Piacere
sessuale e piacere spirituale
Dolcezza senza fine alla tua
destra
Sal16,11
Un’etica
del piacere
Come sappiamo bene, oggi non solo nella
società, ma anche nella Chiesa e addirittura nel clero si stanno diffondendo
vizi sessuali particolarmente gravi: la pedofilia e la sodomia. Possiamo
chiederci quali possano essere le cause di una corruzione morale così grave. E
quali i rimedi.
Questi vizi dipendono dall’idea che il
piacere sessuale va apprezzato e cercato con qualunque mezzo come bene
assoluto, massimo ed irrinunciabile, non importa se naturale o contro natura,
se regolato o non regolato dalla ragione o dalla fede, se si concili o non si
concili con lo spirito, se turbi o non turbi la coscienza, se debba o non debba
avere limiti e modo.
Ci si è dimenticati che il vero bene, che dà
la vera felicità, non è il piacere fisico, ma il bene onesto, cioè quel bene
che può essere fisico o spirituale, ma che è coscientemente e prudentemente deciso
e liberamente voluto dalla ragion pratica illuminata dalla fede e sostenuta e
guarita dalla grazia, con l’occhio dell’intelletto e intelligente sensibilità volti
ai fini umani corporali e spirituali, individuali e sociali, terreni ed ultraterreni,
e la volontà volta alla pratica delle leggi morali della natura umana in
generale e caso per caso e, nel campo dell’etica sessuale, con lo sguardo volto
allo scopo del rapporto uomo-donna nella vita presente e nella resurrezione.
Mentre infatti ci può essere un piacere
fisico o spirituale disonesto e peccaminoso, ossia scisso dall’osservanza della
legge morale; ed in tal caso il piacere sessuale è lussuria; ci può e ci deve essere un piacere fisico o
spirituale onesto, ossia ragionevole, lecito e virtuoso. Nel caso dell’etica
sessuale, abbiamo allora la castità e la temperanza sessuale.
Il piacere, in generale è quell’esultanza o
senso di felicità o di pienezza psicoemotiva, che il soggetto sperimenta quando
fruisce del suo bene vero o apparente, sia fisico che spirituale. Se il
soggetto ha conseguito il vero bene, l’esultanza è autentica e senza ombre; ed
è tanto più grande quanto maggiore è il bene raggiunto.
Se è un falso bene, puramente utile o
dilettevole, egoistico o sensuale, il
soggetto prova un gusto esteriore, ma disagio interiore, perché la coscienza lo
rimprovera. Ma, se è attaccato al piacere peccaminoso, cerca, peraltro invano,
di far tacere la coscienza. Resta sereno, se, senza saperlo, fa il male
inconsapevolmente.
Dio fa seguire il piacere al compimento di
un’azione naturale, della quale il soggetto ha bisogno per vivere. L’animale è
attirato a compiere quell’azione dall’istinto e dal ricordo del piacere che gli
ha procurato. L’uomo è attirato a compiere le azioni utili alla vita dalla
ragione, stimolata e rafforzata dal
piacere che sperimenta nel compierle.
La ricerca del piacere, infatti, è di per sè
naturale e voluta da Dio, creatore del piacere sia fisico che spirituale, salvo
che sia corrotta dal peccato. Il piacere naturale nasce invece dalla
corrispondenza che Dio crea, per esempio, tra il corpo femminile e quello
maschile, sicchè nell’unione fra i due l’uno cerca nell’altra quel piacere che
l’altra desidera dall’uno.
Può esistere, però, anche una forma di
piacere morboso, non voluto da Dio, ma conseguenza del peccato originale, e
perciò peccaminoso, un piacere che il soggetto cerca per se stesso, indipendentemente
dal compito di una nomale unione sessuale, come per esempio quello provocato dalla
masturbazione o dalla pedofilia o dal rapporto omosessuale, anche se è vero che
si tenta di giustificare queste ultime forme di
atti sessuali come espressioni dell’«amore».
Bisogna riconoscere bensì che tra i due può
esistere un autentico amore; ma certo non è quello il modo onesto e lecito per
esprimerlo. Né d’altra parte – e ciò è chiaro – non è detto che un puro e
semplice rapporto sessuale fisiologicamente normale, sia con ciò stesso
moralmente lecito ed onesto.
L’agire morale dell’uomo è posto davanti ad
una gerarchia di valori, di beni o di fini per il fatto che la natura umana
vive a tre livelli di vita. Il vivente vive fondamentalmente di una vita
vegetativa, neurofisiologica, deputata all’alimentazione, all’autoconservazione
dell’organismo, all’autodifesa ed alla riproduzione della specie.
Egli deve prendersi cura della salute fisica;
ma le funzioni fisiologiche vegetative, che la sorreggono, la proteggono e la
promuovono hanno già per conto loro un dinamismo indipendente dalla volontà,
salvo l’apparato alimentare e quello sessuale, che sono regolabili e
controllabili dalla volontà, ed è per questo che possono essere soggetto di
virtù o vizio morale: sobrietà-gola, castità-lussuria.
Il piano vegetativo dell’alimentazione e
della sessualità è in parte moderato dalla retta ragione e dalla buona volontà
per la mediazione del piano psicologico o psicoemotivo ed affettivo, ovvero il
piano delle passioni. Il piano psicologico sta sopra quello vegetativo, in
quanto vi aggiunge l’apprensione e l’affettività. È il piano che introduce il soggetto
alla relazione sociale, a cominciare da quella fondamentale maschio-femmina, nonchè
al dominio ed all’utilizzazione della natura. I valori vegetativi quindi sono
ordinati a quelli psicologici.
Ma non siamo ancora sulla cima della scala.
L’uomo è sì animale, ma animale ragionevole, dotato di un’anima spirituale, per
la quale aspira a trascendere il mondo fisico, materiale e corporeo, a relazionarsi
non più soltanto con la natura, col mondo vegetale ed animale e col proprio
corpo, ma con se stesso in quanto io personale, con l’altro sesso e con le persone
con le quali vive. Ma non gli basta ancora. Deve salire un ultimo e supremo
gradino, al vertice dell’ascesa spirituale: la relazione con Dio.
Chiaramente, a ciascun grado di questa scala di
valori corrisponde un livello di piacere sempre più intenso, gratificante,
coinvolgente, soddisfacente ed elevato. Si parte dal senso di benessere che
proviene da una buona salute e da un organismo che svolge bene le sue funzioni;
si sale al piacere dato dall’alimentazione e da una moderata o temperata vita
sessuale; da qui ulteriormente si sale al piacere ben più superiore della vita
morale ed interiore, della creatività dello spirito, del sapere, del lavoro,
dell’arte, della cultura, delle buone relazioni sociali, familiari, amicali,
comunitarie, politiche ed ecclesiali.
Da ultimo e al gradino più alto, si hanno le
gioie più intense, intime, segrete ed elevate dello spirito, fino
all’indicibile: la comunione dei Santi, l’acquisto del virtù e della sapienza, l’esperienza
dell’amicizia e dell’amore fraterno, l’esercizio della carità, l’esperienza
mistica e contemplativa, l’esperienza del perdono e della misericordia di Dio, la
meditazione, l’ascolto e l’annuncio della Parola di Dio, la vita sacramentale, l’obbedienza,
il sacrificio, la preghiera, la liturgia, la fruizione dei doni dello Spirito
Santo, la pregustazione del paradiso e della resurrezione, la penitenza e l’unione
con Gesù crocifisso.
Il senso e
lo scopo ultimo del voto di castità
A questo punto dobbiamo far intervenire, in
relazione al rapporto uomo-donna una considerazione di grande importanza, che
ci aiuta a comprendere la differenza tra lo stato attuale di natura decaduta e
redenta e il futuro stato della resurrezione, che è restaurazione sopraelevata dello stato edenico.
È chiaro che i suddetti livelli vitali, a
ciascuno dei quali corrisponde un livello del piacere, così ben connessi ed
armonizzati tra di loro come li abbiamo visti, rispecchiano il piano divino originario, per cui questi piani
convergono in unità tra di loro e si
assomigliano al di dà delle grandi differenze, perché provengono tutti dalle
mani sapientissime del Creatore.
Tuttavia, di fatto, a seguito del peccato
originale, i piani bassi contrastano con
quelli alti e li trascinano verso di sè, mentre gli alti mancano di saggezza
e moderazione nel trattare i bassi nel dovuto modo o lasciandoli troppo liberi
o castigandoli con eccessiva severità. Si tratta di quel doloroso conflitto
interiore, che S.Paolo chiama lotta tra la «carne» e lo «spirito», di quella
«concupiscenza», per la quale Paolo si sente trascinato a fare ciò che non
vorrebbe.
Avviene così nello stato presente di
conflittualità sesso-spirito che quelle anime che sentono in modo speciale più
di altre l’attrattiva delle più ardue e nobili conquiste e delle più sublimi gioie
spirituali, quelle che maggiormente si sentono intralciate dalla concupiscenza
della carne e vogliono seguire Cristo più da vicino, per produrre più ampli frutti
di opere buone, rinunciano ad ogni piacere sessuale col voto di castità.
Tuttavia esse fanno questo non in vista di abbandonare
per sempre corpo e sesso maschile o femminile, come credeva si dovesse fare
Origene, che considerava il piacere sessuale non come creato da Dio, ma come un
vergognoso castigo del peccato originale, per cui la differenza uomo-donna va esclusa
totalmente dalla resurrezione. Il fine ultimo della castità, al contrario, è
preparare fin da ora il corpo della resurrezione, perchè la resurrezione
finale, per quanto misteriosa e trascendente nel suo modo d’essere e nei suoi
dettagli, non è che la pienezza finale della resurrezione che deve iniziare sin
da quaggiù già col battesimo e la crescita delle virtù cristiane.
Origene invece fraintende completamente
l’antropologia escatologica di S.Paolo, che parla di un passaggio dall’uomo «psichico»
a «spirito vivificante» e dall’uomo «terreno» all’uomo «celeste» (I Cor
15,46-49). Ma se c’è un dottore della resurrezione, questo è proprio S.Paolo,
il quale con le suddette espressioni non intende affatto dire che alla resurrezione
saremo spiriti disincarnati, ma parla chiarissimamente della resurrezione del corpo, che è evidentemente distinto in maschile e femminile, per cui non potrà non
esservi la resurrezione della mascolinità e della femminilità.
Benché peraltro per adesso non sappiamo quali
saranno in cielo le fattezze dei due sessi, che noi quaggiù conosciamo solo in
funzione della riproduzione della specie, possiamo tuttavia ritenere che in
cielo l’unione uomo-donna sarà una pura unione d’amore senza genitalità, se è
vero che la carità, come dice l’Apostolo, non verrà mai meno.
Per Paolo il cristiano è già un risorto (Col
3,1), perché Cristo «ci ha risuscitati» (Ef 2,6). La pratica della castità consacrata
anticipa la vita dei risorti, fa fruire delle «primizie dello Spirito» (Rm
8,23) e della «caparra dello Spirito Santo» (II Cor 1,22; 5,5). Essa ha il
compito di «mortificare nell’uomo ciò che appartiene alla terra» (cf Col 3,5),
genera la «nuova creatura» (Gal 6,15; II Cor 5,17), e prepara l’«uomo nuovo»
(Ef 4,24), l’uomo della resurrezione, che sostituisce l’«uomo vecchio» (Rm 6,6)
appartenente alla natura decaduta e sepolto nel battesimo (cf Rm 6,4; Col 2,12).
La castità consacrata va dunque praticata
usque ad mortem veteris hominis, in vista
dell’homo novus della
resurrezione.
P.Giovanni
Cavalcoli
Varazze, 7
marzo 2019
Pubblicato il 9 marzo 2019 :
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