La mente e il cervello (Lezione tenuta all’Università di Parma il 26 ottobre 2010) - Terza Parte (3/3)

 La mente e il cervello 

Terza Parte (3/3)

(Lezione tenuta all’Università di Parma il 26 ottobre 2010)*

 

http://www.arpato.org/ 

http://www.arpato.org/studi.htm (P. Giovanni Cavalcoli, n. 59)

 

3.I poteri e i prodotti della mente

          Il linguaggio manifesta il pensiero o le intenzioni. In base alla percezione di alcuni suoni o segni sensibili significativi prodotti dai nostri simili noi comprendiamo in linea di principio un messaggio intellegibile, un noetòn, un qualcosa di astratto dal tempo e dallo spazio e quindi un qualcosa di immateriale - il pensiero -, che però può coinvolgerci con estrema serietà ed interessarci profondamente: pensiamo ad una dichiarazione d’amore o al condannato che ascolta la sentenza del giudice o al fortunato che sente alla TV di aver vinto un premio favoloso.

 

          Il pensiero in generale è la facoltà mentale di rappresentare contenuti intellegibili, anche inesistenti o meramente possibili. Si distingue dal conoscere, che è invece apprensione intenzionale di oggetti reali. Ogni conoscere è un pensare, ma non ogni pensare è un conoscere. Posso pensare a un cavallo con le ali, ma non posso vedere in cielo un cavallo con le ali, se almeno sono sano di mente.

 

          Il pensiero, mediante l’uso della fantasia e dell’immaginazione - è chiarissima qui la base cerebrale -, è quella facoltà mentale che è all’origine delle opere dell’arte e della poesia.

 

          Il pensiero esprime concetti, giudizi e ragionamenti. E’ tutto il mondo studiato e sistematizzato dalla logica, dalla dialettica, dalla retorica, dall’epistemologia, dalla gnoseologia e dalla psicologia, che costituisce il mondo del sapere, della scienza, dell’arte, della morale,  della virtù, della religione, della letteratura e della cultura in genere. Un mondo dove sentiamo che si gioca il nostro destino, dove troviamo i valori più alti e significativi per la nostra vita, la nostra esistenza, la nostra dignità umana, la nostra felicità.

 

          L’intelletto (intellectus) è la facoltà intuitiva della mente.         La ragione (ratio) è quella funzione mentale per la quale l’intelletto, nel tempo, ordina i concetti, forma i giudizi e i ragionamenti fino a giungere, quando è possibile, mediante la dimostrazione (demonstratio) o sillogismo (syllogismus), al sapere scientifico (scientia), che si definisce come conoscenza certa mediante le cause (cognitio certa per causas).

 

          La volontà è l’appetizione del bene intellegibile. Quella funzione del volere per la quale padroneggiamo i nostri atti di pensiero e divolontà (ne siamo “responsabili”) governando i centri cerebrali dei muscoli volontari è il libero arbitrio.

 

          L’affettività sensitiva si attua nell’esercizio delle passioni (o emozioni). Esse sono moti dell’appetito sensitivo. Il loro atto è parzialmente materiale, in quanto ha una base cerebrale e comporta mutamenti corporei, per esempio nell’apparato circolatorio e in quello digestivo, ma parzialmente è anche immateriale, in quanto fondate sulla conoscenza sensibile e quindi aventi per oggetto rappresentazioni sensibili. La volontà può moderare le passioni, spegnerle o incentivarle utilizzando i corrispondenti centri cerebrali.

 

          Si distingue la ragione speculativa dalla ragion pratica. La prima è ordinata alla semplice conoscenza della verità. La seconda alla direzione degli atti umani e quindi all’acquisto della virtù.

 

          Il giudizio (iudicium) è l’assenso mentale ad una composizione di concetti (soggetto e predicato), per mezzo della quale la ragione intende pronunciarsi sul significato delle cose (scienza) o della condotta o del pensiero altrui (interpretazione).

 

          La coscienza (conscientia) è quell’atto della mente per il quale l’intelletto si volge a se stesso e riflette su se stesso e sui propri contenuti a priori o a posteriori. Il concetto dell’io sorge dall’autocoscienza e precisamente dalla coscienza di pensare (Cartesio). La coscienza può essere o speculativa o morale. La prima serve ad edificare la scienza, la seconda è regola dell’agire morale (synderesis). Nello stato di veglia la coscienza è sempre in funzione, almeno implicitamente.

 

          L’inconscio (cognitio habitualis) può essere normale o patologico. E’ normale, se inteso come patrimonio di contenuti mentali depositato nella memoria allo stato latente. Esso contiene ricordi, attitudini, propositi ed abitudini non attualmente emergenti alla coscienza. Come c’è la coscienza sensibile e la coscienza intellettuale, così c’è l’inconscio sensibile e l’inconscio spirituale.

 

          E’ patologico, quando certi stati morbosi, come la corruzione del cervello, causano la perdita della coscienza. 

 

          Nel sonno, in quanto riposo o recupero delle forze, si ha una forma di inconscio normale sia di tipo sensibile che spirituale. Nel sogno manca solitamente una lucida coscienza intellettuale ed un cosciente esercizio del volere, ma si dà una coscienza sopraffatta da un’immaginazione caotica, distinta dal un’ordinata coscienza sensibile propria dello stato di veglia.

 

          Questa situazione di disordine, spesso sgradevole (per esempio gli incubi), anche se normale, è causata dal fatto che la volontà paralizzata dall’immaginazione e dalle pulsioni disordinate dell’istinto, per cui non riesce a selezionarle e a dominarle. In queste situazioni il cervello lavora da solo senza controllo da parte della volontà. Tuttavia questi processi per quanto fastidiosi sono utili ed anzi necessari per il risposo del cervello e il recupero delle sue forze. È un po’ come l’aria maleodorante che si solleva quando passa l’autocarro della raccolta dei rifiuti: bisogna sopportare.

 

          Indubbiamente esistono anche sogni deliziosi, entusiasmanti o bellissimi, tanto che “sogno” è anche immagine di una cosa amabile ed irraggiungibile per la sua elevatezza. Pensiamo al fenomeno culturale del romanticismo. In questi casi, piuttosto rari, il cervello non ha scorie da eliminare, ma riposa sotto l’influsso di energie di alta qualità nervosa.

 

          Durante il sonno comunque la mente sospende l’attività per far riposare e ritemprare l’attività cerebrale lasciandola in piena autonomia senza il controllo della ragione. Il sonno subentra irresistibilmente quando l’attività cerebrale affaticata non obbedisce più ai comandi della mente e l’attenzione diventa impossibile, con la conseguenza della paralisi dell’attività razionale.      

 

          La memoria è in generale la facoltà di conservare ed evocare le impressioni e i contenuti conoscitivi ricevuti dall’esterno o elaborati all’interno del soggetto. Si distingue una memoria sensibile, propria anche degli animali, da una memoria intellettuale o mentale, propria dell’uomo.

 

          È dimostrato che l’esercizio delle attività mentali sviluppa le prestazioni cerebrali e nei tempi lunghi dell’evoluzione accresce le stesse dimensioni del cervello. Anche nel linguaggio popolare, per parlare di una persona dotta, si dice: “è un cervellone”. Ed infatti nel corso dell’evoluzione, sappiamo come nel tempo il cervello umano sia aumentato di volume grazie al progressivo esercizio delle attività mentali legato alla selezione naturale, ossia alla sopravvivenza dei soggetti più intelligenti.

 

4. L’origine delle attività mentali

 

          La vita cerebrale è ordinata all’esercizio della conoscenza sensibile ed intellettuale, ma questa vita di per sé supera immensamente le semplici funzioni fisioneurologiche del cervello, che sono attività fisiche, mentre il conoscere, in quanto atto col quale il conoscente acquisisce immaterialmente mediante una rappresentazione, la forma di un oggetto esterno, consente al soggetto di non restare chiuso nella propria forma ontologica, cosa che ancora avviene nella semplice attività neurologica, ma di acquisire, seppur solo intenzionalmente, la forma di una quantità indefinita di altri oggetti. 

 

          L’attività conoscitiva che emana dal cervello non può essere prodotta dallo stesso cervello, in quanto è superiore alla stessa attività fisiologica cerebrale. In particolare, la potenza del pensiero non si spiega sufficientemente con le forze della materia e quindi con le semplici attività del cervello, del sistema nervoso e del corpo in genere.

 

          Indubbiamente i dinamismi e le funzioni cerebrali sono capaci nell’animale - ed anche noi siamo animali – di produrre la conoscenza e l’affettività sensibili proprie dell’animale, il che vuol dire che la materia, nel vivente animale, è meravigliosamente e quasi prodigiosamente capace di autotrascendersi ad una certa immaterialità (il lupo conosce non solo questo agnello, ma l’agnello in sé).

 

           Ma se la materia è capace di questa meraviglia, lo fa pur sempre non in quanto materia, ma in quanto animata dalla forma psichica, per cui essa resta pur sempre materia, le cui forze e prestazioni - come è dimostrato dai corpi inanimati - stanno infinitamente al di sotto di ciò che può produrre la mente animale ed ancor più la mente umana, cioè tutti i valori teorici e pratici che ho elencato brevissimamente sopra. 

 

          A questo punto s’impone un’esigenza imprescindibile della ragione e della scienza, frustrata la quale scienza e ragione sono impossibili o perfettamente illusorie: il principio di causalità e qui penso in modo speciale alla causa efficiente sufficiente e proporzionata, ossia quella causa che sia effettivamente esplicativa e informativa, tale da far aumentare il sapere e dare soddisfazione al bisogno di verità proprio della ragione.

 

          Il principio di causalità ha il compito di istruire la nostra mente o la nostra ragione informandola su ciò che dà all’effetto empiricamente constato il suo fondamento o la sua ragion sufficiente di esistenza e di essenza. La causa ci dice quindi ciò che l’effetto non ha, non può avere e che nel contempo ci dice perché l’effetto esiste ed è fatto così. 

 

          Una causa che contenesse una intellegibilità uguale o inferiore a quella contenuta dall’effetto, non sarebbe una vera causa, non spiegherebbe niente, non farebbe aumentare il nostro sapere, non darebbe soddisfazione alla nostra domanda di senso e di fondamento. Avanzare una “causa” del genere non sarebbe far scienza, ma sarebbe un’impostura. Se mi si dice che un bambino di dieci anni solleva il peso di un quintale, capisco immediatamente che quel bambino non ha la forza comune ad a un soggetto di dieci anni. La causa che gli permette di fare una cosa simile è certamente assai più potente della forza normale in un bambino di dieci anni.

 

          Così, analogamente (ecco il principio di analogia), se nell’uomo (e quindi anche in me stesso) io constato che produce effetti sensibili e sperimentabili i quali mediano valori il cui livello ontologico è superiore a quanto possono raggiungere le energie della materia, nella fattispecie il cervello e il suo sistema nervoso, al fine di rispettare le suddette imprescindibili esigenze del principio di causalità, che conseguenze logiche devo trarre?

 

           Che il cervello produce il pensiero, il concetto, la parola, il giudizio, il ragionamento, la scienza, la coscienza, la cultura, la virtù, l’arte, la sapienza, la religione, la santità? Sono sufficienti le attività cerebrali a dar ragione sufficiente a queste cose? O forse le attività cerebrali, per quanto complesse, meravigliose e capaci di effetti stupefacenti restano tuttavia infinitamente al di sotto dei prodotti di quel principio sufficiente che a questo punto, per essere ragionevoli, non possiamo non ammettere e che chiamiamo mente ed intelletto?

 

          Il cervello produce attività fisiche che sono oggetto della neurofisiologia cerebrale e più in generale della scienza sperimentale; ma i prodotti del pensiero, come abbiamo visto, sono immateriali e denotano la presenza attiva nel cervello  di un’energia o di un potere vitale produttivo ben superiore a quanto il semplice cervello può fare con le sue attività proprie empiricamente constatabili. Da qui la necessità di ammettere, sia pur sempre immanente al cervello, la presenza di una causa che spieghi la superiore potenza delle attività del pensiero e della volontà, una causa veramente proporzionata all’effetto.

 

5.L’obiezione dell’evoluzionista.

 

          Lo so che a questo punto incontriamo la tradizionale spiegazione evoluzionistica. Infatti il paleoantropologo è ben al corrente, come sappiamo, del fatto che nella storia della vita, la vita animale è apparsa prima di quella razionale umana. Ma quale conclusione trarre da ciò? I materialisti affermano allora che lo spirito è sorto dalla materia in un certo passato del processo evolutivo. In tale affermazione essi possono appigliarsi ad una parte di verità relativa alla natura stessa del principio di causalità, per il quale la causa vien prima dell’effetto.

 

          Tuttavia questo “prima” causale non va inteso necessariamente in senso temporale, ma sempre comunque in senso ontologico: la causa per esser causa, dev’essere ontologicamente di più dell’effetto, per i motivi che ho detto prima, secondo l’adagio scolastico: propter quod unumquodque et illud magis: tutto avviene per un motivo (o causa o ragione) e questo vale di più (è di più).

 

          Non basta constatare che la vita umana è preceduta, nell’evoluzione, dalla vita animale. Il problema dell’origine dello spirito umano e delle sue attività richiede una causa sufficiente e proporzionata all’elevatezza e alla potenza di queste stesse attività, che fanno cose che la semplice attività fisioneurologica del cervello non riesce a svolgere, benchè indubbiamente il suo normale funzionamento sia condizione fisica indispensabile per il normale svolgimento delle attività spirituali, morali ed intellettuali, come già aveva intuito l’antica saggezza romana, benchè non sapesse nulla delle attività cerebrali: mens sana in corpore sano.

 

          Torniamo all’esempio del bambino che solleva un peso. Se mi si dice che Paolino di dieci anni ha sollevato da terra il nonno che pesa 120 kg, mi vien subito il pensiero o che mi raccontano una frottola o che è avvenuto un miracolo, per cui Paolino ha agito grazie ad una forza soprannaturale. Mi guarderò bene dallo spiegare il gesto con la teoria dell’evoluzione, per la quale Paolino è attualmente il risultato della sua precedente crescita dalla condizione di zigote a quella di embrione, feto e così via.

 

          Analogamente non ha senso spiegare l’apparizione del pensiero con la precedente evoluzione che scende nel passato verso gli animali e le stesse piante. Non si tratta di vedere che cosa è successo prima, ma che cosa sta succedendo adesso. Occorre porre una causa sufficiente e proporzionata che agisce adesso. E poiché l’effetto è spirituale, non può che essere una causa spirituale: ecco l’intelletto e la volontà.

 

          Ma l’applicazione del principio di causalità non finisce qui. L’attività della mente emana da una potenza o facoltà, la quale nell’uomo non è sempre in atto. Dunque la mente non sussiste da sé. Occorre darla un soggetto nel quale essa possa sussistere. Ma se la mente è immateriale, anche il suo soggetto dovrà essere immateriale. E questo soggetto è l’anima.

6.Critica di alcune interpretazioni.

      Esistono fondamentalmente due errate concezioni del rapporto mente-cervello: il monismo e il dualismo. La prima confonde, la seconda contrappone e divide.

 

          Monismo. È quella visione dell’uomo, la quale, se distingue materia (cervello) e spirito (mente), non li vede come componenti dell’uomo realmente distinti fra loro, ma secondo una mera distinzione concettuale, come due punti di vista o modi diversi di considerare il medesimo uomo o di realizzarsi del medesimo uomo. 

 

          La visione monistica è mossa dalla giusta esigenza di concepire l’individuo come un tutt’uno; ma esagera in tale esigenza confondendo due dimensioni dell’uomo che vanno realmente per quanto imperfettamente distinte. Distinzione imperfetta perché in realtà il corpo umano è un corpo animato, per cui la distinzione tra anima e corpo è tra anima e corpo animato: l’anima si trova in entrambi i termini della distinzione. La distinzione radicale è tra anima come forma sostanziale dell’uomo e la materia prima del corpo umano.

 

          Tuttavia la distinzione o separabilità mente-corpo si afferma con chiarezza se non altro al momento della morte: la mente, essendo spirituale, è immortale, il corpo invece, come cadavere, vien posto nel sepolcro.

 

          Il monismo ha due forme: quella materialistica e quella idealistica.

 

          Materialismo. Ne abbiamo già accennato. E’ quella concezione del rapporto cervello-mente la quale non riconosce sufficientemente il valore dell’attività mentale. La visione materialista può avere due forme: o quella di tipo positivistico, per la quale lo spirito non esiste, per cui l’attività mentale non è che un prodotto del cervello. Oppure esiste la visione evoluzionistica, la quale ammette l’esistenza dello spirito, ma l’attività mentale è l’effetto di un autosuperamento della materia.

 

          Si deve dire pertanto che il materialista sia dell’uno che dell’altro tipo non dà una sufficiente spiegazione dell’attività mentale, perché non ne comprende l’immaterialità e in speciale modo non afferra la superiorità dello spirito sulla materia.

 

          Questa teoria si critica facendo osservare che il materialista, che vanta l’uso del metodo sperimentale, non gli è fedele, in quanto è appunto l’esperienza che attesta nel comportamento umano certi fenomeni, come l’esperienza della coscienza e della libertà, il fenomeno del linguaggio, dell’arte, della tecnica, della religione e della morale, fenomeni tutti che non sono sufficientemente spiegabili con la semplice causalità o energia materiale, ma occorre invocare una causalità superiore, sufficiente e proporzionata, infinitamente più potente ed efficiente, che è lo spirito, il quale non sorge dalla materia e non è una trasformazione della materia, ma sussiste ed esiste da sé, per conto proprio, indipendentemente dalla materia, e capace di governare e plasmare la materia.

 

          Idealismo. Se il materialismo riduce lo spirito alla materia, l’idealismo riduce la materia allo spirito, l’essere al pensiero. Per il materialista lo spirito è un fenomeno della materia; per l’idealista la materia è prodotto, manifestazione o apparizione dello spirito. Anche per l’idealista dunque non c’è distinzione reale fra materia e spirito. Mentre però per il materialista la realtà è solo materia, per l’idealista la realtà è solo spirito (idea, pensiero, coscienza).

 

          L’idealismo si può confutare con due argomenti, che traggo da S.Tommaso d’Aquino. In primo luogo, affermo che se l’essere materiale reale coincidesse con l’essere materiale pensato (o ideale), sparirebbe l’oggettività della conoscenza e ognuno avrebbe ragione, anche se si verificassero posizioni tra loro contradditorie. Ma ciò vorrebbe dire negare la conoscenza servendosi della conoscenza. Il che è assurdo. C.V.D.

 

          In secondo luogo, se la realtà materiale coincidesse con l’idea della stessa, tutte le scienze dovrebbero risolversi nella psicologia, la quale appunto ha per oggetto le idee dell’uomo. 

 

          Infine esiste l’argomento semplicissimo di Kant, a tutti comprensibile: se 100 talleri reali fossero lo stesso che 100 talleri pensati, sarebbe comodo al datore di lavoro pagare l’operaio con i secondi anziché con i primi; ma bisognerebbe vedere se l’operaio è soddisfatto.

 

          Il dualismo. Il dualismo, a differenza del monismo che esagera l’unità mente-cervello fino a confondere, è eccessivamente preoccupato della distinzione fino a concepire mente e cervello quasi fossero due soggetti completi distinti e quindi a spezzare l’unità dell’individuo umano. Famoso è rimasto il dualismo cartesiano di res cogitans e res extensa. Esso ha un suo antenato nell’antropologia platonica e in quella brahmanica, per le quali la mente (o anima, atmàn in sanscrito) non soltanto è spirituale ed immortale, ma preesiste al corpo, e costituisce da sé sola la persona umana, mentre il corpo è congiunto all’anima in modo solo accidentale e passeggero, e corrisponde ad una condizione di decadenza dell’anima, originariamente divina.

 

          In questa visuale il corpo (e quindi il cervello), non è uno strumento naturale della mente, ma è un peso e un ostacolo. L’unione col corpo è una sventura, dalla quale l’anima deve liberarsi (moksa), per cui la prospettiva della felicità è l’esercizio della pura attività mentale senza il concorso di alcuna attività corporea.

 

          Confutazione. La mente non è distinta dal cervello quasi fosse un soggetto distinto da un altro soggetto che sarebbe il cervello, ma come principio o forma vitale spirituale immanente al cervello, che dà vita al cervello, onde formare, col resto del corpo umano, una sola sostanza, un solo soggetto, che è l’individuo umano, composto di anima e corpo.

 

          E il cervello, quando è sano (sanità psichica) e ben governato dalla volontà (salute morale), non è affatto di ostacolo all’attività mentale, anzi la rende possibile e normale, tanto che, come è noto, l’infermità mentale o la decadenza cerebrale ostacolano, alterano o rendono impossibile la normale attività mentale, benchè resti vero che questa è distinta dall’attività cerebrale e ad essa superiore, tanto da potersi esercitare benchè imperfettamente - come si dimostra in filosofia e come è convinzione delle religioni -, anche in assenza del corpo.

 

          Alcuni designano con disprezzo come “dualismo” la concezione che abbiamo esposto prima di questa e che riteniamo quella giusta, confondendola con questa. In realtà, come spero di aver dimostrato, io non pongo nessuna divisione o nessun conflitto tra mente e cervello; semplicemente distinguo senza separare ed unisco senza confondere.

 

Padre Prof. Giovanni Cavalcoli, OP

 

L’attività conoscitiva che emana dal cervello non può essere prodotta dallo stesso cervello, in quanto è superiore alla stessa attività fisiologica cerebrale. In particolare, la potenza del pensiero non si spiega sufficientemente con le forze della materia e quindi con le semplici attività del cervello, del sistema nervoso e del corpo in genere.

Indubbiamente i dinamismi e le funzioni cerebrali sono capaci nell’animale - ed anche noi siamo animali – di produrre la conoscenza e l’affettività sensibili proprie dell’animale, il che vuol dire che la materia, nel vivente animale, è meravigliosamente e quasi prodigiosamente capace di autotrascendersi ad una certa immaterialità (il lupo conosce non solo questo agnello, ma l’agnello in sé).

 

Ma se la materia è capace di questa meraviglia, lo fa pur sempre non in quanto materia, ma in quanto animata dalla forma psichica, per cui essa resta pur sempre materia, le cui forze e prestazioni - come è dimostrato dai corpi inanimati - stanno infinitamente al di sotto di ciò che può produrre la mente animale ed ancor più la mente umana, cioè tutti i valori teorici e pratici che ho elencato brevissimamente sopra.

Il cervello produce attività fisiche, che sono oggetto della neurofisiologia cerebrale e più in generale della scienza sperimentale; ma i prodotti del pensiero, come abbiamo visto, sono immateriali e denotano la presenza attiva nel cervello  di un’energia o di un potere vitale produttivo ben superiore a quanto il semplice cervello può fare con le sue attività proprie empiricamente constatabili. Da qui la necessità di ammettere, sia pur sempre immanente al cervello, la presenza di una causa che spieghi la superiore potenza delle attività del pensiero e della volontà, una causa veramente proporzionata all’effetto.

 

Immagini da Internet

5 commenti:

  1. Rev. Padre Cavalcoli,
    da tempo, non pago degli ordinari vocabolari, rifletto sul significato di alcune parole, al fine di ottenerne una giusta distinzione. Alcune di queste parole sono tra quelle da lei citate nel presente articolo del Suo blog, altre no. Le pongo qui pertanto alcune domande, sperando possa e voglia rispondermi a riguardo, magari fugando i miei dubbi.

    1) Perché Mente, Intelletto e Intelligenza si considerano sovente come sinonimi, ancorchè evochino "aspetti" diversi? E peraltro, considerato l'essere "uno" come trascendentale di ogni ente, è verosimile considerare due o più parole sinonimiche come fossero omonime?

    2) se l'Intelletto è una potenza dell'anima (o, più specificamente, della Mente), qual è il suo atto?

    3) Che differenza di significato c'è tra le coppie terminologiche Intelligenza/Intellezione e Intuito/Intuizione? Infatti, ragionando secondo l'etimo sarei propenso ad affermare che la prima è subordinata all'uso di un "giudizio realistico e consapevole", e tuttavia la seconda ha priorità cronologica. Ma mi pare che la questione sia ben più complessa di così... Se sono considerate rispetto all'esperienza, infatti, entrambe le coppie di parole evocano ordinariamente atti subordinati all'uso degli organi della vista (o della memoria legata all'esperienza visiva). Eppure, rammento, non è tanto la vista che ci è richiesto prioritariamente di esercitare (Luca 8, 16-18), pertanto il "vedere" dell'anima non mi pare propriamente accostabile (se non per traslato) a tale senso. Se con l'udito infatti si ode se stesso e gli altri, con la vista non si vede se stessi, se non tramite uno specchio.

    Ringraziandola per tutto il suo lavoro, per i suoi preziosi materiali tanto generosamente offerti, nonché per ogni eventuale responso ai miei quesiti, la saluto cordialmente.
    Nicola Manca
    LJC

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    1. Caro Nicola, rispondo alle sue domande:
      1) Intelletto e intelligenza sono sinonimi. Essi esprimono un concetto diverso da quello di mente. La mente è la facoltà di pensare, che include il conoscere. Il conoscere è un pensare, ma pensare non è necessariamente conoscere o sapere.
      La mente è soggettata nell’anima insieme con la volontà a costituire le due potenze dello spirito. Il soggetto della mente è l’intelletto. Nel conoscere io sono necessitato dall’oggetto e legato alla realtà. Invece nel pensare, posso pensare quello che voglio ed uscire dal reale per vagare nell’ideale o nell’immaginario.
      Col termine “mente” si intende la psiche, che è l’oggetto della psicologia sperimentale. In questo senso parliamo di “malato di mente” riferendoci ad un soggetto psicopatico, che è oggetto delle cure dello psichiatra o dello psicanalista.
      I sinonimi – per esempio intelletto e intelligenza – sono altra cosa dagli omonimi – per esempio verso come direzione e verso come detto poetico -.

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    2. 2) L’atto dell’intelletto è la visione del vero. Ciò avviene:
      - o in logica:
      • L’intelletto concepisce:
      A. concettualizza: forma il concetto;
      B. giudica: l’atto del giudizio,
      C. ragiona: forma il sillogismo;
      D. riflette: torna su se stesso:
      1. autocoscienza: coscienza del sé;
      2. coscienza: coscienza del pensato,
      - o in gnoseologia:
      1. l’intelletto penetra nell’oggetto (intus-lego): l’intuire o intelligere;
      2. l’intelletto abbraccia l’oggetto: comprende o capisce.

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    3. 3) La differenza è data dal fatto che l’intellezione è atto dell’intelligenza e l’intuizione è atto dell’intuito.
      Entrambe le coppie terminologiche si riferiscono ad un giudizio realistico e consapevole.
      Quanto alla priorità cronologica, esiste una priorità cronologica nella mente umana della facoltà o potenza nei confronti dell’atto, cioè l’intuizione segue cronologicamente all’intuito e l’intellezione segue cronologicamente all’intelligenza.

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    4. La vista spirituale è già stata paragonata da Platone alla vista fisica, perché, partendo dall’esperienza dei sensi, che è quella che ci è più immediatamente certa, noi saliamo alla comprensione della attività intellettuale, la quale, essendo immateriale, è per noi di più difficile comprensione, benché noi troviamo la perfezione del nostro spirito e la nostra più grande gioia nella attività dello spirito.
      La vista e l’udito sono usati dalla Sacra Scrittura e nel Magistero della Chiesa per simboleggiare rispettivamente la visione di Dio e la conoscenza dei dati della fede (fides ex auditu). La fede, come insegna San Paolo, proviene dall’ascolto del predicatore. Invece la visione di Dio ci è promessa come premio nella vita eterna.

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