltro non scritturistica – delle processioni mentali di Agostino: lo Spirito procede attraverso un atto di volontà e di amore, come la Parola come un atto di intelligenza (cfr. Agostino d’Ippona, De Trinitate, XV (PL 42, 1057 - 1098)). Essa è rafforzata dall’analogia sviluppata da Agostino e Riccardo di San Vittore e dalla sua declinazione in Bonaventura e Balthasar, in cui lo Spirito è inteso come vincolo di amore tra il Padre e il Figlio: poiché è comune a entrambi egli è il frutto dell’amore reciproco del Padre e del Figlio, ma anche il loro nexus, la loro stessa comunione. Tuttavia, è difficile tenere insieme l’idea che lo Spirito sia il vincolo o il nexus di amore e che sia una terza realtà ipostatica che ama ed è amata. […] Da nessuna parte, nel Nuovo Testamento, lo Spirito Santo è visto esplicitamente come vincolo d’amore tra Padre e Figlio, e ancor meno viene presentato come frutto del loro amore reciproco. Per tale ragione, queste concezioni dello Spirito Santo divennero theologoumenoi piuttosto tardivamente, solo nei secoli IV-V” (E. Vetö, op. cit., pag. 76 - 78).

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  3. Rispetto allo Spirito come Dono, scrive Vetö:
    “Al contrario, lo Spirito come “dono di Dio” è attestato chiaramente nel Nuovo Testamento. I Padri sviluppano la nozione quale espressione del dono dello Spirito stesso e dei doni di lui nell’economia. Tuttavia, “dono” è più difficile da utilizzare a un livello intra-trinitario. Tommaso, ad esempio, ritiene necessario basare questa dimensione dello Spirito sull’amore: «Poiché lo Spirito Santo procede come Amore, […] procede in ragione di primo dono» (Tommaso d’Acquino, ST, I, q.38, a.2 resp.). Donum è un nome personale dello Spirito perché tutto il dare ha l’amore come ratio e il dono ultimo è l’amore stesso. Poiché lo Spirito Santo procede come amore egli è anche dono. Ciò ci riporta all’analogia delle processioni mentali e dell’amore, con la medesima difficoltà.
    Tali analogie […] sono un lodevole sforzo della mente umana di pronunciarsi sul mistero della Trinità. Tuttavia, sono limitate e devono essere tenute insieme così da mantenere l’unità della sostanza espressa meglio dalle processioni mentali e la differenza di ipostasi illustrata dai tre co-amanti o dal frutto dell’amore (cfr. H.U. von Balthasar, Teodrammatica, III: Le persone del dramma: l’uomo in Cristo. Jaca Book, 2012, pag. 484 - 485).
    Inoltre, tali immagini contengono un costante rischio di proiezione. […] Il fatto che queste analogie non siano fondate nell’economia della rivelazione e auto comunicazione di Dio e nella testimonianza autorevole delle Scritture spiega perché andrebbero considerate con estrema prudenza” (E. Vetö, op. cit., pag. 78 - 80).
    Le suddette difficoltà e problematiche, indicate da Vetö, per l’uso di Amore e Dono come nomi dello Spirito, non si verificherebbero invece per Soffio-Respiro, fortemente testimoniati e ribaditi dalle Sacre Scritture.

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    1. Caro Bruno,

      Dice Vetö: «Lo Spirito Santo non è mai identificato con l’amore nelle Scritture».
      Rispondo dicendo che per capire che lo Spirito Santo è l’Amore sussistente che lega il Padre al Figlio non occorre esigere un’affermazione formale della Scrittura, che effettivamente non esiste. Ma questo non significa nulla. La cosa si deduce rigorosamente, come fa notare San Tommaso , dal fatto che la processione divina è evidentemente qualcosa di spirituale. Ora lo spirito emana da sé due potenze: l’intelletto e la volontà. E quindi queste due potenze sono da riscontare nella natura divina. Se dunque il Padre fa procedere da Sé il Figlio che è il Verbo, ossia il pensiero, è logico che l’altra processione sia la volontà ossia l’Amore.
      E per questo, come ha intuìto, Sant’Agostino, all’intelletto corrisponde il Verbo e alla volontà corrisponde lo Spirito Santo. Il fatto che il Padre faccia procedere è un generare, che rappresenta la paternità del Padre. Ma, come fa osservare San Tommaso, il generare è assimilabile a un concepire intellettuale . E per questo il Figlio è detto Verbo.
      È ovvio, d’altra parte, come dice Vetö, che «le tre persone amano»; ma qui non si tratta di paragonare le tre persone a un gruppo di amici che si vogliono bene: sarebbe un intollerabile antropomorfismo. Si amano sì, non però in quanto persone, se si esclude lo Spirito Santo, la Persona-Amore, ma in quanto sono Dio, che intende ed ama; ma ciò non impedisce affatto che l’Amore sia nome proprio dello Spirito Santo.
      Altrettanto si potrebbe dire che le tre persone pensano. Ma è ovvio che pensano, non perché ciascuna – tranne il Figlio - sia per conto proprio soggetto del pensare; ma in quanto tutte e tre sono Dio, Che pensa. Ma il Pensiero è attribuito come nome proprio al Figlio. Così pure è ovvio che le tre persone sussistono, perché sono Dio Essere sussistente. Ciò non toglie che l’essere sussistente (Es 3,14) sia attribuito come suo nome proprio al Padre. Il loro è un sussistere relazionale, mentre il sussistere sostanziale lo hanno in comune, perché è la sostanza o natura divina
      In secondo luogo, l’immagine del vento – osserva San Tommaso - che dice impulso e mozione suggerisce bene il moto e l’impulso dell’amore.
      In terzo luogo la Scrittura chiaramente presenta lo Spirito Santo come Dono del Padre e del Figlio. Essa non parla mai del Padre come Dono, giacchè è Lui il Donatore. Il Padre ci ha effettivamente dato il Figlio per la nostra salvezza (Gv 3,16). Il Figlio è dono del Padre e il Figlio a sua volta insieme col Padre dona lo Spirito.
      Si può dire in certo senso che lo Spirito ci dona il Padre e il Figlio nel senso che in Lui possiamo incontrare e ricevere il Padre e il Figlio. Il donare ha indubbiamente a che fare con l’amore. È prova d’amore, che proviene da un amante ed è offerto ad un amato.
      Proprio dell’amore è il donare e il donarsi. L’essere donato è condizione propria del dono che è donato da chi ama a chi è amato. Ora lo Spirito Santo è per eccellenza nella Trinità il Donatore, il Dono e il Donato. In questo senso è l’Amore-Persona. Se lo Spirito Santo è l’Amore sussistente, non occorre un grande sforzo di ragionamento per capire che Egli è l’Amore che lega il Padre col Figlio, anche se nella Bibbia non si trova questa testuale e formale dichiarazione.
      La teologia non si fa solo commentando dei versetti biblici, ma basandosi su di essi per trarre da essi per mezzo del ragionamento le conseguenze, o chiarire le implicanze o esplicitare i presupposti. È così che si capisce sempre meglio il dato rivelato.

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    2. Il dato biblico non è una poltrona nella quale adagiarsi, ma lo stimolo ad un approfondimento, la spinta ad avanzare, il pungolo per una ricerca mediante l’uso di un opportuno metodo razionale o filosofico. E se la teologia offre tesi che non si trovano nel testo biblico, invece di respingerle per un pignolo e miope biblicismo, occorre interrogarsi su come il teologo, partendo dal versetto biblico è giunto a quelle conclusioni. Leggere la Bibbia sanno far tutti; il segreto della sapienza è portare alla luce i tesori nascosti che la Bibbia contiene.
      Il soffio è effettivamente un’immagine biblica per simboleggiare lo Spirito Santo, ma finché ce ne resteremo nel mondo dell’immaginazione e dei fenomeni atmosferici o biologici noi capiremo sì il respiro delle creature, ma dello Spirito Santo capiremo ben poco.
      Lo Spirito Santo è spirito. Per capire qualcosa dello Spirito Santo occorre partire da una nozione quanto più sottile, elevata e raffinata sia possibile dello spirito in generale, come ho fatto io nel mio studio. Occorre, cioè, una preparazione filosofica, come la Chiesa da secoli raccomanda, per accedere alla teologia, una preparazione che invece purtroppo spesso manca.
      L’immagine fantastica o sensibile deve servire solo per spiccare il volo dell’intelletto e dello spirito, come la pista di partenza serve all’aereo per spiccare il volo. Ma quando l’aereo si è innalzato in aria, lo sostiene l’aria stessa e non più la pista di partenza.

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  4. Commentando la citazione da H. Muhlen, riportata da Vetö, lei ha scritto:
    “[…] ciò che è fuori di Dio è la creatura. Parlare di un Dio fuori di Dio non ha senso, a meno che non ci si voglia riferire alla distinzione del Padre dallo Spirito Santo: Deum de Deo. Ma in ogni modo lo Spirito Santo non è «fuori di Dio», ma in Dio perché è Dio.”
    C’è da dire che anche Yves Congar, nella sua ponderosa opera “Credo nello Spirito Santo”, riprende l’espressione dello Spirito come Dio “fuori di sé stesso”; sembra voler suggerire che il Paraclito sia la terza ipostasi “necessaria” alla vita divina, perché, senza di essa, Padre e Figlio cadrebbero in una reciproca contemplazione narcisistica, quasi una sorta, se mi è permesso dire, di “egoismo di coppia”:
    “Partendo dai termini presi dall’esperienza umana, il p. Chr. Duquoc esprime un aspetto profondo della theo-logia, che ci invita a superare una staticità che, evidentemente, non conviene al Dio Vivente:
    «La “simbolica trinitaria” non soltanto respinge l’immagine della contemplazione narcisistica come ideale di perfezione, ma respinge non meno fortemente l’immagine del “faccia a faccia” sufficiente a sé stesso: essa suggerisce una vita e una comunione differenziate e aperte. Lo Spirito spezza la sufficienza possibile del “faccia a faccia” delle due prime figure. La Tradizione cristiana gli ha riconosciuto un ruolo creatore e dinamico; in questo senso egli è Colui che suscita altre differenze. Egli è l’apertura della comunione divina a ciò che non è divino. E l’abitazione di Dio là ove Dio è, in un certo senso, “fuori di sé stesso”. Per questo fu chiamato “amore”. E’ l’”estasi” di Dio verso il suo “altro”: la creatura» (C. Duquoc, Un Dio diverso, Queriniana, 1977, pag. 116 - 117).
    Questo testo passa all’economia, un’economia però che è conseguenza di una theo-logia che presenta lo Spirito come un’apertura di comunione.”
    (Y.Congar, Credo nello Spirito Santo, Queriniana, 1998, pag. 588).
    A questo punto, Congar prosegue il suo discorso connettendo la dimensione della comunione intra-divina proprio con il Soffio, su cui è incentrato il testo di Vetö:
    “Se egli [lo Spirito], infatti, è la Comunione del Padre e del Figlio, è prima di tutto il Soffio. Se il figlio è immagine, è prima di tutto Verbo che esce dalla bocca del Padre, accompagnato dal Soffio, e quindi da una forza che mette in movimento. Se la vita di Dio è «estasi, perché ciascuna ‘figura’ divina non esiste se non nel rapporto alle altre ‘figure’ e perché questo rapporto le costituisce diverse», lo Spirito-Soffio è, come indica il suo nome, uscita, impulso, “estasi”. E’ per questo che, se lo Spirito è in Dio il termine della comunicazione sostanziale che parte dal Padre, c’è una convenienza – senza alcuna necessità – a che il movimento continui. Non più come trasmissione sostanziale, ma come libera volontà creatrice. Spiritus Creator. Communicatio Spiritus Sancti. […] Egli è la possibilità, per Dio, d’esistere come al di fuori di se-stesso. E più che la semplice possibilità: l’inclinazione a ciò” (ibidem, pag. 588 – 589).
    Personalmente, non mi piace l’espressione di Congar che il Figlio sia “immagine”, sia pur perfetta del Padre (Dio sarebbe immagine di Dio?), ma a parte questo, cosa pensa, Padre Giovanni, di queste parole del teologo e cardinale domenicano sullo Spirito Santo, come possibilità-inclinazione di Dio ad essere “fuori di sé stesso”?

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