La liturgia come servizio pubblico - Seconda Parte (2/2)

  La liturgia come servizio pubblico

Seconda Parte (2/2)

L’ars celebrandi e celebrazioni irregolari

Il Santo Padre parla poi dell’ars celebrandi. Celebrare viene dal latino celebrare, che comporta l’idea del concorrere in molti a qualche luogo, dar vita a qualche luogo, compiere un atto interessante, degno di ammirazione o che attira l’attenzione, animare un’assemblea, far pubblicamente echeggiare un messaggio, lodare, glorificare ed esaltare qualcuno o qualcosa.

Il celebrante è un operatore, che fa col potere di Cristo quello che Cristo gli ha comandato di fare: «fate questo in memoria di Me». Nella liturgia il sacerdote è l’uomo del sacro, sacrum-dans, colui che media fra Dio e l’uomo, ottiene da Dio la grazia per la comunità e presenta a Dio a nome della comunità i voti, le suppliche, le richieste, le preghiere e le invocazioni della comunità.

L’assemblea liturgica ècerto una comunità orante e sacerdotale, sempre però nella distinzione fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune dei fedeli. Quando il celebrante introduce all’offertorio, dice «il mio e vostro sacrificio». Sbagliano, quindi, quei celebranti dicono del «nostro sacrificio». No, è il solo sacerdote che offre il sacrificio; la comunità concorre. Così pure è sbagliato parlare di concelebrazione con riferimento all’atto del sacerdote e dell’assemblea. No. È il sacerdote che celebra. La comunità partecipa alla celebrazione. La vera concelebrazione è quella fatta da un gruppo di sacerdoti assieme.

Celebrare è un’arte difficile, che s’impara, nota il Santo Padre, con un’adeguata formazione. La liturgia ha sostanzialmente un carattere operativo e comunicativo, potremmo aggiungere: anagogico, ossia deve saper guidare dai segni e simboli sensibili al gusto delle realtà spirituali, soprannaturali e divine. La liturgia appartiene quindi alla categoria del fare: Fate questo in memoria di me. Tuttavia per mezzo di questo fare sacramentale il sacerdote fa conoscere, guida alla conoscenza, alla contemplazione e all’adorazione. Ed inoltre stimola all’azione e alla carità.

Il celebrante fruisce di importanti mezzi espressivi: la parola, il gesto, lo sguardo e il tono della voce. Questi mezzi naturali sono oggi rafforzati da potenti strumenti della tecnica. L’omelia per essere utile, efficace ed incisiva deve limitarsi a toccare uno, due o tre temi offerti dalle Letture. Non deve essere una lezione di teologia. Non deve essere la noiosa ripetizione di cose sapute e risapute. Ma non deve neppure colpire o meravigliare per la sua stranezza. Deve chiarire punti oscuri interessanti, sfatare equivoci, confutare errori insidiosi, presentare esempi edificanti, insegnare come dobbiamo mettere in pratica oggi il Vangelo.

Lo sguardo del celebrante è molto importante. L’abile coordinamento della parola, delle pause, del tono di voce, dello sguardo e dei gesti delle mani esercitano sulle persone un potere di persuasione a volte irresistibile e suscitano entusiasmo per la bellezza dell’omelia.

Il celebrante è il mistagogo, l’iniziatore al mistero, colui che fa percepire il mistero. Purtroppo, come denuncia il Papa, esistono celebrazioni gnostiche, nelle quali il sacerdote si considera come il guru indiano il quale ha il compito di aprire gli occhi dei discepoli, mostrando loro che il loro vero io non è quello che cade sotto i loro sensi, che è pura illusione, ma il loro io profondo è Dio stesso. Introduce alla scienza suprema che è la coscienza di essere Dio. Il cristiano, come diceva Meister Eckhart, non è immagine di Cristo; il cristiano è Cristo.

Il Santo Padre parla poi della Messa pelagiana, per la quale il celebrante celebra l’autotrascendenza dell’uomo, il cui vertice è la grazia, la quale non è un dono gratuito che scende dall’alto, dal di sopra della natura aggiungendosi alla natura, ma è la pienezza somma della natura. Sia nella Messa gnostica che in quella pelagiana il celebrante innalza il fedele al livello del divino: nel primo caso guidando alla coscienza di essere Dio; nel secondo guidando alla pienezza divina dell’uomo.

Il Papa accenna anche alla Messa lefevriana come Messa superata dal novus ordo. Qui manca la comunione con la Chiesa non tanto per il vetus ordo come tale, il quale a certe condizioni, è lecitamente celebrabile, ma per il fatto che i lefevriani respingono le dottrine del Concilio e l’autorità dei Papi del Concilio e del postconcilio, nonché il novus ordo considerato come filoprotestante.

Esiste poi una concezione della celebrazione eucaristica non come atto del sacerdote, ma come atto della comunità. Il soggetto della celebrazione, come dice Matias Augé[1], non è il sacerdote, ma l’assemblea liturgica. La stessa concezione si trova in Kiko Arguello:

«Non c’è Eucarestia senza assemblea. È un’assemblea intera quella che celebra la festa e l’Eucarestia, perché l’Eucarestia è l’esultanza dell’assemblea umana in comunione: perché il luogo preciso in cui si manifesta che Dio ha agito è in questa Chiesta creata. È da questa assemblea che sgorga l’Eucarestia»[2].

Ora bisogna ricordare che l’azione è atto della persona, actiones sunt suppositorum, si dice una filosofia. Esiste, certo l’azione collettiva e comunitaria e non c’ è dubbio che la Messa normalmente dev’essere un atto collettivo, ma bisogna specificare che questo atto collettivo non va confuso con l’atto della celebrazione della Messa, che è atto proprio, esclusivo e insostituibile del sacerdote, atto al quale i fedeli partecipano, atto che essi non compiono insieme col sacerdote, atto che non è identico ma è distinto e ad esso simile, come l’analogato inferiore assomiglia all’analogato sommo.

Così pure dal Martimort, nel capitolo del suo trattato di liturgia La Chiesa in preghiera, vol.I, dal titolo «struttura e leggi della celebrazione liturgica» ci saremmo aspettati la definizione o descrizione degli atti, delle norme, delle modalità e delle cerimonie rituali della celebrazione della Messa ad opera del sacerdote in Persona Christi indubbiamente come presidente dell’assemblea liturgica, a favore e a nome di essa, unita a lui nel concorrere alla celebrazione del divin Sacrificio.

E invece, niente di tutto questo. Il Martimort da p.109 a p.132 fa una lunga e dotta esposizione storico-biblica-dottrinale della natura, della prassi e dei fini dell’assemblea liturgica e si limita a parlare del celebrante in tre pagine (123-125) in un paragrafo dedicato alle «diverse funzioni dell’assemblea», come se si trattasse di una semplice funzione tra le altre, esprimendosi anche male, giacchè non si tratta di funzioni dell’assemblea, ma di funzioni nell’assemblea e al servizio dell’assemblea.

C’è sempre sottesa l’idea falsa dell’assemblea come soggetto agente, trascurando il fatto che se si può parlare di un’azione dell’assemblea come, del resto, della Chiesa stessa, questa azione va intesa come azione collettiva, azione dei fedeli i quali, di comune accordo e con gli stessi intenti, assieme formano la Chiesa.

Ma la Chiesa non è una superpersona nella quale i singoli non sono che manifestazioni empiriche. Non diciamo neppure che noi siamo la Chiesa e che la Chiesa è la semplice somma o collezione delle singole persone. Il bene comune non è la semplice somma dei beni privati, ma è un valore nuovo e superiore, che li ingloba in sé implicitamente e sui quali si riversa a loro vantaggio, così come essi sono al servizio del bene comune.

Comunque sia, resta sempre il fatto fondamentale ontologico che la Chiesa è fatta di persone. Ciò che sussiste non è la Chiesa, ma sono le persone. Anche quando la Chiesa è personalizzata da San Paolo come Sposa di Cristo, è chiaro che si tratta di una metafora. L’azione della Chiesa non è altro che l’azione comune, anche liturgica, oltre che sociale e morale, delle singole persone che la compongono e in particolare l’azione della Chiesa docente.

Un errore ancora peggiore su questa linea collettivistica di sapore hegeliano-marxista è quello di confondere la Messa con un’assemblea politica, come avviene nella teologia della liberazione. Così essa è descritta nel famoso documento della CDF del 1984 Istruzione su alcuni aspetti della teologia della liberazione:

«L’Eucaristia non è più compresa nella sua verità di presenza sacramentale del sacrificio di riconciliazione come il dono del Corpo e del Sangue di Cristo. Essa diventa celebrazione del popolo nella sua lotta» (X,16).

Un annoso conflitto da sanare

Papa Francesco respinge due deviazioni liturgiche opposte oggi purtroppo diffuse: un modo di praticare la liturgia ancora attaccato al preconcilio e un modo di celebrarla sedicente conciliare, ma in realtà infedele alla riforma liturgica avviata dal Concilio.

Al riguardo il Papa ricorda le ragioni che indussero i Padri a farsi promotori della riforma liturgica, e quali sono i veri caratteri della riforma contro i fraintendimenti modernisti, per cui sente il bisogno di ribadire quanto detto nel recente Motu proprio Traditionis custodes:

i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”.

Il Papa deplora che la Messa, che è segno supremo e fattore fondamentale dell’unità fraterna e con Dio della comunità cristiana, sia oggi diventata il pomo della discordia: è, questa, una cosa scandalosissima e sciagurata, alla quale occorre por termine ricorrendo ad ogni mezzo. Per ovviare a questa situazione, il Papa ripropone con abbondanza di argomenti il novus ordo come principio e segno di unità.

Raccogliendo una protesta proveniente dai preconciliari a favore del vetus ordo, secondo i quali solo questa Messa sarebbe capace darci il senso del mistero, il Papa respinge la critica con decisione affermando  l’adeguatezza del novus ordo a farci gustare la sacralità del mistero, mentre sono certi sostenitori del vetus ordo, col loro rifiuto della riforma conciliare e col conseguente loro isolarsi dalla comunione ecclesiale, a mostrare una concezione del Mistero, che sa più di gnosticismo, di misteriosofia e di esoterismo, che di vera esperienza del mistero della Chiesa e di Cristo. 

Naturalmente il Papa intende le parole «unica espressione» riferite all’oggi, giacchè fino alla riforma l’unica espressione era quella voluta da San Pio V, espressione che oggi chiamiamo vetus ordo, per distinguerla dal novus ordo, ossia l’attuale Messa riformata. Con le parole «unica espressione» forse che il Papa intende dire che il vetus ordo non è più espressione della lex orandi o che il vetus ordo è abolito o proibito? Alcuni hanno interpretato a questo modo, per il tono drastico del Papa, ma l’interpretazione è sbagliata.

Il Papa intende semplicemente dire che tutti i cattolici di rito romano hanno oggi l’obbligo di seguire il novus ordo. Ma già i cattolici di rito bizantino o ambrosiano o malabarico o mozarabico o gallicano o copto sono liberi di seguire il loro rito. Inoltre, c’è da tener presente che il Papa nel Traditionis custodes pone le condizioni per la liceità o legittimità della celebrazione della Messa vetus ordo; cosa evidente che non lo ha abolito.

La Messa vetus ordo è una vera Messa; in quanto tale essa è sempre attuale. È solo l’ordo Missae che è superato e ciò per decreto del Papa, che ha tutto il potere di decidere in questo campo. C’è inoltre da tenere presente che la Chiesa non abolisce, ma conserva ciò che supera. Abolisce solo ciò che si rivela essere ingiusto falso o sbagliato o contrario al Vangelo. Ma il vetus ordo non contiene nulla del genere, anzi possiede qualità che il novus ordo non possiede. Per questo la celebrazione di questo rito è tuttora consentita alle dovute condizioni.

La vetus ordo la si potrebbe chiamare la Messa di Gesù Crocifisso: tutti, sacerdote e fedeli, sono rivolti verso il Crocifisso, che campeggia in alto, così come San Giovanni, la Madonna e le pie donne guardavano Gesù in croce sollevato da terra (cf Gv 8,28).

La Messa novus ordo si potrebbe chiamare Messa della mensa o, come dicono i Focolarini, di «Gesù in mezzo»: Gesù non è lassù in croce, ma è con noi, fra noi, in mezzo a noi. Anzi, la novus ordo la si potrebbe chiamare anche Messa pasquale o della Risurrezione, perché è quella Messa che Gesù risorto celebrò con i discepoli di Emmaus.

Che cosa è meglio? Dipende dai punti di vista dai quali vogliamo partire. L’essenziale è che la Messa riattualizza la morte e la resurrezione del Signore. La Messa latina guarda di più al Crocifisso, quella greco-bizantina a Gesù risorto, il Pantokrator. L’obbligo della novus ordo è qundi un obbligo pastorale, fondato sul fatto che la Chiesa oggi la giudica siù adatta all’oggi, ma niente di più; non si tratta di un confronto di merito fra le due Messe.

In cosa è consistito il mutamento introdotto dalla riforma liturgica?

La riforma liturgica ha introdotto nella Messa cinque elementi: un elemento pasquale-escatologico, un commemorativo, uno ecclesiologico, uno ecumenico, ed uno evangelizzatore.

L’elemento pasquale-escatologico fa da contrappeso a quello sacrificale – il sacrificio espiatorio e soddisfattorio di Cristo – che resta essenziale contro la negazione luterana, per cui la celebrazione eucaristica non è solo partecipazione alla croce di Cristo, ma anche pregustazione della Pasqua di resurrezione. La liturgia acquista un volto gioioso, quasi entusiastico, che non appare nell’austera liturgia tridentina, tutta sotto l’ombra della croce e del sacrificio.

L’elemento commemorativo si sofferma maggiormente sulla memoria dell’ultima Cena, cosicchè, salvo restando il riferimento alla crocifissione, l’accento è posto sull’elemento conviviale, e quindi sul frutto del sacrificio di Cristo, che è la comunità dei fedeli che si raduna nella carità per nutrirsi del corpo e del sangue del Signore.

Il che naturalmente non impedisce la perenne validità della partecipazione del fedele alla Messa facendo solo la comunione spirituale e resta la validità della Comunione anche solo sotto le specie del pane. La Comunione nella mano rappresenta meglio invece la memoria della Cena («prendete e mangiate»).

Occorre ricordare inoltre che la Comunione eucaristica, come dice la parola stessa, è l’espressione sacramentale della comunione di carità che nella Messa si realizza con Cristo e tra i fedeli tra di loro. Non esiste esperienza e manifestazione più alta di questa comunione al di fuori della Messa.

Per questo dovrebbe essere evidente che tutti quei cattolici o sedicenti cattolici che sono mafiosi, modernisti, comunisti, massoni, abortisti, divorziati risposati, sodomiti, pedofili, potranno anche essere in grazia di Dio, ma i gravi difetti morali che presenta la loro condotta esterna, «contraddice oggettivamente, come dice San Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio (n.84) a  proposito dei divorziati risposati, a quell’unione di amore fra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia». Papa Francesco, come sappiamo, ha accennato a questa questione nella nota 351 dell’Amoris laetitia, ma presenta la Comunione ai DR solo come un’eventualità e non come una cosa formalmente lecita o permessa.

Anche la Comunione fuori della Messa, salvo trattarsi di fedeli per varie ragioni impediti a partecipare alla Messa, non è cosa che rispetti il significato della Comunione eucaristica. Essa infatti non è il cappuccino che si va a prendere al bar in un momento di break, ma è il culmine mistico dell’incontro con Cristo e con i fratelli che si realizza nella Messa.

Questa concezione della Comunione-cappuccino mostra a quali estremi porta una concezione incontrollata della Messa come convito. Qui si perde di vista che al banchetto eucaristico occorre andare con l’abito di nozze della parabola evangelica, per non essere cacciati fuori (Mt 22,11).

Che cosa è questo abito di nozze? La croce che prepara alla resurrezione. La Messa è il banchetto messianico dei risorti, al quale accedono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione (Ap 7,14), ossia sono saliti sulla croce con Cristo. Occorre quindi partecipare a tutta la Messa precedente per essere ammessi degnamente e dignitosamente alla Comunione. Occorre essersi offerti in sacrificio insieme al celebrante a sua volta unito al sacrificio di Cristo. Troppo comodo voler fruire del frutto della croce senza essere stati sulla croce! Non è questa la via della salvezza. Dio non sa che farsene degli scrocconi, ma vuole gente che corrisponda sinceramente e generosamente all’amore di suo Figlio.

Occorre altresì ricordare, come ci avverte il Card. Giacomo Lercaro, che l’ultima Cena non è affatto una cena qualunque, un semplice incontro tra amici, ma

«è un banchetto autenticamente sacrificale, non soltanto rituale in qualche modo, ma autenticante sacrificale, perché il cibo che viene consumato, almeno il principale cibo, il cibo di obbligo che viene consumato in questa cena, è una vittima che è stata immolata nel tempio dai sacerdoti, le cui carni sono state restituite all’offerente e che viene consumata con determinati riti e il banchetto viene iniziato e chiuso con preghiere, con canti e viene svolto anche attraverso riti di benedizione»[3].

La suddetta volontà commemorativa dell’ultima Cena ha condotto altresì la riforma a collocare in un apposito dignitoso luogo a parte e non più sull’altare il tabernacolo col SS.mo Sacramento, cosa che però non è da intendersi assolutamente come un calo di stima per l’adorazione eucaristica, che rimane sempre raccomandata.

La volontà di recuperare la commemorazione della Cena del Signore nella sua peculiarità e purezza, ha condotto la riforma a togliere elementi accidentali sopraggiunti nel corso dei secoli, come la lettura del Prologo del Vangelo di S.Giovanni e la preghiera a S.Michele Arcangelo alla fine della Messa.

L’elemento ecclesiologico è dato dalla forza con la quale il Concilio sottolinea il concorso e la partecipazione dei fedeli all’offerta del sacrificio, salva restando la distinzione essenziale e non solo di grado fra sacerdozio ministeriale e sacerdozio comune dei fedeli; la partecipazione dei laici, comprese le donne, alla liturgia della Parola presenta aspetti di novità assoluta; l’uso della lingua volgare favorisce la comprensibilità del rito; le preghiere dei fedeli prima dell’inizio dell’offertorio sono un segno della comunità che si unisce alle preghiere del sacerdote.

L’elemento ecumenico è dato da quegli aspetti del rito che, senza derogare in nulla alla forma cattolica, tuttavia rappresenta l’apertura alle istanze accettabili della Cena luterana: il suddetto aspetto conviviale; l’altare che resta tale, ma nel contempo assume l’aspetto di una mensa; non è del tutto separato dal popolo, ma gli è a immediato contatto; la concelebrazione riproduce la scena degli apostoli attorno al Signore all’ultima Cena; la maggiore presenza di testi biblici è una risposta al culto protestante della Scrittura.

L’elemento evangelizzatore è stato messo in rilievo con la calda raccomandazione fatta al sacerdote di fare l’omelia basata sulle letture della Messa e utile ai fedeli per chiarire punti oscuri, proporre applicazioni pratiche, rispondere a domande diffuse, confutare errori, dissipare equivoci, esortare alla virtù e alla santità. Il modo di celebrare la Messa dev’essere già di per sé una predica: da esso si vede se il celebrante crede veramente a quello che dice e che fa. Non si tratta tanto di essere dei bravi attori; si tratta piuttosto di saper porgere la Parola di Dio in modo tale che la fede del celebrante traspaia dal suo stesso modo di parlare. Se il sacerdote la pronuncia nel modo conveniente, persuasivo, col giusto tono di voce, i giusti accenti, le giuste pause, i giusti gesti delle mani e dello sguardo, vuol dire che ci crede. Non può fingere come se dovesse far la parte di Amleto o di re Lear.

E la gente lo nota e rimane edificata. Se invece è agitato, affrettato, insipido, farfugliante, freddo, imbarazzato, esitante, melenso, monotono, vuol dire – salvo eccezioni caratteriali indipendenti dalla volontà o connessi con difetti fisici – che la fede è scarsa e agisce non per convinzione ma per mestiere.

L’impostazione tridentina sottolinea, in funzione antiluterana, l’azione liturgica come azione personale del sacerdote, e quindi la Messa come offerta del sacrificio di Cristo. Il Concilio di Trento, per non favorire la concezione populista di Lutero, descrivendo il rito della Messa, parla solo del sacerdote e non fa cenno al popolo. Ma soprattutto col sorgere del movimento liturgico del sec. XIX, gli studi storici e biblici hanno messo in luce il fatto che Lutero, nell’enfatizzare la liturgia come esperienza comunitaria non aveva tutti i torti.

D’altra parte non si poteva neppure cancellare la funzione del sacerdote e ridurlo a rappresentante e presidente della comunità, intesa come popolo sacerdotale. Si trattava piuttosto di definire meglio quale dev’essere nella liturgia il rapporto del sacerdote col popolo. 

Dopo discussioni durate fino all’epoca di Pio XII, ecco il Papa a prendere in mano la questione e darle una soluzione: la liturgia non è ufficio del solo sacerdote, ma addirittura essa è il culto che Cristo stesso sacerdote rende al Padre in unità col suo Corpo mistico che è la Chiesa.

Ecco dunque la grande idea del Papa: da una parte confermava nell’enciclica Mediator Dei del 1947 la grandezza del sacerdozio cristiano, contro i riduzionismi o la profanazione luterani, riprendendo la teologia del sacerdozio che era stata sviluppata in Francia nel sec. XVII, soprattutto dall’Olier, dal de Bérulle e dal De Condren, ma dall’altra dando spazio anche al popolo, alla parte svolta dalla Chiesa con la sublime dottrina paolina del Corpo mistico di Cristo, alla quale aveva già dedicato un’altra enciclica, la Mystici Corporis del 1943.  

In tal modo Pio XII giungeva ad una nuova e migliore definizione della liturgia, che associa sacerdote e popolo, sicchè la liturgia non è azione del solo sacerdote che agisce per conto proprio, anche se è ovvio che solo lui può dir Messa, ma è atto del sacerdote e insieme col popolo, il quale certo resta soggetto al sacerdote, ma partecipa e concorre all’offerta del Sacrificio. Il sacerdote può celebrare anche da solo, ma s’intende che anche in questo caso egli è spiritualmente unito a tutta la Chiesa, terrena e celeste.

La definizione della liturgia, che avrebbe dato la Sacrosanctum Concilium era già abbozzata. Il Concilio non avrebbe fatto altro che esplicitare la definizione di Pio XII nella Mediator Dei ed entrare nei dettagli delle sue conseguenze. Dice il Papa:

«La liturgia è il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra»; «è il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre come Capo della Chiesa ed è il culto che la società dei fedeli rende al Capo e, per mezzo di Lui, all’eterno Padre».

Il Concilio Vaticano II l’ha ripresa lievemente modificandola:

«La liturgia è ritenuta come l’esercizio dell’ufficio sacerdotale di Gesù Cristo; in essa, con segni sensibili, viene significata e, in modo proprio a ciascuno, realizzata la santificazione dell’uomo e viene esercitato dal Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra, il culto pubblico integrale» (n.7).

Pio XII ha l’equilibrio e la saggezza di determinare con esattezza i limiti del significato della liturgia: essa è un atto pubblico di culto divino. È quindi atto della virtù di religione, che per somiglianza è ricondotta alla giustizia verso Dio, perla quale in Cristo e grazie a Cristo noi diamo soddisfazione al Padre per l’offesa ricevuta dal peccato. Questa è la definizione dogmatica tridentina della Messa.

Il Concilio invece, forse preso dall’entusiasmo per l’apertura di un’assemblea così straordinaria, si rifà bensì alle parole di Pio XII, ma poi va al di là dei limiti con la famosa frase che qualifica la liturgia come «fons et culmen totius vitae christianae»[4].

Propriamente parlando, la fons et culmen totius vitae christianae è l’esercizio della carità, virtù soprannaturale formata dalla grazia santificante. O in altre parole, la fonte e il culmine della vita cristiana non è la liturgia, ma la santità della grazia come principio ed anima della carità.

È vero tuttavia che la liturgia è il canale ordinario della grazia e quindi somma suscitatrice della carità e della santità, per mezzo dei sacramenti. Ma è vero anche che la grazia non è legata ai sacramenti, cioè alla liturgia, perché Dio può salvare in modo straordinario anche senza i sacramenti. Può donare la grazia anche senza la liturgia, in base alla semplice religione naturale.

In questa luce della liturgia come culto divino ufficiale e quindi servizio pubblico sacerdotale, appare la grande opportunità dell’avere Papa Francesco intitolato il suo documento con le commoventi parole del Signore: Desiderio desideravi:

«Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, poiché vi dico: non la mangerò più finché essa non si compia nel regno di Dio» (Lc 22, 15-16).

La prassi liturgica ha la sua prima sorgente e motivazione nel cuore di Cristo, ardente d’amore per noi, desideroso di darsi tutto a noi, come sottolinea e spiega bene il Padre Réginald Garrigou-Lagrange nel suo bel libro Il Salvatore e il suo amore per noi[5]. Infatti nell’Eucaristia nella quale Cristo si dona come cibo e come bevanda, è contenuto Cristo in persona, sicchè noi, nutrendoci dell’alimento eucaristico, siamo in qualche modo cristificati, un cibo, come dice Sant’Agostino, che non si  assimila a noi, ma siamo noi che ci assimiliamo a Lui.

Nel contempo, il Signore che, con l’ascensione al cielo si è sottratto ai nostri sguardi, resta sempre con noi sotto le specie eucaristiche in tutti i tabernacoli del mondo fino alla fine del mondo, per parlarci, ispirarci, istruirci, consigliarci, richiamarci, incoraggiarci, consolarci, esprimere il suo amore, ricevere il nostro, i nostri caldi affetti, l’«ansietato desiderio», del quale parla Santa Caterina da Siena, le nostre sincere effusioni, le nostre lacrime di pentimento, i buoni propositi, l’obbedienza ai suoi comandi, i nostri voti, l’adorazione, la glorificazione, la lode, la supplica, l’invocazione, la preghiera.

Ma la liturgia terrena, cibo dei viatori, medicina per i malati, resurrezione per chi è morto, invocazione a Dio, conversione per chi è pervertito, conciliazione laddove c’è il conflitto, sollievo nella sofferenza, apologia della fraternità, conforto per gli afflitti, speranza per chi muore, sacrificio espiatorio, pregustazione del paradiso, è fatta per perpetuarsi nella liturgia celeste, laddove già da adesso Cristo alla destra del Padre insieme con tutti i Santi del cielo a cominciare dalla sua Santissima Madre, intercede a nostro favore permettendoci di rivolgerci direttamente al Padre in suo nome nella certezza di essere esauditi.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 11 luglio 2022.

L’azione è atto della persona, actiones sunt suppositorum, si dice una filosofia. Esiste, certo l’azione collettiva e comunitaria e non c’ è dubbio che la Messa normalmente dev’essere un atto collettivo, ma bisogna specificare che questo atto collettivo non va confuso con l’atto della celebrazione della Messa, che è atto proprio, esclusivo e insostituibile del sacerdote, atto al quale i fedeli partecipano, atto che essi non compiono insieme col sacerdote, atto che non è identico ma è distinto e ad esso simile, come l’analogato inferiore assomiglia all’analogato sommo.

Il Concilio non avrebbe fatto altro che esplicitare la definizione di Pio XII nella Mediator Dei ed entrare nei dettagli delle sue conseguenze. 

Dice il Papa:

«La liturgia è il culto integrale del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra»; «è il culto pubblico che il nostro Redentore rende al Padre come Capo della Chiesa ed è il culto che la società dei fedeli rende al Capo e, per mezzo di Lui, all’eterno Padre».

Immagini da Internet: https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2022/6/5/pentecoste.html 

[1] Cf Liturgia. Storia celebrazione teologia spiritualità,Edizioni Paoline, 1992.

[2] Cit. da Ariel Levi di Gualdo, La setta neocatecumenale. L’eresiasi fece Kiko e venne ad abitare in mezzo a noi, Edizioni L’Isola di Patmos, Roma 2019, p.84.

[3] L’Eucaristia nelle nostre mani. Liturgia e catechesi, Edizioni Dehoniane, Bologna 1968, pp.267-268.

[4] Sacrosanctum Concilium, 10.

[5] Società Editrice Internazionale, Torino 1948, pp.239-335.

22 commenti:

  1. Caro Padre Cavalcoli,
    Mi sembra di ricordare che lei abbia citato più volte, e in alcune occasioni con lode, gli articoli del sig. José Antonio Ureta. Ebbene, il sito tradizionalista "One Peter Five" ha appena pubblicato in cinque articoli una dura critica dottrinale di Ureta alla Lettera del Sommo Pontefice Desiderio Desideravi. Puoi trovarlo per intero qui:
    https://onepeterfive.com/wp-content/uploads/2022/08/Ureta-Complete.pdf
    Sarebbe bello se potessimo leggere un punto di vista più equilibrato, con le giuste risposte cattoliche alla tesi di Ureta.
    Grazie.

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    1. Caro Massimo, non conosco questo articolo di Ureta e ben volentieri sono disposto a darle un parere. A tal riguardo le chiedo gentilemente di presentarmi in lingua italiana quei punti o quelle frasi circa i quali desidera un mio parere.
      (http://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2022/08/il-primato-delladorazione-15.html)

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    2. Apprezzo molto la sua eccellente disponibilità a chiarire le cose.
      Appena possibile indicherò, in italiano, i punti che mi creano difficoltà nella critica di Ureta a Desiderio desideravi, e li indicherò proprio qui.
      Grazie.

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  2. Caro Padre Cavalcoli:
    Credo che José Antonio Ureta intenda trattare nel suo articolo (https://onepeterfive.com/wp-content/uploads/2022/08/Ureta-Complete.pdf) i fondamenti teologici su cui si basa la recente esortazione apostolica Desiderio Desideravi (DD), di papa Francesco. Sostanzialmente Ureta sostiene che questi fondamenti differiscono manifestamente da quelli dell'enciclica Mediator Dei di Pio XII in quanto pongono tutti gli accenti proprio sulle inclinazioni pericolose del Movimento liturgico tardo, contro il quale l'ultimo Papa preconciliare ha voluto mettere in guardia i fedeli.

    1) In primo luogo, osservo che nell'Autore non viene preso in considerazione un documento come Sacrosanctum Concilium o, salvando le distanze, la lettera apostolica Desiderio desideravi, come "atti del magistero". Li considera semplicemente come "concezioni teologiche". Avverto di non considerare questi documenti come magistero vincolante, ma come mere opinioni teologiche. Vedere:
    "Intendo mostrare nei paragrafi seguenti le deviazioni dottrinali che, a mio modesto parere, irrorano le meditazioni di Papa Francesco sulla liturgia, deviazioni che derivano dal nuovo orientamento teologico assunto nella costituzione Sacrosantum Concilium del Concilio Vaticano II. Lo farò confrontando la visione della liturgia insegnata nell'ultimo documento preconciliare sull'argomento, cioè l'enciclica Mediator Dei di Pio XII, con quella che emerge da Desiderio Desideravi".
    "Sotto l'influenza dei teologi del cosiddetto 'movimento liturgico', le cui idee furono raccolte nella Sacrosantum Concilium..."
    Si ha così l'impressione che Ureta proponga che un documento precedente (preconciliare) del Magistero (come Mediator Dei) sia quello che dovrebbe guidare l'interpretazione del successivo (postconciliare). Quando infatti, come è noto, un passo più recente della Tradizione è quello che dovrebbe chiarire il passo precedente.
    In fondo, penso che qui si noti uno degli errori tipici del passatismo (lefebvriano o filo-lefebvriano): negare che il Magistero abbia il potere di interpretare la Tradizione.
    (Continuerò)

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  3. 2) La finalità del culto liturgico. Ureta accusa il papa Francesco di unilateralismo nell'indicare i fini della liturgia.
    "Mediator Dei stabilisce con solare chiarezza che il culto cattolico ha due scopi principali che si intrecciano e si sostengono a vicenda: la gloria di Dio e la santificazione delle anime. Ma, evidentemente, il primato spetta all'omaggio reso al Creatore. [...] Infatti, la dimensione catabatica ha anche lo scopo anabatico di condurre le persone a Dio e di farle glorificare. Ma nella Desiderio desideravi, Papa Francesco sottolinea quasi esclusivamente questa concezione primariamente catabatica della liturgia e lascia in ombra la glorificazione di Dio, che per Pio XII è il suo elemento primario".
    In Desiderio desideravi "il senso catabatico e discendente della liturgia -entrare in possesso della salvezza- è molto ben sottolineato. Ma il fatto, messo in rilievo da Pio XII nel testo già citato, che la prima funzione sacerdotale di Cristo è quella di adorare il Padre Eterno in unione con il suo Corpo Mistico, è stato completamente omesso".
    "Questa unilateralità è rafforzata in un altro paragrafo (DD n.43) che tratta specificamente l'aspetto anabatico ascendente, cioè la glorificazione della divinità da parte dei fedeli riuniti. Questo testo insinua che la gloria di Dio è secondaria, in quanto non aggiunge nulla a ciò che già possiede in cielo, mentre ciò che è veramente importante è la sua presenza sulla terra e la trasformazione spirituale che essa produce [...] Le parole sono giuste, perché è vero che l'uomo aggiunge a Dio una gloria che è solo 'accidentale', ma è stato Dio stesso a volerla ricevere da lui quando lo ha creato. Ma gli accenti, con la loro unilateralità, inducono i fedeli in una posizione sbagliata, che facilmente degenera nel culto del vitello d'oro".
    (Continuerò)

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  4. 3) "Il mistero pasquale come centro della celebrazione".
    "Nell'enciclica Mediator Dei, Pio XII sottolinea la centralità della Passione nella vita di Nostro Signore Gesù Cristo e nella nostra redenzione. [...] Questa insistenza sulla centralità del sacrificio della croce per la redenzione del genere umano fu una risposta alle elucubrazioni dei teologi più radicali del movimento liturgico che, già allora, lo misero in ombra, sottolineando il trionfo e il Risurrezione di Cristo e nel suo presente stato glorioso".
    Ureta sottolinea poi che il Concilio Vaticano II ha cambiato quel paradigma: "Il cambio di paradigma cessò di essere mera speculazione dei teologi e cominciò a passare alle cattedre ecclesiastiche già nel periodo di elaborazione del precedente schema della Costituzione sulla liturgia, ancor prima dell'inizio della prima sessione conciliare. Il titolo originario del capitolo sull'Eucaristia, approvato il 10 agosto 1961, era De sacro sancto Missae 'sacrificio'; ma nella seduta del 15 novembre dello stesso anno divenne De sacro sancto Eucharistiae 'misterio'...".
    "Papa Francesco minimizza la morte redentrice di Cristo. È proprio questo accento unilaterale a favore della Pasqua e a scapito della Passione –contrariamente all'equilibrio tradizionale– che trasuda da tutti i pori di Desiderio desideravi. [...] La stessa definizione che offre della Liturgia soffre di questa parzialità. Per Francesco è 'il sacerdozio di Cristo rivelato e donatoci nella sua Pasqua...' (DD n.21). E parlando del rispetto delle rubriche, dice che è necessario non derubare l'assemblea di ciò che le appartiene, 'cioè il mistero pasquale celebrato in modo rituale' (DD n.23)... Più avanti, egli afferma che 'l'azione celebrativa è il luogo in cui, attraverso il memoriale, si rende presente il mistero pasquale perché i battezzati, in virtù della loro partecipazione, lo possano vivere nella loro vita' (DD n.49)".
    "Il rischio con questo cambio di accento è che (di ciò che resta) la fede dei fedeli possa deformarsi in due dimensioni. Da un lato, possono essere indotti a pensare che l'opera della salvezza va attribuita più al Padre e allo Spirito Santo che a Gesù, Verbo incarnato, figlio di Maria, che ha versato il suo sangue per i nostri peccati. D'altra parte, potrebbero arrivare a pensare che Gesù Cristo non è proprio il Redentore, ma piuttosto il luogo in cui Dio ci salva, poiché è nella Pasqua di Cristo che ci si rivela l'amore del Padre. La pietà dei fedeli può essere portata anche a svalutare tutte le devozioni tradizionali che li incoraggiano a espiare i peccati propri e dell'umanità e li inducono a pretendere di salvarsi mediante la sola fede nel disegno salvifico di Dio, senza completare nella loro carne 'ciò che manca delle sofferenze di Cristo' (Col 1, 24); o, peggio ancora, credere in una salvezza universale per l'indefettibile Alleanza di Dio con il genere umano".
    (Continuerò)

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  5. 4) "Dal sacrificio del Calvario alla memoria della Presenza".
    "Trattandosi del sacrificio eucaristico, la Mediator Dei ribadisce l'insegnamento del Concilio di Trento che la Santa Messa è un vero e proprio sacrificio e non una semplice rievocazione della Passione o dell'Ultima Cena. [...]
    "Il cammino aperto dalle tesi pionieristiche di padre Charles Journet e del filosofo francese Jacques Maritain, per i quali la presenza reale di Gesù Cristo si raddoppierebbe in una sorta di presenza reale di sacrificio, è un'opzione teologica a favore della commemorazione, che omette di affermano che la Messa è un rinnovamento incruento del Sacrificio del Calvario e afferma che durante la sua celebrazione quest'ultimo è appena presente, offre una debole interpretazione del dogma della fede proclamato dal Concilio di Trento". [...]
    "Desiderio desideravi assume in modo chiaro e insistente questa opzione teologica a favore della Messa come memoria che solo secondariamente assume l'aspetto sacrificale nella misura in cui è commemorazione". [...] "Si noti che nel paragrafo descrittivo della Messa nel documento (DD n.4), oltre alla teoria della rappresentazione di un atto irripetibile, il Papa afferma che la Messa è una rappresentazione della Cena e non del Sacrificio del Calvario". [...] "Vale anche la pena notare che questo paragrafo suggerisce che tutti gli uomini dovrebbero mangiare e bere del Corpo e Sangue di Cristo, cioè fare la comunione. Ciò suggerisce un universalismo soteriologico coerente con l'autorizzazione pratica data da papa Francesco a tutti i cristiani –cattolici e non, in stato di grazia o meno, che vivano o meno secondo il decalogo– a ricevere l'Eucaristia".
    Secondo Ureta, sembra che per papa Francesco "la Messa sia un ricordo del dono che Gesù ha offerto nell'Ultima Cena". [...] "Quando parla di come va inteso il dinamismo che descrive la Liturgia, Francesco usa (DD n.49) le stesse parole che rendono chiaro che, per lui, il carattere sacrificale della messa deriva dalla commemorazione della Pasqua di Gesù". [...] "Non solo omette del tutto l'offerta di Cristo durante la Passione (di cui la Cena era un'anticipazione rituale), e non solo evita di dire che il Sacrificio si rinnova, ma evita la stessa parola sacrificio e la chiama immenso dono".
    (Continuerò)

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  6. 5) Un'altra critica di Ureta a Desiderio Desideravi si riassume nel titolo: "Da Sacerdoti del Sacrificio a Presidenti di Assemblee".
    Ureta, partendo sempre da quella che considera la guida suprema della liturgia (l'enciclica Mediator Dei di Pio XII) e attraverso un'approfondita considerazione delle concezioni dei riformatori protestanti, le concezioni teologiche protestanti che Ureta sottolinea furono fatte proprie dal movimento liturgico del tempo di Pio XII e che trovarono poi riscontro nella Sacrosanctum Concilium, concezioni da respingere. Ureta conclude affermando che il Sacerdote è ridotto a presidente, e i laici sono elevati a concelebranti: "Desiderio Desideravi sottolinea che il celebrante è l'intera assemblea e riduce il ministro dell'altare a presidente, omettendo del tutto che Egli solo compie l'immolazione incruenta del Sacrificio eucaristico in persona Christi" [...]
    La critica di Ureta si concentra qui sui nn. 36, 56 e 57 di Desiderio Desideravi.
    In connessione con tale critica, Ureta ne aggiunge un'altra: in Desiderio Desideravi "l'individualità si fonde con la collettività": "D'altra parte, questa immersione quasi totale del ministro ordinato nell'assemblea è attestata dal fatto che quest'ultimo termine, assemblea', viene menzionato 18 volte, evidenziandone la funzione celebrativa e il carattere collettivo, che spesso rende difficile per ogni fidele rendere a Dio un vero culto interiore, offrendo se stesso personalmente a Cristo-vittima, in intima unione con Lui". [...]
    "Bisognerebbe chiedersi se l'abbandono della Messa domenicale che ha seguito la riforma liturgica non derivi in gran parte dal dispiacere di molti fedeli per il carattere 'assemblesta' e collettivista con cui il nuovo rito è stato celebrato nella maggior parte delle parrocchie, senza lasciare spazio a pietà individuale".
    "Soprattutto c'è da chiedersi se il vertiginoso calo delle adesioni ai seminari non sia dovuto al fatto che alcuni di coloro che possono avvertire una vocazione non rispondono positivamente perché l'immagine di un ministro ordinato ridotto a 'presidente dell'assemblea' non corrisponde all'immagine tradizionale del sacerdozio, quella in cui il sacrificio personale trova il suo modello e compimento nella realtà sacrificale della Santa Messa".
    (Continuerò)

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  7. 6) Infine, nell'ultima parte del suo saggio, Ureta non può resistere a quella che mi sembra la sua inclinazione fondamentale, cioè il rifiuto passatista della Messa di Paolo VI, quando intitola il suo ultimo capitolo, senza alcun imbarazzo: "La Messa di un altro Fede?".
    "Nei quattro aspetti che abbiamo analizzato nelle parti precedenti (1. lo scopo del culto liturgico, 2. il mistero pasquale come centro della celebrazione, 3. il carattere commemorativo della Santa Messa e, infine, 4. la presidenza dell'assemblea liturgica) è diventato del tutto evidente che la visione della liturgia di Desiderio Desideravi è unilaterale [...] Ciò che sembra essere sottolineato sono le teorie e le preferenze dei liturgisti moderni, non la dottrina tradizionale della Chiesa". [...]
    "Un'analisi dettagliata mostra che la lettera Desiderio Desideravi è in definitiva una presentazione della vita sacramentale della Chiesa, e in particolare del rito della Santa Messa, che non sembra armonizzarsi, nel suo insieme, con i principi e i consigli pastorali dell'ultimo grande enciclica precedente al Concilio Vaticano II, cioè Mediator Dei di Pio XII. Dobbiamo quindi porci una domanda scomoda: queste due forme rituali molto diverse corrispondono alla stessa Fede? La risposta degli innovatori più avanzati è chiara. Dicono apertamente che si tratta di due posizioni liturgiche incompatibili che corrispondono a due posizioni dogmatiche incompatibili. Una è la fede che permea il rito tradizionale, l'altra è la fede che permea il nuovo rito... la 'nuova Messa' soppianta definitivamente (e, va detto, ripudia) l'orientamento teologico e la posizione della vecchia Messa".
    Il tradizionalista (confesso) Ureta conclude: "...è per ragioni teologiche che i tradizionalisti ritengono che il rito di Paolo VI si discosti dagli insegnamenti tradizionali sulla Messa su punti essenziali. In nome della fede perenne, essi non accettano e non possono accettare che il nuovo rito sia 'l'unica espressione della lex orandi del rito romano', come sostiene la Traditionis Custodes e ribadisce Desiderio Desideravi (n.31)".
    "Se la recente esortazione apostolica ha cercato di dare un fondamento teologico a tale affermazione, dobbiamo confermare, dopo questa breve analisi, che il colpo sembra essersi ritorto contro. La sua natura unilaterale non fa che confermare la convinzione del gregge tradizionalista che la nuova lex orandi non corrisponde alla lex credendi che la Chiesa ha ricevuto in deposito. E l'argomento che papa Francesco invoca come ultima ratio, che i tradizionalisti debbano accettare la nuova Messa perché rispondente agli insegnamenti del Concilio Vaticano II, non è suscettibile di far loro cambiare idea proprio perché la stessa Costituzione Sacrosanctum Concilium, la successiva magisterium, e anche Desiderio Desideravi meritano le stesse obiezioni teologiche".
    Infine, Ureta conclude il suo saggio in tono minaccioso: "In ogni caso, ecco un invito a teologi e specialisti in liturgia ad affrontare l'argomento e ad analizzare, in modo più profondo e scientifico, il contributo che Desiderio Desideravi ha dato al dibattito in corso. Lungi dal 'seppellire l'ascia di guerra', sembra aver aperto un nuovo fronte nella battaglia".

    Padre Cavalcoli,
    Concludo qui il mio intervento, che non ha voluto altro che riassumere in passaggi che mi sembrano fondamentali la concezione del passatista (pseudotradizionalista filo-lefebvriano) José Ureta. Sono solo felice di aver potuto esserti utile, almeno per la sua riflessione personale, senza illudermi, tanto meno chiedendoti di scrivere in base a questo riassunto che li ho inviato. Sono entusiasta di averli offerto solo un materiale che potrebbe esserli utile per elaborare quello che vuoi, quando e come vuoi.
    Grazie mille.

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    1. Caro Massimo, la informo di avere pubblicato sul mio blog la rispoista akl suo intervento:
      - https://padrecavalcoli.blogspot.com/p/deviazioni-moderniste-della-liturgia.html

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  8. Caro Padre Cavalcoli,
    Ho letto i contributi di Massimo, e penso che riassumano bene le principali dichiarazioni critiche di Ureta sul Desiderio Desideravi di papa Francesco. Tuttavia, una lettura completa del saggio di Ureta sarebbe conveniente per collocarli nel loro contesto generale.
    Oltre a questo, mi permetto di fare un'osservazione che spesso viene trascurata, e che non ho nemmeno visto riflessa negli articoli di questo suo blog, così meritorio altrimenti.
    Mi riferisco a quello che io chiamerei "iper-liturgismo" che si riscontra nelle correnti tradizionaliste attuali (o passatisti).
    Quello che sto cercando di dire è che esiste un atteggiamento permanente e altamente notevole negli esponenti dell'attuale tradizionalismo estremo (o pseudotradizionalismo, se dobbiamo parlare dell'esistenza di un sano tradizionalismo). Questo atteggiamento si riflette anche in questo saggio di Ureta. Questo atteggiamento sembra ridurre quasi tutta la vita cristiana alla liturgia.
    Sia nel clero tradizionalista che nei laici tradizionalisti c'è poco o nessun sforzo evangelizzatore, poca o nessuna azione caritativa per i settori più bisognosi della società, inesistente lavoro ecumenico e dialogo interreligioso.
    Di conseguenza, è molto caratteristico dei settori di estremo tradizionalismo essere quasi sempre indifferenti alle iniziative pastorali del Papa in tutti questi ambiti (probabilmente per la loro distanza viscerale da tutto ciò che sa di "post-conciliare", e la loro conseguente scismatica disobbedienza al Papa). Tuttavia, appena il Papa si esprime sulla questione liturgica, si nota l'interesse e il furore critico del tradizionalismo (vedi Ureta). Questo, mi sembra, non fa altro che rivelare quello che chiamo l'"iper-liturgismo" del passatismo. Per loro la vita cristiana si riduce alla liturgia. Quando in realtà, come è noto, la liturgia è "fons et culmen totius vitae cristianae", ma non "tutta" la vita cristiana.
    Grazie.

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    1. Caro Ross,
      mi complimento per questa sua analisi oggettiva ed equilibrata.
      Sono pienamente d’accordo con le sue osservazioni.
      L’auspicio e la preghiera che vorrei formulare è che questi nostri fratelli, che costituiscono nella Chiesa un capitale prezioso di forze spirituali, prestino una buona volta attenzione al vero significato della riforma conciliare, respingendo le false interpretazioni di carattere modernista e rahneriano.
      Il che non impedisce loro di rilevare con modestia e filiale rispetto i difetti umani del Santo Padre, proprio per poterlo aiutare nel suo delicatissimo ministero di servizio alla Chiesa e all’umanità.

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    2. Li ringrazio per la gentile risposta, padre Cavalcoli, e sono lieto del suo consenso sulla mia modesta analisi.
      Approfitto di questa occasione per ricordarvi un discorso del cardinale Joseph Ratzinger, che mi sembra estremamente opportuno nell'affrontare questi scottanti problemi sul passatismo.
      Credo che il discorso non sia così ben ricordato, o addirittura credo che oggi, dopo trent'anni, mi sembra che molti l'abbiano dimenticato.
      È il discorso di Santiago del Cile, ai Vescovi del Cile, il 13 luglio 1988, esattamente due settimane dopo lo scisma lefebvriano.
      Credo che sotto queste parole si possa intitolare il nucleo fondamentale del discorso di Ratzinger: "ricetta per porre fine il prima possibile allo scisma di Lefebvre". Indica tre punti fondamentali e mi sembra estremamente attuale.
      Il discorso lo trovate a questo link: http://www.internetica.it/ratzinger-SantiagoCile1988.htm
      Spero di esserli stato utile.

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    3. Caro Ross,
      confermo in pieno la valutazione che lei dà del discorso di Ratzinger. Tale discorso mi è parso talmente significativo ed utile per l’attuale situazione della Chiesa che ho pensato subito di pubblicarlo, con una piccola introduzione che ne spiega l’importanza e l’utilità per la soluzione degli attuali conflitti esistenti nella Chiesa e quindi in vista di ottenere nella Chiesa quella pace e quella concordia, che sono tanto preziosi non solo per i cattolici, ma anche ai fini della credibilità della loro testimonianza al mondo.

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    4. Caro Ross, le comunico di avere pubblicato la risposta al suo intervento:
      - https://padrecavalcoli.blogspot.com/2022/09/deviazioni-moderniste-della-liturgia_61.html

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  9. Caro Padre Cavalcoli:
    Siamo di fronte a una nuova sciocca "Correctio filialis"?
    Ora su Desiderio desideravi.
    Vedere:
    https://chiesaepostconcilio.blogspot.com/2022/09/linsegnamento-della-fede-cattolica.html

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    1. Caro Silvano,
      prima di rispondere al suo intervento, le faccio presente il metodo del mio lavoro, che non è quello di esaminare i documenti inviati dai Lettori, ma è quello di rispondere a interrogativi avanzati dai Lettori relativamente ai documenti stessi.
      Quindi la invito ad estrarre dal documento, che lei mi ha inviato, i punti che le fanno difficoltà o circa i quali lei desidera un mio parere, e io le rispondo.

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    2. Li capisco perfettamente, padre Cavalcoli.
      Cercherò di inviarvi al più presto una serie di domande o dubbi, che il suddetto documento mi ha lasciato. Grazie.

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    3. Caro Padre Cavalcoli,
      sottopongo alla vostra considerazione la mia opinione personale (e la sottopongo alla valutazione che volete fare) sulla recente lettera di critica dottrinale a Papa Francesco di un gruppo di noti passatisti come i vescovi: Joseph Strickland, René Henry Gracida, Robert Mutsaerts e Athanasius Schneider, e altri cosiddetti cattolici come: Anthony Esolen, Maria Guarini, Peter A. Kwasniewski, Martin Mosebach, Paolo Pasqualucci, ecc.
      1) In primo luogo, la critica generale che ritengo si debba fare alla lettera scritta da questi firmatari è che non si può in alcun modo intendere correggere il Romano Pontefice in materia dottrinale, cioè in materia di Fede e di morale. Infatti, quando i firmatari dichiarano che quanto afferma papa Francesco (qualunque cosa affermi dottrinalmente) in Desiderio Desideravi, «contraddice la fede della Chiesa cattolica», si sta già ponendo al di fuori della fede cattolica per chi la afferma. Questa critica approfondita che faccio alla lettera dei firmatari è la stessa critica approfondita che dovrebbe essere fatta a quei documenti di anni fa, come il "Dubia" dei quattro cardinali e la cosiddetta "Correctio filialis "firmato da tanti cattolici disorientati.
      2) I firmatari iniziano riferendosi al n.5 di Desiderio Desideravi, che dice: "Il mondo ancora non lo sa, ma tutti sono invitati al banchetto di nozze dell’Agnello (Ap 19,9). Per accedervi occorre solo l’abito nuziale della fede che viene dall’ascolto della Sua Parola (cfr. Rm 10,17)". In riferimento a quelle parole di papa Francesco, i firmatari dichiarano: "Il significato immediato di queste parole è che l’unico requisito cui un cattolico deve adempiere per ricevere degnamente la Santa Eucarestia è il possesso della virtù della fede [...]. Inoltre, in tutta la Lettera Apostolica si tace il fatto essenziale del pentimento per i propri peccati al fine di poter ricevere degnamente l’Eucarestia. Questo significato immediato contraddice la fede della Chiesa cattolica. La Chiesa cattolica ha sempre insegnato che per poter ricevere degnamente e senza peccato la Santa Eucarestia i cattolici devono ricevere l’assoluzione sacramentale [...]". Oltre a quanto già accennato, cioè che non è opportuno correggere in materia dottrinale il Papa quando adempie al suo ufficio di supremo Maestro della fede, comprendo che in questa critica ai firmatari non si prende tenendo conto che il Papa, ogni volta che insegna la Fede, non deve sviluppare tutte le articolazioni del dogma. In questo caso, quando dice che "per accedervi occorre solo l’abito nuziale della fede che viene dall’ascolto della Sua Parola", si comprende che il Papa parla di Fede come la si intende nel dogma cattolico, cioè, la Fede e le opere della Fede.

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    4. 3) Pertanto, è del tutto fuori luogo accusare il Papa di cadere nelle stesse eresie di Lutero, condannate dal Concilio di Trento. Pertanto, quando i firmatari affermano che: "l’affermazione secondo la quale la fede sarebbe l’unico requisito per la degna ricezione della Santa Eucarestia è stata condannata come eretica dal Concilio di Trento", e affermano che questa tesi è esplicitamente sostenuta dal Papa: "con le sue parole e azioni Papa Francesco ha dimostrato di sostenere il punto di vista espresso dal significato immediato delle succitate parole di Desiderio desideravi", non fanno altro che accusare il Papa di eresia. Con il che io capisco che in realtà sono loro che cadono nell'eresia.
      4) Nella loro lettera, i firmatari abbondano di altri esempi con cui accusano il Papa di cadere nelle stesse eresie di Lutero. Non ho bisogno di citare in dettaglio: "Il succitato insegnamento del Concilio di Trento condanna la posizione di Martin Lutero su fede e giustificazione. Papa Francesco ha pubblicamente espresso di essere d’accordo con le posizioni condannate di Lutero". In tutte queste dichiarazioni dei firmatari non vedo altro che pertinacia nell'accusa di eresia del Papa.
      5) In altri passaggi della loro lettera, i firmatari dimostrano implicitamente di non aver accolto in filiale obbedienza di fede quanto insegnato dottrinalmente da papa san Giovanni Paolo II nella sua lettera Ad Tuendam Fidem (e allegato alla CDF), sui gradi di infallibilità pontificia, poiché dichiarano esplicitamente di ridurla a quanto espresso dal Concilio Vaticano I, proprio come ha fatto la sfortunata "Correctio filialis" del 2017. Dicono i firmatari: "Desiderio desideravi non è un insegnamento infallibile perché non soddisfa le condizioni necessarie per l’esercizio dell’infallibilità papale [...] Sulla possibilità che un papa insegni pubblicamente un errore, si veda la Correctio filialis rivolta a Papa Francesco da un gruppo di studiosi cattolici [...] Nessun cattolico è autorizzato a credere o ad agire in conformità con un’affermazione papale se essa contraddice la fede cattolica rivelata da Dio".
      Ho espresso modestamente la mia opinione, dopo serena meditazione, da semplice fedele cattolico. Spero di ricevere da lei, padre Cavalcoli, il chiarimento teologico dei punti citati, in cui la mia opinione è che i firmatari sono assolutamente fuori dal cammino cattolico. Sorprende che tra i firmatari ci siano anche Vescovi, alcuni ancora in carica. Attendo con ansia il suo parere. Grazie.

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    5. Caro Silvano, le comunico che ho pubblicato la mia risposta al suo intervento: https://padrecavalcoli.blogspot.com/2022/09/nuove-accuse-di-eresia-papa-francesco.html

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    6. Grazie per la gentile risposta alle mie domande, padre Cavalcoli. Sono perfettamente soddisfatto di ciò che mi hai risposto, e vedo che non sono stato affatto fuorviato nel mio giudizio.
      Il Signore li benedica abbondantemente con la sua grazia.

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