Il ministero del Confessore - Terza Parte (3/4)

 Il ministero del Confessore

Terza Parte (3/4) 

Come fare per essere perdonato?

Lutero invece sentiva supremamente un bisogno irrefrenabile di certezza di essere perdonato, di essere gradito a Dio, di certezza di sapere che i suoi peccati erano perdonati, un bisogno di sentire la tenerezza di Dio, un desiderio certamente nobile e segno di un’anima religiosa; una prospettiva giusta ma in fin dei conti insufficiente, perché rischia di spingere il soggetto a ripiegarsi su se stesso con la conseguenza di abbracciare proprio quel pelagianesimo che, al seguito di Agostino,  volle combattere per tutta la vita, cadendo anzi nell’eccesso opposto di sottovalutare l’apporto del libero arbitrio e della ragione. Eppure egli, da buon occamista, non si accorse di lasciarsi sedurre dal pelagianesimo di Ockham, il quale aveva concepito il soprannaturale non come necessario alla figliolanza divina, ma come semplice volontà di Dio, il quale, se avesse voluto, poteva accordarci visione beatifica anche senza la grazia.

Lutero non sposò questa tesi di Ockham, ed anzi abbassò anche troppo la debolezza della natura corrotta rispetto alla grazia, più sulla linea di Agostino. Ma quel bisogno di assoluta certezza di essere in grazia non era segno di umiltà, ma di eccessiva stima nel potere della volontà, anche qui in contrasto con la sua sottostima del potere del libero arbitrio.

In realtà nella vita presente non possiamo ancora avere quella certezza che sarà propria della patria, ma ci troviamo sempre in una situazione oscillante, per la quale continuamente ricadiamo nel peccato, fosse pure solo peccato veniale, come preciserà il Concilio di Trento.

La pace che possiamo avere quaggiù è un aumento di confidenza in Dio, ma sempre accompagnato dal timore di peccare, distinto dal timore d’aver peccato, effettivamente eliminabile da un attento esame di coscienza. Finchè siamo quaggiù, infatti, sempre sentiremo lo stimolo della concupiscenza, come pure chiarirà il Concilio di Trento, ma il peccato sempre ritornante sempre lo possiamo togliere con la penitenza. Dobbiamo quindi rassegnarci alla concupiscenza, non al peccato. Questo va sempre di nuovo tolto grazie al perdono divino.

Lutero confondeva il timor di Dio col terrore di Dio. Dio in certe circostanze, come riconosce la Bibbia stessa (Sal 88,16-17), può effettivamente suscitare in noi terrore e spavento. Sembra rimproverarci duramente. Ci irrita e ci contraria nelle avversità o perché ci impedisce di fare la nostra volontà o di ottenere ciò che desideriamo. Ci fa temere di non essere predestinati. Ci sembra inaffidabile. Sembra che non si curi di noi. Ci viene il dubbio che esista o non esista.

Notiamo peraltro che il terrore si può avere a causa di forze prevalenti che ci minacciano e dalle quali non sappiamo come sottrarci. Ma è ragionevole provare un simile sentimento verso Dio? No certamente. Eppure per l’occamista, per cui Dio è inaffidabile perchè è irrazionalmente volubile, la cosa è possibile.

Ci si potrebbe chiedere: ma chi glie l’ha fatto fare a Lutero affidarsi ad Ockham? Perché non ha scelto San Tommaso e Sant’Agostino? Perché non ha accettato gli insegnamenti della Chiesa e le massime dei Santi? Era sicuro di interpretare bene la Bibbia? Per la verità, egli si sentiva ad un tempo attratto e respinto da Ockham: attratto perché credeva che il suo concetto di Dio, pura onnipotenza irrazionale e pura cieca volontà, fosse più biblica di quella ragionevole e cristallina di Tommaso; respinto perché si era accorto del suo pelagianesimo, dal quale però, senza accorgersene, fu attratto anche lui, dove non è difficile rintracciare, tutto sommato, una punta di quell’antropocentrismo rinascimentale, che egli aveva tanto in odio e del quale accusava il Papa.

Ora Lutero, per togliere il terrore, finì per togliere anche il timore, finendo in quella che il Concilio di Trento chiamerà «inanis haereticorum fiducia» (Denz.1553), con lo spiegare che mentre quando ci confessiamo è indubbio che dobbiamo esser certi della misericordia di Dio, non altrettanto possiamo essere sicuri del nostro stato di grazia e di essergli graditi con la nostra condotta, benchè possiamo congetturarlo da alcuni segni interiori.

Da qui però il sano timore di poter peccare e di poter essere in peccato, benchè debba prevalere una serena fiducia. Finché infatti siamo quaggiù, a causa dell’inclinazione a peccare conseguente al peccato originale (la «concupiscenza»), spesso pecchiamo: ma non dobbiamo scoraggiarci perché ogni volta Dio è pronto a perdonarci. Se invece aboliamo il timore, diventiamo troppo sicuri, non vigiliamo più, non scansiamo i pericoli, ed è proprio il momento in cui rischiamo sul serio.

Lutero non volle adattarsi a questo stato di misurata instabilità e di non totale e definitiva certezza, che da sempre è insegnato dalla saggezza dei Santi. Si era incaponito a volere da Dio un responso chiaro e definitivo, come se si fosse trattato di un dogma, mentre in realtà nella dinamica della volontà relativa alla salvezza è impossibile che Dio nella vita presente ci conceda questa certezza. Ancora qui la confusione di intelletto e volontà tipica di Ockham.

Fatto sta che Lutero resistette per alcuni anni nel sopportare questo stato per lui inaccettabile, per cui ad un certo punto, non potendone più, nel 1515 nella famosa «esperienza della torre» (Turmerlebnis) egli in un lampo di mistico entusiasmo credette che gli apparisse Cristo il quale gli avrebbe rivelato che poteva adattarsi a tranquillamente a peccare: bastava che egli avesse ferma fede che comunque si sarebbe salvato, il che è già tutto il succo del messaggio di Lutero, il quale continuò comunque a credere nell’esistenza dei beati e dei dannati.

Dunque un perdono totale ed assoluto senza passare attraverso il sacramento della Confessione! Molto comodo, ma le cose non stanno così. Lutero credette, come egli stesso disse, che «gli si spalancassero le porte del paradiso». Ma si trattava di una pericolosa illusione, generatrice di presunzione ed incorreggibilità. Il luteranesimo era nato. Tutto il resto viene da qui.

Ora è vero che Dio può perdonarci direttamente, anche senza la Confessione; e siamo anche liberi di rifiutare un Confessore che non ci ama, non ci capisce e ci maltratta. Il Confessore dev’essere esigente, ma anche comprensivo. Ma niente e nessuno può giustificarci nel respingere il sacramento della penitenza come tale. Questa è stata l’eresia di Lutero.

Lutero aveva davanti a sé l’esempio nobilissimo delle Confessioni di Sant’Agostino: come mai non ha saputo condividere ed apprezzare la gioia del grande Santo e Dottore nello sperimentare il frutto della Confessione? Perché pretendere più di quanto l’uomo può sapere della sua posizione davanti a Dio? È, questa, umiltà o siamo daccapo con la superbia di Ockham?

I buonisti di oggi non hanno fatto che estendere a tutta l’umanità quella salvezza della quale Lutero era convinto nel suo caso personale e che egli propone a coloro che seguono la sua concezione della fede. Egli tuttavia continuava a credere nel mistero della predestinazione, che tanto lo angosciava. I buonisti, per togliere questa angoscia, hanno inventato la ben nota tesi del «tutti salvi», in modo da sopprimere la domanda di Sant’Agostino «cur iste et non ille?», domanda alla quale l’Ipponense rispondeva: «noli judicare si non vis errare». I buonisti obbediscono ad Agostino non perché non sanno perché questo sì e l’altro no, ma perché credono in forza della loro misericordia che si salvano tutti.

Le radici occamiste

Lutero dichiara apertamente di seguire la scuola di Ockham: «sum occamicae factionis», che si connette col pensiero agostiniano, del quale pure l’agostiniano Lutero comprensibilmente si dichiara ammiratore. Tuttavia il sensismo volontarista di Ockham ben poco ha a che fare con la spiritualità agostiniana e Lutero, carattere emotivo e passionale, ne rimane infetto.

Lutero assume, del platonismo agostiniano, solo il pensiero morale, mentre è ostile alla dottrina platonica delle idee, tanto ammirata da Agostino. Decisamente Lutero non è uno speculativo e per questo nutre antipatia per Aristotele e San Tommaso. Ma ciò gli nuoce perché l’attenzione alle loro nozioni filosofiche. psicologiche, cosmologiche e metafisiche gli avrebbe risparmiato le eresie nelle quali è caduto.

Encomiabile certamente è la cura che ha di esprimersi nel linguaggio biblico e l’attenzione alla teologia biblica; tuttavia, fraintende San Paolo in senso libertario come se la vita di grazia concedesse una libertà che dispensa dall’obbedienza alla legge, senza accorgersi che la polemica di Paolo contro la legge si riferisce alla volontà di restare attaccati alle pratiche prefigurative della venuta del Signore e non certo all’obbligo sempre permanente dell’osservanza dei dieci comandamenti.

Ma la mancanza di una buona formazione filosofica impedisce a Lutero di interpretare rettamente diverse dottrine della Scrittura, che sono state interpretate dalla Chiesa appunto utilizzando categorie di Aristotele e di San Tommaso come nel dogma trinitario, dell’Incarnazione, della Redenzione, dell’anima, degli angeli, degli attributi divini, dei sacramenti, dei princìpi della morale.

Quanto ad Ockham, egli concepisce Dio come ente personale dotato di volontà, ma non di intelletto distinto dalla volontà, col pretesto che Dio è semplicissimo, per cui in Lui l’intelletto s’identifica con la volontà. Tuttavia Ockham trascura il fatto che la ragione di volontà è distinta dalla ragione di intelletto, per cui, se è vera la suddetta identificazione reale, resta pur sempre in Dio una distinzione di ragione fra intelletto e volontà, distinzione che ci permette di distinguere ciò che Dio pensa da ciò che Dio fa, la veracità e sapienza da una parte, e l’onnipotente e libera bontà dall’altra.

Ockham non intende rinunciare alla peculiarità dell’intelletto, che ha rapporto con la verità e la ragione, solo che per lui ciò che veramente ed unicamente sussiste è la volontà nella sua concretezza esistenziale, per cui se l’intelletto vuole avere uno spazio, deve adattarsi a inserirsi nella volontà, la quale poi a sua volta ha la pretesa di sostituirsi all’intelletto, sicchè la verità e la ragione non vengono più a dipendere dall’intelletto, ma dalla volontà.

Ockham intende salvaguardare l’onnipotenza e la libertà della volontà divina e l’istanza in sé è giusta. Senonchè ciò avviene a spese dell’intelletto, dove non funziona più il principio di identità che viene sostituito dal sì-no della volontà intesa come libero arbitrio. Ora è vero che in Dio c’è il libero arbitrio, ma non nel senso in cui esso esiste in noi che possiamo scegliere una cosa e il suo opposto, il bene e il male. In Dio il libero arbitrio non è altro che il principio delle scelte e delle decisioni divine concernenti il creato, scelte che non sono necessitate dall’essenza di Dio, ma sono contingenti.

Tuttavia l’oggetto di queste scelte non sono solo dei singolari, ma anche degli universali, immutabili e necessari non nel senso che esistano necessariamente, se no non sarebbero enti contingenti, ma nel senso che si tratta di essenze che sono così e non possono non essere così, altrimenti sarebbero altre essenze.

Occorre ricordare che Dio ha creato la natura umana fatta in un certo modo, cosicchè, per conservare quella identità, è necessario che essa abbia quelle caratteristiche e sia regolata da quelle date leggi, leggi universali, perché si tratta di doveri che vincolano tutti gli uomini, e che sono immutabili, altrimenti la natura cambierebbe l’uomo, per cui non sarebbe più uomo, ma un’altra cosa. Il fatto è purtroppo, come si sa, che Ockham non ammette la realtà degli universali, che per lui sono semplici astrazioni mentali. Da qui le conseguenze sono gravissime sia per quanto riguarda la teologia che l’antropologia e la morale.

Per Ockham Dio non ha creato degli universali, ma solo i singolari, perché nella sua mente non esistono intenzioni universali, ma solo particolari. Qual è la conseguenza sul piano della volontà divina, delle decisioni divine e dei comandamenti divini? Dio non agisce in base alla ragione, ma solo in base alla sua volontà. Non è quindi vincolato al principio d’identità o di causalità o di finalità, perché ciò, secondo Ockham, costituirebbe un ingiusto limite alla libertà ed onnipotenza divine. Benchè egli tenga al principio di non contraddizione, il volontarismo fa sì che Dio possa fare che una cosa sia contradditoria, che non abbia una ragione, una causa o un fine.

Nel creato per Ockham non c’è niente di universale, necessario ed immutabile. Dio non ha doveri verso nessuno, non deve render conto a nessuno e non è legato a nessun patto con l’uomo, ma può cambiare volontà quando e come vuole e nessuno può chiedergli conto del mutamento, perché ciò, secondo Ockham, sarebbe un voler scrutare, controllare o sindacare le decisioni divine, che invece per la loro misteriosità sono al di là di ogni nostra comprensione. Se Dio in questa sua condotta gli sembra prepotente, irragionevole, infido, ingiusto e crudele, peggio per lui; è segno che manca di umiltà e sottomissione ai valori divini.

Bisogna osservare ad Ockham che la fedeltà di Dio ai patti non va considerata un porre limite alla sua libertà e alla sua onnipotenza. E neppure il fatto che Egli comandi solo il bene e non il male pone un limite alla sua onnipotenza. E neppure è un limite alla sua onnipotenza se è bene solo ciò che comanda. Nel contempo non bisogna dimenticare che Egli vuole una cosa in quanto è buona.

Se quindi sappiamo che una cosa è buona, possiamo esser certi che è voluta da Dio e se Dio veramente comanda o permette qualcosa, possiamo esser certi che è cosa buona, benché al di là della nostra comprensione.  Ockham su questo punto non ha torto. Sbaglia sul primo punto.

Lutero è partito dalla Scrittura, ma non l’ha capita

Il passo che successivamente Lutero compì dopo l’esperienza della torre fu quello di respingere l’autorità del Papa, il quale non aveva approvato la sua soluzione al problema della giustificazione, ricordando che la fede necessaria alla salvezza non è la fede di salvarsi comunque senza combattere il peccato, ma è quella fede che viene messa in pratica frequentando il sacramento della penitenza.

A questa mossa del Papa Lutero rispose con un’altra mossa: la negazione del sacramento dell’Ordine come ministero della Confessione e volendo colpire alla radice il sacramento dell’Ordine, già che c’era, pensò bene anche di negare il potere del sacerdote di dir Messa. Ma ciò non bastava ancora: sapendo che i sacramenti e la vita religiosa sono oggetto della dottrina della Chiesa, da lui aborrita, pensò bene di eliminare anche la vita religiosa e gli altri sacramenti, escluso il Battesimo, troppo evidentemente voluto da Cristo.

L’esperienza angosciante della Confessione è alla radice della riforma di Lutero. La constatazione degli abusi e delle ingiustizie della gerarchia lo condusse alla convinzione, come già era successo a Wycliff e ad Hus, che la gerarchia e quindi il sacerdozio sacramento non fosse stato istituito da Cristo. Per questo, venne nella convinzione che l’organizzazione direttiva della Chiesa doveva essere radicalmente cambiata.

Lutero rifiutò l’apostolato petrino per ordinazione e quindi la successione apostolica, accogliendo solo l’apostolato per rivelazione come quello paolino, trasmissibile non per successione, ma per vocazione. Egli stesso si ritenne il primo esponente di simile apostolato, per cui si mise a nominare apostoli i suoi seguaci ed è così che è nata la Chiesa luterana.

Una cosa che ancor oggi non è del tutto chiara è quale sia stata esattamente la visione di Lutero nei confronti dell’istituto del Papato. Lutero ebbe a dire che egli avrebbe accettato il Papa se il Papa fosse fedele al Vangelo. Questa frase è estremamente significativa, perché sembrerebbe mostrare che Lutero non volle rifiutare l’istituto del Papato e quindi il sacramento del sacerdozio come tali, ma la loro cattiva applicazione e quindi – dobbiamo inferire – ricondurli all’obbedienza di quella che è la volontà di Cristo.

Tuttavia, questa sembra essere un’interpretazione troppo benevola, che annovererebbe Lutero tra i riformatori cattolici. In realtà la storia ci dice che Lutero di fatto concepì una Chiesa senza il Papa e senza la successione apostolica, ma guidata dall’organismo direttivo da lui istituito, che ad un certo punto cominciò a ritrovare alcuni ministeri, come quello del Vescovo, del diacono o del parroco, ma intesi nel senso inteso da Lutero.

Di fatto, rompendo con Papa Leone X, egli dette prova – così almeno pare – di considerare finita la successione dei Papi in quanto istituto contrario alla volontà di Cristo. Per questo, senza ovviamente negare la necessità che la comunità cristiana abbia un capo, egli venne nella convinzione – riflesso di una tipica mentalità occamista – che la Chiesa non sia un’unica comunità sotto un solo capo, ma un insieme di comunità ognuna col suo pastore.

La frase di Gesù «uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli» la intese nel senso che capo della Chiesa è Cristo e solo Cristo, senza vicari o mediatori sulla terra se non i singoli pastori delle comunità, per cui egli considerò se stesso il primo esemplare di simile modo di concepire il ministero ecclesiale per cui per tutta la vita si dette da fare per istituire comunità di questo tipo, le quali sono venute così a costituire la Chiesa luterana fino ai nostri giorni.

Fine Terza Parte (3/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 10 agosto 2023

Finché infatti siamo quaggiù, a causa dell’inclinazione a peccare conseguente al peccato originale (la «concupiscenza»), spesso pecchiamo: ma non dobbiamo scoraggiarci perché ogni volta Dio è pronto a perdonarci.

Ora è vero che Dio può perdonarci direttamente, anche senza la Confessione; e siamo anche liberi di rifiutare un Confessore che non ci ama, non ci capisce e ci maltratta. Il Confessore dev’essere esigente, ma anche comprensivo. Ma niente e nessuno può giustificarci nel respingere il sacramento della penitenza come tale. Questa è stata l’eresia di Lutero. 

Occorre ricordare che Dio ha creato la natura umana fatta in un certo modo, cosicchè, per conservare quella identità, è necessario che essa abbia quelle caratteristiche e sia regolata da quelle date leggi, leggi universali, perché si tratta di doveri che vincolano tutti gli uomini, e che sono immutabili, altrimenti la natura cambierebbe l’uomo, per cui non sarebbe più uomo, ma un’altra cosa. Il fatto è purtroppo, come si sa, che Ockham non ammette la realtà degli universali, che per lui sono semplici astrazioni mentali. Da qui le conseguenze sono gravissime sia per quanto riguarda la teologia che l’antropologia e la morale.

Nel creato per Ockham non c’è niente di universale, necessario ed immutabile. Dio non ha doveri verso nessuno, non deve render conto a nessuno e non è legato a nessun patto con l’uomo

Bisogna osservare ad Ockham che la fedeltà di Dio ai patti non va considerata un porre limite alla sua libertà e alla sua onnipotenza. E neppure il fatto che Egli comandi solo il bene e non il male pone un limite alla sua onnipotenza. E neppure è un limite alla sua onnipotenza se è bene solo ciò che comanda. Nel contempo non bisogna dimenticare che Egli vuole una cosa in quanto è buona.

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