Apologia della metafisica - Parte Seconda (2/2)

 Apologia della metafisica

Parte Seconda (2/2)

 Cristo ci conduce alla fine di un cammino che abbiamo già iniziato

La metafisica nasce, come osserva Aristotele, dalla meraviglia davanti a uno spettacolo nuovo. Vediamo un fatto mirabile e ci chiediamo da dove viene, chi lo ha prodotto, quale ne è stata la causa, che scopo ha. La nostra ragione, sin dall’immediato suo svegliarsi nel fanciullo, s’interroga spontaneamente sulla causa delle cose e, riflettendo, comprende con certezza che ogni cosa è ciò che è e non altro da sè e che quindi una medesima cosa non può essere e non essere simultaneamente sotto lo stesso aspetto, che l’essere non è il non-essere, che il divenire è un passaggio dalla potenza all’atto, il necessario è la causa del contingente, l’assoluto è il fondamento del relativo, l’immutabile è la necessaria condizione della mutabilità, l’agente tende a un fine.

Così essa sa che se segue docilmente il suo impulso che la spinge verso la verità, se procede spontaneamente e liberamente nel suo cammino,  se non è bloccata da cattiva volontà, giunge a sapere che esiste Dio e a conoscere i valori fondamentali della vita e dell’esistenza.

La ragione si accorge, cioè, che «dalla grandezza e bellezza delle creature si conosce per analogia l’Autore» (Sap 13,5) e, se non vaneggia nel ragionare, capisce che gli enti con i quali viene a diretto contatto, sono opere compiute da un sommo Artefice, che è Dio creatore (cf Rm 1,19-20). E non occorre la metafisica per comprendere questo?

Se dunque esistono enti, quali quelli che constatiamo per esperienza, che non hanno in sé la ragione del proprio esistere, bisogna ammettere l’esistenza di un ente assoluto, perfettissimo, altissimo ed infinito, che esista non da altro, ma da sè, in forza della sua stessa essenza, id quo nihil maius cogitari potest, appunto Colui Che è, Colui la cui essenza è quella di essere, causa creatrice degli enti dal nulla. E non occorre la metafisica per comprendere queste cose?

Sappiamo quanto sta a cuore al Santo Padre il valore della diversità ai fini del rispetto dell’altro e di una fraterna e concorde convivenza umana. Sappiamo quanto valore ha la concezione biblica dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Ebbene, tutti questi valori suppongono la percezione dell’analogia dell’essere, uno e molteplice ad un tempo. E dove troviamo la giustificazione di tutti questi valori, se non nella metafisica?

Quando Cristo ci parla di Dio Padre, quando ci rivela il suo esser Figlio e l’esistenza dello Spirito Santo, parla evidentemente a noi che già sappiamo, in base alla nostra ragione o eventualmente edotti dall’Antico Testamento, che Dio esiste, è uno solo, è essere sussistente, spirito, sapienza e bontà infiniti, eterno, onnipotente, provvidente, creatore del cielo e della terra, giusto e misericordioso.  Cristo quindi aggiunge su Dio nuove verità, superiori e supreme rispetto a quelle che già sapevamo in base alla ragione; e quale ragione, se non quella metafisica?

Cristo nel rivelarci la sua dottrina divina e soprannaturale, non smentisce le verità naturali, razionali e metafisiche che già possediamo, ma le esige, le conferma, le corregge da eventuali errori e ad esse aggiunge la sua dottrina divina, che trascende la nostra ragione.

La luce di Cristo non ci appare nel buio totale, ma illumina i lati oscuri ed aumenta la luce già posseduta dalla lampada della nostra ragione. E questa lampada è la metafisica. Chi crede di dover accogliere la fede ignorando, mettendo in crisi o rifiutando quelle certezze che già possiede, salvo che non siano false,  non arriva neppure alla certezza della fede.

«Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce», dice il Signore (Gv 18,37). Chi si crogiola nel buio e non accetta la verità evidente e facile che già conosce o di essa dubita, come ha fatto Cartesio, non ama la verità e non accetterà neppure la ben più ardua e misteriosa verità della fede. Chi disprezza la ragione e la metafisica, si inganna, se crede di avere la fede; crederà a delle assurdità e a delle favole.

Credere che la fede illumini una ragione intorbidita o totalmente al buio è il difetto del fideismo luterano, che crede così di esaltare la fede, umiliando la ragione, ma non è questa la vera umiltà. La vera umiltà è accogliere anzitutto quelle verità che la ragione può sapere. E sono le verità della metafisica. E poi potrà assurgere alle più alte e misteriose verità della fede.

La dottrina di Cristo viene dunque accolta da una ragione già in possesso delle sue certezze originarie e fondamentali concernenti l’esistenza della verità, la conoscibilità del reale, l’esistenza di Dio e dello spirito, il valore della conoscenza, l’autocoscienza, il testimonio della coscienza, la percezione del dovere morale.

Cristo conferma tutte queste conoscenze di base, patrimonio della metafisica, ed aggiunge un duplice ordine di verità[1]: alcune di ragione, ma che i filosofi pagani non erano riusciti a trovare, come la dottrina della creazione, Dio come Essere sussistente, l’anima umana come forma sostanziale del corpo e nuove e superiori verità concernenti la natura divina e la nostra; altre, superiori alla comprensione della ragione, attinenti a Dio, che costituiscono l’oggetto della fede.

Pregi e uffici della metafisica

La metafisica è quella scienza mirabile ed entusiasmante, che soddisfa le esigenze più radicali e rigorose dell’umana ragione, le assicura il massimo della forza, le consente di dar prova del massimo delle sue energie e rappresenta il massimo delle sue conquiste.

Tutti noi, dal momento in cui la nostra ragione comincia a funzionare, sentiamo un insopprimibile bisogno di verità e certezza nelle nostre conoscenze, come quelle che riguardano il significato dell’universo, il senso ultimo delle cose, l’origine, il valore e lo scopo della nostra esistenza, la distinzione fra il bene e il male, il modo di raggiungere la felicità e cose simili.

Abbiamo bisogno di certezze prime, sulle quali far poggiare o basare tutte le altre. E chi ce le fornisce, se non la metafisica? La contraddizione e l’assurdo ci ripugnano. Ma chi giustifica questa ripugnanza, se non la metafisica col fondamentale principio d’identità? Un’azione senza senso ci ripugna. Ma chi le dà un senso, se non la metafisica col fondamentale principio di finalità? Un ente senza perché ci ripugna. Ma chi ci risparmia questa ripugnanza, se non la metafisica col principio di causalità?

Sentiamo che il finito, il sensibile, il caduco, il contingente, il materiale, del quale gli animali sono soddisfatti, a noi non basta.  E come e perché lo sentiamo se non perché c’è in noi un’istanza metafisica, ossia di andare oltre la fisica. verso il mondo dello spirito? E se Dio non è Spirito, che cosa o chi è Dio? E come si capiscono, dimostrano ed apprezzano queste cose, se non con la metafisica?

La metafisica ci fornisce le nozioni e distinzioni prime, più certe ed universali della ragione: l’opposizione dell’essere al non-essere, del vero al falso, del bene al male. Ci fa distinguere il sensibile dall’intellegibile, il reale dall’ideale, l’essere dal pensiero, il possibile dall’attuale, l’analogo dall’univoco, il particolare dall’universale, l’astratto dal concreto. Ci fa distinguere l’effetto dalla causa, l’identico dal diverso, il contingente dal necessario, l’assoluto dal relativo, il temporale dall’eterno, il mutevole dall’immutabile, l’essere sostanziale dall’essere accidentale, l’essere per essenza dall’essere per partecipazione.

Un’idea errata della metafisica è quella di coloro che credono che la metafisica sia un supremo sapere di tipo gnostico, riservato a pochissimi geni superintelligenti, i quali dall’alto del loro sapere originario e divino, hanno il compito di rivelare ed aprire gli occhi a noi comuni mortali, limitati dal semplice ed ingenuo realismo, che crede illusoriamente all’esistenza di una realtà esterna, creata da Dio dal nulla, e ci insegnano a dar su queste cose uno sguardo critico, rendendoci coscienti del fatto che in realtà noi non siamo creati da un Dio trascendente, ma che Dio, come Io assoluto o trascendentale, il Brahman dell’induismo,  è il fondo ultimo del nostro essere e che quindi quella che a noi, poveri ingenui, pare realtà esterna sensibile, in realtà è prodotto del nostro Io trascendentale, pensiero creatore delle cose e del nostro stesso io empirico.

Bisogna dire, al contrario, che la metafisica realista è il sapere di base spontaneo di tutti noi, comune a tutti noi per il semplice esercizio della ragione naturale, sicchè le nozioni prime della metafisica sono notissime – cosa, qualcosa, questo, uno, essere, atto, essenza, sostanza, nulla, buono, cattivo, vero, falso, tutto, ecc. - ed intuitive e le acquista spontaneamente ogni bambino sano di mente, senza che alcuno glie le insegni.

Su queste nozioni poi ognuno di noi costruisce tutto il suo sapere, compreso quello di fede. In tal senso la metafisica è il sapere di quei «piccoli», ai quali è riservata la rivelazione dei misteri del regno dei cieli, mentre gli gnostici sono quegli «intelligenti» (Mt 11,25), che credono, come dice Papa Francesco[2] di sapere tutto e invece non sanno nulla.

Tutto ciò non impedisce l’esistenza e la necessità, in linea di principio, di una metafisica dotta, scientifica, accademica, riservata ai metafisici di professione, incaricati dell’insegnamento accademico della metafisica. Con ciò non si nega che le sottigliezze del livello scientifico della metafisica possano risultare ostiche alla mente di tanti; ciò del resto avviene per tutte le scienze agli occhi dei profani e dei non competenti.

Ogni scienza ha il suo specifico linguaggio e la sua specifica concettualità, per comprendere i quali occorre un’adeguata attitudine e  preparazione. Ma ciò non giustifica certi atteggiamenti di rifiuto pregiudiziale, di ignoranza affettata o di indifferenza o di ostilità non conforme a quelli che in tutti noi devono essere l’amore e l’interesse per le verità fondamentali dell’esistenza e della vita.

La metafisica serve ad «allargare la ragione», direbbe Benedetto XVI, a purificarla, ad elevarla e potenziarla al massimo delle sue forze, per edificare, come dice l’Aquinate, il perfectum opus rationis, onde consentire al nostro piccolo intelletto, così preparato, affinato, formato ed educato, di ospitare, se così posso esprimermi, nel proprio orizzonte, nel modo meno indegno possibile, il «nome che è al di sopra di ogni altro nome» (Fil 2,9), quel Nome (eb. Scem), che non si deve nominare invano, che è il nome di Colui Che ha detto di Sé ed è il solo che può dirlo di Sé: «Io Sono».

Occorre dire allora che un’esegesi e teologia bibliche, una spiritualità, una morale, una scienza, una filosofia, una pastorale, che pretendano di ignorare qualunque riferimento alla metafisica, sono imposture. È stoltezza e falsa scienza, quindi, cavillare, arrovellarsi e tormentarsi, come fanno certo esegeti, attorno al famoso passo di Es 3,14, vanamente tormentandolo, cuore della metafisica cristiana e della fede ebraico-cristiana, che va preso invece con venerazione, semplicità e saggezza nella sua traduzione tradizionale Ego Sum Qui Sum.

Gli ostacoli alla sapienza metafisica

Il rifiuto della metafisica può essere occasionato da tre fattori:

1.    La concupiscenza, ossia la spinta eccessiva e disordinata della sensibilità e dell’emotività, che ottunde l’acume dell’intelletto, immergendolo nella sensibilità e nell’immaginazione, sicchè non riesce ad astrarre da esse per attingere al puro intellegibile. È, direbbe San Paolo, l’uomo carnale che prevale sull’uomo spirituale, per cui, per questi filosofi, come per esempio gli empiristi humiani o i positivisti del Circolo di Vienna, il discorso metafisico «non ha senso». Se costoro sono teologi, il loro Dio non sarà certamente l’ipsum Esse, ma sarà altro, al massimo qualcosa come il vecchione barbuto dell’affresco di Michelangelo nella Cappella Sistina.

Chi non sa gustare la sapienza metafisica, chi la deride, la ignora, non ne ha rispetto, o la tratta con supponenza o scetticismo, chi la considera rozzezza o ingenuità medioevale, chi non l’ammira, magari non sentendosi un competente, non può essere un uomo spirituale, un uomo di Dio, un uomo pio, un profeta, un vero religioso, un autentico sacerdote, pastore, teologo. Non può essere all’altezza dei bisogni spirituali ed ecclesiali del nostro tempo, non capisce i drammi più profondi del nostro tempo, ma rischia di essere un ipocrita.

2.    La superbia, per la quale l’intelletto manca dell’umiltà di riconoscere e di adeguarsi ad dato reale oggettivo esterno, ma gli rifiuta l’adeguazione e al suo posto pone una sua idea arbitraria, difforme dal reale, sostituendo l’oggetto con questa idea, che quindi non serve a rappresentarlo alla mente, ma a considerare e strumentalizzare l’oggetto reale come se, invece di conservare la sua essenza, esso assumesse il contenuto mentale imposto dal soggetto. È questo il vizio di quello che il Papa chiama soggettivismo, idealismo, gnosticismo, «idea astratta», «enciclopedia delle astrazioni». Qui la metafisica non è respinta o ignorata, ma falsata, perchè non fondata sul realismo, ma sull’idealismo.

3.    La doppiezza o servizio a due padroni. È il falso tomismo di coloro, i quali, per un modo modernistico d’intendere il progresso del tomismo promosso dal Concilio Vaticano II, credono di poter mediare fra idealismo e realismo, o mescolano il pensiero dell’Aquinate con princìpi errati di altri filosofi, come Cartesio, Kant, Hegel, Heidegger o Severino, che sono incompatibili con quelli dell’Aquinate, tenendo in non cale il principio di non-contraddizione e del terzo escluso.

Gli insegnamenti pontifici circa il valore della metafisica

L’universalità del messaggio cristiano, fatto per tutti gli uomini e indirizzato a tutti, è recepibile da tutti e da ognuno perchè tutti sono già in possesso di quelle verità universali razionali, che sono oggetto della metafisica. Ora, al fine di prendersi cura in modo adeguato ed efficace a che il Vangelo possa essere compreso, recepito e creduto, la Chiesa si è sempre preoccupata di curare che la mente degli uomini potesse essere ben disposta grazie al possesso di nozioni adatte alla comprensione e all’accettazione del messaggio della fede.

Ora, qual è la disposizione migliore a che la ragione umana possa ascoltare ed accogliere la Parola di Dio? È quella di essere in possesso di quelle nozioni metafisiche di teologia naturale, che vengono perfezionate e arricchite dalle verità rivelate da Cristo. Per questo la Chiesa si prende cura di indicare ai fedeli, tra i vari filosofi o metafisici o teologi, quali sono quelli che meglio rendono alla ragione il servizio di prepararla o di predisporla a lasciarsi illuminare, completare, arricchire, purificare, sopraelevare dalle verità di fede.

È in questo ambito di discorso e in forza di queste necessità educative che i Pontefici dal tempo di San Tommaso raccomandano in modo preferenziale San Tommaso come guida e modello degli studi teologici come quel filosofo e teologo che meglio predispone con la sua metafisica a comprendere e ben interpretare la rivelazione biblica e i dogmi della fede.

Non ottemperano quindi alle direttive pastorali dei Papi quei teologi o filosofi cattolici, i quali antepongono a Tommaso altri Dottori o si limitano a considerare l’Aquinate come semplicemente uno fra gli altri teologi o addirittura lo considerano con sufficienza un teologo medioevale ormai superato.

Sbagliano anche coloro che sostengono, col pretesto dell’inculturazione, che la Chiesa, unicamente preoccupata dell’universalità del Vangelo, non si sentirebbe vincolata a nessuna particolare filosofia, alludendo anche alla filosofia tomista, ma semplicemente lascerebbe liberi di scegliere quella che si ritiene più adatta ad esprimere il messaggio evangelico.  L’obiezione che si deve fare a questo discorso è che la metafisica tomista non è quella di un qualunque metafisico, ma è quella di colui che i Papi – e l’attuale Pontefice non è da meno - hanno chiamato Doctor communis Ecclesiae.

Non bisogna confondere l’introduzione culturale al Vangelo con l‘inculturazione del Vangelo. L’una e l’altra è una modalità dell’azione missionaria ed evangelizzatrice.  La prima comporta un’educazione ed una preparazione della ragione ad accogliere la fede. È la missione del Battista: preparare le vie del Signore; abbassare i monti della superbia e della presunzione, colmare le valli, ossia i vuoti e le lacune, sollevare l’animo e farlo tendere verso il cielo.

Infatti, se ci facciamo caso, la predicazione del Battista è tutta centrata su motivazioni, stimoli e richiami di carattere semplicemente umano e razionale. È qui che l’educatore, il maestro, l’apostolo devono formare la mente del discepolo al ragionare metafisico, all’amore per la metafisica.

Ciò che il maestro comunica è un sapere universale basilare o fondamentale irrefragabile sia speculativo che morale, che dispone la mente all’accoglienza della Parola di Dio. Le nozioni della metafisica sono quelle «porte antiche», delle quale parla il Sal 24,7, sono quelle porte i cui «frontali» devono essere «innalzàti», affichè possa «entrare il Re della gloria».

La metafisica allarga lo spazio della nostra mente, affinchè essa possa acquistare una capienza non indegna per accogliere in sé le divine nozioni e i dogmi divini, che comunque traboccano, ma la riempiono, come se uno versasse in un bicchierino un’intera bottiglia di liquore. La Parola di Dio è quella «buona misura, pigiata, scossa e traboccante», che Cristo vuol versare nel «grembo» della nostra mente. E questo grembo è l’intelligenza metafisica (Lc 6,38).

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 26 novembre 2022


La ragione si accorge, cioè, che «dalla grandezza e bellezza delle creature si conosce per analogia l’Autore» (Sap 13,5) e, se non vaneggia nel ragionare, capisce che gli enti con i quali viene a diretto contatto, sono opere compiute da un sommo Artefice, che è Dio creatore (cf Rm 1,19-20). E non occorre la metafisica per comprendere questo?

Sappiamo quanto sta a cuore al Santo Padre il valore della diversità ai fini del rispetto dell’altro e di una fraterna e concorde convivenza umana. Sappiamo quanto valore ha la concezione biblica dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Ebbene, tutti questi valori suppongono la percezione dell’analogia dell’essere, uno e molteplice ad un tempo. E dove troviamo la giustificazione di tutti questi valori, se non nella metafisica?

Quando Cristo ci parla di Dio Padre, quando ci rivela il suo esser Figlio e l’esistenza dello Spirito Santo, parla evidentemente a noi che già sappiamo, in base alla nostra ragione o eventualmente edotti dall’Antico Testamento, che Dio esiste, è uno solo, è essere sussistente, spirito, sapienza e bontà infiniti, eterno, onnipotente, provvidente, creatore del cielo e della terra, giusto e misericordioso. Cristo quindi aggiunge su Dio nuove verità, superiori e supreme rispetto a quelle che già sapevamo in base alla ragione; e quale ragione, se non quella metafisica?

Immagini da Internet: da: Scuola di Atene, Raffaello Sanzio

[1] Fra gli insegnamenti di Cristo si potrebbero trovare sentenze o dichiarazioni di tipo metafisico, che elevano il contenuto della metafisica. Tra tutti il più importante è l’«Io Sono». Ho cercato di raccogliere questi insegnamenti nel mio libro Gesù Cristo fondamento del mondo. Inizio, centro e fine ultimo del nostro umanesimo integrale, Edizioni L’Isola di Patmos, Roma 2019. È grazie a questi apporti che si può e si deve parlare di una metafisica cristiana.

[2] Nella Gaudete et exsultate.

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