Galileo, Cartesio e Giordano Bruno - Dominio tecnico e dominio magico sulla natura - Prima Parte (1/5)

 

Galileo, Cartesio e Giordano Bruno

Dominio tecnico e dominio magico sulla natura

Prima Parte (1/5)

 

Le fu anche concesso di animare

la statua della bestia, sicchè quella statua

perfino parlasse e potesse far mettere a morte

tutti coloro che non adorassero la statua della bestia.

                                                  Ap 13,15

Le origini e lo sviluppo della magia

La parola Mago, secondo il Dizionario etimologico del Pianigiani, deriva dall’antico persiano magu, da cui magnus, grande; connesso col sanscrito maha, grande e mahati: magnificare, onorare, sacrificare. Il sacrificio mette in gioco l’idea della potenza del sacrificio, da cui il ted.Macht e l’ingl.might e l’idea dell’uccisione della vittima, da cui il matar spagnolo e l’ammazzare o mattanza in italiano, da cui il latino mactare, sacrificare e l’italiano.

Erodoto usa il termine magos per designare i sacerdoti medi e persiani, dediti all’astrologia, alla divinazione e all’interpretazione dei sogni. Dall’indagine degli astri essi ricevano indicazioni per la condotta umana, in quanto gli astri erano considerati esseri divini. I Magi che arrivano a Betlemme a far visita a Gesù bambino non erano altro che costoro, per cui sarebbe meglio chiamarli «maghi» e non magi. Quello che pertanto stupisce in questo commovente episodio del Vangelo è come Cristo fin da adesso riesca ad attirare a sé anche gli idolatri e i maghi.

Tuttavia la magia ha origini antichissime, che sono oggetto della storia delle religioni. L’uomo primitivo ha un concetto della divinità come una forza che lo sovrasta e dalla quale vuol ottenere favori: ecco il concetto del sacrificio e della religione; ma nel contempo l’uomo ha l’ambizione di poter dominare la stessa divinità obbligandola a fare quello che vuole lui. Ed ecco il momento della magia e della superstizione. Già fin dalla più remota antichità si alternano dunque in noi il momento dell’umiltà, che genera il culto divino e la religione, e il momento della superbia, che genera la magia e la superstizione.

Come afferma il Bergson citato da Maritain[1],

 

«Bergson – osserva il Maritain – ha mostrato molto bene che l’elemento primordiale che si trova all’origine e al fondo della magia è la relazione di causalità. “L’uomo ha riconosciuto subito che il limite del suo influsso normale sul mondo esterno era presto raggiunto. Ma non si rassegnava a non andar oltre. Continuava dunque il movimento, e siccome lo movimento, da sé, non otteneva l’effetto desiderato, occorreva che se ne facesse carico la natura … Le cose saranno allora più o meno cariche di obbedienza e di potenza; disporranno di una forza che si presta ai desideri dell’uomo e di cui l’uomo potrà impadronirsi … Le operazioni della magia iniziano quell’atto che l’uomo con può condurre a termine. Fanno il gesto che non arriverà a produrre l’effetto desiderato, ma che l’otterrà se l’uomo saprà forzare la compiacenza delle cose. La magia è dunque innata nell’uomo, non essendo che l’esteriorizzazione di un desiderio di cui è pieno il cuore”».

Le pratiche magiche delle popolazioni primitive sono regolate dall’esecuzione di azioni rituali tradizionali ancestrali, di competenza del mago, dello sciamano o dello stregone, sulla base della recita di formule fisse o di scongiuri, corredate dall’esibizione di speciali figure, del lancio di appositi segnali, dall’esecuzione di gesti apotropaici od evocativi, di canti, inni, danze e gesti simbolici convenzionali, o con la confezione di appositi preparati chimici od organici, che si suppongono atti a suscitare le forze degli spiriti benefici o malèfici.

La magia è una soluzione falsa ed illusoria data al problema del potere dello spirito sulla materia e sul corpo. La sua istanza di creare un’armonia è giusta. E pure è giusta la sua percezione del primato dello spirito sul corpo. Ma è eccessivo il potere che dà allo spirito e ingannevole la sua concezione smaterializzata e idealistica della materia, che assomiglia a quella di Berkeley (esse est percipi), concezione che dovrebbe assicurare questa padronanza dello spirito.

E invece in pratica succede che le sorti si capovolgono. La materia, umiliata, si vendica. Il mago, che in pratica materializza lo spirito, si trova in mano un risultato del tutto deludente ma del tutto logico: confondere la materia con lo spirito non può che portare alla confusione dello spirito con la materia. E quindi alla fine non si dà alcun dominio dello spirito sul corpo, ma la carne che domina sullo spirito materializzato.

La vera unione dello spirito col corpo si ha nel cristianesimo, grazie all’Incarnazione del Verbo. Qui abbiamo rispettata la distinzione fra spirito e corpo e la superiorità di quello su questo ed anzi l’innalzamento della corporeità al livello della vita divina in quello che San Paolo chiama «corpo spirituale» (I Cor 15,45)[2].

La magia invece non comporta una soggezione a Dio e alle sue leggi sulla natura e sull’uomo, ma, come spiega chiaramente la Bibbia, è associata all’idolatria. Essa in India ha basi panteistiche, in quanto l’uomo non è visto come una creatura in rapporto personale con Dio e distinto in quanto spirito dalla materialità della natura, che egli può dominare obbedendo alle leggi che Dio creatore ha posto nella natura, ma uomo, natura e Dio sono concepiti come un Uno-Tutto, materia-spirito, tale per cui tutto agisce su tutto, e tutto patisce da tutto. L’operazione del mago, quindi, non è quella di un agente dal potere finito, distinto da Dio e dalla natura, ma è l’agire e patire stesso del Dio-natura-uomo su se stesso e sulle parti di se stesso.

Le origini della magia

Le prime autorevoli segnalazioni in Occidente delle pratiche magiche ci sono date dalla stessa Sacra Scrittura con la narrazione del confronto di Mosè con i maghi di Egitto (Es 8,13). Mosè dimostra di essere in possesso di un potere superiore al loro, perché partecipa dello stesso potere divino. Questo episodio ci mostra la somiglianza fra il potere magico e quello taumaturgico.

La Scrittura distingue chiaramente le varie forme di causalità attiva ed efficiente umana, angelica e divina: la creazione, la taumaturgia, la trasformazione, la transustanziazione, la generazione, la tecnica, la poesia[3], il lavoro. E distingue chiaramente tutte queste attività dalla magia e dalle attività superstiziose come il culto agli idoli, la divinazione, la necromanzia, la teurgia, l’astrologia, l’alchimia, il maleficio, il culto astrale. La Bibbia parla diffusamente delle prime lodandole ed esaltandole, mentre condanna e proibisce severamente le seconde (Es 2,17; Lv 19,26; Dt 18,10).

La magia infatti suppone la superbia e l’arroganza di voler operare sulla natura e sugli uomini e magari su Dio stesso con un potere uguale quello divino, comporta la produzione di opere prodigiose e falsi miracoli per allontanare gli uomini da Dio, per renderli indipendenti da Lui, con la pretesa di essere autosufficienti, ma in realtà rendendosi servi del demonio, ispiratore e maestro delle arti magiche.

La magia, quindi, illudendo il mago col fargli credere di possedere una scienza –la gnosi – pari a quella divina ed emancipandolo quindi dal dovere di obbedire alla legge morale e alle leggi fissate da Dio nella natura, ma volendosi egli stesso di suo arbitrio farsi legislatore della natura umana e del mondo fisico, autorizza qualunque manipolazione, alterazione e sconvolgimento dell’ordine naturale, quello fisico come quello umano, con danni immensi all’uomo e alla natura.

Come sappiamo la cultura ebraica che ci ha dato la Bibbia, ci ha dato anche la Kabbala[4]. E come la Bibbia con grande chiarezza e senza compromessi e doppiezze ci mette in guardia contro la magia, spiegandone il fine idolatrico, la superbia gnostica, la violenza sulla natura e sull’uomo, il delirio di onnipotenza, l’efficacia illusoria, il danno per l’uomo, l’offesa a Dio e l’influsso demoniaco, così la Kabbala con vani sofismi solleticando la nostra manìa di grandezza, mescola detti biblici con la rivelazione di falsi misteri, con la promessa di poteri sovrumani[5], con sentenze e ricette provenienti proprio dalle quelle pratiche magiche egiziane, che Mosè aveva saputo vittoriosamente sfatare nella loro boriosa vanità.

Un ritorno d’interesse per la magia avvenne, come è noto, con l’Umanesimo fiorentino del sec. XV, allorchè Marsilio Ficino volle valorizzare il cosiddetto Corpus hermeticum, una collezione di scritti magici che allora venivano attribuiti a un leggendario Ermete Trismegisto, da cui il termine «ermetismo» attribuito a queste dottrine esoteriche[6].

Si supponeva che questi scritti contenessero gli insegnamenti dei maghi dell’antico Egitto. Gli studiosi hanno successivamente appurato che in realtà si tratta di dottrine neoplatoniche del sec. III, che hanno ispirato anche la teurgia di Proclo e di Giamblico. Quindi, dottrine neoplatoniche dove la volontà umana, partecipe del divino, potenzia lo spirito al di là di se stesso aumentando la sua potenza nei confronti della materia, talmente da essere in grado di plasmarla secondo l’intuizione delle idee.

Nello stesso ambiente fiorentino visse ed operò Giovanni Pico della Mirandola, il quale, essendosi posto il problema di quale fosse la dignità dell’uomo, si dette ad indagare presso tutte le fonti d’informazione delle quali la Firenze di Lorenzo il Magnifico di allora, era fornitissima.

Egli quindi, mente prodigiosamente dotata, operò una sintesi, per la verità piuttosto eclettica e incoerente, ma geniale ed entusiasmante, dalla quale egli ricavò, esponendola nel suo famoso De dignitate hominis il concetto dell’uomo come creatura alla quale Dio non ha assegnato una natura precisa, fissa, immutabile,  delimitata e invalicabile, ma ha dato la facoltà di determinare, plasmare, modificare, accrescere e perfezionare se stessa a suo arbitrio indefinitamente, al di là del punto di partenza creato da Dio.

L’uomo, quindi, non ha tanto il compito di porre in atto delle potenze naturali determinate dalle forze limitate stabilite da Dio come costituenti essenziali e specifici della natura, quanto piuttosto ha il potere e la facoltà di stabilire egli stesso le forme, le modalità, i confini e i gradi della sua attività di libera autodeterminazione e di autoattuazione della sua natura.

Nel quadro di questa visione, Pico sostiene il valore di quella che egli chiama «magia naturale» o «magia bianca», che sarebbe una magia benefica risultante dall’impiego delle sole forze umane così come Pico le ha definite. Ora, per giudicare della liceità o meno della magia, non basta considerare il fine per il quale opera, ma bisogna dare una valutazione anche sul metodo col quale opera.

Ora Pico detestava indubbiamente quell’operare magico che si vale dell’aiuto del demonio, principio della cosiddetta «magia nera», in quanto esso non può procurare all’uomo alcun bene. Ma non disdegnava la cosiddetta magia naturale sotto pretesto che essa è benefica. D’accordo: ma Pico trascurava il fatto che il metodo che intendeva usare, ossia l’idea di poter lui liberamente determinare i confini della sua natura umana, è contraria al vero piano di Dio sull’uomo, per cui partendo col piede sbagliato, la sua magia naturale non poteva che risolversi o in una vana ambizione o in una truffa.

Papa Alessandro VI si lasciò scappare un’imprudente approvazione privata dell’idea pichiana; ma il successore, Leone X, fece pronunciare dal Sant’Uffizio una sentenza contraria. Pico si adeguò, divenne amico del Savonarola e alla sua morte volle che la sua salma fosse vestita dell’abito domenicano. Ma le idee di Pico continuarono ad esercitare un influsso, in modo speciale su Bruno, il quale le allontanò ancor più dalla verità inserendole nel suo sistema panteistico, per il quale l’uomo non è più una semplice creatura davanti a Dio, come Pico ancora ammetteva, ma è il punto di congiunzione fra il mondo che si fa Dio e Dio che si fa mondo.

Qui l’uomo è presentato come essenzialmente dotato di un potere divino a sua disposizione, così da esser capace di aumentare e rafforzare da sè la propria potenza fino ad essere in grado di poter operare sulla natura così da dar vita alla macchina e alla sostanza naturale.

Nel sec. XVII, con Campanella e Leibnitz, che pare fosse in contatto con la Fraternita dei Rosa-Croce[7], si diffonde in certi circoli esoterici la convinzione di origine neoplatonica e quindi idealistica, che tutta la natura fisica sia animata almeno da un’anima sensitiva.

Questa convinzione sarà presente anche in Bruno.  Mentre in Spinoza la materia è ridotta cartesianamente ad estensione, per cui gli unici moti dei corpi sono quelli locali e meccanici, e il libero volere non gioca alcuna parte, nella cosmologia neoplatonica di Campanella e Leibnitz tutte le sostanze fisiche sono sostanze viventi e senzienti, anzi, per Leibnitz, veri e propri spiriti dormienti ed inconsci, che, aprendo lo sguardo, diventano le anime dei vegetali, degli animali e diventano soggetti intelligenti e volenti, ossia le anime umane dell’uomo e con un’ulteriore coscientizzazione diventano spiriti angelici, i quali sono unificati attorno alla suprema  monade assoluta ed infinita e ad opera di essa, l’Uno dei molti, che è Dio.

Fine Prima Parte (1/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 10 maggio 2023

La magia è una soluzione falsa ed illusoria data al problema del potere dello spirito sulla materia e sul corpo. La sua istanza di creare un’armonia è giusta. E pure è giusta la sua percezione del primato dello spirito sul corpo. Ma è eccessivo il potere che dà allo spirito e ingannevole la sua concezione smaterializzata e idealistica della materia

Le prime autorevoli segnalazioni in Occidente delle pratiche magiche ci sono date dalla stessa Sacra Scrittura con la narrazione del confronto di Mosè con i maghi di Egitto (Es 8,13). Mosè dimostra di essere in possesso di un potere superiore al loro, perché partecipa dello stesso potere divino. Questo episodio ci mostra la somiglianza fra il potere magico e quello taumaturgico. 

 

Nell’ambiente fiorentino visse ed operò Giovanni Pico della Mirandola, il quale, essendosi posto il problema di quale fosse la dignità dell’uomo, si dette ad indagare presso tutte le fonti d’informazione delle quali la Firenze di Lorenzo il Magnifico di allora, era fornitissima.



Immagini da Internet:
- Mosè ed Aronne davanti al faraone, Archivo Capitular de la Real Colegiata de San Isidoro
- Marsilio Ficino, Giovanni Pico della Mirandola e Agnolo Poliziano, Cosimo Rosselli, Firenze

 



[1] Il segno magico e il regime notturno dello spirito, in Quattro saggi sullo spirito nella condizione di Incarnazione, Morcelliana, Brescia 1978, p.69. In questo saggio Maritain cita anche Lucien Lévy-Brühl, che studiò a fondo le pratiche magiche delle popolazioni primitive dell’Australia, mettendo in luce come la magia si attui sotto il segno del mito e della prevalenza dell’immaginazione sulla ragione. Tuttavia il principio fondamentale della magia è la superbia dell’uomo che pretende di operare come Dio, per cui anche l’idealismo hegeliano, per quanto organizzato sul piano del concetto e della logica, alla fine non differisce molto dalle ambizioni degli aborigeni australiani.

[2] Questa istanza di spiritualizzazione del corpo e di incorporazione dello spirito la ritroviamo anche nel misticismo sciita iranico: vedi Henry Corbin, Corpo spirituale e terra celeste. Dall’Iran mazdeo all’Iran sciita, Adelphi Edizioni, Milano 1986.

[3] Maritain mette in guardia contro il rischio di confondere la poesia con la magia nel libro scritto assieme a Raissa Situation de la poésie, Desclée de Brouwer, Bruges 1964.

[4] Per una presentazione delle pratiche magiche della Kabbala, vedi Julio Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, a cura di don Ennio Innocenti, Edizioni della Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 1988.

[5] Il «transumanesimo» è già qui.

[6] Cf Frances Yates, Giordano Bruno e la cultura europea del Rinascimento, con introduzione di Eugenio Garin, Edizioni Laterza, Bari 1195; Giordano Bruno e la tradizione ermetica, Edizioni Laterza, Bari 1992.

[7] Vedi nota 11.

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