Il Vangelo e il Corano

L’Evangile et le Coran

Lors du Concile Vatican II l’Eglise a reconnu la validité du monothéisme islamique, établissant une base de dialogue avec les musulmans. Toutefois Benoît XVI précisa que ce monothéisme contient un élément irrationnel, qui contredit la sagesse divine, du reste proclamée par le Coran lui-même.
D’autre part, le Concile confirme l’appel adressé à tous les hommes à chercher leur salut dans le Christ. Cela signifie que l’évangélisation requiert que les chrétiens annoncent le Christ aux musulmans, eux aussi appelés à entrer dans le Royaume des cieux.
P.Giovanni Cavalcoli,OP
 
Il Vangelo e il Corano 


La questione del monoteismo

Secondo la teologia islamica Dio è l’«Essere assoluto» [Wujûd al-Mutlaq,][1]. Per Ibn Arabi Dio è «Essenza assoluta» [Dhat mutlaq][2]. È Verità assoluta [al-Haqq]. E su ciò ovviamente siamo d’accordo. Possiamo pensare all’ipsum Esse subsistens di S.Tommaso. Errata, invece e non conforme al Corano, è la tesi di alcuni gnostici islamici, secondo la quale «solo Dio esiste»[3], dove l’unicità dell’essere divino [Tawhîd] – che è sacrosanta verità – è intesa tout court alla maniera univocista parmenidea come unicità dell’essere, confondendo Dio e mondo o annullando l’essere del mondo. Il monoteismo è confuso col monismo.

Verità indubbia del Corano, invece, la «sostanza» [haqiqat] del Corano, confermata dalla ragione e dalla Bibbia è – come riconosce il Concilio – che esiste un unico vero Dio. Ma non mancano i problemi. Perché ci chiediamo: chi è questo Dio? Ovviamente la risposta è: è Allàh. Ma daccapo: quali sono gli attributi di Allàh? Il nome deriva dalla radice El, che in ebraico significa effettivamente “Dio”. Ma il fatto è che gli attributi coranici di Dio non sono tutti convenienti o giusti, per cui, come vedremo, ne viene una concezione incoerente.

C’è chi sostiene che il Dio coranico è un Dio «di pace», che vuole la pace fra tutti gli uomini. Sì, ma a quali condizioni? È chiaro, infatti, che ogni religione cerca la pace con Dio e col prossimo; ma laddove il concetto di Dio non è del tutto puro e coerente, come è il caso del Corano, questa religione non è del tutto libera dalla violenza, perché la violenza dipende dalla contraddizione. Ed è evidente che un Dio violento non può essere pacifico. Infatti, come riconosce il Concilio, è vero che «i musulmani adorano l’unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha parlato agli uomini» [NE 3]. Ma qui il Concilio, con molta e forse eccessiva benevolenza, riconosce solo i lati buoni del monoteismo islamico.

Il Concilio è soprattutto preoccupato di farci sapere che il Dio del Corano non è un «altro Dio» rispetto a quello cristiano, come se ci fossero due dèi, ma è l’unico vero Dio, nostro e loro, - e questo è molto incoraggiante - con la differenza che noi cristiani lo conosciamo meglio ed insuperabilmente per il fatto di aver ricevuto la rivelazione cristiana. Ma lo conosciamo meglio anche nella sua unità; per cui è da sfatare il pregiudizio secondo il quale il monoteismo islamico sarebbe più rigoroso di quello biblico. Non è affatto vero. È vero il contrario.

Infatti, il monoteismo islamico, a differenza di quello biblico, che è perfettamente coerente e quindi unitario, soffre di una contraddizione interna, che fu messa in luce da Papa Benedetto XVI nel suo famoso discorso all’Università di Ratisbona del 12 settembre 2006, quando mostrò il lato negativo del teismo islamico, di un Dio irrazionale, volubile, e dispotico.

Così, per il Corano, il castigo infernale non dipende dal peccato dell’uomo, ma dalla volontà divina. Non punisce chi lo merita, ma «punisce chi vuole» [Sura 29,21]. Cioè il Dio coranico non appare effettivamente saggio, buono e giusto, nonostante tutte le affermazioni e le lodi in contrario. Non c’è nessuna relazione fra la condotta umana e la sanzione divina, benchè Dio prometta il premio ai buoni e il castigo ai malvagi.

 C’è da dire inoltre che la concezione coranica di Dio non è coerente, in quanto da una parte denota l’influsso del Dio biblico, dando spazio al libero arbitrio dell’uomo e quindi a un Dio giusto che premia e castiga - e qui vale il discorso del Concilio -, ma dall’altra, come ha notato Papa Benedetto nella medesima circostanza, si tratta di un Dio dispotico; e ciò deriva certamente da un influsso politeistico pagano, in particolare l’idea greca della Moira e quella latina del Fatum. Non bisogna confondere l’oscurità del mistero col buio assoluto dell’irrazionale.

Papa Benedetto, al riguardo, paragonò l’idea coranica di Dio a quella del Beato Duns Scoto[4], come di un Dio inteso come pura volontà, indipendentemente da considerazioni di bene o di male, legate al vero e al falso. Da qui risulta una separazione della volontà dalla verità. Per il Corano la volontà divina può essere buona, anche se è contraria alla verità. La volontà, quindi, non dipende dall’intelletto, ma da se stessa[5]. Ciò che Dio vuole è bene non perché è bene, ma perchè lo vuole. Da ciò si può dedurre che può anche volere il male – per esempio la dannazione di qualcuno o il peccato -, che però «ai suoi occhi», come dirà anche Lutero, è bene. Ma questo è un falso monoteismo.

Per questo, occorre notare con chiarezza che il Vangelo presenta un monoteismo più puro di quello del Corano, nel quale però troviamo un elenco di attributi divini, che si avvicinano a quelli biblici, illustrati magistralmente da S.Tommaso nelle sue opere e da S.Francesco[6] in una sua splendida Laude. Tuttavia l’unità del Dio coranico è spezzata dal contrasto fra il Dio buono e il Dio dispotico.

Questa intima contraddizione è insinuata dal proverbio popolare «non si muove foglia che Dio non voglia», di origine coranica [Cf Sura 6,59], che pure può ricevere un’interpretazione accettabile. Esso esprime il concetto che tutto ciò che accade è voluto da Dio e con ciò stesso è bene, perché Dio è buono e non può non accadere, perché Dio è onnipotente. La Bibbia ha qualcosa di simile: «Se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire» [Is 22,22]. «Chi può resistere al suo volere?» [Rm 9,19].

Allora il dolore, il peccato e la dannazione dei reprobi sono voluti da Dio? Su ciò purtroppo il Corano non è chiaro e sembra che dia a Dio anche la responsabilità del male [Sura 6,65; 7,186; 13,11], pur ammettendo l’esistenza del libero arbitrio della creatura e quindi la sua responsabilità nel compimento del male.

Certo anche Giobbe accoglie di buon grado da Dio la sofferenza e l’esistenza del peccato, ma perché sa che Dio da esse può ricavare un bene maggiore. Invece pare che dal Dio coranico occorra aspettarsi di tutto e chinare comunque e sempre il capo. Si deve obbedire per forza. Non c’è la libera obbedienza di Cristo al Padre, della quale parla la Lettera agli Ebrei [10,9]. Infatti non esiste il sacrificio dell’uomo-Dio che rimette i peccati. Così, per il Corano, capita che quello che per noi è male, per Dio è bene e viceversa. La dottrina averroista della “doppia verità” nasce da qui.  La volontà divina non sempre risponde alla verità, ma la verità è in ultima analisi ciò che vuole questa volontà.

In fin dei conti, allora, un Dio siffatto è un despota assoluto, che ora è buono, ora è malvagio, come gli aggrada. È un Dio del quale non ci si può fidare. Egli fa sì appello al libero arbitrio dell’uomo, promette il premio agli obbedienti e devoti [islam], e minaccia il castigo ai ribelli, ma ciò non toglie che comunque alla fine decida contro ogni aspettativa, in modo imprevedibile, assolutistico chi mandare in paradiso e chi mandare all’inferno. Come si può sperare con certezza in un Dio simile? È il famoso fatalismo islamico. Forse si tratta di un influsso manicheo.

Con tutto ciò, - e questo è il paradosso - il Corano afferma la bontà, la provvidenza, l’affidabilità e l’amabilità di Dio. È questo l’aspetto sconcertante della teologia del Corano. Con tutto quello di orribile e sconfortante che abbiamo detto sul Dio coranico, Egli, per ripetute dichiarazioni del Corano, è un Dio che ama l’uomo[7] e lo vuol salvare dalla miseria, dalla sofferenza, dal peccato e dalla morte. Il Corano, in sostituzione del Vangelo, che ha fatto il suo tempo, si presenta dunque come il vero messaggio della salvezza. Applicando i precetti del Corano, ogni uomo si salva. Pertanto il Corano è indirizzato a tutte le genti. Tutti devono convertirsi all’Islam per salvarsi.

Il monoteismo islamico in alcuni Autori, a causa di una forma di univocismo parmanideo, deborda nell’eresia monista, come abbiamo già accennato sopra. Però il Corano non giustifica alcun panteismo. Circa la questione del rapporto dell’uomo con Dio è in perfetta linea con la Bibbia e la teologia naturale, proprio in nome del monoteismo, nel considerare l’uomo creatura [khalq] di Dio, simile a Lui, ma nel contempo diversissimo, infinitamente al di sotto di Lui, Che resta impareggiabile, inconfrontabile ed incomprensibile nella sua misteriosa trascendenza [ghayb].

Inoltre, la dottrina coranica della bontà e provvidenza di Dio, della Parola di Dio, della sua amabilità, della sua clemenza e misericordia, del suo amore per noi e del nostro per lui, sono parti sublimi, perfettamente accordabili al Vangelo e alla sana ragione, principi di virtù, di santità e di esperienza mistica. Dio è il Misericordioso per eccellenza [Al-Rahman, cf l’ebraico rahamìm=viscere materne]. Dietro a questi insegnamenti c’è lo Spirito Santo, anche se Maometto non lo conosceva. Ma vale l’aureo detto di S.Ambrogio: «quidquid verum dicitur, a quocumque dicatur, a Spiritu Sancto est»[8].

Proposte operative

Il Concilio ha dato alla Chiesa una nuova speranza, ha offerto una nuova partenza missionaria. I princìpi dell’apologetica cristiana, ispirati all’insegnamento dello stesso Nostro Signore, sono universali ed hanno convertito, con i dovuti adattamenti, tutti i popoli. Anche i musulmani sono chiamati a salvarsi in Cristo. Cristo ha dato agli apostoli il mandato di far discepole del Vangelo tutte le nazioni. Se Cristo ha dato un simile comando, vuol dire che può essere realizzato.

Vorrei fare una proposta. La Chiesa organizza ormai da cinquant’anni sinodi mondiali dei vescovi, nei quali vengono affrontati e studiati problemi pastorali emergenti o urgenti di interesse mondiale. Ebbene, perchè non dedicare un sinodo per esaminare approfonditamente, alla luce del Concilio e dell’insegnamento di Benedetto XVI, dei risultati raggiunti nel dialogo cristiano-islamico, i rapporti con l’Islam, al fine di poter rispondere alle seguenti domande: quali potrebbero o possono essere le vie, i modi, i tempi, i metodi e i mezzi naturali e soprannaturali per presentare Cristo all’Islam o per avvicinare l’Islam a Cristo? Come difendere noi cristiani dagli errori dottrinali islamici per il nostro e il loro stesso bene? Come migliorare i rapporti concreti tra noi sul piano della reciproca collaborazione umanitaria, culturale, sociale e politica? Come affrontare ed attuare assieme il diritto alla libertà religiosa negli Stati dove i cristiani convivono con i musulmani?

Non scandalizziamoci di Gesù, per quanto Egli sembri bestemmiare facendosi Dio [Gv 10,33], per quanto la sua Croce possa sembrare scandalo [I Cor 1,23] e stoltezza [I Cor 1,18] e per quanto possa sembrare «duro» il suo linguaggio [Gv 6,60], ma ascoltiamo piuttosto le sue parole ai discepoli del Battista, che a suo nome, ossia a nome dell’umanità, Gli domandano se è Lui Colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona novella e beato colui che non si scandalizza di me» [Mt 11,2-6].

P.Giovanni Cavalcoli,OP

Varazze, 29 agosto 2018





[1] Per comodità dell'autore e del lettore non esperto, ho adottato una trascrizione dall'arabo semplificata grazie alla quale l'esperto potrà ritrovarsi facilmente e grazie alla quale il non esperto può leggere più facilmente.

[2][2] Cit. da LOUIS GARDET – OLIVIER LACOMBE, L’esperienza del sé. Studio di mistica comparata, Ed.Massimo, Milano 1988, p.203.

[3] Cit. da HENRI CORBIN, La filosofia islamica, Edizioni Adelphi, Milano 2000, p.338. La si ritrova anche nel panteismo hegeliano.

[4] «Nel tardo Medioevo si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all'affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la voluntas ordinata. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz'altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all'immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene». Questo volontarismo si aggrava in Guglielmo di Ockham, perché mentre in Duns Scoto abbiamo la semplice identificazione dell’intelletto e della volontà nell’essenza divina, per cui la volontà emerge da sola come «pura perfezione» (cf WALTER HÖRES, La volontà come perfezione pura in Duns Scoto, Liviana Editrice, Padova, 1976), in Ockham non c’è solo questo volontarismo assoluto, ma addirittura la volontà viene a contraddire l’intelletto.

[5] Cf il principio hegeliano, per il quale «la volontà vuole se stessa».

[6]  Francesco compose questa preghiera di lode sul Monte della Verna, nel settembre 1224, quando ricevette le stimmate. La preghiera fu scritta su una pergamena che contiene anche la benedizione di Francesco a frate Leone. La pergamena con l’autografo di Francesco è conservata come reliquia nella Basilica di San Francesco in Assisi.

Tu sei santo, Signore solo Dio, che compi meraviglie.
Tu sei forte, Tu sei grande, Tu sei altissimo,
Tu sei onnipotente, Tu, Padre santo, re del cielo e della terra.
Tu sei uno e trino, Signore Dio degli dèi,
Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, Signore Dio vivo e vero.
Tu sei amore e carità, Tu sei sapienza,
Tu sei umiltà, Tu sei pazienza,
Tu sei bellezza, Tu sei sicurezza, Tu sei quiete.
Tu sei gaudio e letizia, Tu sei la nostra speranza,
Tu sei giustizia e temperanza,
Tu sei tutto, ricchezza nostra a sufficienza.
Tu sei bellezza, Tu sei mansuetudine.
Tu sei protettore, Tu sei custode e difensore,
Tu sei fortezza, Tu sei rifugio.
Tu sei la nostra speranza, Tu sei la nostra fede,
Tu sei la nostra carità, Tu sei tutta la nostra dolcezza,
Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore,
Dio onnipotente, misericordioso Salvatore.

[7] L’uomo, però, per il Corano, è il musulmano. Adamo ed Eva erano musulmani. Col peccato originale l’umanità è decaduta da quello stato di perfezione originaria. Il Corano insegna all’umanità a tornare a quella perfezione. Questa antropologia mostra peraltro la difficoltà degli Stati islamici ad accettare le Dichiarazioni internazionali dei diritti dell’uomo, in quanto esse non dipendono dal Corano, che invece per il musulmano è indispensabile per sapere qual è la dignità umana.


[8] «Tutto ciò che vien detto di vero, da chiunque sia detto viene dallo Spirito Santo».

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