Che cosa è il realismo - Seconda Parte (2/4)

Che cosa è il realismo

Seconda Parte (2/4) 

Caratteri dell’idealismo

Che cosa intende il Magistero della Chiesa quando condanna l’«idealismo»? Fino a Papa Francesco non ce lo aveva spiegato, supponendo che lo sapessimo già, data l’esistenza di ottime critiche tomiste all’idealismo, che si sono succedute soprattutto nel secolo scorso[1]. Invece l’attuale Pontefice ne dà una definizione tanto chiara quanto semplice e profonda: «il primato dell’idea sulla realtà». E lo definisce più diffusamente quando parla dello gnosticismo, benché non usi il termine «idealismo», facendo riferimento alla sua pretesa di essere un sapere che pareggia quello divino, e l’accusa di fare abuso del pensiero astratto con la conseguenza di trascurare l’attenzione alle esigenze concrete dell’amore del prossimo.   

L’idealista non è un rozzo sensista, materialista, positivista o empirista chiuso nei limiti della sensazione o dell’immaginazione. Non sembra a tutta prima essere quell’uomo carnale, del quale parla San Paolo, ma un uomo spirituale, forse un’asceta, comunque una mente elevatissima di altissima qualità, un genio o un gigante del pensiero, superiore a San Tommaso e a Cristo stesso col loro ingenuo realismo.

Egli, appare, nel fascino della parola o nell’oscurità di un linguaggio esoterico, un maestro e garante di certezze assolute e di verità definitive, indagatore e scrutatore insuperato delle più profonde profondità dello spirito, una mente aperta alla totalità dell’essere, un ragionatore esigente, impeccabile, rigoroso e inconfutabile. Ma se facciamo attenzione al risvolto e al sottinteso di quello che dice, ci accorgeremo che il discorso si rovescia nel suo opposto e che uno degli estremi della sua dialettica porta per conseguenza il prodursi dell’altro estremo.

Ma in realtà l’idealista, che vorrebbe sostituire l’idea alla realtà, si appella alla realtà per negare la realtà. Fichte dice che è l’idealismo e non il realismo che coglie la realtà, dimostrando in tal modo di non sapere che cosa è la realtà, col suo voler sostituire l’ideale al reale e considerare reale ciò che è frutto dell’immaginazione.

Il pensiero umano, infatti, per sua natura è orientato al reale e se si pone per oggetto l’ideale, è perchè esso suppone che abbia relazione alla realtà. Anche quando il pensiero è nell’errore, il pensante crede pur sempre di essere nella verità, ossia nell’adeguazione al reale.

Anche quando mente vuol dare all’altro l’illusione di dire una verità, ossia qualcosa di aderente al reale. È nel dubitare che la mente è separata dalla realtà, ma per il semplice fatto che il dubitare non è un vero pensare, ma una semplice oscillazione del pensiero che non sa o non vuole decidere dove fermarsi.

La differenza dunque fra realista ed idealista non sta nel fatto che il primo contatta la realtà, mentre l’altro si chiude nelle sue idee, perché la mente di entrambi per natura è inclinata alla realtà. La differenza sta nel fatto che mentre il realista volontariamente acconsente al moto naturale del pensiero, l’idealista lo muove contro natura, lo contorce e lo distrae dalla sua naturale destinazione e lo ripiega forzatamente su stesso, sulla propria falsa idea.

Ma così facendo l’idealista scinde, sdoppia e mette il pensiero contro se stesso, perché obbligato a servire il reale, vorrebbe ad un tempo servire se stesso. Ma, come ci avverte Cristo, non possiamo servire a due padroni e il nostro parlare non può essere ad un tempo sì e no. Questo principio logico ed etico è espresso nel principio del cosiddetto «terzo escluso».

Avviene pertanto che l’idealista sul piano della condotta morale è portato all’ipocrisia, alla simulazione, alla doppiezza e alla falsità. E nella convivenza umana e sociale questo modo di esercitare il pensiero e di praticare il linguaggio è sorgente di infiniti malintesi e conflitti per il fatto che quot capita, tot sententiae, come osserva argutamente San Tommaso[2].

L’idealismo, quindi, ben lungi dall’essere il modo radicale e critico del pensare, ben lungi dall’essere la rivelazione della verità e della realtà che resterebbe nascosta al realista, basato com’è sul dubbio sistematico e non sulla certezza oggettiva, è un pensare contro natura e contradditorio, è il suicidio del pensiero, è la negazione della realtà e dell’essere, è l’affermazione del nichilismo, è lo scetticismo totale,  è la negazione della verità e l’apologia della menzogna,

L’idealismo è condannato dal Magistero della Chiesa sotto il nome di «soggettivismo». Che cosa intende la Chiesa con questo termine? Perché condanna il soggettivismo? E perchè è sinonimo di idealismo?  Il termine «soggetto» (Subjekt) è stato abusivamente preso dal termine scolastico sub-jectum, che significa il soggetto cosmologico (ypokèimenon) della forma, ossia la materia.

In tal modo Schelling e successivamente Hegel se ne sono valsi per esprimere il cogito cartesiano, filtrato dall’Io penso (Ich denke) kantiano e dall’Io (Ich) fichtiano. Dato che il subjectum cosmologico è sussistente, Schelling ed Hegel hanno trovato utile quel termine per esprimere la sussistenza del cogito cartesiano.

Ma c’è di più. Nella gnoseologia idealista il cogito ha perduto la sua relatività all’oggetto, ossia alla cosa, alla realtà esterna, aspetto del realismo che rimane in Cartesio, e il cogito diventa io assoluto, cosicchè non è più il soggetto che si adegua all’oggetto, ma, conformemente alla «rivoluzione copernicana» di Kant, è l’oggetto, ossia la cosa ovvero il reale che è relativo al soggetto,

Da qui la soggezione del reale all’idea propria dell’idealismo tedesco[3], che va oltre l’idealismo cartesiano, che perciò in fondo è solo un realismo apparente e Fichte aveva visto giusto nel rintracciare nel cogito cartesiano l’assolutizzazione dell’io che sarebbe stata propria dell’idealismo tedesco. Ecco il soggettivismo e perché la Chiesa lo condanna in quanto autoassolutizzazione o autodivinizzazione dell’io umano da parte di se stesso.

Se l’idealismo è da respingersi come indebita riduzione del reale all’idea o al concetto o al pensiero o al pensato o al pensante o alla coscienza, l’ideale è sempre cosa pregevole e rispettabile, come modello e paradigma di perfezione morale, spirituale, estetica ed artistica, tecnica e poetica. L’ideale è il dover essere, il fine a cui deve tendere l’agire morale.

Chi dissolve l’essere nel pensiero, la materia nello spirito, il reale nell’ideale, nasconde e produce l’esatto opposto di ciò che inizialmente dice: la carne ridotta a spirito diventa spirito ridotto a carne; la materia ridotta a pensiero diventa pensiero materializzato; il reale ridotto ad idea diventa sensualità. La res cogitans di Cartesio si rovescerà nell’uomo-macchina di La Mettrie; l’idealismo immaterialista di Berkeley ha per conseguenza reattiva lo scetticismo empirista di Hume; l’idealismo storicista di Hegel si rovescia nel materialismo dialettico di Marx. 

L’idealista non è più intelligente del realista, non è il sapiente che distoglie il realista dall’ignoranza di che cosa è la soggettività, il pensare, l’autocoscienza e lo spirito, che lo distoglie dal suo dogmatismo, dalle sue grossolanità, dalle sue ingenuità e dalle sue illusioni offrendogli uno sguardo critico e il vero principio della certezza e del sapere.

Per l’idealista il realista tomista è uno frustrato imbrigliato nei vincoli del dogma cattolico, una mente meschina, arretrata e servile dallo sguardo miope, inconsapevole della dignità e dell’infinita potenza del pensiero, sottomesso al potere clericale e incapace, per paura o per convenienza di usare liberamente la propria testa nel pensare.

L’idealista non accetta di presupporre nulla che non sia posto dalle proprie idee. Non accetta i limiti della propria ragione, ma si rifiuta di sottometterla alla regola della ragione divina. Kant, che affetta umiltà nel porre limiti esagerati alla ragione speculativa, tanto da proibirle di oltrepassare l’esperienza compromettendo così la possibilità della metafisica, nel campo della morale dà poi alla ragione un potere illimitato, quasi essa sapesse da sè il proprio dovere senza ricavarlo affatto dalla conoscenza della legge naturale e divina, sicchè rispunta qui una metafisica aprioristica e pragmatica di marca cartesiana, che prepara la strada all’idealismo etico di Fichte dell’io che non si sente affatto creato da Dio, ma dell’io che pone se stesso come se fosse Dio .

Non per nulla, invece, San Tommaso parla della verità come adaequatio. Il vero sapere suppone un’obbedienza, una recettività, un’apertura, un’accoglienza della realtà così com’è, anche se non piace, anche se vorremmo che fosse diversa.  Da qui il tentativo dell’idealista di far dire al reale non ciò che il reale vuol dirgli, ma ciò che vuole che il reale gli dica.

Non accetta che il reale abbia una forma per conto proprio, ma egli stesso vuol dar forma al reale, come sono le «forme a priori» dell’intelletto kantiano. Bene dunque faceva San Pio X ad accusare i modernisti di superbia, anche se è vero che tracce di idealismo possono riscontrarsi anche in spiriti eletti e in buona fede comunque in filosofi dalle intenzioni realiste, data la fallibilità della ragione umana.

L’idealismo si oppone al realismo così come l’ideologia si oppone all’ontologia. Oggi il termine «ideologia» non ha più il senso che gli attribuiva il Rosmini, ossia di dottrina dell’origine, della natura e dei fini delle idee umane, ma ha assunto il senso negativo di visione distorta e tendenziosa della realtà coperta da idee preconcette, anziché essere manifestata, il che è precisante il vizio dell’idealismo condannato dalla Chiesa.

Il valore del’ideale però non è dato tanto dal fatto che sia un’idea concepita dalla mente, ma parlando di ideale, affinchè esso sia valido, sia un vero benefico ideale, occorrerà far sempre capo alla realtà e precisamente a un fine buono o lecito. Così si dirà, per esempio, che l’ideale della giustizia è dare perfettamente o nel miglior modo possibile, a ciascuno il suo, seguendo i migliori esempi,

All’idealismo condannato dalla Chiesa sono da connettersi quelle teoresi che non insistono sulla tematica più propriamente idealistica della riduzione della realtà all’idea, come per esempio l’ontologia heideggeriana e l’eternalismo di Severino.

Le accuse degli idealisti ai realisti.

Ingenuità. È l’accusa più frequente, soprattutto da Fichte, attraverso Hegel, fino ad Husserl. È l’accusa di accogliere in modo diretto e senza verifica critica il dato immediato della sensazione o dell’intellezione come realtà indiscutibile e certa.

Hegel, all’inizio della Enciclopedia presenta tre concezioni sbagliate della filosofia secondo una scala ascendente che parte dalla concezione più rozza, per passare a quella meno inadeguata, che sarebbe quella intuizionista-ontologista di Jacobi. Ebbene, la prima è proprio il realismo, che egli descrive in questi termini:

«La prima posizione è data dal procedere ingenuo, il quale, senz’ancora aver coscienza del contrasto del pensiero in e con se stesso, contiene la credenza che mediante la riflessione si conosca la verità e si acquisti la conoscenza di ciò che gli oggetti veramente sono. In questa credenza il pensiero va diritto agli oggetti[4], riproduce il contenuto delle sensazioni ed intuizioni, facendolo contenuto del pensiero e ne è soddisfatto come della verità. Tutta la filosofia nei suoi cominciamenti, tutte le scienze ed anche il modo di procedere quotidiano della coscienza vivono di tal credenza[5]. … Tale era nella sua forma più spiccata e più prossima a noi, la vecchia metafisica, quale si trovava costituita, prima della filosofia kantiana. …

Questa scienza considerava le determinazioni del pensiero come le determinazioni fondamentali delle cose, e per tale suo presupposto, che ciò che è, per il fatto che è pensato, è conosciuto in se stesso, stava di certo più in alto della posteriore filosofia critica. … Ma la metafisica li accoglieva dalla coscienza rappresentativa e li poneva perciò a fondamento nell’applicare ad essi le determinazioni dell’intelletto, come soggetti già belli e fatti[6]. … Questa metafisica divenne dogmatismo[7] perché, seguendo la natura delle determinazioni finite, doveva ammettere che di due affermazioni opposte, come ne porgevano quelle proposizioni l’una dovesse essere vera e l’altra falsa»[8].

L’idealista riconosce che il realismo consistente del credere che  esistono cose al di fuori di noi, per cui la verità è data dall’adeguarci ad esse, è il sentire comune della quotidianità e svolge una funzione nel sapere tecnico-sperimentale, ma sostiene che, se vogliamo elevarci al sapere filosofico, dobbiamo con Cartesio sostituire ai sensi il cogito come principio di certezza e verità, tenendo presente che la certezza fondata dal cogito non è una certezza oggettiva che tolga il dubbio universale, come pretende essere quella dei realisti[9], ma è una certezza voluta dalla volontà, che pertanto resta davanti all’intelletto come dubbio universale, giacchè cogito non vuol dire «penso alle cose», ma vuol dire «dubito». Per il cartesianismo l’intelletto sta fermo in forza della volontà, non perchè necessitato dall’oggetto. Per il cartesiano l’essere non è ciò che è, ma ciò che egli vuole che sia. Il sum che è dedotto, quindi, non è a sua volta una certezza, ma è volontariamente posto dall’io come essere dell’io o, come capirà Fichte, è posto dall’io come essere assoluto.

Dogmatismo. È l’accusa di Kant: dare per scontato ciò che è da dimostrare. Affermazioni assolute senza fondamento e verifica critica. Imposizione della propria opinione come fosse verità assoluta. Dare o prendere per certo ciò che è dubbio o addirittura falso. Affermazioni categoriche non confermate, anzi confutabili dall’esperienza.

Esteriorismo materialista. È l’accusa di Armando Carlini:[10] il realista non sa che cosa è l’interiorità, che cosa è la coscienza e l’autocoscienza. Non capisce qual è il valore dello spirito, il quale non è esterno al soggetto, ma l’anima dello stesso soggetto.

Oggettivismo. Per l’idealista, come per esempio Fichte e Schelling, il fondamento della verità non sta nell’oggetto, ma nel soggetto. È il soggetto e non l’oggetto ad essere la regola della verità. L’oggetto è posto e prodotto dal soggetto e non è l’oggetto che produce il soggetto. Il soggetto è superiore all’oggetto come la causa è superiore all’effetto.

Empirismo. L’idealista sostiene contro il realista che il punto di partenza del sapere non è il supposto contatto con cose sensibili esterne, ma, come insegna Cartesio, è l’autocoscienza. È questa la condizione di possibilità dell’esperienza. La conoscenza a posteriori viene dopo quella a priori. Il realista mette prima ciò che sta dopo e viene dopo.

Il realista, continua l’idealista, pretende di dimostrare l’esistenza dello spirito partendo dall’esperienza dei sensi. Invece questa dà solo ciò che è empirico. Lo spirito esiste, ma è colto solo nel cogito cartesiano, ossia come dato immediato di coscienza. La metafisica è possibile solo come esperienza dei contenuti di coscienza. L’essere non è esterno alla coscienza, ma è essere di coscienza immanente alla coscienza.

Astrattismo. Il realista non capisce che l’essere non è un vuoto astratto essere indistinguibile dal nulla; ma l’essere è il soggetto concreto e singolo, sono io esistente qui e adesso, come Fichte ha ricavato logicamente dal sum cartesiano. È questa la vera metafisica.

Io esisto non perché ho ricevuto il mio essere da un Essere superiore o supremo, che mi avrebbe creato dal nulla. Ma il mio essere è semplicemente l’essere, come ha ben visto Hegel. Io esisto perchè col mio stesso atto di pensarmi ho posto il mio essere, come ha ben visto Fichte. Se Dio esiste, non esiste in quanto ente prima di me, e fuori di me e al di sopra di me, ma come immanente alla mia coscienza, come idea suprema della mia ragione, come ha ben visto Kant

Dualismo. È l’accusa di Bontadini di dividere l’essere, nel quale il pensiero è uno con l’essere, in due orizzonti separati, sicchè l’uno appare estraneo all’altro: quello del pensiero e quello dell’essere. Così l’essere è posto come esterno al pensiero, ad esso superiore e trascendente. L’idealista obietta che l’essere non è estraneo al pensiero, ma non è altro che l’essere pensato.

Insufficiente radicalismo e rigore critico. È l’accusa di Husserl: prendere l’apparenza sensibile per verità; incapacità di fondare la certezza prima ed originaria del sapere.

Superficialità. È l’accusa di Severino: inavvertenza di quello che è il piano profondo, primo ed originario della realtà. Non esistono enti come sostanze distinte fra di loro, ma esiste un unico e solo Essere, che è l’Essere, del quale gli enti, eterni come l’Essere, sono fuggevoli apparizioni.

Fine Seconda Parte (2/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 5 dicembre 2022


Il pensiero umano per sua natura è orientato al reale e, se si pone per oggetto l’ideale, è perchè esso suppone che abbia relazione alla realtà. Anche quando il pensiero è nell’errore, il pensante crede pur sempre di essere nella verità, ossia nell’adeguazione al reale.

Anche quando mente vuol dare all’altro l’illusione di dire una verità, ossia qualcosa di aderente al reale. 

È nel dubitare che la mente è separata dalla realtà, ma per il semplice fatto che il dubitare non è un vero pensare, ma una semplice oscillazione del pensiero che non sa o non vuole decidere dove fermarsi.




La differenza dunque fra realista ed idealista non sta nel fatto che il primo contatta la realtà, mentre l’altro si chiude nelle sue idee, perché la mente di entrambi per natura è inclinata alla realtà. La differenza sta nel fatto che mentre il realista volontariamente acconsente al moto naturale del pensiero, l’idealista lo muove contro natura, lo contorce e lo distrae dalla sua naturale destinazione e lo ripiega forzatamente su stesso, sulla propria falsa idea.

Ma così facendo l’idealista scinde, sdoppia e mette il pensiero contro se stesso, perché obbligato a servire il reale, vorrebbe ad un tempo servire se stesso. Ma, come ci avverte Cristo, non possiamo servire a due padroni e il nostro parlare non può essere ad un tempo sì e no. Questo principio logico ed etico è espresso nel principio del cosiddetto «terzo escluso».

Immagini da Internet:
- Il pensatore, Giorgio De Chirico
- Aristotele, XVII secolo


[1] Benedikt Schwalm, Les illusions de l’idéalisme. Leurs dangers pour la foi, in Revue Thomiste, n.28, 1897, pp.415-444; Emilio Chiocchetti, La filosofia di Giovanni Gentile, Edizioni Vita e Pensiero, Milano 1922; E.T.Toccafondi, La ricerca critica della realtà, Edizioni Arnodo, Roma 1941; Vincenzo Kuiper, Lo sforzo verso la trascendenza. Studio sulla filosofia di B. Varisco e sull’idealismo, Edizioni Angelicum, Roma, 1940; Mariano Cordovani, Cattolicismo e idealismo, Editrice Vita e Pensiero, Milano 1928; Angelo Zacchi, Il nuovo idealismo italiano di B. Croce e G. Gentile, Edizioni Francesco Ferrari, Roma 1925; J. Maritain, Riflessioni sull’intelligenza, Editrice Massimo, Milano 1987; Les degrés du savoir, Desclée de Brouwer, Bruges 1959. c. III.

[2] Sum. Theol., I, q.84, a.2.

[3] Un buon panorama dell’idealismo tedesco è quello di Nicolai Hartmann, La filosofia dell’idealismo tedesco (Mursia, Milano 1972), il quale però presenta l’idealismo come se fosse una grandiosa e globale visione della realtà capace di spiegare sistematicamente ed esaurientemente nell’ideale e nell’autocoscienza la totalità del reale umano e divino, senza rendersi assolutamente conto delle sue radicali aporie, che lo rendono assurdo nelle sue stesse fondamenta.

[4] A differenza del modo contorto col quale l’idealista va verso il reale, affermando e negando ad un tempo, e giocando sull’equivoco.

[5] Che per Hegel ovviamente è illusoria, come lo è e lo resta per Cartesio, nonostante il cogito e le certezze che da esso vorrebbe ricavare.

[6] Il realismo suppone le cose già esistenti indipendentemente dall’attività del pensiero che le pensa. Le cose esistono prima che le pensiamo e anche se non le pensiamo. Non sta a noi costituirle nel loro essere o crearle o porle in essere. Ma ciò spetta alla causalità creatrice divina. La superbia dell’idealista è il voler mettersi al posto di Dio. Potere e dovere del nostro pensiero è rispecchiarle nella mente e nella coscienza così come sono.

[7] Il pensiero idealista non conosce il principio d’identità e per conseguenza neppure quello di non-contraddizione e del terzo escluso. Per l’idealista non si possono fare affermazioni assolute e non esistono verità eterne, perché il fondo dell’idealismo, al di là delle sue sentenze inappellabili, è un sostanziale scetticismo. che dipende da quella lacerazione interiore, che abbiamo visto, fra la naturale propensione realistica del pensiero e il ripiegamento del pensiero su se stesso proprio dell’idealismo. Ciò non toglie che l’idealista cerchi di coprire la sua incertezza di fondo con le suddette sentenze, queste sì che sono vero e proprio dogmatismo gratuito, mentre all’idealista sembra dogmatismo quella che non è altro che la fondata certezza del realista.

[8] Enciclopedia delle scienze filosofiche, in compendio, Edizioni Laterza, Bari 1968, pp.36-39.

[9] Anche in Aristotele, Sant’Agostino e San Tommaso c’è il cogito, ma non è coscienza di dubitare di tutto; è invece coscienza di sapere che esiste una realtà esterna e che la conosco per mezzo dei sensi.

[10] Il mito del realismo, Sansoni Editore, Firenze 1936.

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