10 ottobre, 2025

Le attività delle anime dei beati - Seconda Parte (2/2)

 

Le attività delle anime dei beati

Seconda Parte (2/2)

 

Allucinazione, malattia, sonno, delirio, stato comatoso

Si danno degli stati psichici nei quali noi non possiamo esercitare in tutto o in parte le attività dello spirito perché o per motivi naturali o per motivi morbosi le funzioni psichiche non sono in grado di mettersi al servizio dello spirito. In queste condizioni è impossibile sperimentare la vita dello spirito. Essa tuttavia continua in una forma implicita o inconscia. Anche in queste condizioni la vita spirituale continua, benché non ne abbiamo esperienza o coscienza.

Nel sonno, nell’allucinazione e nello stato di delirio o comatoso manca la coscienza e lo spirito è inattivo non perchè la sua attività dipenda qualitativamente dalla veglia o dalla lucidità mentale o dal contatto con le cose esterne o col proprio corpo, ma perché manca il funzionamento pieno o quanto meno regolare dell’attività sensitiva che sola consente l’esercizio delle attività spirituali.

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È possibile immaginare fin da adesso come potrà essere la condizione della nostra anima separata? Occorre che noi separiamo nettamente l’esperienza del nostro corpo da quella della nostra anima e ci concentriamo in questa seconda esperienza. San Tommaso dice che la nostra anima può avere esperienza di sé stessa in forza della sua spiritualità, per la quale trascende l’esperienza sensibile e quindi può riflettere su sé stessa e cogliersi immediatamente anche senza far uso dei sensi.

Egli parte da questa sentenza di Sant’Agostino, che probabilmente si ispira a Platone: «Mens seipsam per seipsam novit quoniam est incorporea». San Tommaso spiega che si tratta di una conoscenza abituale ed implicita.

Tommaso poi distingue la conoscenza che l’anima ha di sé stessa in quanto la mia anima in particolare, cioè dal punto di vista dell’esistere o dell’essere, dalla conoscenza di che cosa è l’anima in universale, cioè la conoscenza dell’essenza o quiddità dell’anima.

Che nel mio atto di prender coscienza del mio pensare o di altre attività della mia anima io compia degli atti immateriali, me ne rendo conto già da solo in base a questa esperienza. Per cui già questo è sufficiente a farmi capire che io, benché possegga un corpo mortale, tuttavia vivo di una vita immateriale spirituale, superiore nelle sue attività a quanto il corpo è capace di fare.

San Tommaso nota poi come invece la questione dell’essenza dell’anima è molto difficile e richiede una «diligente e sottile ricerca». La via per arrivare a chiedersi qual è l’essenza dell’anima non è la coscienza di sé, che è puramente esistenziale e non speculativa, ma è quella che parte dalla considerazione delle manifestazioni sensibili dell’anima, come per esempio il linguaggio, e applicando induttivamente il principio di causalità, per cui si scopre l’immaterialità degli atti del pensiero e per conseguenza l’immaterialità della facoltà di pensare e quindi del soggetto pensante, soggetto che,  non essendo composto di materia e forma, ma essendo pura forma sussistente, cioè l’anima, è un soggetto semplice. Ma, dato che la morte è la dissoluzione del composto, ecco che l’anima è immortale.

Immagine da Internet: Beato Angelico 

09 ottobre, 2025

Le attività delle anime dei beati - Prima Parte (1/2)

 

Le attività delle anime dei beati

Prima Parte (1/2)

                                                               Abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni (Sal 23, 6)                                                                                    

Lo spirito è immortale?

                                                                               Non omnis moriar

Se noi riflettiamo su noi stessi, e sul nostro agire e sul nostro essere, salvo che non siamo totalmente immersi nell’animalità, è impossibile che non ci accorgiamo di essere composti di una dualità di spirito e corpo, due forme di essere molto diverse fra di loro e subordinate l’una (quella materiale) all’altra (quella spirituale). Io sono un corpo, ma sono anche spirito.

E come non interrogarci sulla questione della nostra evidente ed inesorabile corruttibilità? Tutti sappiamo che dobbiamo morire. Ma che cosa è la morte? Che cosa ci succede quando moriamo? Ci è così evidente, come pensava Cartesio, che in quel momento il nostro spirito immortale abbandona il nostro corpo alla dissoluzione? Da dove nasce invece la paura che finisca tutto? Non potrebbe essere vera? Come mai, fin dall’antichità tantissimi, i materialisti, ben consapevoli della veracità dei sensi, sono convinti che alla nostra morte siamo completamente distrutti e non sopravvive nessuna anima? 

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Anche quando siamo a letto al buio noi sentiamo di avere uno spirito, indipendente dal corpo, anche se nella vita presente non possiamo fare a meno di usare il corpo e i sensi. Le indisposizioni fisiche, l’agitazione o il tumulto delle passioni, la sonnolenza, la stanchezza, la malinconia, gli stati deliranti, la debolezza mentale, la depressione, possono farci credere che le nostre attività spirituali dipendano dalla materia o dallo stato di salute o dalle emozioni, insomma dal corpo e dalla materia.

Ma se riflettiamo sulla loro spiritualità, noteremo che il loro esercizio è autonomo dalla materia e la domina erigendosi ad una realtà immateriale immensamente superiore al mondo della materia. Che cosa è il pensiero dell’essere, della verità, dell’assoluto, dell’infinito, dell’eterno, dell’amore, della libertà, della santità, di Dio davanti alle limitatezze, alla ristrettezza, alla caducità, all’instabilità, all’effimero, alla fugacità e alla vanità delle cose del mondo materiale?

Alcuni parlano di «esperienza trascendentale» come esperienza dell’essere, del divenire, dell’altro, del diverso, dell’uno, del vero, del bene, del qualcosa, della realtà. Certamente, in questo senso essa esiste. È la visione dell’essenza, l’esperienza metafisica e del mistero, l’intuizione dell’essere e delle cose spirituali.

Le esperienze dell’estasi mistica, basata sulla fede e la carità, che riscontriamo nei grandi santi, sono molto rare, ma testimoniano in modo lampante la piena trascendenza e indipendenza qualitativa dell’attività spirituale rispetto a quelle sensibili. Coloro che hanno simili esperienze acquistano una certezza assoluta della sopravvivenza della propria anima e una speranza incrollabile nella futura beatitudine, che li incoraggia a compiere eroiche imprese per l’avvento del regno di Dio.

Immagine da Internet: Giudizio Universale, Beato Angelico

08 ottobre, 2025

Una discussione su quanto è successo a San Pietro. Il Giubileo degli omosessuali? - Terza Parte (3/3)

 

Una discussione su quanto è successo a San Pietro

Il Giubileo degli omosessuali?

Terza Parte (3/3)

 

Legga invece cosa ha dichiarato il vescovo Athanasius Schneider, dove troverà anche risposta ad altre domande che mi fa (dall’intervista della giornalista Dianne Montagna ...

 

1)

In un articolo dello stesso Martin su Outreach, egli nega esplicitamente che la Bibbia …  Non so se lei, Padre Giovanni, abbia mai sentito di tali esegesi farneticanti....

1)

Caro Bruno,

in queste parole del P. Martin è evidente la confusione che egli fa, da una parte tra i divini comandamenti, che sono immutabili, e tra questi c’è la proibizione del peccato di sodomia, e dall’altra certe norme pratiche o giuridiche che corrispondono a stadi superati o arretrati della coscienza morale, ossia comportamenti che, grazie alla successiva diffusione del Vangelo e al progresso morale che esso ha causato da allora ad oggi, sono stati abbandonati e oggi sono addirittura condannati. 

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Immagine da Internet

07 ottobre, 2025

Una discussione su quanto è successo a San Pietro. Il Giubileo degli omosessuali? - Seconda Parte (2/3)

 

Una discussione su quanto è successo a San Pietro

Il Giubileo degli omosessuali?

Seconda Parte (2/3)

 

3) Bruno V. 27/9/25

Caro Padre Giovanni,

Mi consenta di precisare alcuni punti rispetto alla sua risposta.

Condivido pienamente l’importanza di distinguere sempre quando il Papa si pronuncia a livello magisteriale, rispetto a quando parla da dottore privato.

Non posso però far a meno di pormi la domanda: che cosa ci ha comunicato, da poco più di un mese ad oggi, il Santo Padre sul peccato di sodomia?

La prima risposta è che certamente, a livello magisteriale, non ha prodotto alcuna affermazione di tolleranza per tale peccato, e dunque è pienamente rimasto nell’ortodossia. Su questo, siamo perfettamente d’accordo.

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 Immagine da Internet

06 ottobre, 2025

Una discussione su quanto è successo a San Pietro. Il Giubileo degli omosessuali? - Prima Parte (1/3)

 

Una discussione su quanto è successo a San Pietro

Il Giubileo degli omosessuali?

Prima Parte (1/3)

 

Ritengo utile ai Lettori pubblicare questa discussione che ho avuto con un Lettore a proposito di quanto è successo, agli inizi di settembre u.s., con l’ingresso di alcuni omosessuali nella Porta Santa in occasione del Giubileo.

Un fatto del genere non si registra, che io sappia, in tutta la storia degli Anni Giubilari dalla loro istituzione. Che cosa pensare di questo avvenimento, che ha suscitato reazioni in tutto il mondo?

Io, insieme con il mio interlocutore, presentiamo ai Lettori un insieme di considerazioni e valutazioni pro e contra che penso siano utili a far riflettere e a dare un giudizio ponderato in comunione con la Chiesa e con Papa Leone XIV.

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05 ottobre, 2025

Il concetto di Dio in Bontadini - Seconda Parte (2/2)

 

Il concetto di Dio in Bontadini

Seconda Parte (2/2)

 

Come sorge il problema dell’esistenza di Dio?

Secondo Bontadini la questione dell’esistenza di Dio nasce dal bisogno di togliere la contraddizione che apparentemente esiste nel diveniente, ossia nell’ente fisico mobile e sensibile. Ma il fatto è che Bontadini prende in considerazione gli enti fisici alla luce del concetto parmenideo dell’essere, inteso come essere assoluto, uno, unico, necessario, eterno ed immutabile.

Per questa ragione Bontadini crede di aver trovato una prova dell’esistenza di Dio, una «via breve», come la chiama, più rigorosa delle famose cinque vie di San Tommaso.

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Per Parmenide l’essere è eterno, per cui non c’è spazio per l’essere temporale. Il pensare è l’essere, per cui manca la distinzione del pensiero dall’essere. Tutto dunque è uno indifferenziato e l’uno è l’assoluto, dunque Dio. E dunque esiste solo Dio. E quindi nessuna creazione del mondo, ma identità del mondo con Dio. E questo sarebbe l’«Intero».

Come il nostro intelletto coglie l’essere? San Tommaso ha una ricchissima dottrina sull’essere, ma non ci spiega come giungiamo all’essere, con quale mezzo o con quale metodo egli vi è arrivato. Egli ne parla come di cosa nota a tutti e tutti sapessero come vi si arriva, per cui non sarebbe necessario dare spiegazioni.

La creazione dal nulla per Bontadini è impossibile perché si rifà al motto greco «dal nulla non viene nulla», trascurando il fatto che questo principio vale se si vuol considerare il nulla come causa; ma l’ex nihilo del dogma della creazione non dice affatto causalità, ma solo precedenza temporale, come a dire che l’alba proviene dalla notte.

La conclusione di questa discussione sulle idee di Severino e Bontadini viene ad essere la seguente: esiste solo l’essere assoluto, mentre ammettere Dio e un mondo diveniente esterno a Dio creato dal nulla da Dio è contradditorio e impossibile; per cui se esiste il mondo, esso è una finitizzazione molteplice di Dio interna a Dio e identica a Dio. Il Dio totale è la sintesi del Dio parziale e del mondo, ossia l’Intero. Dunque il panteismo.

La differenza fra Severino e Bontadini sta nel fatto che mentre Severino non parla di Dio, ma solo dell’essere, perché la parola Dio gli evoca il Dio cristiano creatore del mondo dal nulla, e crede che  il concetto di creazione sia nichilismo, Bontadini, che vuol essere cattolico, mantiene la parola «Dio» col significato di essere assoluto, non però come causa efficiente e motrice prima ed ente supremo, ma come unico essere esistente, per cui la creazione per Bontadini non è produzione di essere, ma semplice dipendenza formale del mondo da Dio internamente a Dio, libero dalla contraddizione appunto perchè identico all’Identità divina.

Parmenide ci offre un’immagine visiva e vorremmo dire plastica del suo concetto dell’essere, quando parla dell’essere «pieno e rotondo». Questa immagine corposa e semplicissima rappresenta in modo alquanto significativo la visione cosmico-metafisica parmenidea di Severino e Bontadini.

Immagine da Internet: Kandinsky 

04 ottobre, 2025

Il concetto di Dio in Bontadini - Prima Parte (1/2)

 

Il concetto di Dio in Bontadini

Prima Parte (1/2)

Nos per similitudines rerum, quae in nobis sunt,

       cognoscimus res in seipsis existentes

Sum.Theol., I, q.20. a.2, ad 2m

 

Il travaglio di un filosofo cattolico fra idealismo e realismo

Il pensiero di Bontadini manifesta una mente speculativa certamente di alto livello e ampiezza di orizzonti, ma si nota in esso uno stridente contrasto fra l’istanza realistica tomista e il pensiero monistico ed eternalista di Severino, erede di quel Gentile che, al dire dello stesso Bontadini, affascinò ed entusiasmò i giovani universitari dei suoi tempi.

L’attualismo gentiliano era l’apoteosi dell’autonomia, della potenza creatrice, attivante ed autofondatrice del pensiero; il pensiero intrascendibile, identico all’essere; il pensiero come totalità dell’essere, come «intero», come uno-tutto, fine a sé stesso, il pensiero che ha per oggetto sé stesso, il pensiero come l’assoluto, l’atto puro, l’atto in atto. 

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Fontanellato, 16 settembre 2025

L’idea dell’Intero in Bontadini è associata a quella della totalità, che è totalità ontologica (tutte le cose) e al contempo totalità teologica (Dio è il Tutto). L’«Unità» bontadiniana «dell’esperienza» è l’Uno e al contempo l’Essere parmenideo, il Tutto e l’Intero.  Ma da questa confusione viene che tutto è uno ed è Dio, e Dio è l’uno-tutto. Da qui il panteismo.

Certamente il pensiero è un esse cognitum, è un esse intentionale e in tal senso possiamo dire che il pensiero appartiene all’orizzonte dell’essere. Ma ciò non toglie nella creatura la distinzione reale fra il suo essere e il suo pensare. Essa, anche come persona, può esistere anche se non pensa. E qui per «essere» intendo l’essere reale.

C’è un essere nell’anima e c’è un essere fuori dell’anima. «Non è la pietra che è nell’anima – dice Aristotele – ma l’immagine della pietra». La pietra è l’ente reale in atto d’essere. L’immagine della pietra è il concetto della pietra.

Vale tuttavia anche il detto agostiniano: interiora spiritualia, exteriora materialia. Vediamo fuori di noi delle sostanze spirituali? Sì, possiamo pensare a Dio o agli angeli o ai nostri cari defunti. Sono fuori nello spazio? No, ma nel senso che sono fuori dell’atto del nostro pensiero, nel senso che stanno davanti (ob-jectum) al nostro intelletto, come l’oggetto del nostro pensiero.

Immagine da Internet: Kandinsky

03 ottobre, 2025

Da Cartesio a Fichte. La confusione fra l’io umano e l’io divino - Parte Quarta (4/4)

 

Da Cartesio a Fichte

La confusione fra l’io umano e l’io divino

Parte Quarta (4/4) 

 

Non bisogna confondere la gnoseologia con l’autobiografia

Per fondare la scienza non conviene partire dall’io sono, ma bisogna partire dall’esso o dall’egli è, come ha fatto Aristotele, che non si chiede chi sono io, ma che cosa è l’ente.

Del resto, se io parto dall’io, dovrò riconoscere anche il tu. E siccome non sono solo, dovrò riconoscere anche il noi e il voi. Ora Fichte parte dall’io e oppone all’io un non-io. Ma che senso ha? Che cosa è questo non-io? Sono le coe? Sono gli altri? È Dio? 

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Per Fichte l’unità e la conciliazione degli opposti sono ottenuti solo con l’intervento della volontà, che per Fichte è l’essere stesso che ritrova l’unità assoluta iniziale. 

Ora, quale Io può avere le caratteristiche che Fichte assegna all’Io assoluto? Non certo l’io umano, ma potrà essere solo l’Io divino. E invece vediamo come questo Io assoluto è diviso in sé stesso e come in esso coesistono due posizioni o vite contrapposte l’una contro l’altra e nel contempo l’una relativa all’altra e necessitante dell’altra: l’Io e il non-io.

Esse per loro essenza si respingono e si attraggono ad un tempo, si vogliono e si rifiutano, si includono e si escludono a vicenda, si uniscono e si dividono, si odiano e si amano perché l’una non può esistere senza l’altra e l’una è necessaria all’altra proprio per consentire l’essenza e la costituzione dell’Io.  

Allora come non vedere qui in questa «aiuola che ci fa tanto feroci», per dirla con Dante, la conflittualità umana portata all’esasperazione? L’odio e la guerra come princìpi della convivenza umana? È questo l’ambiente divino o non piuttosto il regno di Satana?

Per Fichte dunque non sono più una cosa in sé, una creatura di Dio creata dal nulla, ma sono l’Io assoluto che pongo me stesso e il non-io all’interno del mio io in eterna lotta col mio Io. Squallida e tragica conclusione di una teoresi iniziata col dubbio sull’esistenza del mondo esterno e del mio stesso corpo che testimoniano eloquentemente della sapienza e della potenza infinite del Dio della giustizia e della misericordia.

Immagine da Internet: I lottatori, Courbet 



01 ottobre, 2025

Da Cartesio a Fichte. La confusione fra l’io umano e l’io divino - Parte Terza (3/4)

 

Da Cartesio a Fichte

La confusione fra l’io umano e l’io divino

Parte Terza (3/4) 

La posizione di Fichte

 

Per questo, se il cartesiano ammette l’esistenza di Dio, come in Kant, Dio è solo un’idea suprema della ragione; non è una persona che sta davanti a me. Non è il mio creatore ma un prodotto della mia mente. Non è un Dio che mi salva, ma un Dio che salvo io. Fichte la pensa allo stesso modo.  Per questo in tale concezione di Dio è chiaro che io non posso parlare a Dio e pregarlo, né Dio può parlare a me e rivelami qualcosa che Lo riguardi, a cui io debba credere.

La Massoneria ha fatto proprio questo concetto di Dio e per questo, come è noto, per lei una rivelazione divina è impossibile. Per questo Fichte, che aderì alla massoneria, tanto da scrivere una Filosofia della massoneria, ha scritto anche un Saggio di una critica di ogni rivelazione

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Cartesio ha invertito l’ordine e il processo del sapere ponendo come base un risultato, ossia l’autocoscienza, e bisognoso di dimostrazione ciò che è evidente punto di partenza, ossia l’esistenza del mondo esterno e del proprio corpo.

Non bisogna confondere il principio del sapere col principio dell’essere. Il principio dell’essere è Dio creatore; il principio del sapere è il triplice principio che ho detto sopra. Solo Dio può essere principio dell’essere. Io posso porre il mio pensiero, ma non il mio essere. Qui sta il grave errore di Fichte, il quale ricava dal cogito cartesiano la pretesa che l’io ponga il proprio essere.

La verità per Cartesio non è l’effetto di un’adeguazione dell’intelletto all’essere presupposto, ma di una decisione che l’essere sia. Il dubbio irrazionale è risolto in modo irrazionale per un atto di volontà.

Da qui la concezione fichtiana dell’essere come agire, porre, volere, fare (tun). Non è la volontà e la libertà che segue alla verità, ma la verità che è effetto della volontà e della libertà. La libertà di pensiero non è l’assoggettarsi al vero e all’essere, ma è la libertà di determinare l’essere e dar principio all’essere. Pensare è fare. Produrre il pensiero è produrre l’essere. Ciò riappare nell’attualismo di Giovanni Gentile. Questa concezione dell’essere come volere sarà ripresa da Schelling fino a Nietzsche.

 
Immagine da Internet: Il cavaliere azzurro, Kandinsckij

25 settembre, 2025

Da Cartesio a Fichte. La confusione fra l’io umano e l’io divino - Parte Seconda (2/4)

 

Da Cartesio a Fichte

La confusione fra l’io umano e l’io divino

Parte Seconda (2/4) 

 

La problematica cartesiana

Notiamo a questo punto che avendo Cartesio raggiunto, come conseguenza del cogito, la convinzione di esistere egli soltanto, egli si vede obbligato a dimostrare, in base al cogito, l’esistenza di tutto ciò che non è lui ed è fuori di lui, cosicchè per dimostrare l’esistenza di Dio, invece di seguire il normale procedimento induttivo di passare dagli effetti creati alla causa prima creatrice, ricorre ad una supposta idea innata di Dio. Dopodiché dimostra l’esistenza della realtà esterna in forza della veracità divina che gli garantisce che le idee sono conformi alle cose.

Sono evidenti il capovolgimento del processo conoscitivo e il circolo vizioso: per dimostrare che Dio esiste parte dall’idea di Dio, la quale suppone che già si sappia che Dio esiste. Sono solo gli angeli che hanno l’idea di Dio infusa da Dio nella loro mente. Noi ricaviamo l’idea di Dio per induzione, per negazione, per analogia e per eminenza dall’esperienza delle cose. 

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Il fatto è che Cartesio, nonostante il suo apparente impegno nel ragionare, non ha un concetto giusto di ragione. Una ragione come quella di Cartesio, che funziona autonomamente o «a priori» senza essere fondata sull’esperienza sensibile non esiste. O sembra una brutta copia dell’intelletto angelico.


L’interiorismo agostiniano può apparir simile all’idealismo cartesiano, perché in entrambi vediamo un moto riflessivo dell’intelletto dall’esterno all’interno. Tuttavia mentre in Agostino io, una volta entrato in me stesso, trovo nella mia coscienza e mi commisuro con una verità suprema, assoluta e sussistente, altra da me, che mi precede … per Cartesio non è più l’uomo, non è più la nostra mente che si adegua al dato oggettivo e al divino presente in lei, ma è l’uomo che sostituisce Dio nel far da regola e misura dell’essere delle cose.

Fichte non sbagliò nell’intuire questa possibile interpretazione del cogito, che, posto non da necessità oggettiva, ma da decisione soggettiva, è in fin dei conti, come ha osservato il Padre Fabro, un volo, un atto di libertà. Conoscere è imporre al reale la propria forma e insegnare è imporre agli altri le proprie idee. Cartesio non fonda la libertà sulla verità, ma la verità sulla libertà.

Così Cartesio, invece di orientare il pensiero verso l’essere esterno all’anima, lo ha orientato verso se stesso. Invece di orientare l’uomo verso Dio, lo ha orientato verso se stesso.  E – come osserva acutamente il Padre Fabro – siccome noi da noi stessi siamo nulla, lo ha orientato verso il nulla.

 
Immagine da Internet: Notte a Saint-Cloud, Edvard Munch

23 settembre, 2025

Da Cartesio a Fichte. La confusione fra l’io umano e l’io divino - Parte Prima (1/4)

 

Da Cartesio a Fichte

La confusione fra l’io umano e l’io divino

Parte Prima (1/4) 

 

Chi si esalta sarà umiliato

          e chi si abbassa sarà innalzato

Lc 14,1

 

Il bisogno di verità

Per spiegare il sorgere e le ragioni del pensiero cartesiano, è bene ricordare che Cartesio vive in un clima culturale e spirituale, quale quello dell’Europa influenzata dalle idee del Rinascimento e del luteranesimo, che avevano esaltato l’autoaffermazione dell’individuo con la sua coscienza soggettiva. Si trattava di una ripresa dell’interiorismo agostiniano, ma in chiave immanentistica e soggettivistica: il Dio-in-me che evolve nel Dio-per-me o secondo-me.

Le terribili guerre fra cristiani della fine del ‘500 avevano creato in molti la sfiducia nella possibilità di certezze filosofiche e religiose oggettive e salde, basate sull’esperienza sensibile e sulla conoscenza di fede. Forte era la tentazione di rifugiarsi nel fideismo, che si traduceva in fanatismo, nella violenza e nell’intolleranza, oppure alla rinuncia all’uso della ragione in materia religiosa accontentandosi di un’adesione di convenienza a una qualunque Chiesa, quale che fosse, pur di godere di tranquillità e benessere.

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Certamente si rivela in Cartesio un radicale bisogno di verità. Ma nel contempo quello che è inaccettabile è la spietata volontà di spegnere tutte le luci per quanto flebili, che pur conservava nella sua coscienza e memoria. Se veramente cercava la verità, avrebbe dovuto applicare il comando del Signore di non spegnere il lucignolo fumigante. Chi nella notte vede una piccola luce si accontenta di quella e quella gli fa sperare di vedere il sole. Invece questa volontà distruttrice non conduce la ragione alla luce, ma al baratro. Padre Fabro parla giustamente di nichilismo. 

La novità di Cartesio rispetto ad Aristotele sta in una migliore conoscenza di Dio, dello spirito e del funzionamento della nostra coscienza, che è il frutto di lunghi secoli di cristianesimo, valori che ovviamente sono assenti nel pagano Aristotele. Ma Cartesio in ciò non dice nulla di originale che non fosse già noto ai filosofi cattolici del suo tempo e che gli avevano insegnato al Collegio di La Flèche.

L’impresa cartesiana fallisce ed è illusoria, perché suppone che Aristotele si sia sbagliato nel fondare la metafisica. Cartesio crede di trovare una metafisica più sicura e meglio fondata, ma in realtà non fa altro che partire da quel protagorismo che Aristotele aveva già confutato. Cartesio non ammoderna la filosofia, ma la fa retrocedere a quella sofistica che Aristotele aveva già confutato.

D’altra parte Aristotele, con la sua opera di fondazione non ha scoperto o inventato niente, ma semplicemente ha messo per iscritto quelle nozioni basilari, fondamentali, originarie ed universali del sapere che appartengono alla mente umana come tale.

 
Immagine da Internet: Giovane che legge al lume di candela, Matthias Stomer

19 settembre, 2025

La Sindone, segno materiale della potenza dello Spirito. La Sindone guida alla fede e conferma la fede di chi ce l'ha già.

 

La Sindone, segno materiale della potenza dello Spirito

La Sindone guida alla fede e conferma la fede di chi ce l'ha già

 

Nell’Avvenire del 15 settembre u.s. è apparso un articolo del Prof. Gian Maria Zaccone, Direttore del Centro Internazionale di Studi sulla Sindone (CISS).

Tale articolo interviene nella discussione sulla Sindone, sempre attuale ed interessante. Con questo mio articolo entro in discussione col Prof. Zaccone.

Vorrei cominciare col dire che la Sindone  ricompare nel 1350 a Lirey. Vuol dire che si era conservata memoria di essa, scomparsa nel 1204 nel sacco di Costantinopoli ad opera dei crociati, tra i quali una forza di primo piano erano i Templari. 

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/la-sindone-segno-materiale-della.html

 

 

  

Nel 1453 la Sindone passò in proprietà della Casa Savoia, fino al 1983, quando Umberto II ne fece dono alla Chiesa.


Immagine da Internet:

- Papa Giovanni Paolo II e Umberto II di Savoia

 
 


17 settembre, 2025

Antonio Musarra risponde al mio articolo sulla Sindone. Un apprezzamento più rispettoso della reliquia del Signore.

 

Antonio Musarra risponde al mio articolo sulla Sindone

Un apprezzamento più rispettoso della reliquia del Signore

 

Antonio Musarra, autore dell'articolo sulla Sindone, “Oltre l'autenticità: così la Sindone interroga la nostra fede”, pubblicato su Avvenire martedì 9 settembre 2025, articolo che avevo esaminato nel mio blog, mi ha inviato dalla sua pagina Facebook una risposta, che volentieri pubblico corredata dalle mie osservazioni.

L'articolista si mostra più rispettoso di questa incomparabile e preziosissima reliquia del Signore. Tuttavia, come il lettore potrà constatare, non pare che egli abbia ancora compreso a sufficienza le osservazioni che ho fatto nel mio articolo sia sul significato apologetico del sacro Lino, che sull'importanza della misteriosa impronta in esso lasciata.

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/antonio-musarra-risponde-al-mio.html


Un medaglione in bronzo, recuperato sul fondo della Senna, è la prima testimonianza in assoluto dei pellegrinaggi alla Sindone in Europa. Risalente alla metà del 1300 l’oggetto reca la raffigurazione della Sindone con la sua doppia immagine, il tessuto a spina di pesce e gli stemmi della famiglia Charny. Era evidentemente appartenuta a un pellegrino che si era recato a venerare la Sindone e che intendeva portare a casa il medaglione in memoria dello speciale incontro.
 
Immagine da Internet: https://www.sindone.it/storia-1

14 settembre, 2025

La Sindone è il telo che ha avvolto il corpo di Cristo? Avvenire commette un errore di apologetica

 

La Sindone è il telo che ha avvolto il corpo di Cristo?

Avvenire commette un errore di apologetica

 

La ragione conduce alla fede e prepara l’atto di fede

Il quotidiano Avvenire* del 9 settembre scorso ha pubblicato un articolo di Antonio Musarra Devozione, oltre l’autenticità, nel quale l’Autore, trattando della Sindone di Torino in relazione al problema della fede, esclude che la Sindone possa avere un valore apologetico, con un ragionamento falso, affetto dal vizio della tautologia. Egli dice infatti: «la fede cristiana non si fonda su reperti tangibili, ma su un evento proclamato e creduto». È la stessa cosa che dicesse che la fede si fonda sulla fede, o che il credere si fonda sul credere.

Questa non è la vera fede cristiana e non è così che nasce la fede. Questo è suggestione, emozione, plagio, fanatismo, indottrinamento o vana credulità. La vera fede cristiana è una fede soprannaturale motivata da due princìpi generatori: un principio introduttivo e preparatorio umano, che è l’indagine e la verifica razionale dei motivi di credibilità del messaggio di fede e un principio divino, principale e decisivo, che è Dio che illumina la mente e la muove ad aderire alla Parola di Dio. 

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https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/la-sindone-e-il-telo-che-ha-avvolto-il.html



Ad aumentare la nostra meraviglia, si aggiunge un altro particolare misterioso: l’impronta sindonica dei capelli. Tale impronta non è quella che risulta naturalmente per un corpo che supponiamo disteso supino: in questo caso infatti i capelli si afflosciano e ne risulta l’immagine corrispondente. Nel caso della Sindone, invece, l’immagine dei capelli  è quella che risulta quando cadono perpendicolarmente, ossia quando il corpo è in posizione eretta.

Immagine da Internet

12 settembre, 2025

Una mia conferenza per l’Argentina - L’esperienza mistica in San Tommaso e in Rahner

 

Una mia conferenza per l’Argentina

L’esperienza mistica in San Tommaso e in Rahner

 

Penso di fare cosa gradita ai Lettori far loro conoscere una videoconferenza con la quale ho partecipato a un Congresso Internazionale, tenuto a Buenos Aires dal 25 agosto al 1° settembre u.s., organizzato dalla Società Tomista Argentina:

 

SOCIEDAD TOMISTA ARGENTINA

XLIX SETTIMANA TOMISTA - CONGRESSO INTERNAZIONALE

La fedeltà al tomismo e alla Vera Religione

La Sociedad Tomista Argentina (STA) organizó desde el lunes 25 de agosto hasta el lunes 1 de septiembre la XLIX Semana Tomista en el Campus de la Universidad Católica Argentina (UCA), con el lema “La fidelidad al tomismo y a la verdadera religión”.

https://tomasdeaquino.org/xlix-semana-tomista-argentina/

https://www.youtube.com/@sociedadtomistaargentina4317

 

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L’esperienza mistica in San Tommaso e in Rahner

Che cosa s’intende per «esperienza»?

Dio può essere oggetto di esperienza? Tanto San Tommaso che Rahner ne sono convinti, ma in modo molto diverso. Tommaso ne parla raramente e con molta cautela in senso metaforico, perché prendendo il concetto di esperienza in senso proprio, come contatto immediato o diretto con una realtà singola presente, Tommaso parla di esperienza solo in riferimento all’esperienza sensibile o comunque a fatti materiali[1]. Ammette anche un’esperienza interiore anche in forma di autocoscienza, ma mai su questa terra una vera esperienza di Dio e come visione immediata della sua essenza.

Tommaso conosce certamente l’esistenza e l’importanza dell’esperienza spirituale ed interiore, l’esperienza di coscienza, ma preferisce parlare di «riflessione»[2]. Egli ammette anche che l’io abbia coscienza o esperienza di se stesso o del proprio essere ed operare, ammette che l’anima abbia un’esperienza abituale ed immediata di sé stessa, ma anche in questi casi non parla di esperienza, ma semplicemente di conoscenza[3].

Usa il concetto di intuizione (intuitus) quando si riferisce a una percezione intellettuale del vero, ma anche qui non usa la parola «esperienza».  Non parla di esperienza quando tratta della semplice apprensione concettuale o della quiddità di una cosa. Dice che l’intelletto intende l’ente o la cosa (intelligit), ma non parla di esperienza della cosa, dell’ente o dell’essere.

Egli non ignora l’esperienza che noi abbiamo dei nostri vissuti o eventi interiori o fatti psicoemotivi, come l’esperienza del sentire, del sapere, del fare o dell’amore, della gioia o della sofferenza, o del rapporto col prossimo o con la natura. In questi casi egli parla di esperienza («experimur»).

Ma Tommaso rifiuta come condizione comune la possibilità di avere una vera esperienza di Dio o della sua essenza nella vita presente. Eccettua solamente Mosè e San Paolo[4] per la grande missione ad essi affidata di araldi rispettivamente dell’Antico e del Nuovo Testamento. Inoltre esclude l’anima di Cristo, circa la quale sostiene che in forza dell’unione ipostatica fruì della visione beatifica già nella vita presente, persino sulla croce[5], dottrina che fu confermata da Pio XII nell’enciclica Haurietis aquas del 1956. Egli invece, come è noto, è rigoroso nel dimostrare che Dio nella vita presente lo conosciamo solo indirettamente partendo dalla considerazione delle creature, come del resto la Bibbia stessa insegna[6] per analogia, per eminenza e per negazione, come causa e fine delle cose o anche nella sua essenza propria rivelataci da Cristo e conosciuta nella fede.

Continua:https://youtu.be/KUvkMQZ9lWM



[1] Sum. Theol, I, q.54, a.5,2; q.58, 3, 3m; II Sent., D.7, 2, 1, 4m.

[2] François-Xavier Putallaz, Le sens de la réflexion chez Thomas d’Aquin, Vrin, Paris 1991.

[3] Opusc., q.10, a.8.

[4] Super Epistulas Pauli, II, Cor 12,2-4, Lect. I, n.453, p.542 e n.462, p.544, Edizioni Marietti Torino-Roma, 1953, vol. I.

[5] Sum. Theol., III, q.46, a.8.

[6] Sap 13,5 e Rm 1,19-20.