Rigidità e fedeltà - Due Papi a confronto - Seconda Parte (2/2)

 Rigidità e fedeltà

Due Papi a confronto

 

Seconda Parte (2/2) 
 

 La questione della verità

Troppo preoccupato di evitare l’ideologia e l’astrattezza, Francesco possiede una forte sensibilità ed attenzione alle singole persone, al concreto, alla storicità della salvezza, mentre par di notare in lui una certa antipatia per la dottrina e per la teoria.  Ciò potrebbe far sospettare una certa antipatia per la speculazione o per il dogma, mentre invece sono chiari in Benedetto la sensibilità e il rispetto per tutti questi valori.

Sorge allora la questione serissima della verità e di quello che è lo stesso ufficio petrino. Al riguardo sappiamo come tutto il pontificato di Francesco sia stato oggetto di periodici attacchi collettivi da parte di cattolici anticonciliari, che lo hanno accusato di eresia, un fenomeno inaudito nella storia del Papato, dato che accuse di eresia sono sempre venute da elementi dichiaratamente contrari al cattolicesimo e in nome di princìpi eretici. Ora bisogna dire che se i lefevriani non possano dirsi eretici, ci chiediamo però se si può considerare ortodossia integrale quella che esclude il Magistero della Chiesa da San Giovanni XXIII ai nostri giorni.  

Questa ostilità in nome della Tradizione cattolica si spiega, anche se non si giustifica, con il linguaggio, come ho già detto, non sempre chiaro di Papa Francesco, ed anche su questo punto non si segnalano altri casi simili nella storia del Papato. Nel passato, chi si è opposto al Papa non ha mai inteso restare ed essere cattolico, ma si è separato dalla comunione cattolica ed ha dato il via a comunità dichiaratamente contrarie alla Chiesa cattolica.

Se gli Anglicani si considerano «cattolici», questa è una pura parola, secondo la loro mentalità nominalistica, ma di fatto non conservano pressoché nulla dei contenuti della dottrina della Chiesa cattolica romana, a differenza dei lefevriani, che la conoscono bene, arrivando persino ad accettare San Tommaso, ma accettano quella dottrina soltanto fino a Pio XII, accusando i Papi seguenti di essere caduti nel modernismo.

E la cosa che sorprende, d’altra parte, è invece quanto ci tiene Francesco alla comunicazione, comunicazione che effettivamente realizza con folle immense e in modo straordinario, ma ci chiediamo però: quanti capiscono veramente quanto dice e non lo scambiano per un modernista?

Con Benedetto questo increscioso equivoco non si è verificato. Nessuno lo ha mai scambiato per un modernista; semmai è stato scambiato per un lefevriano, ma si tratta di un’insinuazione sleale inventata dei modernisti per avere un’arma contro di lui: la balla del Papa «conservatore».

Papa Benedetto era molto attento alla questione della verità e del dogma, possedeva un’ampia apertura e larghezza di pensiero, nutrita di studi biblici, conoscenza dei Padri e dei Santi, in particolare eco della sapienza agostiniana e bonaventuriana, vicino alla teologia di Romano Guardini, conoscitore dell’idealismo tedesco e del luteranesimo.

Francesco invece, soprattutto in interventi improvvisati e a braccio, come per esempio concedendo interviste a giornalisti o in udienze generali o discorsi a gruppi o associazioni o a istituti, è uscito spesso in espressioni che hanno turbato o scandalizzato certi cattolici tradizionalisti, tanto che essi più volte hanno avuto l’audacia di accusarlo di eresia, accusa insostenibile nei confronti di un Pontefice, il quale è come tale maestro della fede.

Francesco non si è mostrato interessato alla confutazione argomentata di errori teologici o dogmatici, mostrando in cosa consiste l’errore e come lo si corregge, onde aiutarci a scovarlo e ad evitarlo. La sua pastorale educativa e correttiva insiste soprattutto su errori di condotta morale, combattendo vizi ed esaltando virtù.

Sia Benedetto che Francesco hanno fatto lavorare poco la CDF nonostante la quantità di eresie oggi in circolazione. I modernisti ne hanno approfittato per infiltrarsi addirittura nelle Università pontificie e nella pubblicistica cattolica. Non c’è paragone con quanto fece Ratzinger da Prefetto della CDF sotto San Giovanni Paolo II. Come mai tutto ciò? I due Pontefici hanno preferito dar spazio alla confutazione operata da filosofi tomisti come Vittorio Possenti, teologi tomisti come Antonio Livi e da giornalisti di vaglia, come Antonio Socci, Aldo Maria Valli, e Marco Eugenio Tosatti, benché questi ultimi non privi di eccessi critici verso Francesco, nonché a editori cattolici come Giovanni Zenone e Aurelio Porfiri.

Se dovere del cristiano è quello di predicare il Vangelo nella sua integralità. ossia tutte le verità del Vangelo, ciò è sommo dovere di un Papa. Occorre inoltre tener presente che le verità evangeliche sono a coppia, dove i due termini si illuminano a vicenda, sicchè occorre sempre enunciarli insieme, altrimenti si dice solo una mezza verità, si assume una posizione unilaterale, che se non è negazione formale del vero, però alla fine è sempre un errore.

Così, per esempio, nella visione cristiana il pensiero sta col reale, la volontà sta con l’intelletto, il sapere sta col fare, la parola sta con l’azione, l’assoluto sta col relativo, il mutevole sta con l’immutabile, il necessario sta col contingente, la verità sta con la carità, l’eterno sta col temporale, il dogma sta con la morale, la misericordia sta con la giustizia, il naturale sta col soprannaturale, la grazia col libero arbitrio, il gratuito sta col meritorio, il credere sta col ragionare, l’azione sta con la contemplazione, la fede con le opere, la Scrittura con la Tradizione, l’obbedienza sta con la libertà, il premio va col castigo, l’amore sta con la legge, la croce sta con la gioia,  il maschio sta con la femmina, l’inferno sta col paradiso, i dannati stanno con gli eletti  e così via.

Viceversa Papa Francesco ripete continuamente le stesse verità e ne tace altre, che pur sarebbero connesse. Certo questo non vuol dire che dica delle falsità, ma perché tace le altre, quando sembrerebbe opportuno ricordarle? È impossibile che non ci creda perché si tratta di verità di fede. È dunque una sua scelta pastorale, Ma ci è consentito di esprimere delle riserve. Qui il Papa non è infallibile. Questo atteggiamento non si nota in Benedetto.

Inoltre, compito specifico ed insostituibile di un Papa è quello di confermare nella fede, irrobustirla, spiegarla, fondarla, motivarla, difenderla, chiarire che cosa è di fede e che cosa non lo è, risolvere dubbi di fede. Benedetto è stato esemplare in ciò; Francesco, meno, per il fatto che nei suoi discorsi, soprattutto a braccio, non sempre fa capire chiaramente se esprime sue semplici opinioni, se parla come dottore privato o come Papa e maestro della fede.

Il discernimento del quale parla spesso Francesco non è tanto quell’acutezza di giudizio critico, che ci fa distinguere l’ortodosso dall’eretico, quanto piuttosto è il saper discernere nei casi concreti ed imprevisti che cosa fare o non fare. Benedetto, invece, con l’esperienza che aveva acquistato come Prefetto della CDF, è stato un maestro nell’indicarci le astuzie dell’errore e nell’aiutarci a scovarle e ad  evitarle.

La questione dello gnosticismo

Il più grande merito dottrinale di Papa Francesco è stato indubbiamente la condanna dello gnosticismo, raffinata ancestrale espressione della superbia intellettuale e dell’ipocrisia dell’io, che avendo ascoltato il serpente antico, finge di servire Dio ma in realtà serve il demonio, sostituendo a Dio il proprio io. È quello spirito farisaico di finta religiosità contro il quale Gesù è severissimo, spirito di empietà, di menzogna e di odio che sarà responsabile della sua condanna a morte.

 Così Papa Francesco definisce lo gnosticismo:

 

«Lo gnosticismo suppone una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti»[1].

 

Lo gnosticismo «riesce a soggiogare alcuni con un fascino ingannevole, perché l’equilibrio gnostico è formale e presume di essere asettico, e può assumere l’aspetto  di una certa armonia o di un ordine che ingloba tutto» (n.38). Esso «pretende di ridurre l’insegnamento di Gesù a una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto» (n.39). «Lo gnosticismo è una delle peggiori ideologie, perché, mentre esalta indebitamente la conoscenza o una determinata esperienza, considera che la propria visione della realtà sia la perfezione. … Lo gnosticismo per sua propria natura vuole addomesticare il mistero» (n.40). «Vuole tutto chiaro e sicuro e pretende di dominare la trascendenza di Dio» (n.41).

È evidente il riferimento all’idealismo tedesco, il cui principe è Hegel, per il quale il pensiero s’identifica con l’essere, il soggetto è la totalità del reale, la logica è la sintesi del sì e del no, da cui l’etica della superbia e della doppiezza, moderna versione del fariseismo biblico.

Questo idealismo è lo sviluppo panteista dell’istanza moderna della coscienza, istanza in sé validissima, grande merito della modernità, che molto ha contribuito ad illuminare e ad approfondire il mistero della psicologia umana, ma appare in modo esplosivo e scomposto con Lutero e in forma sottilmente scettica e sofistica in Cartesio, per giungere attraverso Fichte fino a Gentile, ispiratori del modernismo passato e presente.

Nessun Papa finora aveva schiacciato la testa di questo serpente velenoso, che è il tormento della Chiesa di oggi. Questa impresa storica è toccata a Francesco, sul quale taluni hanno ironizzato per la sua limitata preparazione teologica e apparente dabbenaggine. Invece lo Spirito Santo, del Quale Francesco è strumento come Vicario di Cristo, ha voluto che fosse proprio lui ad abbattere il mostro con pochi colpi ben assestati, piccolo Davide che ha abbattuto il gigante Golìa.

L’ecumenismo addormentato

Per quanto riguarda le attività ecumeniche la condotta dei due Papi è stata molto simile, se si eccettua la solita differenza fra Benedetto, più attento al fattore culturale, filosofico e teologico e Francesco, più attento all’aspetto solidaristico, collaborazionistico, scambievolistico, fraternizzante, penitenziale, carismatico.

La Chiesa però da sessant’anni attende un progresso nell’avvicinamento dei fratelli separati verso la pienezza della comunione con Roma.

I Papi godono certamente di notevole prestigio negli incontri ecumenici, ma i fratelli separati non danno quasi alcun segno di abbandonare i vecchi errori tante volte confutati dai teologi cattolici, per cui la domanda che possiamo porci è: ma questi fratelli desiderano veramente l’unità o si sono adagiati con una certa saccenteria, forse anche per una certa pigrizia da parte di noi cattolici, in un clima di convenevoli, di frasi fatte, di formule di rito, di atteggiamenti abitudinari, di piacevoli colloqui, di fiacche preghiere, battendo il passo in girotondo? Che cosa sta concludendo questo tipo di ecumenismo? È proprio quello voluto dall’Unitatis redintegratio?

Qualcosa invece si è mosso nel dialogo con l’Islam. Qui i due Papi hanno sentito meglio la voce dello Spirito in due forme reciprocante complementari: Papa Benedetto ha mosso le acque; con grande coraggio e acribìa ha dato alla coscienza islamica una scossa salutare: basta col fanatismo, basta col fatalismo, il vero Dio è il custode, il garante e il vindice della ragione; mentre dall’altra Francesco ha saputo toccare il cuore e la coscienza dei musulmani mostrando loro che Dio è Padre di tutti e noi siamo tutti fratelli.

La risposta dell’Islam è stata sorprendente. Se c’è stata una reazione di irritazione al severo richiamo di Benedetto, nessuna protesta per le parole di Francesco, benché questi avesse osato parlare di fraternità fra cristiani e musulmani, cosa inaudita dopo 14 secoli di guerre sanguinose. Dopo queste parole trascinatrici di Francesco, l’Islam capirà che in Benedetto la Chiesa ha pronunciato per loro severe parole d’amore.

La drammatica questione del sesso

Per quanto riguarda in modo particolare il problema della sodomia e della condotta da tenersi con gli omosessuali, nonché dei doveri morali ai quali sono astretti, usciamo da un’antica tradizione di grande severità, riscontrabile negli stessi testi biblici, ma oggi rischiamo di cadere nell’eccesso opposto, per un eccessivo timore della «rigidezza», e un malinteso rispetto per il «diverso», scambiato col cattivo. Purtroppo il linguaggio di Papa Francesco non è sempre stato chiaro in merito, anche se il Papa ha ribadito che la sodomia è peccato. Ma al Papa sta giustamente a cuore ricordarci che anche l’omosessuale ha suoi propri doni da Dio ed è chiamato a vivere nella Chiesa e a farsi santo.

La questione dell’omosessualità non è che l’aspetto più eclatante di un profondo disagio del quale sta oggi soffrendo la Chiesa, la quale in tema di etica sessuale è giunta ad una svolta epocale, che coinvolge la stessa concezione dell’uomo animale ragionevole, composto di anima e corpo, spirito e sesso. In tutta la storia della Chiesa mai si è verificata una così diffusa e grave corruzione dei costumi sessuali, ma mai è apparsa così chiara l’altissima dignità della sessualità umana, che non è una realtà limitata al piano dell’animalità, ma coinvolge l’attività spirituale propria della persona umana mossa dallo Spirito Santo.

La prospettiva epocale che ci sta davanti è stata aperta da San Giovanni Paolo II[2], che ha posto in atto uno stimolo proveniente dal Concilio Vaticano II[3] per la mediazione di San Paolo VI[4]. Giovanni Paolo II propone una nuova concezione dell’uomo basata sul c.2 della Genesi, dove l’uomo appare non una sostanza semplice o monadica, secondo quella concezione maschilista che identifica l’uomo col sesso maschile, ma l’uomo come sostanza duplice, biunivoca, intrecciata, risultante da un duplice fattore formale paritario, maschio e femmina, l’uomo non come singolo isolato ma come coppia, in base alle parole «non è bene che l’uomo sia solo» (Gen 2,18), per cui uomo e donna devono essere uniti in modo da formare «una sola carne» (Gen 2,24).

Cioè l’essere uomo-donna rientra nella definizione dell’uomo, essere uomo-donna radicato nell’animalità, ma terminato nella ragione, nello spirito. L’anima non è asessuata, ma maschile e femminile[5]. In sostanza, la volontà divina originaria e quindi escatologica è l’unione dell’uomo con la donna. La separazione è stata causata dal peccato originale su istigazione del demonio. Essa è un dato di fatto come castigo del peccato.

Essa però diventa anche una misura d’emergenza, stante l’opposizione della carne allo spirito, anch’essa conseguenza del peccato. Tuttavia questa separazione ascetica e prudenziale è finalizzata alla riunificazione in chiave escatologica. Questo è l’insegnamento che si ricava dall’etica sessuale di San Giovanni Paolo II.

Il rimedio tradizionale all’attuale sconvolgente diffondersi della lussuria sino alle sue forme più abominevoli, rimedio basato sul semplice autocontrollo personale dell’impulso sessuale non è più sufficiente a far fronte a questo torrente fangoso e per estinguere un’epidemia, che ha ormai invaso tutti gli ambienti della società e della Chiesa, popolo ed intellettuali, dalla base ai vertici e non basta a soddisfare l’esigenza emergente in sé giusta che l’unione uomo-donna sia espressione ed incentivo dell’amore.

Ma il fatto è che questa sfrontata e sbandierata irruzione collettiva di lussuria, propagandata dai media, mascherata con i soliti pretesti della libertà, della diversità, della coscienza e della creatività, sotto la protezione della «misericordia», come tutti i movimenti della storia, non è priva di un’istanza valida, che San Giovanni Paolo II seppe capire, ma che purtroppo non è stata altrettanto compresa da Benedetto e Francesco, pur così aperti alle istanze del Concilio e della modernità, pur così ricchi di comprensione umana e profondi conoscitori dell’uomo.

Ma il fatto è che l’etica sessuale cattolica, nonostante il cammino fatto in questi sessant’anni del postconcilio, per liberarsi da una millenaria eredità platonica, presente sin dai Padri del deserto e dei Padri della Chiesa, soprattutto orientali, nonostante la preferenza per Aristotele attuata dal Magistero della Chiesa grazie all’interpretazione fattane da San Tommaso, la Chiesa non è riuscita ancora del tutto, come dimostra il fatto che né Benedetto né Francesco hanno tenuto conto della novità wojtyliana, a liberarsi dal dualismo platonico dell’anima che si libera dal corpo e quindi dal sesso, per assumere in pienezza concezione biblica del rapporto uomo-donna, ossia la prospettiva della resurrezione del sesso, prospettiva meglio interpretata dall’antropologia aristotelico-tomista della persona umana, unione sostanziale biunivoca maschio-femminile di spirito e di sesso.

Giovanni Paolo II, basandosi su Gen 2, ci ha presentato un nuovo concetto di castità non più racchiuso entro i limiti della presente natura decaduta, ma allarga il nostro sguardo a una visione veramente completa, che è data dall’unione escatologica. 

La detta visione dell’unione escatologica uomo-donna è quella dell’unione non procreativa, ma solo affettiva. Il che significa che la volontà divina originaria ed escatologica riguardo l’unione uomo-donna, non è quella procreativa, riservata alla vita presente, ma quella soltanto affettiva.

Ciò comporta peraltro che la pratica ascetica dell’astinenza sessuale non è un valore morale assoluto, ma è una pratica di emergenza, resa necessaria per coloro (i religiosi), i quali sentono superiori esigenze di spiritualità e quindi vogliono essere più liberi dallo stimolo della carne per poter fruire meglio delle gioie dello spirito.

Non si tratta affatto di biasimare o respingere il piacere sessuale come tale, di per sé buono e creato da Dio, ma il problema morale della castità è quello di fare in modo che quel piacere sia l’espressone e l’incentivo del superiore piacere dello spirito, quindi una sostanziale unione ed armonia di sesso e spirito, che rientra precisamente nell’originaria volontà creatrice divina.

L‘astinenza si rende necessaria e doverosa ove il piacere sessuale soffochi, intralci o turbi quello spirituale, secondo l’avvertimento del Signore: se il tuo occhio ti scandalizza, toglilo; sottintendendo: se non ti scandalizza, tienlo, giacchè in fin conti Dio ha creato l’occhio per vedere ed ha creato il sesso per esprimere l’amore.

Avvertiamo però a questo punto che qui non c’è spazio per i furbi, perché questo discorso che a tutta prima sembrerebbe avallare la prospettiva della lussuria, ossia la ricerca assoluta del piacere, anche a costo di uccidere la vita nascente, in realtà lo esclude assolutamente per due ragioni: prima, perchè la dottrina wojtyliana esclude la ricerca del piacere sessuale per se stesso, atto, questo, proprio della lussuria. Seconda, perché unione non procreativa non vuol dire unione che frustra artificialmente la procreazione, ma unione dove la procreazione naturalmente non esiste più, come alla resurrezione.

Ora, dobbiamo constatare che ancor oggi come oggi, anche negli ambienti migliori della compagine ecclesiale, il pensiero di Giovanni Paolo II non è stato recepito. Lo testimonia il fatto che né Benedetto né Francesco ne hanno mai fatto parola.

Eppure, la soluzione del dramma presente verrà dalla misura in cui introdurremo questo nuovo criterio di giudizio che ci ha offerto il Santo Pontefice. Tale criterio giudica con saggezza ed equilibrio l’istanza di valorizzazione della sessualità che si cela e nel contempo inganna nel genderismo, nell’edonismo, nel freudismo e nell’epicureismo precisando che tale godimento sessuale può avere un valore umanistico, salvifico e santificante solo se è effetto e incentivo dell’unione spirituale tra uomo e donna che matura nella vita presente, nell’uomo nuovo delle primizie dello Spirito e avrà la sua pienezza nella futura risurrezione.

La questione della Messa

Il Concilio ha voluto essere un modo di presentare la vita cristiana in maniera attraente e persuasiva per l’uomo d’oggi. A questo programma generale di evangelizzazione non poteva sottrarsi il rito della Messa. Il problema dunque fu: come possiamo presentare e organizzare la celebrazione della Messa in modo tale che l’uomo d’oggi sia attirato o interessato ad andare a Messa? La famosa costituzione Sacrosanctum Concilio nacque e fu elaborata sotto la spinta di questo intento.

Quali criteri furono seguiti per realizzare questo scopo? Ovviamente il Concilio non pensò a chi era fuori della Chiesa o addirittura ai non-credenti. Pensò agli stessi cattolici, che sentivano il bisogno di una Messa più convincente, più attraente, più persuasiva, più comprensibile.

I Padri del Concilio pensarono anche ai fratelli separati, protestanti, anglicani, ortodossi ed altri: non sarà possibile introdurre nella riforma elementi comuni a noi e a loro? Non sarà meglio attenuare elementi che possono in qualche modo urtarli? Così avvenne che il taglio del nuovo rito venne ad assumere alcune caratteristiche che avvicinarono la Messa alla Cena luterana: l’accentuazione della comunità, l’aspetto commemorativo, il tema della Cena, il presidente dell’assemblea liturgica come rappresentante della comunità, la pregustazione della Pasqua, l’abbondanza delle letture bibliche e per converso l’attenuazione degli elementi di contrasto: l’aspetto del sacrificio, la funzione passiva dei fedeli, la Messa come azione personale del sacerdote e nello sfondo di ciò diminuiva l’evidenza del fondamento cristologico: l’azione soddisfattoria vicaria di Cristo, che obbedisce al Padre che ha voluto il suo sacrificio in espiazione e riparazione dei nostri peccati.

La riforma del rito della Messa ha avvicinato i cattolici ai protestanti, ma li ha allontanati dagli ortodossi, perché ha impoverito la Messa di quella sacralità anagogica che era presente nel Vetus Ordo, più vicino in ciò alla tradizione liturgica ortodossa. Gli orientali hanno sempre avuto un senso più alto della liturgia che non i latini.

Noi latini siamo mossi dalla preoccupazione di facilitare ai fedeli la comprensione di che cosa fa il sacerdote e di coinvolgere i fedeli nell’azione liturgica, a costo di banalizzare il mistero rendendolo funzionale all’organizzazione di attività pratiche.

Gli orientali, invece, maggiormente sensibili alla trascendenza, ineffabilità e bellezza del mistero, lo lasciano nella sua incomprensibile trascendenza, lasciano l’organizzazione dell’azione ad altre forme di riunione e preferiscono iniziare i fedeli per mezzo dei segni e degli atti della liturgia come gradatamente innalzarsi verso l’esperienza del mistero. Papa Benedetto era più attento di Papa Francesco a questo aspetto misterico della liturgia.

Tutto la dogmatica tradizionale della redenzione e quindi del sacerdozio e della Messa è presente nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992, ma né Benedetto né Francesco hanno insistito su questi temi, preferendo evidenziare gli agganci ecumenici.

Benedetto, formatosi alla scuola di Guardini, grande teologo della liturgia, ha mostrato più di Francesco sensibilità per il valore teologico e misterico della liturgia, entrando in particolare consonanza con gli Ortodossi, mentre Francesco ha attirato l’attenzione dei luterani.

Conosciamo la sessantennale dolorosa vicenda dello scisma lefevriano e le alterne vicende ora di avvicinamento, ora di contrasto. Tutti conosciamo il motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto. Esso purtroppo non ottenne l’effetto di attirare i lefevriani all’obbedienza al Papa e l’accettazione del Concilio e del Novus Ordo, ma anzi i lefevriani se ne servirono per sostenere che Benedetto aveva dato ragione a loro. Ciò provocò lo sdegno di Francesco, il quale ha pubblicato il motu proprio Traditionis custodes, nel quale pone delle restrizioni alla celebrazione del Vetus Ordo. Forse avrebbe potuto mantener il Summorum Pontificum per quei cattolici amanti del Vetus Ordo, che accettano il Novus Ordo, l’autorità del Papa e le nuove dottrine del Concilio.

I rapporti con la politica e la guerra in Ucraina

Benedetto e Francesco hanno dato sagge indicazioni circa i doveri dei cattolici in politica e hanno saputo mantenere il prestigio morale della Santa Sede sul piano internazionale emanando saggi suggerimenti alle Nazioni Unite per ottenere un rafforzamento della loro autorità nella comunità internazionale, cosa urgentissima, considerando come oggi la pace nel mondo sia più che mai in pericolo a causa dello scontro fra Stati Uniti e Russia per il dominio sull’Ucraina. Il conflitto, come sappiamo, è scoppiato nel febbraio dell’anno scorso, ma era stato preparato da una guerra civile in Ucraina, nel Donbass, in atto fin dal 2014 fra filorussi e filoucraini.

Sulla necessità della riunificazione dell’Europa cristiana San Giovanni Paolo II aveva insistito a lungo con l’emanazione di importanti documenti, che ricordavano il legame secolare cristiano fra Ucraini e Russi, ma purtroppo quest’appassionata opera del Santo Pontefice, così atta a favorire la pace fra Russi ed Ucraini non è servita a nulla ed è stata inspiegabilmente ignorata da Papa Francesco, che pure ha dato significativi segnali di fraternità ecumenica al Patriarca Cirillo nel suo famoso incontro a Cuba nel 2014.

Ma poi come mai Francesco non ha seguìto le drammatiche vicende del Donbass? Non si è reso conto della posta in gioco e non ha dato importanza all’accerchiamento operato dalla NATO nei confronti della Russia, e neppure alla rinnovata tendenza imperialistica della Russia nei confronti dei paesi ex-sovietici. E adesso ci troviamo sull’orlo della terza guerra mondiale.  Benedetto, come Giovanni Paolo, ci teneva molto all’Europa cristiana e alle sue responsabilità nel mondo.

Non pare che Francesco abbia il medesimo interesse, preferendo insistere sulla varietà delle culture sparse nel mondo. Io penso invece che fosse più saggia l’impostazione degli altri due Papi, giacchè resta sempre il fatto che il centro di irradiazione del cristianesimo è Roma.

Inoltre il mio timore è che Francesco – il suo tratto di ingenuità – si sia lasciato distrarre dall’attenzione all’Europa da astuti consiglieri legati alla massoneria, chiaramente presente all’ONU e all’Unione Europea, la quale massoneria, come è perfettamente comprensibile, vuole avere mano libera per mandare avanti il suo perverso disegno di dominio mondiale, e non trovare un fastidioso intralcio o antagonismo proprio nel capo di quella Chiesa cattolica, che essa intende distruggere.   

Anche la preoccupazione di Francesco di creare Cardinali traendoli dai luoghi più lontani da Roma, col motivo dell’internazionalismo della Chiesa, e credendo che ciò potesse servire alla valorizzazione delle culture locali, non so quanto sia stata opportuna, per il fatto che purtroppo in ogni caso il modernismo si è diffuso in tutta la Chiesa, per cui un Cardinale preso dall’Uganda o dall’Amazzonia può essere benissimo un rahneriano a differenza di un Cardinale preso da Milano o da Venezia, che può essere un ottimo cattolico e tomista.

Inoltre, questi Cardinali, peraltro troppo numerosi, neppure si conoscono tra di loro, per cui è compromessa la funzione pastorale del loro Collegio di stretti collaboratori e consiglieri del Papa, i quali, per poter essere efficacemente tali, è necessario che siano affiatati fra di loro, sia pur nelle legittime  diversità.  Invece in queste condizioni non è loro concesso formare gruppi di opinione, ma restano isolati fra di loro in modo tale che il Papa può comandare su ciascuno a bacchetta senza bisogno di consultarli o di sentire la loro opinione.

Ma c’è un’altra cosa più grave che riguarda la situazione del Collegio cardinalizio, ed è il forte sospetto che in esso vi sia la radice di quel contrasto fra lefevrismo e modernismo, che da sessant’anni sta affliggendo la Chiesa[6]. Tale contrasto ebbe il suo inizio all’interno stesso dei lavori del Concilio[7], i quali, come poi sapemmo, ebbero momenti di alta drammaticità, che misero in angoscia l’animo sensibile di S.Paolo VI, poi grazie a Dio risolti con le votazioni dei singoli documenti conciliari. Ma la divisione di fondo è rimasta e sono convinto che, se lefevriani e modernisti hanno potuto perseverare in questi sessant’anni con tanta sicumera e arroganza, tanta raffinata capacità di sedurre e ingannare le anime, ciò sia dovuto all’appoggio segreto di taluni Cardinali indegni di ambo le fazioni, i quali restando nell’ombra, mandano avanti i loro propagandisti e attivisti.

Conclusione

Il papato di Francesco ha ancora delle chances. E gli auguriamo ancora molti anni di attività. Che cosa può fare ancora? Sono sicuro che non pensa più a tutte le trombonate adulatorie di Spadaro, del Card. Kasper, del Card. Madariaga, dei Maduro, dei Boff, dei D’Alema, dei Pannella, dei Melloni, degli Scalfari, dei massoni e dei comunisti.

Invece possiamo pensare che Francesco rifletta sull’esempio che gli ha dato Benedetto e riesca a indirizzare la riforma conciliare su di un cammino che realizzi meglio quell’imparzialità e quella capacità di mediazione che deve caratterizzare il Padre comune e il Pastore universale della Chiesa.

Restano comunque di Papa Francesco gli atti veramente validi, che ho elencato sopra, e sulle umane fragilità stenderemo il ben noto velo pietoso. Si iniquitates observaveris, Domine, Domine quis sustinebit?

Il prossimo Papa si troverà davanti a una duplice eredità pontificia, caso inaudito in tutta la storia del Papato: quella di Benedetto e quella di Francesco. Ha molti spunti ai quali attingere. L’opera di attuazione della riforma conciliare non è ancora finita. Occorre eliminare le vie sbagliate e percorrere la strada giusta, La nuova Pentecoste auspicata da San Giovanni XXIII deve ancora venire.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 gennaio 2023 

Benedetto e Francesco hanno dato sagge indicazioni circa i doveri dei cattolici in politica e hanno saputo mantenere il prestigio morale della Santa Sede sul piano internazionale emanando saggi suggerimenti alle Nazioni Unite per ottenere un rafforzamento della loro autorità nella comunità internazionale, cosa urgentissima, considerando come oggi la pace nel mondo sia più che mai in pericolo a causa dello scontro fra Stati Uniti e Russia per il dominio sull’Ucraina.

Il papato di Francesco ha ancora delle chances. E gli auguriamo ancora molti anni di attività. 

Immagini da Internet: https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2023/1/5/esequie-bxvi.html



[1] Esortazione apostolica Gaudete et exsultate del 19 marzo 2018, n.36.

[2] Presento sinteticamente il suo insegnamento nel mio libro La coppia consacrata, Edizioni Viverein, Monopoli, Bari, 2008.

[3] Si tratta del rapporto uomo-donna in chiave escatologica e in riferimento alla dignità della donna così come emerge dal cap.VIII della Lumen gentium dedicato alla Madonna.

[4] Si tratta del principio enunciato nell’enciclica Humanae vitae, per il quale l’unione sessuale esprime l’amore ed incrementa l’amore.

[5] Vedi la mia comunicazione SULLA DIFFERENZA TRA L’ANIMA DELL’UOMO E QUELLA DELLA DONNA, in Atti del congresso della SITA, Ed.Massimo, Milano, pp.227-234.

[6] Cf il convegno su questo tema che fu organizzato nel 2011 dal Centro culturale Vera Lux di Bologna, Passione della Chiesa. Amerio e altre vigili sentinelle. Edizioni il Cerchio.

[7] Ciò è narrato con dovizia di dettagli dal Padre Yves Congar nel suo Diario del Concilio (1960-1966), 2 voll., Edizioni San Paolo 2005.

7 commenti:

  1. "Ora bisogna dire che se i lefevriani non possano dirsi eretici, ci chiediamo però se si può considerare ortodossia integrale quella che esclude il Magistero della Chiesa da San Giovanni XXIII ai nostri giorni".

    Alla domanda che lei si pone e pone a noi lettori, la risposta è ovviamente no: non si può chiamare ortodossia integrale quella dei lefebvriani, quando rifiutano il Magistero della Chiesa da san Giovanni XXIII ai giorni nostri.

    Mi chiedo però come mai lei, padre Cavalcoli, neghi lo stato di eresia (almeno materiale e oggettiva) in cui si trovano i lefebvriani (ora lei dice: "i lefevriani non possano dirsi eretici") se in altre occasioni ha indicato con chiarezza almeno tre o quattro eresie di Lefebvre e dei suoi seguaci, e ha ripetutamente affermato che sono eretici e scismatici.
    Ho ben chiara l'assoluta coerenza e chiarezza di argomentazioni che padre Cavalcoli ha sempre dimostrato, tanto che non posso fare a meno di presumere che qui ci sia qualche spiegazione per la sua attuale affermazione che i lefebvriani non sono eretici.

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    1. Caro Marino,
      io sono propenso a ritenere eretici i lefevriani, perché Mons. Lefebvre ritenne che le dottrine nuove del Concilio e la Messa Novus Ordo contenessero elementi ereticali. Ora, è chiaro che chi accusa di eresia la dottrina della Chiesa non può che essere a sua volta eretico.
      Oltre a questo aspetto, è molto più evidente l’atteggiamento scismatico, anche perché è stato citato da Papa Francesco nel Motu Proprio Traditionis Custodes.

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  2. Dire che "giornalisti di vaglia" come Aldo Maria Valli e Marco Eugenio Tosatti "non sono privi di eccessi critici verso Francesco" è un'espressione molto benevola e diplomatica di padre Cavalcoli per coloro che non solo hanno firmato articoli filo-lefebvriani ma hanno ospitato e hanno continuano a ospitare articoli di altri autori chiaramente libellisti e propagandisti del passatismo più estremo.

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  3. Caro Padre,
    per favore, le chiedo conferma se nel primo paragrafo del punto sotto il titolo: "La drammatica questione del sesso", si riferisce a Papa Benedetto.
    Lei dice che: "Purtroppo il linguaggio di Papa Benedetto non è sempre stato chiaro in merito..."
    Lei si riferisci a papa Benedetto o a papa Francesco?

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    1. Cara Juliana,
      apprezzo il suo acume! Effettivamente ho commesso uno scambio di nomi. Intendevo infatti riferirmi a Papa Francesco, per cui ho corretto subito il testo.

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  4. "Ora, dobbiamo constatare che ancor oggi come oggi, anche negli ambienti migliori della compagine ecclesiale, il pensiero di Giovanni Paolo II non è stato recepito. Lo testimonia il fatto che né Benedetto né Francesco ne hanno mai fatto parola".

    Caro Padre Cavalcoli,
    non riesco a immaginare il Romano Pontefice, essendo suo compito specifico quello di confermare la fede della Chiesa, senza sapere distinguere ciò che è dottrina di fede, da ciò che è semplice opinione teologica.
    Possibile che sia papa Benedetto sia papa Francesco abbiano capito che il pensiero di Giovanni Paolo II era una semplice opinione teologica e non un vero atto di magistero pontificio?
    Correggetemi se sbaglio, ma capisco che Papa Giovanni Paolo II, nella materia qui trattata, ha compiuto un vero sviluppo dogmatico della fede della Chiesa. Non è così?

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    1. Caro Silvano,
      non è pensabile che i Papi Benedetto e Francesco non abbiano saputo distinguere se nell’insegnamento di San Giovanni Paolo II, riguardo al sesso, si trattava di opinioni personali o di magistero. Hanno capito benissimo che si tratta di magistero. Ma il punto è un altro.
      Si è trattato invece di una scelta pastorale, che hanno ritenuto di dover fare, ma che a me è sembrata non opportuna per il fatto che l’insegnamento di quel Santo Pontefice è proprio la medicina che ci vuole per l’attuale situazione.
      Infatti la Chiesa viene fuori da un lungo periodo di eccessiva severità nel campo dell’etica sessuale, una impostazione di tipo platonico, che mirava più alla separazione dal corpo che non alla resurrezione del corpo, resurrezione della quale possiamo pregustare le primizie fin dalla vita presente (Rm 8,23). Oggi viceversa si è diffusa una tendenza lassista e permissivista, che è altrettanto pericolosa, soprattutto per quanto riguarda l’omosessualità e il gender.
      Sono convinto che, se oggi la Chiesa presenta la sessualità umana nella forma positiva nella quale l’ha presentata Papa Wojtyla, ciò servirà a rasserenare gli animi, a smorzare le polemiche contro l’etica sessuale cattolica e a rimediare a tanti peccati di sesso, che oggi vengono commessi ed esaltati, come se si trattasse di un fenomeno di libertà.
      Uno spunto luminoso in questo senso ci viene dalle parole di Papa Francesco: “Il sesso è un dono di Dio”. Questo è tutto il succo dell’insegnamento di San Giovanni Paolo II.
      Questo non vuol dire che non sia sempre doverosa una certa pratica ascetica, ecco la pratica della castità, motivata dal fatto che ci troviamo tuttora in uno stato di natura decaduta, ma il graduale sorgere dell’uomo nuovo, di paolina memoria, ci dà la forza di realizzare quell’unione tra spirito e carne e tra uomo e donna, che corrisponde alla volontà originaria ed escatologica di Dio.
      Lo sviluppo dottrinale sul sesso umano, proposto da Papa Wojtyla, offre la base per il rispetto verso la donna e apre alla collaborazione tra uomo e donna a tutti i livelli, nella Chiesa e nella società. Questo punto è stato effettivamente trattato, e in parte realizzato, sia da Papa Benedetto che da Papa Francesco.

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