Verginità e unione sessuale (Seconda Parte - 2/2)

 Verginità e unione sessuale

Seconda Parte (2/2) 

Lo sposalizio del Padre

Il Padre genera da solo dall’eternità il Figlio, preesistente alla creazione del mondo. Tuttavia il Padre, ordinando al Figlio di assumere una natura umana, genera anche il Figlio incarnato, fecondando il seno di Maria con lo Spirito Santo, che è il Principio fecondante, ossia il Germe del Padre, per cui Maria concepisce un figlio la cui anima è creata immediatamente da Dio, ma la cui Persona è la Persona del Verbo. Così il figlio che nasce da Maria e che Maria genera è una Persona divina in due nature: Figlio del Padre come Dio e figlio di Maria come uomo.

Così Maria è sposa del Padre, Madre del Figlio e feconda di Spirito Santo, che è lo Spirito del Padre. Gesù, dal canto suo, è Figlio del Padre come Dio ed è figlio di Maria come uomo. E Maria, siccome è Madre di un uomo che è Dio, è Madre di Dio. Maria è sposa di Giuseppe, ma il loro è un matrimonio vergine. La verginità di Maria tuttavia non è sterile. Ma feconda per la potenza di Dio. Infatti Maria genera Cristo non perchè si è unita a Giuseppe, ma perchè si è unita al Padre.

 Così ella ad un tempo è sposa di Giuseppe e sposa del Padre. Ha un marito umano e un Marito divino. Questo non vuol dire che Maria sia bigama, perché, benché ella abbia contratto con Giuseppe un matrimonio giuridicamente valido, Maria ha un unico Sposo: il Padre, perché lei e il Padre hanno generato lo stesso Figlio. In che senso, allora, Giuseppe è sposo di Maria? Occorre ricordare che il matrimonio è un contratto fra un uomo e una donna. È esattamente quello che è avvenuto fra Giuseppe e Maria.

Per cui nell’unione tra i due troviamo la reciprocità caratteristica del matrimonio, la tutela civile e religiosa e persino la collaborazione a livello economico. Inoltre a parte la generazione fisica di Maria del Figlio di Dio Incarnato, troviamo la anche generazione spirituale e l’opera educativa della prole, laddove Luca accenna alla crescita di Gesù nella grazia e nella sapienza presso gli uomini (cf Lc 1,40 e 2,80).

Tuttavia Maria in questa circostanza unica compie una specialissima volontà di Dio, unica nel suo caso unico in tutta l’umanità, così come unico è il Salvatore dell’umanità, e quindi un caso privilegiatissimo, assolutamente inimitabile ed irripetibile: essere Madre di Dio e quindi fecondata da Dio e non da un uomo, fosse pure suo marito. Ma siccome per volontà del Padre suo Sposo, Maria si è unita a un Marito divino e non al marito umano, Maria ha un Figlio divino, che però ha preso da lei la sua carne ed è nel contempo legalmente figlio di Giuseppe, suo padre umano, benché non generato da Giuseppe.

Occorre a questo punto fermarsi sulla risposta che l’angelo dà alla domanda di Maria: «come è possibile? Non conosco uomo». L’angelo risponde in un modo vago e misterioso: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo» (Lc 1,35).

Evidente è l’intervento dello Spirito Santo. Ma cosa farà esattamente? «Coprire con la propria ombra» è evidentemente un’espressione metaforica. È un’immagine usata dalla Scrittura per significare o la protezione divina (Sal 122, 5; Is 51,16) ovvero il fatto di essere avvolti o nascosti nel mistero divino (Is 49,7; Mc 9,7).

Ma è chiaro che le parole dell’angelo svelano ben poco. Sembrano dire semplicemente che è un mistero. Maria avrebbe potuto obiettare con rispetto all’angelo: «se è per questo lo avevo già capito da sola. Per questo ti ho fatto la domanda. Tu non è che mi sveli un gran che. Comunque va bene così. Accetto la tua proposta. Avvenga di me secondo la tua parola».

Tuttavia, se guardiamo con attenzione, una cosa viene rivelata e Maria l’avrà certamente afferrata: l’intervento dello Spirito Santo. È lo Spirito del Padre, lo Spirito e il Germe dello Sposo, il Principio della Vita, il Principio fecondante, che rende operante ed efficace l’atto generativo del Padre e fà sì che Maria divenga incinta di Gesù.

Lo sposalizio di Cristo

Cristo nella Scrittura non appare come padre e come genitore, però appare come sposo (cf Mt 9,15; Mc 2, 19-20; Gv 3,29; II Cor 11,2). Gesù riprende per Sé l’immagine veterotestamentaria di Dio come Sposo d’Israele (Is 62,4; Is 54,5). Lo stesso Cantico dei Cantici, come si sa, rappresenta i rapporti d’amore di Dio con Israele. Gesù è lo sposo della Chiesa (II Cor 11,2).

Come sappiamo, il Cantico dei Cantici è stato utilizzato dalla tradizione mistica anche come rappresentazione poetica dell’unione mistica dell’anima con Dio. Questo vuol dire che l’unione fra l’uomo e la donna è l’immagine migliore per rappresentare l’unione mistica dell’anima con Dio, meglio di qualunque altra immagine tratta dai rapporti umani, sia quella tra padre e figlio e sia quella dell’affetto tra amici o fratelli.

Il rapporto figlio-padre certo ci fa comprendere il rapporto di Gesù col Padre celeste: ma qui si tratta del rapporto dell’uomo con Dio, ed è logico che Lo sentiamo come Padre, mentre sul piano dei rapporti umani, che è un piano di parità, il modello resta quello edenico di essere «una sola carne».

Solo infatti con un altro essere umano, corporeo come noi, possiamo essere una sola carne, non con Dio, che è purissimo Spirito. Certo con Lui possiamo e dobbiamo essere un solo spirito, il che certo è molto di più. Ma nell’amore del prossimo la perfezione, soprattutto nell’amore fra uomo e donna, è data anche dall’unione fisica, voluta da Dio stesso per la nostra piena felicità.

Ed è noto anche il paragone che San Paolo fa del rapporto sposo-sposa col rapporto Cristo-Chiesa (Ef 5 22-32). Il marito rappresenta Cristo. Senonchè Paolo si basa su di una concezione del rapporto uomo-donna legato al rabbinismo del suo tempo[1], non fondato, come troviamo nel racconto della creazione, sull’essere una sola carne, e quindi sull’uguaglianza-reciprocità, ma sulla soggezione della donna all’uomo, una legalizzazione rabbinica dello stato di natura decaduta conseguente al peccato originale.

Ora è ovvio che Cristo è Capo della Chiesa, ma appunto qui non funziona il paragone paolino, quando l’Apostolo dice: «il marito è capo della moglie come anche Cristo è Capo della Chiesa» (Ef 5, 23). Che la Chiesa debba essere sottomessa a Cristo, è chiaro, è verità di fede, ma che la donna debba essere sottomessa all’uomo, non è verità di fede, ma è una concezione rabbinica e in genere pagano-antica superata dal progresso storico avvenuto proprio alla luce di una migliore interpretazione del racconto biblico della creazione.

Che poi la famiglia debba avere un capo, come qualunque comunità umana, è evidente, ma questo capo oggi  non è più il pater familias, ma è l’unità marito-moglie[2]. L’esser capo della moglie non è de essentia sacramenti, ma è un paragone escogitato dal rabbino Paolo in base alla sua convinzione della superiorità dell’uomo sulla donna.

Ora, alla luce dell’odierna concezione del rapporto uomo-donna, avallato dallo stesso magistero pontificio sin dai tempi di Pio XII, dobbiamo dire che la grazia del sacramento del matrimonio non è la grazia data al padre di comandare alla moglie e ai figli, sia pure sull’esempio di Cristo che guida la Chiesa, ma è la grazia data a marito e moglie, assieme e alla pari, di educare i figli. Non è che decide sempre il marito; o si decide assieme oppure, di volta in volta, ora decide uno, ora decide l’altra. Ci si sottomette l’uno all’altra.

Con tutto ciò è pur vero che il paragone paolino con Cristo che dona se stesso alla moglie per purificarla è commovente; per questo mantiene un certo valore; ma bisogna aggiungere che anche la moglie deve fare lo stesso a favore del marito, cosa che evidentemente non può fare la Chiesa nei confronti di Cristo. Ci si corregge a vicenda.

Inoltre Gesù è presentato da Paolo anche come Sposo della donna consacrata (I Cor 7, 34-35). La vergine avrebbe il privilegio rispetto alla sposata di potersi dedicare totalmente a Cristo «senza distrazioni» (v.35), a differenza della sposata, che avrebbe invece il cuore diviso fra Cristo e il marito. Ma ci si potrebbe chiedere: se veramente il marito rappresenta Cristo, perché mai la sposata dovrebbe essere divisa tra il marito e Cristo?  

Anche l’immagine di Cristo Sposo della donna consacrata, benché abbia questo fondamento paolino ed alle spalle quindi una tradizione millenaria, non so se oggi come oggi, considerando la moderna pari dignità dell’uomo e della donna, possa ancora funzionare. Essa infatti evoca l’idea di uno sposo signore della sposa, se è vero che Gesù è Signore.

Ora, se vale l’appellativo tradizionale del sacerdote come alter Christus, forse che non può capitare anche alla Religiosa, come alla sposata, di trovarsi divisa tra il Confessore e Cristo? Forse che il Confessore è infallibile nel rappresentarle Cristo e la Religiosa deve sempre e comunque obbedire? Anche qui, in questa immagine della «sposa di Cristo» pare si debba notare una sottovalutazione della donna.

Inoltre siamo daccapo: che senso ha un esser «sposo» o «sposa» senza che ciò evochi, per una donna sessualmente normale, il corredo psicoemotivo, se non quello fisico, che si congiunge normalmente all’immagine dello sposalizio? Da analisi di esperienze mistiche femminili fatte da psicologi, sembra risultare in certi casi, da come la donna si esprime e descrive quanto ha sperimentato, la traccia inconscia di un’emotività sessuale. Ci si domanda allora quale vantaggio la castità della Religiosa trae dall’uso di immagini, metafore, simboli o concetti che normalmente richiamano l’esercizio del sesso? Non sarebbe meglio abbandonarli?

Teniamo, inoltre presente che, se lo sposo nel matrimonio è immagine di Cristo e non è Cristo, neppure il Confessore, benché alter Christus, sarà alla pari di Cristo nei confronti della Religiosa, benché il Sacerdote, per il suo sacerdozio, rappresenti Cristo per la Religiosa ad un grado superiore a quello col quale il marito possa rappresentare Cristo per la moglie.

Comprendo dunque l’esigenza più che legittima, anzi doverosa per la Religiosa di un’intimità totale, affettuosa e ardente con Cristo; ma oggi il concetto di «sposo» non equivale più per la donna al dire «signore», il baal ebraico, ma significa semplicemente l’edenico «ossa delle mie ossa e carne della mia carne» in reciprocità su di un piano di uguaglianza.

Anche il detto tradizionale per cui la Religiosa non ha sposato un uomo, ma ha sposato Dio, sembra non funzionare più per il medesimo motivo: siccome «sposo» non dice più «Signore», ma una creatura alla pari, sembra che la Religiosa venga a scegliere un uomo, Cristo, al posto di un altro, cosa che evidentemente si risolve nel mancare di rispetto a Cristo. 

Oggi insomma non è più possibile per una donna esprimere la signoria di Cristo su di lei con’immagine dello sposo, perché oggi «sposo» vuol dire un uomo alla sua pari. Meglio allora limitarsi, secondo me, e ne avanza, a chiamare Gesù Signore, Maestro, Fratello, Amico, Figlio di Dio secondo i titoli evangelici.

Inoltre Paolo ricorda che la vita secolare porta con sé «tribolazioni nella carne» (I Cor 7,28), mentre la vita religiosa toglie le preoccupazioni terrene (vv.33-34). Va bene, ma non sono peggio le tribolazioni interiori e le preoccupazioni per il bene della Chiesa e delle anime? E dunque qui Paolo non appare molto convincente. Notevoli invece appaiono gli argomenti a favore della superiorità della vita religiosa su quella secolare portati dal Concilio Vaticano II, il quale evidenzia come i religiosi sono segni già presenti adesso della vita futura, mentre la vita secolare, per quanto santa, è confinata nei limiti della presente vita mortale:

«Lo stato religioso, che rende più liberi i suoi seguaci dalle cure terrene, rende visibile per tutti i credenti la presenza, già in questo mondo, dei beni celesti, meglio testimonia la vita nuova ed eterna, acquistata dalla Redenzione di Cristo e meglio preannunzia la futura risurrezione e la gloria del regno celeste»[3].

Quanto all’immagine di Cristo Sposo della Chiesa o della vergine Sposa di Cristo, essa evoca evidentemente l’idea di un matrimonio vergine. Utilizza l’aspetto dell’unione spirituale intima fra gli sposi, togliendo il rapporto sessuale. Gesù stesso si presenta come Sposo in questo senso mistico.

L’idea di Cristo Sposo della Chiesa nasce da una personalizzazione della Chiesa, simboleggiata dall’Apocalisse al c.12.  Il Concilio Vaticano II precisa che l’essere sposa di Cristo non definisce propriamente l’essenza della Chiesa, ma va annoverata fra le «immagini»[4] della Chiesa, mentre la definizione propria è quella che possiamo ricavare da Pio XI: «La Chiesa è una società soprannaturale, voluta da Dio Padre, fondata da Gesù Cristo, animata dallo Spirito Santo, inizio del regno di Dio, sotto la guida in terra del Romano Pontefice, Successore di Pietro,  la quale  abbraccia l’intero genere umano, e in sé perfetta, dato che ha da sè tutto ciò che concorre al suo fine, cioè l’eterna salvezza degli uomini, per cui nel suo ordine è suprema[5]».

Anche la denominazione della Chiesa come «popolo di Dio», sulla quale insiste l’ecclesiologia del Vaticano II, non è un’immagine, non è un simbolo, non è una metafora, ma definisce la Chiesa in senso proprio e caratteristico come «popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»[6] .

Qui emerge il riferimento al fatto che la Chiesa di Cristo, che Egli chiama la «mia Chiesa» non è altro che la pienezza messianica del Popolo d’Israele, popolo eletto da Dio e vincolato a Sé mediante l’Alleanza mosaica, e che in Cristo con una nuova e definitiva Alleanza si allargava a tutti i popoli e chiamava tutti i popoli alla medesima salvezza, alla quale è chiamato Israele.

Se la Chiesa radicata in Israele è il popolo di Dio, questo quindi non vuol dire che anche gli altri popoli non appartengano a Dio, che è il creatore di tutti i popoli, ma significa solo l’elezione divina dei credenti in Cristo, mandati ad evangelizzare il mondo e a rendere tutti i popoli, popoli di Dio.

È evidente d’altra parte che nell’immagine della Chiesa come sposa di Cristo, nulla può far pensare all’unione sessuale, benché l’amore sponsale dica normalmente unione sessuale. Per questo, anche questa immagine, benché fondata su San Paolo e sull’Apocalisse, sembra svuotare l’immagine dello sposalizio nel momento in cui la pone, giacché nel comune sentire chi dice sposalizio dice unione sessuale, e nessuno va a pensare a uno sposo che non abbia rapporti sessuali con la sposa. A che vale allora usare un’immagine dove manca ciò a cui specificamente ci si riferisce di solito quella parola? Certo esiste anche il matrimonio vergine, come quello di Giuseppe e di Maria. Ma chi, sentendo parlare di sposo e sposa, va a pensare al matrimonio vergine?

La Chiesa propriamente è una comunità. Farne una persona e per di più femminile è chiaramente un linguaggio simbolico per esprimerne la sussistenza, l’unità e la sua unione con Cristo, ma non è del tutto necessario, come invece è necessario dire che la Chiesa è una comunità, perché questo concetto esprime l’essenza.

Per questo, anche se ovviamente non possiamo abbandonare un’immagine che ha un fondamento biblico (cf Gv 3,29; Mt 9,15; Ef 5,25-28) e una tradizione così illustre, occorrerebbe rendersi conto che si tratta di un’immagine oggi superata, perché se poteva avere un senso in passato in riferimento ad una concezione superata  della donna, oggi essa fa problema e forse è  meglio sostituirla con altre più accettabili dalla sensibilità odierna, che non mancano[7].

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, Natale 2020

 


Non solo il figlio di Dio nel piano divino è immortale, ma anche l’uomo nella sua natura umana di animale ragionevole, maschio e femmina, Adamo ed Eva, grazie alla risurrezione.

Affresco bizantino antico di Gesù, di Adamo e di Eva -  COSTANTINOPOLI, TURCHIA

 Immagine da internet 



[1] Esisteva una formula di ringraziamento a Dio del pio rabbino che recitava: «Ti ringrazio, Signore, di non avermi fatto nascere peccatore, pagano e donna».

[2] Questo è ormai riconosciuto anche dai moderni codici civili.

[3] Lumen Gentium, n.44.

[4] Lumen Gentium n.6.

[5] Enciclica Divini illius Magistri del 31 dicembre 1929, Denz.3865.

[6] Lumen Gentium, n.4.                        

[7] Per questo,  trovo che Maritain col suo libro De L’Eglise du Christ. La personne de l’Eglise et son personnel, Desclée de Brouwer 1970,  avanzi una tesi molto discutibile col proporre il principio della sussistenza della persona della Chiesa nella sussistenza della persona della Beata Vergine Maria. La sussistenza della Chiesa è, propriamente dal punto di vista ontologico, la sussistenza di una comunità e se la Chiesa viene chiamata da San Paolo «corpo del Signore», immagine ripresa da Pio XII, dovrebbe essere evidente che siamo sempre sul piano dei simboli e non dell’ontologia. Non abbiamo nessun fondamento né nella Scrittura né nella Tradizione per proporre una tesi del genere, che pare dovuta ad un’indebita enfatizzazione ed ontologizzazione della semplice immagine proposta dal Concilio Vaticano II di Maria come modello della Chiesa. Se abbiamo capito bene la tesi di Maritain, ci chiediamo come può una semplice creatura come Maria, per quanto eccelsa nella santità, far partecipe della sua sussistenza umana una Comunità soprannaturale come la Chiesa conferendole uno statuto di personalità?

3 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    se, nell’universale esperienza umana, lo sposo feconda la sposa per la futura nascita di una creatura, è pacifico comprendere come mai da tanti secoli, la Chiesa abbia preferito indicare nella Persona dello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, lo “sposo” della Vergine Maria madre di Cristo, piuttosto che nelle altre Persone della S.S. Trinità.
    E ciò ha avuto forte risonanza negli scritti di molti santi, per esempio San Luigi Maria Grignion de Monfort, che nel celebre “Trattato della vera devozione a Maria” dice: “Dio Spirito Santo ha comunicato a Maria, sua Sposa fedele, i propri doni ineffabili “, ma anche nella religiosità popolare, se al termine dei misteri del Rosario, nelle Litanie Laurentane, si prega: “Ave, o Maria, Sposa fedelissima dello Spirito Santo”.
    E’ vero che tale espressione non è stata ribadita dal Concilio Vaticano II che, nella Lumen Gentium, ha preferito, per la Vergine, le espressioni “tempio dello Spirito Santo” (53) e “quasi plasmata dallo Spirito Santo” (56).
    Ma è altrettanto vero che anche da parte di papi post-conciliari, l’immagine del “matrimonio” spirituale tra Maria e lo Spirito Santo è stato riproposto. Nel discorso per la conclusione del mese mariano del 2009, Benedetto XVI (http://www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2009/may/documents/hf_ben-xvi_spe_20090530_mese-mariano.html) disse:
    “Nella Pentecoste, la Vergine Madre appare nuovamente come Sposa dello Spirito, per una maternità universale nei confronti di tutti coloro che sono generati da Dio per la fede in Cristo. Ecco perché Maria è per tutte le generazioni immagine e modello della Chiesa, che insieme allo Spirito cammina nel tempo invocando il ritorno glorioso di Cristo: “Vieni, Signore Gesù” (cfr Ap 22,17.20).”
    San Giovanni Paolo II, nella Redemptoris Mater:
    “Lo Spirito Santo è già sceso su di lei, che è diventata la fedele sua sposa nell'annunciazione, accogliendo il Verbo di Dio vero, prestando “il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà e acconsentendo volontariamente alla rivelazione data da lui”, anzi, abbandonandosi tutta a Dio mediante “l'obbedienza della fede”,60 per cui rispose all'angelo: “Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto”.
    E nella Dominum et vificantem:
    “La Chiesa, contemplando l'arcana santità di lei ed imitandone la carità, diventa anch'essa madre» e «ad imitazione della Madre del suo Signore, con la virtù dello Spirito Santo, conserva verginalmente integra la fede, salda la speranza, sincera la carità: essa pure (cioè la Chiesa) è vergine, che custodisce... la fede data allo Sposo”. Si capisce così il senso profondo del motivo, per cui la Chiesa, unita con la Vergine Madre, si rivolge ininterrottamente quale Sposa al suo divino Sposo, come attestano le parole dell'Apocalisse, riportate dal Concilio: “Lo Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù: "Vieni!"».
    Più raramente, penso, si sono utilizzate nella Chiesa, le espressioni che invece lei ha utilizzato: “Maria è sposa del Padre, Madre del Figlio e feconda di Spirito Santo […] per volontà del Padre suo Sposo, Maria si è unita a un Marito divino […]”.
    Nella stessa Lumen Gentium, il rapporto tra il Padre e Maria è rappresentato non come sponsale ma come filiale: “Maria vergine […] è insignita del sommo ufficio e dignità di madre del Figlio di Dio, ed è perciò figlia prediletta del Padre” (53).
    Il suo confratello Padre Angelo Bellon (https://www.amicidomenicani.it/faccio-fatica-a-pensare-che-il-legame-della-madonna-con-gesu-sia-solo-un-legame-simile-a-quello-di-una-madre-con-suo-figlio/) arriva a sconsigliare l’uso dell’immagine da lei adottata: “Qualche autore spirituale ha chiamato Maria sposa del Padre, “sponsa Patris”. Ma è un’espressione che rischia di lasciar credere che la Madonna cooperi all’eterna generazione del Verbo. Sicché sembra preferibile astenersi dal parlare in questo modo.”
    Perché Padre Giovanni ha abbandonato l’espressione “sposa dello Spirito Santo” per “sposa del Padre”?

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  2. Citando il capitolo 6 della Lumen Gentium, lei ha scritto: “L’idea di Cristo Sposo della Chiesa nasce da una personalizzazione della Chiesa, simboleggiata dall’Apocalisse al c.12. Il Concilio Vaticano II precisa che l’essere sposa di Cristo non definisce propriamente l’essenza della Chiesa, ma va annoverata fra le "immagini" […]”.
    Se pur non definisce l’essenza della Chiesa, deve però riconoscere, Padre Giovanni, che per i padri conciliari, l’immagine simbolica della Chiesa sposa di Cristo, è qualcosa di più che un’immagine… come altre, dal momento che nella stessa Lumen Gentium ricorre in ben altri sei capitoli.
    Nel capitolo 7:
    “Cristo inoltre ama la Chiesa come sua sposa, facendosi modello del marito che ama la moglie come il proprio corpo (cfr. Ef 5,25-28); la Chiesa poi è soggetta al suo capo. E poiché "in lui abita congiunta all'umanità la pienezza della divinità" (Col 2,9), egli riempie dei suoi doni la Chiesa la quale è il suo corpo e la sua pienezza (cfr. Ef 1,22-23), affinché essa sia protesa e pervenga alla pienezza totale di Dio (cfr. Ef 3,19).
    Nel capitolo 9:
    “Dio ha convocato tutti coloro che guardano con fede a Gesù, autore della salvezza e principio di unità e di pace, e ne ha costituito la Chiesa, perché sia agli occhi di tutti e di ciascuno, il sacramento visibile di questa unità salvifica. Dovendosi essa estendere a tutta la terra, entra nella storia degli uomini, benché allo stesso tempo trascenda i tempi e i confini dei popoli, e nel suo cammino attraverso le tentazioni e le tribolazioni è sostenuta dalla forza della grazia di Dio che le è stata promessa dal Signore, affinché per la umana debolezza non venga meno alla perfetta fedeltà ma permanga degna sposa del suo Signore, e non cessi, con l'aiuto dello Spirito Santo, di rinnovare se stessa, finché attraverso la croce giunga alla luce che non conosce tramonto.”
    Nel capitolo 39:
    “La Chiesa, il cui mistero è esposto dal sacro Concilio, è agli occhi della fede indefettibilmente santa. Infatti Cristo, Figlio di Dio, il quale col Padre e lo Spirito è proclamato "il solo Santo", amò la Chiesa come sua sposa e diede se stesso per essa, al fine di santificarla (cfr. Ef 5,25-26), l'ha unita a sé come suo corpo e l'ha riempita col dono dello Spirito Santo, per la gloria di Dio.”
    Nel capitolo 41:
    “I coniugi e i genitori cristiani, seguendo la loro propria via, devono sostenersi a vicenda nella fedeltà dell'amore con l'aiuto della grazia per tutta la vita, e istruire nella dottrina cristiana e nelle virtù evangeliche la prole, che hanno amorosamente accettata da Dio. Così infatti offrono a tutti l'esempio di un amore instancabile e generoso, edificando la carità fraterna e diventano testimoni e cooperatori della fecondità della madre Chiesa, in segno e partecipazione di quell'amore, col quale Cristo amò la sua sposa e si è dato per lei Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii, 31 dic. 1930: AAS 22 (1930), p. 548s. S. GIOV. CRISOSTOMO, In Ephes., Hom. 20, 2: PG 62, 136ss.”.
    Nel capitolo 44:
    “La consacrazione poi sarà più perfetta, in quanto legami più solidi e stabili riproducono di più l'immagine del Cristo unito alla Chiesa sua sposa da un legame indissolubile.”
    Nel capitolo 46:
    “Perciò il sacro Concilio conferma e loda quegli uomini e quelle donne, quei fratelli e quelle sorelle, i quali nei monasteri, nelle scuole, negli ospedali e nelle missioni, con perseverante e umile fedeltà alla loro consacrazione, onorano la sposa di Cristo e a tutti gli uomini prestano generosi e diversissimi servizi.”

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    1. Caro Bruno,
      apprezzo molto l'abbondante raccolta di passi biblici e di documenti della Chiesa, relativa al rapporto della Madonna con la Chiesa e la Santissima Trinità.
      Mi sembra che tutta la discussione giri attorno allo sposalizio di Maria con il Padre. La preoccupazione di P.Bellon, che il considerare la Madonna come sposa del Padre possa in qualche modo creare il sospetto che ella abbia parte alla generazione del Verbo, può essere fugata pensando al fatto che, è vero che Maria genera Cristo insieme col Padre; tuttavia dovrebbe essere chiarissimo che in questo sposalizio sono distintissime le parti dello sposo e quelle della sposa: il Padre genera il Figlio dall'eternità, Maria genera il Verbo Incarnato. Quindi ella non ha nessunissima parte nella generazione del Verbo, ma la sua parte è essenziale nella generazione dell'umanità del Verbo. Da qui viene la conseguenza evidente che, se due genitori hanno lo stesso figlio, vuol dire che sono sposi tra di loro. Detto questo, per quanto riguarda l'idea di Maria come sposa dello Spirito Santo, è evidente che, in base alle premesse, viene fuori una stonatura nel senso che Maria viene ad avere due sposi. Viceversa, è bellissima la visione, che io ho proposto, del rapporto di Maria con la Santissima Trinità come Sposa del Padre, Feconda di Spirito Santo e Madre del Figlio. Il Padre manda lo Spirito Santo nel seno di Maria e, per opera dello Spirito Santo, in questo seno purissimo, inviolato, avviene l'unione della divinità con l'umanità, nell'unica Persona del Verbo Incarnato.
      Per il resto, sono perfettamente d'accordo.

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