La
fine del modernismo
Una
pietra si staccò dal monte, ma non per mano d’uomo,
e
andò a battere contro i piedi della statua
Dn
2,34
Soffiasti con il tuo alito; il
mare li ricoprì,
sprofondarono
come piombo in acque profonde.
Es
15,10
Vidi un
nuovo cielo e una nuova terra,
perchè
il cielo e la terra di prima erano scomparsi
e il mare
non c’era più
Ap 21,1
Un esercito invasore
Il
modernismo si può paragonare all’esercito di occupazione nazista, che nel corso
della Seconda Guerra Mondiale invase l’Italia con la pretesa che essa restasse
fedele alla Germania hitleriana, dopo che gli Italiani, avendo aperto gli occhi
sull’inganno del fascismo, non ne volevano più sapere.
I
nazisti, convinti invece di avere Dio con loro (Gott mit uns) e di essere i profeti e i fautori del nuovo ordine
europeo basato sullo statalismo panteista hegeliano di origine luterana, cercarono
di ottenere con la forza quello che ormai gli Italiani non potevano più accettare.
Il
progetto di rinnovamento ed avanzamento della Chiesa, ritenuto dai modernisti
uno sviluppo del Concilio Vaticano II, e quindi del cristianesimo, è ben
riassunto nelle idee di Rahner e di Schillebeeckx: è quello di creare un
sincretismo religioso internazionale e di sopprimere la pretesa cristiana di
avere il primato sulle altre religioni e di essere obbligatoria per tutta l’umanità[1].
Quindi
non più il dovere del cristianesimo di guidare le altre religioni (“voi siete
la luce del mondo”) e di correggerne gli errori (“chi non è con me è contro di
me”), ma quello della convivenza e della complementarità reciproca tra le varie
religioni, perché non si tratta più di opporre una verità cristiana a una
falsità non-cristiana, ma di rispetto reciproco delle diversità. Tutte le religioni
sono vere e amanti della pace; sono solamente diverse le une dalle altre. E il diverso
deve poter convivere col diverso.
Anzi,
in generale, non si tratta più di correggere, di ammonire, di rimproverare, di redarguire,
di condannare, di confutare, di proibire, di punire, ma solo di aprirsi, di
dialogare, di condividere, di comprendere, di accogliere, di integrare, di accompagnare,
di compassionare. Non più selezione prudente di chi può far parte della Chiesa
e chi no, ma accoglienza indiscriminata e
scriteriata, non più severità intransigente, ma tenerezza misericordiosa. Resta
però il fatto che i modernisti, con raffinata ipocrisia, sono duri, crudeli,
vendicativi ed inesorabili giustizieri contro coloro che non accettano queste
loro vedute e non rientrano nel loro falso concetto di Chiesa.
Si
tratta, in fondo, del mai sopito lassismo morale ammantato di “misericordia” e di
una riesumazione dell’indifferentismo religioso, già condannato da Gregorio XVI
e dal Beato Pio IX, indifferentismo che si vorrebbe far passare per libertà religiosa
e rispetto della diversità, ma sottintende la negazione del mandato di Cristo
di predicare il Vangelo come unica verità salvifica per tutta l’umanità: “chi crederà,
sarà salvo; chi non crederà, sarà condannato” (Mc 16, 16).
Ciò a sua volta suppone l’idea soggettivista e
relativista che non possa esistere una verità certa ed universale, una uniformità
intellettuale, un unico pensiero valido per tutti ed obbligatorio per tutti
(“una sola fides”), che quindi obblighi tutti, pena il fallimento del pensiero.
I
modernisti non capiscono che l’obbligo imposto a tutti di accettare o di credere
una medesima verità non è necessariamente caratteristica di un regime dittatoriale
e illiberale, ma può avere ottimi fondamenti e ragioni della stessa convivenza civile.
Salvo poi, ad essere essi stessi, se sono al potere come oggi, ad imporre a tutti
quella che, con felice espressione, è stata chiamata “dittatura del relativismo”.
Certamente,
le istruzioni per l’uso di un farmaco sono evidentemente obbligatorie per tutti
coloro che hanno bisogno di quel farmaco. Ma nessun paziente si sentirà
represso nella sua libertà di pensiero, se deve accogliere docilmente quanto è
prescritto in quelle istruzioni. Lo stesso vale per la morale del Vangelo. Altrimenti,
dovremmo dire che Cristo si mostra un dittatore, quando obbliga tutta l’umanità
a credere alle sue parole. E la Chiesa, che parla a suo nome, sarebbe a sua
volta un’associazione impositiva, imbonitrice e di lavaggio del cervello, guida
di pecoroni plagiati, come del resto sostiene da secoli la tradizione illuministico-massonica.
Ma
quello che è insopportabile è che dei cervelli che per primi dichiarano di non
credere in una verità oggettiva, certa, immutabile ed universale, e si presentano
come “costruttori di ponti”, che “abbattono i muri”, maestri di dialogo, di apertura
mentale, larghezza di vedute, rispetto delle diversità, una volta poi diventati
teologi, vescovi e superiori, pretendano di imporre a tutti i sudditi, con blandizie
o minacce, questo loro relativismo come fosse verità assoluta.
L’universalismo modernista
Il
modernismo possiede un’istanza universalistica di origine illuministico-massonica,
che non è fondata, come quella che emerge da una sana antropologia cristiana,
su di un concetto oggettivo di natura umana e delle sue leggi morali, ma,
secondo la gnoseologia nominalistica di Guglielmo di Ockham, la natura umana è
concepita come collezione o insieme empirico-storico di individualità o particolarità,
unificata non in forza di un’essenza universale oggettiva e reale, astraibile dagli
individui ed ugualmente ed identicamente appartenente e predicabile di ogni individuo
come sua essenza specifica umana, ma umanità unificata in forza del nome comune
“umanità” o “uomo” applicato alla collezione di individui empiricamente simili
tra di loro.
In
tal modo l’uguaglianza umana, nel nominalismo e nell’antropologia modernista
che ne deriva, non è l’uguaglianza di un’essenza
universale astraibile ed esprimibile nel concetto “uomo” (animal rationale) e immanente in tutti gli
uomini (unum in multis), ma è semplicemente
il fatto che molti individui diversi stanno assieme sotto il nome comune “uomo”
(unum de multis). L’universale non è
un dato comune a tutti gl’individui, ma è una specie di contenitore, è come un
cassetto, con l’etichetta, per esempio, “lettere della fidanzata”, dove si conservano
tutte le lettere della fidanzata.
La
conoscenza, infatti, per Ockham, non è astrarre un’essenza universale comune da
molti individui della stessa specie, immanente agli stessi individui, ma è
semplicemente il cogliere in un’ “intuizione” l’insieme di individui simili tra
di loro. La conoscenza non coglie un’unità reale dei molti astraibile nel concetto,
ma coglie semplicemente i molti simili fra di loro[2]. Non
è un vero astrarre, ma è un designare, è dare il nome ad un insieme. E’
l’etichetta nel cassetto.
In
base a questi presupposti gnoseologici, non esiste “la religione”; ma esistono solo le
religioni. Dunque è illusorio credere che il cristianesimo sia l’unica “vera e
suprema religione”, sforzandosi di persuadere tutti ad abbracciarla ed obbligando
tutti a credere in essa, sotto pena dell’inferno. Questo è vano “proselitismo”
e imposizione ideologica.
Da
qui, allora, il grande progetto modernista internazionale di rinnovamento della
Chiesa viene ad essere quello di formare, in collaborazione con le altre religioni,
una federazione mondiale delle religioni[3],
connessa con le Nazioni Unite, su di un piede di parità, nel rispetto delle diversità,
e nella reciproca collaborazione per il progresso umano, con particolare
attenzione ai poveri e agli oppressi, nonchè alla cura dell’ambiente, senza che
vi sia alcuna religione che abbia la pretesa di essere la migliore o quella
vera, obbligatoria per tutte e di guidare le altre, magari sotto minaccia di dannazione
eterna.
Questa
federazione di religioni, sempre secondo i modernisti più avanzati, per ottenere
vera efficacia sull’umanità, dovrà procedere in sintonia con le altre storiche organizzazioni
umanitarie o filantropiche, che hanno a cuore il destino dell’uomo, come per
esempio la massoneria[4] o il
comunismo internazionale.
Il
principio, quindi, di coagulo e di associazione, che sta a fondamento di questa
federazione, non dev’essere alcun dogma religioso con la pretesa di oggettività
e di universalità, perché ciò nuocerebbe al dialogo, al pluralismo delle culture
e alla libertà religiosa.
Del
resto, come dice Rahner, ogni uomo come tale, compreso l’ateo, è soggetto di
un’“esperienza atematica, apriorica, inconscia, immediata, preconcettuale, trascendentale
e soprannaturale di Dio” (“cristiano anonimo”), per la quale tutti essenzialmente
tendono a Dio (almeno inconsciamente) e sono sempre in grazia di Dio, perchè
Egli perdona tutti, non castiga nessuno e tutti si salvano, risorgendo immediatamente
dopo la morte, anzi “nella morte”. Del resto, per Rahner, l’esistenza del
peccato non è certa, e comunque il peccato si distrugge da sé.
Il
principio di associazione e collaborazione non dev’essere dunque dottrinale, data
la mutabilità e relatività dei concetti, ma dovrà essere pratico-politico-umanitario,
per cui la leadership sarà affidata a turno ai vari capi religiosi, con accordi
temporanei e flessibili, stipulati di volta in volta, a seconda delle circostanze,
come avviene in un normale organismo democratico, perché la Chiesa (l’“l’Iglesia
popular” della teologia della liberazione), non è, come credeva Pio XII, una monarchia
con tanto di aristocrazia, ossia gerarchia piramidale, ma una comunità orizzontale
di fratelli, tutti alla pari, guidata dallo Spirito Santo, raccolta attorno
alla Parola di Dio, che sceglie essa stessa i propri capi. Il Papa,in questa concezione,
è un semplice rappresentante della base, non ha nessun carisma di infallibilità
dottrinale, dato che del resto la verità è mutevole. Insieme con i capi
religiosi delle altre religioni forma un gruppo di amici dediti al governo temporale
dell’umanità ed alla promozione della fratellanza universale
Un nuovo Concilio ?
I
modernisti da tempo non sono del tutto soddisfatti delle dottrine e delle direttive
innovatrici del Concilio Vaticano II, non considerandole abbastanza avanzate.
Per loro sono ancora in certa misura inceppate da residui dell’aborrita scolastica
medioevale e da rigidezze dogmatiche superate.
Per
esempio, il Card.Kasper[5] sostiene
che nel Concilio ci sono delle “contraddizioni” tra alcune dottrine, che, a dir
di lui, aprono a un vero progresso, ed altre[6], che
invece fanno da freno, residui superati e superabili del preconcilio. In realtà
si tratta del richiamo a valori tradizionali, cosa che per il modernista è fumo
negli occhi.
Per
questo, i modernisti stanno da tempo sognando un nuovo Concilio, che riduca maggiormente
il dato dogmatico tradizionale, abolisca il concetto di “eresia” ed accentui l’annacquamento
del Vangelo e l’orientamento modernista, per attuare in pienezza il programma di
Rahner e Schillebeeckx, considerando anche il permanente successo delle loro idee.
Di
fatto la Chiesa, dagli anni del postconcilio fino ad oggi, ha opposto solo una debole
resistenza agli errori di entrambi, ed anzi ha tollerato la loro larga diffusione,
benchè, a seguire gli insegnamenti pontifici da allora fino ad oggi, possiamo notare
che essi, dandoci la giusta interpretazione del Concilio, smentiscono implicitamente
le loro imposture.
A
mio avviso, occorrerebbe effettivamente un nuovo Concilio, ma per confermare e
sviluppare le conquiste dottrinali e morali del Vaticano II e correggere una certa
tendenza buonista e misericordista, troppo indulgente verso vizi ed errori, tendenza
che oggi ha raggiunto traguardi intollerabili e dannosissimi per la Chiesa e per
l’umanità. Il lassismo morale più sbracato si va sostituendo alla disciplina morale
da sempre predicata dal cristianesimo. Questo nuovo auspicabile Concilio dovrebbe
sostanzialmente fare alcune cose:
1) occorre recuperare la tradizione
senza accantonare i progressi compiuti col postconcilio;
2) occorre mantenere il dialogo e
il confronto con la modernità, ma avere il coraggio, con saggio discernimento, di
denunciarne e correggerne gli errori;
3) occorre conservare i più ampli
orizzonti della misericordia apparsi a seguito del Concilio Vaticano II, ma nel
contempo riscoprire e riattivare la pratica di una giusta disciplina o severità
nel timor di Dio, come espressioni della carità e della giustizia;
4) occorre una riforma liturgica
che, senza rinunciare agli aspetti ecumenici introdotti dal Vaticano II, ritrovi
però la dignità e la sacralità delle celebrazioni sacramentali;
5) salvando il valore della collegialità
episcopale e della Chiesa locale, bisogna che il Papa riacquisti il suo ruolo
di guida dei vescovi, soprattutto nel campo della dottrina;
6) bisogna che lo stesso vescovo,
nell’ambito della sua diocesi, sia di maggiore aiuto al Papa nel campo della
dottrina;
7) considerando la quantità e la difficoltà
delle questioni dottrinali, bisogna che la Congregazione per la Dottrina della
Fede sia potenziata e si ponga a più stretto servizio del Sommo Pontefice per la
promozione e difesa della sana dottrina e la correzione degli errori;
8) pur nel rispetto della libertà
di pensiero e di opinione, i vescovi devono vigilare sulle dottrine insegnate dai
teologi, specialmente coloro che sono incaricati della formazione del clero;
9) occorre una soluzione dell’annoso
conflitto fra lefevriani e modernisti, in modo che nella compagine ecclesiale
la componente tradizionalista armonizzi serenamente e costruttivamente con
quella progressista;
10) bisogna che le opere missionarie,
pur mantenendo il loro taglio umanitario e assistenziale, recuperino più spazio
al loro compito specifico, che è l’annuncio esplicito ed argomentato del
Vangelo, sia pure con quella gradualità, che è richiesta dal variare delle situazioni
e delle esigenze;
11) occorre respingere quel proselitismo
che o attira gente al proprio gruppo anzichè alla Chiesa o che presenta una
Chiesa non postconciliare, ma preconciliare, e ritrovare un sana apologetica,
con argomenti persuasivi adatti al nostro tempo, che sappia mostrare bellezza
della fede della Chiesa, difendendola dalle false accuse senza trionfalismi;
12) il Papa deve governare la Chiesa
servendosi preferibilmente dei suoi primi collaboratori ufficiali, che sono in primis il collegio cardinalizio
riunito nel Concistoro e, a seconda delle necessità o delle opportunità, ricorrendo alle Congregazioni e via via agli
altri organismi della S.Sede; deve essere prudente nel fidarsi di collaboratori
cosiddetti «amici», uomini di parte, da lui scelti per sue opinioni o
preferenze personali, ma al lato pratico incapaci di aiutarlo nell’esser super partes con quello sguardo superiore
ed universale, ispirato a Cristo, che dev’essere prerogativa somma del padre
comune e del pastore universale della Chiesa. Forte, infatti, è in questi casi
il rischio del favoritismo da parte del Papa e dell’adulazione del Papa da
parte dei preferiti. È una forma moderna di nepotismo;
13) il Papa deve imporsi nella Chiesa
come Papa, ossia come Vicario di Cristo, ma chiaro annunciatore,benché con
gradualità, del Vangelo integrale senza sconti, reticenze o annacquamenti, in nome
degli interessi dottrinali e pastorali della Chiesa, e non tanto come
personaggio emergente o di spicco in campo internazionale, inventore di «nuovi
paradigmi» e ancor meno come rappresentante di una particolare tendenza politica
o religiosa o culturale, per quanto influente sia nella Chiesa e gradita ai
poteri mondani;.
14) la stessa Segreteria di Stato,
come dice la parola, è una semplice “segreteria”. Essa quindi non partecipa affatto
al governo papale della Chiesa, come invece ne partecipa il collegio cardinalizio
nel Concistoro. Il Papa non se ne serve per governare, ma semplicemente per
pubblicare i suoi atti di magistero e di governo, e per rappresentarlo davanti alla
Chiesa, agli Stati e al mondo. Essa, come ogni segreteria, è una semplice
“cinghia di trasmissione”, un organo di rappresentanza del Santo Padre, addetta
alla preparazione, progettazione, disbrigo, redazione, formalizzazione,
catalogazione, raccolta ed archiviazione ed edizione degli atti d’ufficio personali
del Papa, mediazione e comunicazione tra il Papa e i Dicasteri e viceversa;
15) pur nel riconoscimento dei meriti
teologici di Karl Rahner, essendo ormai evidenti, dopo sessant’anni di
applicazione, gli effetti deleteri soprattutto in campo morale, delle sue
dottrine, false interpretazioni del Concilio, bisogna correggere una buona
volta, alla luce del Magistero della Chiesa e in particolare, come ordina il
Concilio, della dottrina di S.Tommaso d’Aquino, i suoi errori riguardanti la
dottrina della conoscenza, dell’essere, di Dio, dell’uomo, della fede, della
grazia, della cristologia, della SS.Trinità, della morale, della Chiesa, dei
sacramenti, del sacerdozio, dell’escatologia[7];
16) la S.Sede, nell’amministrazione
dello IOR e delle altre opere che richiedono un impegno finanziario, eviti di
lasciarsi condizionare da pressioni esterne, per esempio quella della
massoneria;
17) la gerarchia, senza venir meno alla sua sensibilità
per i problemi più gravi della giustizia, della libertà e della pace sulla
terra, eviti un eccessivo interventismo nelle faccende politiche, lasciando ai
laici la loro autonomia, e miri piuttosto ad aprire agli uomini gli orizzonti
della trascendenza e dell’eternità, sollecitandoli ad alzare lo sguardo verso
il cielo e guidando l’umanità verso il fine ultimo della storia terrena. Non
imponga come fosse dottrina della Chiesa
una particolare linea politica. Sappia levare la voce a favore degli oppressi
davanti un governo dittatoriale e tirannico;
18) il sinodo mondiale dei vescovi
è certamente un’espressione significativa della collegialità episcopale cum Petro e sub Petro.
19) il collegio cardinalizio,
elettore del Sommo Pontefice, deve poter aver l’iniziativa a suo arbitrio in
casi gravi di esigere dal Pontefice di
render ragione davanti alla Chiesa di suoi atti chiaramente non conformi ai
doveri dell’incarico ricevuto o estranei ai limiti della sua autorità, pronto eventualmente
ad emendarsi, come fece Pietro al richiamo di Paolo. Ciò richiederà una
reinterpretazione del can.1404 del CJC, che d’ora innanzi dovrà essere riferito
solo all’autorità dottrinale e non più all’azione pastorale, al governo della
Chiesa o alla condotta morale del Papa.
In
questo nuovo Concilio non occorrerebbe convocare tutti i vescovi del mondo,
come si è fatto finora, compreso l’ultimo Concilio. Ma in questo Concilio si è
vista la poca praticità di una cosa del genere, perché è praticamente impossibile
ed irrealistico far discutere adeguatamente per anni un’assemblea di 2000 persone,
oltre alla sconvenienza di tener lontani per anni i vescovi dalla loro diocesi.
C’è inoltre da considerare che i moderni mezzi di comunicazione consentono una
facile comunicazione coi vescovi assenti.
Soprattutto
nell’ultimo Concilio, data la mole degli argomenti da trattare, si è, per necessità
di cose, dovuto ricorrere a gruppi più ristretti di vescovi o a commissioni di esperti,
molti dei quali non vescovi o delegati dei vescovi, i quali hanno dovuto
preparare loro almeno le bozze dei documenti conciliari, che dovevano essere votati
dall’assemblea generale, prendendosi a volte un potere eccessivo.
Questo
ripiego peraltro ha reso possibile l’infiltrazione tra i Padri di teologi criptomodernisti,
i quali, presi dopo il Concilio da un malsano protagonismo, hanno preso la mano
ai vescovi ponendo le premesse di tutti i danni che avrebbero causato nei decenni
successivi fino ad oggi.
Ma
si comprende peraltro come in una situazione così artificiosa, con quanta approssimazione
e disagio l’assemblea conciliare avrà dovuto prender atto ed esaminare le bozze
preparate dalle commissioni e per lo più avrà dovuto fare in fretta e fidarsi del
lavoro fatto. Tanto valeva, allora, che al Concilio andasse solo una rappresentanza
dell’episcopato mondiale[8].
Diversamente
avevano potuto andare le cose nei secoli precedenti, quando ai Concili erano presenti al massimo centocinquanta
o duecento vescovi, i quali, inoltre, conoscevano tutti il latino. Ed inoltre,
le questioni all’ODG erano assai più limitate e chiare, urgenti e sotto agli
occhi di tutti, a differenza del Vaticano II, dove venivano fuori da sottoporre
al giudizio di un enorme numero di Padri un mucchio di questioni impensate,
delle quali non si capiva neanche il senso e l’utilità.
Invece
negli antichi Concili un numero ristretto di specialisti, cioè i vescovi, senza
bisogno di tanti «periti», avevano l’agio e la facilità di prendere rapide e
sicure decisioni. In queste condizioni sì che si poteva discutere e confrontarsi.
Per questo, onde evitare il ripetersi degli inconvenienti del Vaticano II, nel
prossimo Concilio sarà sufficiente convocare solo rappresentanze di vescovi eletti
dai confratelli.
Ma
il problema, per adesso, è che, invasi come siamo dai modernisti, probabilmente
sono pochi coloro che avvertono le esigenze, chiaramente fastidiose per loro,
da me segnalate. Tuttavia, occorre avere fiducia che, trattandosi di esigenze ragionevoli,
urgenti e conformi alla natura e ai fini della Chiesa, queste esigenze si
faranno sentire sempre di più nel popolo di Dio e nei pastori, con l’aggravarsi
della crisi provocata dai modernisti.
Non
vedo infatti come si potrebbe uscire da questa crisi, se non con un Concilio, come
è sempre avvenuto in momenti simili nella Chiesa. I modernisti, dal canto loro,
dato che per ora dirigono gli eventi secondo i loro desideri, sentendosi padroni
della Chiesa e illusi dal successo che ottengono nel mondo, perseverano ciecamente
verso l’abisso.
Ma,
come è detto nella Prima Lettera ai Tessalonicesi, “come un ladro di notte, così verrà
il giorno del Signore. Quando si dirà: ‘pace e sicurezza’, allora d’improvviso li
colpirà la rovina, come le doglie di una donna incinta; e nessuno scamperà” (I
Ts 5, 1-3).
E’
chiaro che i modernisti vedrebbero come fumo negli occhi le proposte che ho avanzato,
dato che esse vanno esattamente nel senso opposto alla loro direzione. Ma nulla
impedisce che essi, stimolati dallo Spirito Santo, possano avere un
ripensamento e magari, come il figliol prodigo, accorgersi di stare a mangiare
le carrube dei maiali. A questo punto, resisi conto della gravità della situazione,
potrebbero farsi promotori del Concilio, non però naturalmente in senso
modernista, ma secondo le vere esigenze della Chiesa.
Un nodo da sciogliere
L’inganno
del demonio si accentra oggi, come non mai nella storia della Chiesa, attorno
all’ufficio del Sommo Pontefice. E ciò avviene secondo le seguenti direttrici.
Primo.
Far apparire gli insegnamenti di Papa Francesco in contrasto con quelli del
Magistero precedente, come per es. quello di Benedetto XVI, di S.Giovanni Paolo
II, di Pio XII, di S.Pio X, del Beato Pio IX o del Concilio di Trento, o col pretesto
dell’evoluzione dottrinale, come fanno i modernisti, o interpretando il Papa come
modernista o luterano, come fanno i lefevriani.
Secondo.
Confondere gli insegnamenti infallibili e vincolanti del Papa attuale, conformi
al Magistero ecclesiale precedente, con pronunciamenti improvvisati – per esempio
interviste in aereo -, estranei a tale Magistero, boutades o espressione di opinioni discutibili o erronee, col
risultato di dare a questi pronunciamenti occasionali o raccogliticci la stessa
importanza o anche maggiore degli insegnamenti studiati e vincolanti, che
riflettono l’ufficio del Papa come Maestro e Confermatore della fede.
Terzo.
Permettere l’azione dannosa, indipendente dalla volontà del Papa, di collaboratori
non ufficiali, fatti passare per
“amici”o “collaboratori”, le cui idee sono
difformi dal Magistero del Pontefice o del Magistero precedente. Le idee di costoro,
che sarebbe meglio chiamare imbonitori o millantatori, vengono abilmente presentate
dai mass-media come espressioni degli insegnamenti dottrinali del Papa.
Quarto.
L’inversione dei ruoli. Questa presenza dei modernisti ai vertici del potere ecclesiale
fa sì che sia sorta nella Chiesa una pseudoautorità, che finge o crede di rappresentare
il Papa inteso come grande leader politico, ma che invece si è sostituita all’autorità
legittima, autenticamente fedele al Papa come maestro delle fede, rimasta in minoranza
e oggetto di continui impedimenti, attacchi, umiliazioni e derisioni da parte dei
modernisti, bersagliata ed umiliata da una serie di coloriti epiteti.
Quinto.
Imprudenza pastorale del Papa. Il fatto di essere il Papa attorniato e accerchiato
da mestatori e impostori non dipende solo dalla loro invadenza, astuzia e piaggeria, ma anche il Papa, a mio giudizio, non
è senza colpa. Esiste, in questa penosissima situazione, una responsabilità da ambo
le parti: non si può negare infatti che questi personaggi in fin dei conti se li
sceglie lui, cosa che – è vero -, se la evitasse, potrebbe procurargli dei guai,
ma che però egli dovrebbe sopportare con cristiana pazienza e virile coraggio, senza
cedimenti o mire temporaleschi e senza rispetti umani e badando solo al ministero
petrino.
Silenzio
imprudente. Papa Francesco è un Papa loquacissimo, anche troppo, amante delle
battute e degli slogan ripetuti e poco portato misurare le parole, con la conseguenza
di essere frainteso, con saltuarie improprietà di linguaggio, atte a ingenerare
equivoci. Ma poi eccolo tacere in numerose occasioni nelle quali da dotti e competenti
di chiara fama e di professata fede cattolica, laici o ecclesiastici, anche di alto
grado, è stato in vari modi interpellato o con critiche sulla sua dottrina o sulla
sua pastorale o con suppliche o per denunciare scandali o per chiedere chiarimenti
o interventi disciplinari.
Il
motivo di questo tacere il Papa lo ha espresso in occasione del memoriale di
Mons.Viganò, paragonandosi a Gesù Cristo che tace al processo davanti ai suoi
accusatori. Ma questo riferimento sembra sproporzionato. Cristo non risponde
davanti all’evidente malafede e malignità dei suoi nemici mortali, e quindi di
una circostanza estrema. Ma quante volte Cristo risponde con pazienza e carità,
seppur con severità, a interroganti ipocriti e disonesti!
Il
tacere di Francesco sembra invece dettato da orgoglio e disprezzo,
probabilmente mal consigliato. Si comprende lo sdegno e il dolore che deve aver
provato nel sentirsi accusare a volte di eresia o, come nel caso Viganò, nel
sentirsi gettare addosso un peso di responsabilità, che egli ha giudicato
eccessivo. Ma avrebbe anche dovuto chiedersi se nel suo parlare non fosse stato
qualche volta presente qualcosa che poteva far sorgere dubbi o sospetti. E
perché allora non risolvere questi dubbi e fugare i sospetti chiarendo,
spiegando, precisando?
Conseguenze
Egli
non ha nessun potere su di me
Gv 14,30
Questi
atteggiamenti del Papa, tutto sommato dannosi per il suo buon nome e per la
tranquillità della Chiesa e per la fede del popolo di Dio largamente magnificati
dagli adulatori come «papato della misericordia»[9] e del
“progresso”[10],
«liberatore dei poveri»[11], «nuovo
paradigma»[12],
«trasformazione del mondo»[13],
«nuova libertà»[14]
e «svolta epocale»[15],
propagandati dai grandi mass-media laicisti, liberali, atei, modernisti o massonici,
provocano comprensibilmente due effetti deleteri: da una parte, aumentare il prestigio
e il potere dei modernisti ai vertici della Chiesa e nell’episcopato;
dall’altra, aumentare lo sconcerto dei fedeli, soprattutto quelli
tradizionalisti, i quali, credendo che le idee di quei collaboratori o
presentati tali, siano le idee del Papa, sono tentati di non vedere più in lui il
Vicario di Cristo e il custode della fede, ma piuttosto un traditore, un
impostore, un usurpatore del trono di Pietro, un falso Papa, col rischio di perdere
la fede cattolica e di negare, come fece Lutero, la stessa esistenza del primato
pontificio.
Del
resto, i modernisti e moltissimi oggi nel mondo, anche non-cattolici, non-cristiani,
agnostici o addirittura atei, ammirano il Papa non certo come Vicario di Cristo
o dottore della fede, ma perché, male interpretando certe sue espressioni o
scelte infelici o idee personali, credono che sia un secolarista o soggettivista
pragmatico, favorevole all’indifferentismo religioso e al permissivismo o relativismo
morale.
Per
questo, l’enorme successo del Papa nel mondo è in gran parte fasullo, perchè non
è il successo presso anime che cercano Dio o la verità o la giustizia, ma è il vano
successo del mondo, che vede nel Papa, pur fraintendendo, solo se stesso e le
proprie mire mondane.
Dove,
sono, infatti, le conversioni o almeno l’avvicinamento dei lontani a Roma o
alla fede? Dove la penitenza, il sacrificio e la vita ascetica? Dove sono la disciplina,
l’ordine, la concordia e la pace nella Chiesa? Dove la conversione o la correzione
dei peccatori, degli increduli, degli scismatici e degli eretici? Dove la crescita
e il fiorire della cultura cattolica e della vita religiosa? Dov’è il progresso
del culto divino, della pratica sacramentale, dei costumi morali e nella santità? Dove l’aumento dei
credenti e l’espansione della Chiesa? Dov’è il miglioramento della preparazione
teologica del clero e dei vescovi? Dove la nascita di nuove istituzioni
cattoliche? Dove le nuove vocazioni? Che ne è delle missioni?
Dov’è
il rafforzamento del laicato cattolico e delle famiglie cristiane? Dov’è il miglioramento
della giustizia politica ed economica? Dove sono i gay che promettono di cambiar
vita? Dove la riconciliazione dei nemici? Dove sono i Zaccheo (Lc 19, 5-7), che,
pentiti, promettono di restituire quattro volte quanto hanno rubato? Dov’è che i
poveri e gli oppressi vengono sollevati o liberati? Ci sono forse ordine,
legalità, prudenza, giustizia e misericordia nel gestire il fenomeno
dell’immigrazione?
Belle parole di speranza, dialogo, diversità,
apertura, accoglienza, tenerezza, accompagnamento, integrazione, tolleranza e misericordia,
grandi applausi, gesti simbolici, folle immense, lodi dalla stampa, grandi feste,
scherzi, musica, spettacoli, canti e balli, ma tutto apparentemente resta come
prima.
Eppure,
il Papa presiede sempre, con la forza dello Spirito Santo, all’annuncio del Vangelo
nel mondo, contro le resistenze e l’opposizione del mondo e di Satana. Egli è
qui alla guida dell’episcopato, dei missionari e della Chiesa “in uscita”, come
egli ama dire.
L’inganno più radicale
“Le
fu permesso di far guerra contro i santi e di vincerli”
Ap13, 7
Ma
l’inganno del demonio ha una radice ancora più profonda dell’inganno circa la
missione, l’autorità e l’opera di Papa Bergoglio come di qualunque altro Papa.
Essa colpisce la radice ultima e più profonda dell’attività dello spirito, intelletto
e volontà, le due molle fondamentali dell’azione umana.
Qui c’è per noi l’origine prima della giustizia
e del peccato, della salvezza e della perdizione, della vita e della morte. Il
fondamento della nostra responsabilità. Questa attività inizia dal rapporto
dello spirito, intelletto e volontà, con la verità. Rapporto che può essere benefico
o dannoso, fruttuoso o disastroso. Benefico, se basato sull’umiltà, nell’aderenza
alla verità - adaequatio intellectus et
rei -, che genera l’obbedienza a Dio; dannoso, se basato sulla superbia – qui vult supergredi quod est[16] -,
che porta alla disobbedienza. Tutta la storia e il destino dell’uomo, tutte le
sue grazie e disgrazie, tutto il bene e tutto il male, tutta la sua felicità ed
infelicità, hanno la loro origine prima e il loro perno in queste due scelte fondamentali
e radicali del nostro spirito.
La
questione iniziale, come troviamo nel racconto genesiaco di Adamo ed Eva, il
punto di partenza è la questione della
verità. Occorre un nuovo De Veritate,
che corregga, nella linea di S.Tommaso d’Aquino, Cartesio e Kant. Dobbiamo riconoscere
d’aver compiuto magni passus extra viam.
Occorre
ritrovare la verità sul bene e sul male, dove il bene appare come la vita e il male
come la morte. Fin dagli inizi l’uomo si trova davanti alla scelta tra il vero
e il falso, tra il bene e il male, tra la vita e la morte. Il dialogo di Eva
col serpente è la chiave per comprendere, oggi più che mai, tutto il dramma
della storia umana.
E’
evidente che Satana propone se stesso come vero Dio al posto del Dio creatore.
La II Lettera ai Tessalonicesi (2,
2-4) su questo punto è chiarissima. Satana si presenta come un dio dolce e permissivo,
che non impone obblighi e divieti e non minaccia castighi dall’alto, come fa
invece il Dio creatore. Non è un Dio metafisico, «astratto», maestoso, celeste,
imperscrutabile, al di sopra del mondo e dell’uomo, ma un dio al livello dell’uomo,
un dio «umano», caricatura del Dio incarnato, un dio piacevole, terra terra,
concreto, comodo e accessibile, alla portata di mano, un compagno dell’uomo. “Umano,
troppo umano”, direbbe Nietzsche.
Un
“dio di questo mondo” (II Cor 4,4). Si propone come Dio verace, a differenza
del Dio menzognero creatore. Ma poi, egli sembra insinuare, sarà proprio vero che
il mondo lo ha creato lui? O è solo una spacconata per dar soggezione all’uomo?
Satana non è un dio opprimente, ma liberante, come diceva Carducci[17], un dio
che svela all’uomo non impenetrabili misteri, per far pesare la sua infinita
Maestà, Rex tremendae maiestatis, ma un
dio amico dell’uomo, che svela all’uomo la sua divinità, ma una divinità della
quotidianità. Un dio senza pretese, sventurato come l’uomo, come diceva Sergio
Quinzio.
Dall’inganno
originario del demonio ha inizio la lunga storia della superbia umana, che avrà
il suo culmine, “quando vedremo l’abominio della desolazione nel luogo santo”
(Mt 24, 15), quando avverrà “l’apostasia e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo,
il figlio della perdizione, colui che si contrappone e si innalza sopra ogni
essere che viene detto ‘dio’ o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di
Dio, additando se stesso come Dio” (II Ts 2, 3-4).
Si
tratta molto probabilmente di colui che S.Giovanni chiama “anticristo” (I Gv
2,18-23), il quale “nega il Padre e il Figlio” (I Gv 2,22). Un personaggio, un
eresiarca o più probabilmente una setta. Nega in nome di chi o di che cosa? Giovanni
non lo dice.
Se
si tratta dell’“uomo iniquo” di II Ts 2,3 o dell’abominio della desolazione nel
luogo santo” di Mt 24, 15 o della “bestia” di Ap 13, 11-18, che ha un “nome d’uomo”
(v.18), qui abbiamo indicazioni più precise, che fanno pensare a una setta o
associazione pseudoreligiosa, esoterica, gnostica, teosofica o panteista
(“additando se stesso come Dio”), pseudopacifista[18], profanatrice
del sacro, una setta certamente satanica, dando sfoggio di una raffinata tecnologia
(“statua parlante”) o di operazioni magiche.
L’Apocalisse
predice il tentativo finale e supremo del demonio (Ap 12, 7-9.12; 20, 3.7-10;
Mt 24, 4.9-15. 21-29), il più sfrontato ed audace di tutti per far cadere la Chiesa
colpendola nella sua guida, il Papa, dietro al quale il demonio vuol colpire Cristo,
vuol distruggere la sua opera, la Chiesa, e così perdere l’umanità, atteso che
la Chiesa è appunto la via della salvezza.
Sembra
che questo tentativo avverrà “dopo il compimento dei mille anni” (Ap 20,3),
ossia al termine della storia della Chiesa, allorchè “il demonio sarà sciolto
per un po’ di tempo”. “Quando i mille anni saranno compiuti, Satana verrà liberato
dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro punti della
terra”(Ap 20,8). Ma un fuoco scenderà dal cielo e distruggerà le potenze sataniche
(v.9).
L’Apocalisse
predice questa guerra finale anche in un capitolo precedente al 20, il cap.12[19], presentandola
come fosse avvenuta nel passato, probabilmente in connessione con la prova di
fedeltà degli angeli all’origine della creazione, dalla quale uscì il peccato degli
angeli.
Ma
il conflitto ha anche probabilmente un valore escatologico: “Scoppiò una guerra
nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva
con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo.
Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e Satana,
che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati
anche i suoi angeli.
Allora
udii una gran voce nel cielo che diceva: ‘Ora si è compiuta la salvezza, la forza
e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poichè è stato precipitato
l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti a Dio giorno e
notte. Ma essi lo hanno vinto per mezzo del sangue dell’Agnello e grazie alla testimonianza
del loro martirio. … Ma guai a voi, terra e mare, perché il diavolo è
precipitato sopra di voi pieno di grande furore, sapendo che gli resta poco tempo’”
(Ap 12, 7-12).
Quanto
all’“uomo iniquo”, di cui parla S.Paolo (II Ts 2,3), egli ha una singolare affinità
con la “bestia”, della quale parla l’Apocalisse e con l’apostasia prevista da
Cristo (Mt 24, 4-5. 9-11; 23-24). Pare infatti che a queste profezie corrisponda
la profezia apocalittica dell’enorme successo della predicazione della “bestia”:
“la terra intera, presa da ammirazione,andò dietro alla bestia e gli uomini
adorarono il drago perché ha dato il potere alla bestia dicendo: ‘chi è simile
alla bestia e chi può combattere con essa?’.
Alla
bestia fu data una bocca per proferire parole d’orgoglio e bestemmie contro
Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora contro tutti quelli che abitano
in cielo. Le fu permesso di far guerra ai santi e di vincerli; le fu dato potere
sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. L’adorarono tutti gli abitanti della
terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della
vita dell’Agnello immolato” (Ap 13, 4-8).
La
domanda che ci possiamo porre è questa: ma che fa la Chiesa in tale situazione drammatica?
E il papato? Che ruolo svolge? E’ strano che nelle profezie escatologiche sulla
fine del mondo né Cristo, né S.Paolo, né l’Apocalisse ci parlino del ruolo del
Papa. Come mai?
Secondo
S.Paolo c’è per adesso qualcuno o qualcosa, un “ostacolo” (katècon) (II Ts 2,6), “che impedisce la manifestazione dell’uomo
iniquo”. E Paolo prosegue: “solo allora” – cioè quando sarà venuto meno
l’ostacolo – “sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio
della sua bocca” (v.8).
Questo
momento sembra corrispondere a quello nel quale, al c.20 dell’Apocalisse, trascorsi
“mille anni” della Chiesa, ossia, alla fine
della storia, il diavolo “dovrà essere sciolto per un po’ di tempo”(v.3), “per sedurre
le nazioni ai quattro punti della terra” (v.9). Ma un “fuoco scende dal cielo”
e distrugge le forze sataniche (ibid.).
Ciò
che trattiene lo scatenarsi finale delle forze sataniche e il diffondersi
dell’apostasia potrebbe essere il papato.
Perché Paolo non è esplicito nell’alludere al Papa? Probabilmente per
proteggerlo dalla persecuzione romana. Questo scatenamento di forze sataniche,
dunque, dovrebbe esser reso possibile da un indebolimento
del papato, qual è quello al quale
assistiamo oggi. Da qui l’attuale apostasia, la diffusa grave crisi di fede (Lc
18,8) e il “raffreddarsi della carità” (Mt 10, 19-23; 24, 12).
Pare
che oggi il diavolo, nella rabbiosa lotta contro Cristo, la Chiesa e il Papa,
stia tentando il tutto per tutto e per questo attacca il Papa, non con le
grossolane volgarità e bestemmie di Lutero, ma con raffinatissima astuzia,
celandosi dietro dotti e zelati collaboratori, un’idea originale e
pericolosissima, una cosa che non aveva mai osato tentare; e sembra avere un
certo successo. Il papato sembra vacillare ed essere sconquassato dall’eresia,
nave sbattuta da tremendi marosi.
Il Dio dei modernisti
Pare
che oggi siamo tornati agli inizi della nostra storia. Il demonio è sceso alle radici
del nostro spirito e di nuovo sta facendo la stessa proposta che fece ai progenitori:
diventare Dio[20].
È quello gnosticismo opportunamente condannato dal Papa nella Gaudete et exultate. Si direbbe che il
Papa abbia piena consapevolezza di questa situazione nella quale stiamo vivendo.
Infatti,
dopo la caduta originaria, fin dagli inizi della sua storia, l’uomo sente ancora
da una parte la voce di Dio, ma affievolita e fastidiosa, mentre dall’altra avverte
le suggestioni seducenti del demonio.
La
sua astuzia più raffinata è quella di far apparire umiltà la superbia e superbia
l’umiltà. Credere nella verità e proporla agli altri pretendendo di correggerli
è superbia, è violenza. Umiltà, secondo quanto il demonio vorrebbe farci
credere, è restare nei confini di questo mondo senza la pretesa di guardar
oltre per cogliere una realtà trascendente e di insegnare agli altri una verità
oggettiva e universale da qui ricavata[21].
Altra
astuzia di Satana è di istillarci la falsa umiltà di sentirci così peccatori, da
non poter fare nulla di buono con le nostre forze corrotte dal peccato. Ci
suggerisce allora di non contare sulle nostre opere, ma di confidare unicamente
nelle misericordia di Dio. Quella che sembra umiltà in realtà è superbia,
perché il demonio vuol convincerci che sempre e comunque Dio è con noi e noi
siamo con Lui.
La
malizia e l’inganno dell’“accusatore” (Ap 12,10) sono altresì quelli di farci sentire
innocenti quando siamo colpevoli e colpevoli quando siamo innocenti. Quella falsa
confidenza ci fa sentire innocenti, mentre siamo colpevoli; viceversa ci fa una
colpa del sano desiderio di espiare il nostro peccato, cosa non solo innocente,
ma doverosa e meritevole, facendoci credere che Dio comunque ci perdona. Temere
Dio o temere di non salvarci è colpa. Dio salva tutti. Chi ammette un Dio che castiga,
non crede alla misericordia di Dio.
Pertanto
- ci suggerisce Satana -, quando pecchiamo, non dobbiamo sentirci colpevoli o a
disagio, perché Dio ci ha già perdonato. Pretendere di riparare ai nostri peccati
con opere buone, sarebbe superbia e mancanza di fiducia nella misericordia divina.
Invece dobbiamo avere l’umiltà di riconoscere che siamo peccatori perdonati.
E’
questa l’immagine modernista del Dio misericordioso, di origine luterana, oggi
purtroppo diffusa anche fra i cattolici. Essa cancella dalla Bibbia e dalla coscienza
morale tutti i punti che ci ricordano l’odiosità del peccato, le conseguenze
del peccato originale e dei nostri peccati, i rimproveri della coscienza, le
esortazioni alla penitenza, gli avvertimenti divini, l’esistenza dell’inferno, la
lotta contro la carne, il mondo e Satana, il valore espiativo della sofferenza
e della croce e l’offerta del sacrificio per la remissione dei peccati.
Il
Dio dei modernisti è un Dio che muta e diviene (Rahner, Kasper), soffre (Forte),
è debole (Quinzio) ed infelice (Turoldo). Non è riuscito a impedire Auschwitz e
non dà la forza per rifiutare l’eutanasia. Non sa rimediare alla sofferenza. Anzi
non ne conosce neppure il perchè. Non condanna il peccato, ma lo compatisce.
Non
ce la fa a rimediarvi, e del resto non gli dà importanza: è cosa «banale» (Anna
Arendt), un semplice incidente di percorso (Teilhard de Chardin), una fragilità
indotta dalla società (Rousseau), una necessità dialettica (Hegel), una neurosi
da guarire con la psicanalisi (Massimo Recalcati). Il peccato si distrugge da
sé (Rahner). Dio è insomma è un disgraziato come noi, un Dio che fa pietà. Non
punisce i peccatori per non offenderli e promette loro salvezza senza
correggerli.
Si
confonde il male di colpa con il male di pena. Ora, dobbiamo ricordare che Dio
Padre, nella sua misericordia, ci ha bensì consentito, in Cristo, di avere un
Dio vicino, che ha vissuto e patito tra noi come uomo, ma in Cristo, Dio resta
Dio; non perde la sua impassibilità o la sua eternità o la sua immutabilità o la
sua potenza. Ha sofferto come uomo e non come Dio. Non è stato travolto dal divenire
fangoso della storia, ma lo domina e lo guida dall’alto; non soccombe
all’ingiustizia, sì da diventare incapace di far giustizia, scendendo a patti col
peccato o lasciando indefinitamente che i peccatori trionfino o che i prepotenti
opprimano i deboli. Ma al contrario, al Giudizio universale rimedierà a tutti
gli scandali, riparerà a tutti i torti, dando a ciascuno il suo.
È
un Dio che permette la sofferenza per mostrare la sua forza di vincerla e di
vincere, proprio con essa, il peccato e la morte, un Dio che “disperde i superbi
nei pensieri del loro cuore, rovescia i potenti dai troni, ed innalza gli umili;
ricolma di beni gli affamati e rimanda a mani vuote i ricchi” (Lc 1, 51-53). Dà
una ragione della sofferenza come pena del peccato e come espiazione della colpa
grazie al sacrificio di Cristo.
La coppia edenica e la coppia messianica
Come
agli inizi della nostra storia il Padre rivela all’infelice coppia l’inganno del
demonio e il modo di liberarsene, così
ancor oggi lo Spirito del Signore per mezzo della Chiesa e del Papa, ci mette
in guardia contro il ripetersi della sciagura che sembra di nuovo incombente.
Anche
oggi dobbiamo renderci conto, come i nostri progenitori, di essere stati ingannati
del demonio – “il serpente mi ha ingannata” (Gen 3,13) - e dobbiamo con ferma la
volontà tornare a credere in Dio. È vero che la Bibbia però non dice che Eva si
sia subito pentita ed abbia chiesto perdono a Dio. Appare subito invece la misericordia
salvifica di Dio. Egli pone inimicizia tra la donna e il serpente, e la stirpe
della donna schiaccerà la testa del serpente (cf v.15). Bisogna che anche noi dichiariamo guerra al demonio,
come ci esorta a fare lo stesso Papa Francesco.
Tuttavia
non dobbiamo maledire il meritato castigo, che ha colpito non solo la coppia primitiva,
ma tutta l’umanità (vv.10-24). Del resto Dio misericordioso mitiga già dopo la
caduta questo castigo con la clemenza: “fece all’uomo e alla donna tuniche di
pelli e li vestì” (v.21), simbolo della futura grazia di Cristo, che rivestirà
la natura spogliata dal peccato.
Dio,
dunque, nella sua misericordia, ha voluto rimediare al peccato delle origini,
in modo che a ciascuno dei fattori della caduta corrispondesse un elemento di
riparazione.
Egli
comincia col mettere in guardia contro il demonio. Tutte le disgrazie dell’uomo,
per tutto il corso della storia, provengono
direttamente o indirettamente dall’aver dato ascolto a lui e non a Dio. Come dunque
Eva è stata ingannata da un angelo decaduto, ecco che Maria sarà illuminata da un
angelo santo.
Come
Eva ha peccato di superbia, così Maria eccelle nell’umiltà. Alla coppia peccatrice
Adamo ed Eva corrisponde la coppia di giusti, Giuseppe e Maria. Adamo ed Eva generano
Caino ed Abele, ucciso dal fratello. Giuseppe e Maria sono i genitori di Gesù,
Signore della vita.
A una coppia umana corrisponde una coppia umana, segno della coppia divino-umana
di Cristo nuovo Adamo e la Chiesa nuova Eva, animata dallo Spirito Santo. Alla
generazione nel segno del peccato – “nel peccato mi ha concepito mia madre”
(Sal 50,7) -, Dio riparerà con una generazione di figli di Dio.
Da
notare, allora, tra l’altro, come la donna, nella storia della salvezza, ben
lungi dal rivestire quel ruolo di minorità, che per millenni le si è
attribuito, venga invece a svolgere un ruolo di protagonista[22], sia
prima che dopo il peccato, escludendo ovviamente la mascolinità del Verbo
Incarnato. L’uomo, in ogni caso, appare evidentemente influenzato dalla donna,
nel bene come nel male[23]. La
donna è a contatto con lo spirito più dell’uomo, nel bene come nel male.
Così
notiamo come Eva, ingannata dal demonio, aspira, nella sua superbia, ad “essere
come Dio”; Maria, invece, nella sua umiltà, illuminata dallo Spirito Santo, desidera
essere la “serva del Signore” e annuncia la prospettiva della figliolanza
divina.
Eva
seduce e induce alla perdizione agendo sotto l’impulso di Satana; Maria, feconda
di Spirito Santo e mossa dallo Spirito Santo, è madre di misericordia, Madre del
Salvatore, figlio di Davide Re d’Israele, Re del regno eterno del Padre. Maria
ripara al peccato di Eva. Eva è salvata dall’obbedienza di Maria.
Il
nuovo Adamo ripara al peccato del vecchio Adamo. Il nuovo Adamo è Cristo; la
nuova Eva è la Chiesa, la quale è il regno di Dio iniziato su questa terra, per
avere la sua pienezza nella Parusia di Cristo alla fine del mondo. Se la Chiesa
è la sposa di Cristo e Maria è tipo della Chiesa, ripugna però immaginare o
rappresentare Maria come «sposa di Cristo», secondo un massimalismo mariano pio
ma non illuminato, così come ripugna pensare la madre di una persona che al
tempo stesso sia sposa di quella medesima persona. Le immagini tratte dal sesso
in teologia o mantengono il loro senso naturale o è meglio non usarle.
La
Chiesa è rappresentata nell’Apocalisse come una “donna vestita di sole, con la luna
sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle” (12,1-2), in
procinto di partorire “un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni
con scettro di ferro” (v.5), cioè Gesù Cristo.
Se
Adamo è caduto nel confronto con Satana, adesso Cristo conduce la Chiesa, guidata
da Pietro, alla vittoria su Satana. Oggi Cristo lotta contro Satana nella persona
del Papa. I modernisti, suggestionati da influenze diaboliche, con abili
imposture, vorrebbero presentare il Papa come modernista, circondandolo di falsi
devoti e collaboratori che fanno il gioco del demonio, col tradire e
falsificare il Magistero pontificio. Alcuni, come il Padre Sosa, sono giunti a tal
punto di audacia, da rinverdire la vecchia favola che il demonio è solo un
“simbolo de male”.
Occorre
smascherare e confutare questi agenti dello spirito delle tenebre, al fine di
salvaguardare la buona fama del Papa, e consentirgli di far giungere, come
Vicario di Cristo, la luce del Vangelo a tutto il mondo. Nel contempo, bisogna che
tutti i buoni cardinali[24], vescovi,
teologi e fedeli si stringano attorno al Successore di Pietro per sventare le trame
dei modernisti e per offrire al popolo di Dio la giusta interpretazione dei suoi
insegnamenti, spesso falsati dai modernisti per i loro disonesti interessi, tesi
a far deviare i fedeli dalla retta fede.
In
particolare, occorre svelare e annientare quel diabolico inganno inventato dai
modernisti, che consiste nel presentare come interpreti del pensiero del Papa untuosi
cortigiani ed abili falsificatori, che, oltre ad essere dei traditori e degli
ipocriti, nel contempo sbeffeggiano e denigrano sfacciatamente quei buoni
cattolici, i quali, al di là della loro franchezza filiale, sono in realtà, con autentico spirito di fede e senza meschine
piaggerie, i più intelligenti e devoti discepoli del Maestro della Fede e
Pastore universale della Chiesa.
Il Salvatore del mondo e il
principe di questo mondo
Tutta
la lotta di Cristo contro Satana si accentra attorno al possesso del mondo. A
chi appartiene il mondo? Il che è come dire: a chi appartiene l’uomo? A Cristo o al diavolo? Per la Bibbia, non ci sono
dubbi: il mondo e l’uomo appartengono di diritto a Dio, Che li ha creati.
Senonchè,
a seguito del peccato originale, il mondo è invaso da un infame esercito di
occupazione, i “figli del diavolo” (I Gv 3,10) al soldo del demonio. Ad esso, in
nome della dignità dell’uomo e dell’onore di Dio, si oppongono, sotto la guida
del Liberatore Cristo, rappresentato dal Papa, le forze della resistenza e
della liberazione, ossia la Chiesa, che ha in mano la vittoria – portae inferi non praevalebunt -. Questa
è la vera “teologia della liberazione” -.
La
Chiesa, nel corso della storia, guida i figli
di Dio a far sì che i figli del diavolo o accettino Cristo, oppure sloggino e, se
proprio ci tengono, se ne vadano al diavolo.
Dio
vorrebbe che tutti gli uomini abbandonassero il demonio e passassero dalla parte
di suo Figlio, ma è impossibile persuadere tutti. Molti infatti preferiscono stare
dalla parte di Satana, che sembra garantire in questo mondo gioie, potere, sapere,
ricchezze e successo.
Ma
per la Bibbia, che cosa è esattamente il “mondo”? E’ l’insieme dell’umanità e
del suo ambiente, la terra, creati e governati da Dio, con tutti i suoi beni,
le sue risorse e le sue ricchezze, in parte naturali e in parte prodotte
dall’uomo per il suo sostentamento e il suo benessere.
Da
notare che il “mondo”, per la Bibbia, non esaurisce il creato, perché ci sono anche
gli angeli e i “cieli”, ossia l’universo siderale. Quando dunque la Bibbia vuol
esprimere la totalità della creazione, dice il “cielo e la terra”(Gen 1,1). Inoltre,
come apparirà più chiaramente col Nuovo Testamento, esistono anche il paradiso,
l’inferno e il purgatorio.
Il
mondo appartiene innanzitutto al Creatore, il Quale però lo ha affidato all’uomo
da custodire, da utilizzare, da perfezionare e come oggetto di fruizione e
onesto godimento. Col peccato, il mondo per l’uomo è diventato ambivalente. Ha
mantenuto la sua sostanziale bontà; ma nel contempo, per molti aspetti, è diventato
ostile e pericoloso per l’uomo. Diventa una tentazione a peccare.
Da
qui l’ideale monastico della separazione dal mondo. L’uomo e il mondo stesso,
infatti, sono caduti sotto il potere di Satana, come dice S.Giovanni: “Tutto il
mondo giace sotto il potere del maligno” (I Gv 5,19). Satana è diventato, per
riconoscimento di Cristo stesso, “principe di questo mondo” (Gv 12,31; 14,30;
16,11)[25]. Da
notare il “questo”; quindi non il mondo sic
et simpliciter.
Infatti, la Scrittura distingue il “mondo” (Sap
9,9; Ger 10,12; At 17, 24; Eb 11,3; Mt 24,14; 26, 13; Mc 16, 15; Gv 1,9; I Pt 1,20;
5,9); da “questo mondo” (Lc 16,8; Gv 8,23;14,27; 16,20; 17,14; 18,36; I Cor
7,31; I Gv 2, 17; 5,4). Il mondo come tale è splendida creatura di Dio, in sé
buono ed amabile. Infatti, come dice S.Giovanni, “Dio ha tanto amato il mondo,
da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia
la vita eterna” (Gv 3,16).
Ma
Cristo, con la sua opera redentrice e la fondazione della Chiesa, inizio del regno
di Dio, mina alle basi il potere usurpatore di Satana sul mondo. L’attuale dittatura
modernista è un’immagine di questo potere oppressivo e fascinoso ad un tempo esercitato
dai modernisti sulla Chiesa. Ma la lotta di liberazione da ogni dittatura satanica
durerà per tutto il corso della storia, sicchè la piena liberazione degli eletti
dagli empi e da Satana avverrà solo alla fine del mondo (Ap 14, 1-5; 15, 2-4; 21,
1-7.9-27; 22, 1-14).
Il
paradiso, però, costituisce già da adesso, nel corso della storia, la città dei
liberati, la nuova Gerusalemme, il nuovo mondo, che continuamente si accresce
di nuovi abitanti. La “Città di Dio”, come la chiama S.Agostino. E similmente anche
la città infernale sarà pienamente e definitivamente costituita al giudizio universale
(Ap 18, 2.21; 19,20; 20, 9-15; 21, 8; 22,15).
Per
questo, Cristo è la “luce del mondo” (Gv 8,12) e il salvatore del mondo (Gv
4,42; 6,33; 12,47): viene salvato ciò che conserva una misura di bontà, tale
per cui può essere liberato dal male che lo affligge. Non può essere salvato
invece ciò che è totalmente corrotto.
Quando
invece il Nuovo Testamento parla di “questo mondo”, intende il mondo in quanto
è ferito dal peccato e segnato dalla sofferenza e dalla morte; in particolare
il mondo, in quanto, a sèguito del peccato originale, è stato assoggettato a Satana,
il quale, pertanto, appare come “principe di questo mondo”.
Da
qui tutti i giudizi negativi sul mondo e tutte quelle espressioni che indicano
contrasto fra il cristiano e il mondo. Dio ama e salva il mondo umile e docile
(Gv 3,16), ma odia e condanna il mondo superbo e ribelle (I Gv 2,15). Si capiscono
allora le parole: “tutto il mondo giace sotto il potere del maligno” (I Gv
5,19). E “tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la
concupiscenza degli occhi e la superbia della vita non viene dal Padre, ma dal
mondo” (I Gv 2,16).
I
peccatori vivono “alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle
potenze dell’aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli” (Ef 2,2).
Il peccatore è “schiavo degli elementi del mondo” (Gal 4,3). “I figli di questo
mondo” si oppongono ai “figli della luce”, ossia ai discepoli di Cristo (Lc
16,8). Il cristiano non ha ricevuto “lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio”
(I Cor 2,12).
La vittoria sul mondo
Il
cristiano è odiato dal mondo (Gv 15, 18; 17,14; I Gv 3,13) e non deve amare il
mondo (I Gv 2, 12-17; Gc 4,4). Se il mondo lo amasse, vorrebbe dire che egli non
ama Dio (Gc 4,4). Per questo Gesù incoraggia con queste parole i discepoli, odiati
perché “non sono del mondo”: “se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è
suo” (Gv 15, 19). Il cristiano, allora, deve vincere il mondo, incoraggiato da
Gesù stesso, che ha vinto il mondo (Gv 16,33; I Gv 5,4). La “preoccupazione del
mondo” (Mt 13,22) è nociva.
Il
cristiano non può servire a due padroni (Mt 6,24): Dio e il mondo. Il mondo non
può essere messo alla pari di Dio o addirittura essere identificato a Dio.
Sarebbe idolatria e Dio diventerebbe il “dio di questo mondo”. Ma il mondo deve
essere soggetto a Dio ed ordinato a Dio.
A
Cristo certamente il Padre ha affidato il compito di giudicare il mondo (Gv
5,27; At 10,42; I Cor 4, 1-4; Gc 5,9). Gesù stesso afferma il suo potere sul
mondo: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e in terra” (Mt 18,18). Egli, come
Lo celebriamo nella liturgia, è il “Re dell’universo”.
Tuttavia,
il regno di Cristo non è di questo mondo (cf Gv 18,35). Non è il regno del
mondo, ma il “regno dei cieli” (passim).
E’ il “regno di Dio” (passim), che inizia
quaggiù con la Chiesa e giungerà in pienezza alla Parusia di Cristo. Ma la Chiesa
non si riduce al mondo e non si identifica col mondo, sia pure il mondo moderno.
Sta qui l’errore del modernismo. La Chiesa trascende il mondo. Il suo fine non
è semplicemente lo sviluppo umano e sociale, ma è la comunità soprannaturale dei figli di Dio.
L’accordo
tra il mondo moderno e la Chiesa, perseguìto dalla Gaudiun e Spes del Concilio Vaticano II è certamente una nobile meta,
giacchè è evidente che il cattolico è ad un tempo cittadino dello Stato e
figlio della Chiesa; ma occorre ricordare che nel mondo esistono anche forze demoniache,
ostili alla Chiesa. In tal senso, il mondo dev’essere evitato, combattuto e vinto.
La
riforma luterana si è presentata inizialmente come ritorno alla purezza del
Vangelo ed umiliazione delle presunzioni umane davanti alla Parola di Dio; ma
il demonio ha giocato a Lutero un brutto scherzo: facendogli credere di mettersi
umilmente nelle mani di un Dio misericordioso e di essere un puro servitore della
Parola di Dio, libero da tentazioni mondane, in realtà lo ha fatto cadere nella
sottile superbia di poter riorganizzare la Chiesa, così da privarla della
Gerarchia e della guida del Papa, sopprimendo l’elemento ascetico e dandola in
mano ai laici e al potere politico, col risultato di ottenere una mondanizzazione
della Chiesa peggiore di quella della quale accusava la Chiesa Romana. La
riduzione della Chiesa a mondo, propria del modernismo, non è altro, come aveva
ben intuìto S.Pio X nella Pascendi, che
di origine luterana.
Quanto
alle Chiese Ortodosse scismatiche, in esse l’inganno del demonio consiste nel far
loro credere di aver conservato la Sacra Tradizione meglio di quanto faccia il Sommo
Pontefice, fermando lo sviluppo della Chiesa al sec.XI. Certo, in esse sono
presenti un ascetismo, un senso del sacro ed un’alta spiritualità, che sono assenti
nel luteranesimo; ma anche in loro, in fin dei conti, è accaduto un fenomeno simile
a quello che si è verificato nel luteranesimo, e cioè che queste Chiese, che pure
sono rimaste fedeli alla essenza della Chiesa, a differenza delle deformazioni
protestanti, hanno cercato un principio di organizzazione sociale nel sottomettersi
al potere politico-nazionale, anzichè alla guida del Sommo Pontefice, col risultato
increscioso, nonostante la loro spiritualità, che il mondo, cacciato dalla porta,
è furtivamente rientrato dalla finestra.
Il
tradizionalismo lefevriano dei nostri giorni dimostra una simile incapacità di trovare
nel Papa il vero interprete della Tradizione e la guida dello sviluppo e della crescita
storica della Chiesa. Per cui, se gli Ortodossi hanno abbandonato questa guida nel
sec.XI, i lefevriani sono caduti in questo errore nell’immediato postconcilio.
Cristo
è bensì il Re di Israele (Gv 1,49), figlio di Davide, come l’angelo annuncia a Maria
(Lc 1, 32-33); ma non in questo mondo. Egli dice ai suoi nemici, che “hanno per
padre il diavolo” (cf Gv 8,44): “voi siete di questo mondo; io non sono di questo
mondo. Voi siete di quaggiù; io sono di lassù” (Gv 8,23).
I
discepoli, come Cristo chiede al Padre (Gv 17,15), non devono essere tolti dal
mondo, ma custoditi dalle insidie del maligno. Essi infatti sono nel mondo, ma non
sono del mondo (v.14): appartengono a Cristo, che non è del mondo, ma del Padre,
ossia appartengono al regno dei cieli, ovvero alla Chiesa.
Per quanto ritirati possano essere dal
mondo, i discepoli non possono isolarsi, ma devono interessarsi delle vicende del
mondo, che interessano la vita della Chiesa e i problemi degli uomini, specie i
poveri e i sofferenti.
Questo
mondo, per il Vangelo, non è l’unico mondo. Ma c’è un “altro mondo” (Lc 20,35),
al di là della vita presente, dopo la morte, che attende come premio celeste i fedeli
discepoli del Signore. Tale mondo, quindi, non è il semplice sviluppo del mondo
presente, per quanto in esso se ne possa avere una “caparra” (II Cor 1,22) o
una “primizia” (Rm 8,23), ma sarà un mondo radicalmente diverso, trascendente, inimmaginabile,
immensamente migliore del presente, che seguirà però alla conflagrazione finale
prevista da S.Pietro (II Pt 3,10) e da Cristo stesso (Mt 24,29), sconvolgimenti
cosmici, che accompagneranno e faranno da contesto ambientale purificatore alla
guerra escatologica (Ap 19, 11-16.19; 20, 8-9), per la quale Cristo e la Chiesa,
guidata dal Papa, sconfiggeranno definitivamente le forze sataniche.
Possiamo
chiederci quale sarà il motivo che indurrà il Signore a porre termine alla storia
presente per inaugurare in pienezza il regno dei cieli. Il Signore prevede una diminuzione
della fede e della carità. Nel contempo il Vangelo sarà predicato in tutto il mondo. S.Paolo
prevede la caduta dello “ostacolo” (katècon),
che tiene a freno lo scatenarsi di Satana.
Probabilmente
il motivo sarà la volontà di rimediare ad una situazione della Chiesa, che rischia
di corromperla nella sua vita essenziale sotto la guida del Sommo Pontefice.
Ciò che oggi il demonio vuol distruggere è il papato. Ma se Dio permette che il
papato si indebolisca, l’esistenza della Chiesa è in pericolo. Possiamo dunque
pensare che Cristo, a questo punto, decida di intervenire Lui stesso, per salvare
la Chiesa. E ciò comporterà la fine del mondo, il giudizio universale, la cacciata
di Satana, la resurrezione dei morti e i “nuovi cieli e nuova terra, nei quali avrà
stabile dimora la giustizia (II Pt 3, 14).
La diffusione del Vangelo nel mondo.
Una
questione che possiamo porci, volendo interrogarci se stiamo vivendo in una
situazione escatologica, prossima alla fine del mondo preannunciata da Cristo,
è quella di chiederci innanzitutto per quale motivo la fine del mondo, come ha
predetto Cristo (Mt 24,14), avverrà quando il Vangelo sarà predicato in tutto
il mondo.
Il motivo può esser desunto per analogia da
quanto avviene nelle società umane. Una società è tenuta a rispondere del suo
operato nei confronti di chi la regge, allorchè conosce i doveri ai quali deve
far fronte o le leggi che regolano la
sua condotta, onde non ci sia qualcuno in essa, che, come scusa per non aver
obbedito alla legge, avanzi il fatto che non conosceva la legge.
Qualcosa
di simile probabilmente avverrà alla fine del mondo. Cristo ha incaricato la
Chiesa di far conoscere il Vangelo a tutto il mondo, perché il mondo sarà
giudicato in base alla legge evangelica. E’ giusto, pertanto, che, finchè non
giunge quel momento nel quale tutto il mondo conosce il Vangelo, il mondo non possa
essere giudicato circa il suo operato. Solo allora potrà avvenire il giudizio
universale e il mondo avrà terminato il suo cammino terreno.
Chiediamoci allora a che punto siamo con
l’annuncio del Vangelo nel mondo. Offro qui alcune considerazioni. Vorrei
osservare anzitutto il fatto che con i mezzi di comunicazione, dei quali
disponiamo oggi, è possibile raggiungere facilmente ogni angolo del mondo e
quindi predicare il Vangelo in tutto il mondo.
Chiunque,
da qualsiasi parte del mondo, ha oggi la possibilità di informarsi circa i
contenuti della dottrina cattolica, leggendo per esempio il Catechismo della Chiesa Cattolica o
studiando il Magistero della Chiesa o dei Papi. Sta poi alla gente informarsi o
meno. Qui ciascuno ha la sua responsabilità. Se uno non conosce il Vangelo, è
perchè non lo vuol conoscere.
Nessuno,
infatti, oggi, abita in terre così impervie o lontane dalla civiltà, che non
possa facilmente entrare in contatto con essa, e quindi essere scusato di
ignorare il Vangelo, perchè non ha i mezzi per conoscerlo. E’ vero che
moltissimi ancor oggi ignorano il Vangelo in buona fede, per cui sono cristiani
senza saperlo[26].
Che
ci stanno a fare tuttavia i missionari? Con i mezzi tecnici dei quali oggi
disponiamo, essi possono arrivare dappertutto, per es. con internet o il
cellulare o la radio. E’ vero, esistono ancora masse enormi di popolazioni
povere e primitive, lontane dalle società civilizzate[27]. Ci
sono resistenze da parte delle altre religioni. Ci sono governi anticristiani
ed atei che ostacolano e censurano la diffusione del Vangelo.
E’
vero anche che, per capire e apprezzare il messaggio cristiano, per quanto esso
abbia un’apertura universale, tale da toccare la coscienza, la ragione e il
cuore di ogni uomo, e per quanto il Logos illumini ogni uomo (Gv 1,9), occorre
che il predicatore del Vangelo sappia farsi intendere, cioè sappia spiegarlo a
ciascuno facendo leva su quelle particolari convinzioni che già possiede ed
utilizzando quei concetti e quei modi espressivi, che corrispondono alla sua
particolare cultura o mentalità[28].
E
d’altra parte, si può annunciare implicitamente il Vangelo con le opere della
misericordia, stimolando l’amore alla verità, alla giustizia, all’onestà, cosa
che vien fatta già largamente in molte terre di missione. Ci si potrebbe allora
domandare: è giunto il momento predetto da Cristo: “il Vangelo del regno sarà
annunciato in tutto il mondo” (Mt 24, 14)?
Ti
preserverò nell’ora della tentazione
che sta per venire sul mondo intero
Ap
3,10
Per
i modernisti oggi la Chiesa non è mai andata così bene. E’ quello che dichiarava
il Card.Martini sul Corriere della Sera,
pochi mesi prima di morire. Essa, diceva, possiede degli ottimi teologi, e
portava l’esempio di Rahner. Viceversa, questo era sempre l’avviso di Martini,
“la Chiesa di Benedetto XVI è rimasta indietro di due secoli”.
E’
tipico di chi in una società sta al potere o ha successo, circondato da
ammiratori ed adulatori, ritenere che le cose vadano bene, considerando che le cose
vanno come vuole lui, e facendo tacere con la forza gli oppositori. Di solito questi
soggetti, chiusi nel loro orgoglio e ciechi alla verità, non si accorgono o non
vogliono ammettere di esser fuori strada, tanto sono aggrappati alle loro idee e
non si accorgono di coloro che stanno loro scavando il terreno sotto i piedi.
Infatti,
non ascoltano le poche voci sagge e coraggiose che li avvertono per il loro
bene, li richiamano, li confutano, li supplicano. Incamminati verso l’abisso spingono
gli altri verso l’abisso. Non danno importanza a queste forze, che a loro
sembrano irrilevanti, ma che invece un giorno scaveranno loro la fossa.
Il Magistero della Chiesa, soprattutto a partire
dal Concilio Vaticano II, è ricchissimo di saggi ed utili insegnamenti ed avvertimenti,
per la concezione di una sana modernità, che eviti gli inganni del modernismo.
Ma tutto ciò sembra essere lettera morta per i modernisti, che proseguono imperterriti
ed anzi peggio sulle orme del vecchio modernismo già condannato da S.Pio X.
I
modernisti non si rendono affatto conto del momento drammatico che, ormai da decenni
in un continuo aggravarsi, sta vivendo la Chiesa per colpa loro. Vivono alla
superficie e fanno la bella vita tra gli onori, il potere, le ricchezze, i
piaceri e i sollazzi. Non riescono ad andare in profondità, né ad elevare il loro
pensiero, tutto preso dagli affari e dagli interessi di questo mondo.
I
mali che affliggono la società, per loro, si riducono a fatti meramente esterni,
seppur terribili, come terrorismo, guerre, miseria, agitazioni sociali, crisi
politiche, disastri economici, epidemie, terremoti e cose del genere. Ma non si
rendono conto e non sanno valutare la gravità ben maggiore dei mali dello spirito,
colpe, angosce, corruzione morale, empietà, eresie, scismi, soprattutto se alla
superficie non lasciano trasparire nulla. Per loro, se quei mali non appaiono,
tutto va bene. I teologi e i moralisti possono dire tutto quello che vogliono: è
solo un fenomeno di “pluralismo”.
Non
si accorgono, pertanto, del male profondo, del quale soffre oggi la Chiesa, di
quello che, con Ignazio Silone, potremmo chiamare il “male oscuro”, che certamente
non è di facile diagnosi. Ma appunto per questo occorrerebbero medici specialisti,
che invece non ci sono. Il medico, qui, dovrebbe essere il vescovo.
E
invece oggi siamo bravi nelle diagnosi dei tumori, ma purtroppo abbiamo dei vescovi
che sono degli incompetenti nella diagnosi di quella terribile malattia dello spirito
che è l’eresia. I Medievali erano più consapevoli di noi moderni della gravità di
questo male e lo chiamavano “peste ereticale”. Oggi spesso l’eresia è considerata
semplicemente un’opinione “diversa”, per non dire un’espressione di libertà di
pensiero. E’ questo, invece il “male oscuro” della Chiesa di oggi. E quindi, se
manca la diagnosi, figuriamoci come potrà essere possibile la cura.
Le
tenebre sono scese su quelli che sono i sommi, universali e fondamentali princìpi
e valori, fondati in ragione, che devono guidare il pensiero e l’azione, ed introducono
alla vera realtà della fede e della vita cristiana. Tali valori dello spirito sono
giudicati dai modernisti inutili astrazioni, presi come sono, da un bisogno vorace
di “concretezza” e “storicità”, che non sono altro che “prudenza della carne”[29] e volgare
materialismo mascherato da “spiritualità”[30]. E
quanto più soddisfano questa ingordigia, tanto più sono scontenti.
Non
riescono a vedere il magma bollente sotto la lava spenta. Vedono la tranquillità
della superficie e non pensano a cosa c’è sotto. Quindi vanno avanti col loro
tran-tran quotidiano, senza curarsi dell’eventuale arrivo del “ladro” (Lc
12,39), che può giungere da un momento all’altro. Infatti, Rahner li ha assicurati
che sono sempre in grazia e che si salveranno certamente, vadano come vadano le
cose.
Effettivamente,
la Chiesa oggi fruisce di molte strutture ed apparati esterni: diocesi, parrocchie,
istituzioni, scuole, università, associazioni, movimenti, istituti religiosi, case
editrici, pubblicazioni, biblioteche, tecnologia, proprietà, appoggi
finanziari, risorse economiche, istituti di credito, mezzi informatici,
produzione artistica.
Ma
se poi ci interroghiamo sull’effettivo valore delle idee (se di “idee” si può
parlare o non piuttosto slogans, sogni o fantasie), che sono recepite o trasmesse,
ci accorgeremo dell’ignoranza, della vana credulità, del dubbio sistematico, della
mancanza di senso critico o, al contrario, dell’ipercriticismo, degli equivoci,
delle frasi fatte o ripetute a pappagallo, del conformismo, delle lacune, delle
spaventose aberrazioni o deviazioni dottrinali, cause inevitabili di disordine morale,
di eresie e di apostasia dalla fede.
Ma
quello di cui meno si accorgono i modernisti, è questo scontro di fondo oggi più che mai in atto nel mondo e nella Chiesa,
tra lo Spirito Santo e lo spirito demoniaco, tra Cristo e Beliar, tra la luce e
le tenebre. In tal modo, essi, ignari delle insidie del diavolo, sono i più
esposti a cadere nella sua rete e quindi a diventare suoi malcapitati strumenti.
E’
degna della massima ammirazione l’immensa opera esorcistica del famoso Padre Amorth;
ma sono ben peggiori ed arrecano danno ben più grave e su più larga scala, le
forze demoniache, che agiscono nell’anima di certi teologi e vescovi, che dovrebbero
difendere i fedeli dal potere delle tenebre, mentre sono loro i primi a soccombere
o a collaborare col “principe di questo mondo”.
I
modernisti finiscono col confondere la Chiesa
col mondo moderno e confondere la cultura cattolica con la cultura moderna.
E’ ovvio che bisogna essere moderni. Il Concilio Vaticano II è stato fatto proprio
per ammodernare sanamente la Chiesa.
Ma
il moderno non è valido o buono per il solo fatto di essere moderno. Infatti non
tutto il moderno è valido. Ma come possiamo fare questa distinzione, se non
ricorrendo a un criterio indipendente dal moderno? Dunque il criterio per
giudicare del valido e dell’invalido non può essere intrinseco alla stessa modernità, ma dev’essere un criterio
sovratemporale.
E
si tratta precisamente di quella Parola di Cristo, interpretata nel dogma ecclesiale,
della quale Cristo ha detto: “cielo e terra passeranno; le mie parole non passeranno”
(Mt 24,35). Il temporale, antico o moderno che sia, si giudica in base all’eterno
e non viceversa. Già il saggio Aristotele aveva infatti capito che se non ci fosse
l’immobile, il movimento non esisterebbe.
Bisogna
dunque che i modernisti la smettano di tormentare, confondere ed umiliare la Chiesa con questi discorsi
vani e stolti, atteggiandosi, oltre a ciò, a primi della classe, quasi novelli
Dottori della Chiesa, che debban far scuola a tutti, compreso il Papa.
Come
è stato rimarcato da molti, il grande guaio della Chiesa di oggi è che per una malintesa
“apertura” e “accoglienza” del mondo, essa si sta distruggendo da sè. Per questo,
già il Beato Paolo VI parlava di “autodemolizione”. E se il Papa non riesce a fermare
questo processo, sarà Cristo stesso a porvi termine, vincendo le opposte forze
sataniche, come previsto dall’Apocalisse e da Lui stesso, con la sua Venuta finale.
L’essenza
della Chiesa, più che alla Donna “vestita di sole” di Ap 12,1 o alla “sposa adorna
di gioielli”, della quale profetizza Isaia (61,19), o al Corpo Mistico di
Cristo, del quale parla S.Paolo, nell’ecclesiologia dei modernisti, assomiglia piuttosto
a un’elegante e ben organizzata libreria Feltrinelli, dove S.Agostino sta insieme
con Nietzsche e S.Tommaso con Hegel o S.Francesco di Sales con Freud. Oppure assomiglia
ad un’oscura, intricatissima e aggrovigliata foresta tropicale (o amazzonica?),
dove le bestie feroci, insetti infettivi e serpenti velenosi si mescolano a bellissimi
fiori profumati, uccelli screziati, graziosi animaletti e ad alberi dai frutti
squisiti.
Sappiamo
bene che Cristo permette nella sua Chiesa la presenza di peccatori;
ma la questione oggi non è questa; la questione è quella dell’essenza della Chiesa e di quali siano le
condizioni per entrarvi e appartenervi.
Non
si tratta di costruire una Chiesa senza peccatori, come hanno sognato certi
eretici del passato, come per esempio Jan Hus. E neanche una Chiesa compromessa
col mondo come quella di Hans Küng. Si tratta invece di costruire la santità della Chiesa. E’ qui che gioca l’inganno
diabolico dei modernisti, nel loro intento non di riformare, ma di deformare e
falsificare la costituzione essenziale ed immutabile Chiesa.
I
modernisti devono rendersi conto del fatto che se oggi nella Chiesa infuriano aspri
confitti, la colpa è la loro, per la loro ostinata superbia, con la quale vorrebbero
imporre alla Chiesa un modello che non è il suo, e per questo trovano nei buoni
cattolici e nel Santo Padre Francesco un’opposizione invincibile. Non praevalebunt.
Quindi,
è meglio per loro non insistere e cedere le armi, prima di subire un’umiliante benchè
meritata sconfitta, che avrà come conseguenza la loro perdizione eterna. Per scongiurarla,
tutti i buoni cattolici operano e sperano nella loro conversione; e per ottenerla
da Dio offrono preghiere e sacrifici.
A
tal fine, suggerisco ai modernisti di accostarsi al sacramento della penitenza,
approfittando dei tempi liturgici forti. Infatti, la loro poca umiltà e la loro
disobbedienza al Magistero della Chiesa mi fanno sospettare che essi non
traggano abbastanza vantaggio dalla confessione, che è un’ottima scuola di umiltà
e di obbedienza alla Chiesa e al Papa, nonché un’ottima difesa contro le insidie
del demonio.
Il
ministero del confessionale, per noi sacerdoti, quanto ci fa imparare sulla
vera situazione e sui veri bisogni delle anime e della Chiesa! Quante possibilità
ci dà di scoprire le profondità del cuore umano nel suo rapporto con Dio! Quanto
a fondo fa “tastare il polso” e conoscere la vita della Chiesa, meglio delle
più informate indagini sociologiche e degli scritti di Rahner! Quale preziosa occasione
per guidare le anime sulle vie del Signore! E quindi per influire sulla vita della
Chiesa! Se Lutero si fosse dedicato al confessionale
avrebbe fatto una vera riforma e non i guai che ha combinato.
Mi
domando se e quanto i modernisti si dedicano a tale ministero. Certo esso è poco
gratificante per la loro vanità mondana, ma quanto li renderebbe più saggi, evitando
loro di dire gli spropositi che dicono!
I
dubbi circa il loro zelo di confessori mi vengono quando, leggendo i loro ponderosi
volumi o ad ascoltando le loro affollate conferenze, mi accorgo delle loro
vuotaggini e che quanto dicono non riflette i veri bisogni delle anime, ma le imbriglia
e le illude negli intrighi e nelle dolci ma pericolose seduzioni del “dio di
questo mondo”.
Si
narra che, quando certi devoti si imbattevano in S.Pio da Pietrelcina nei pressi
del confessionale, confidenzialmente gli chiedevano: “Padre, dove va?”. E lui:
“Vado a liberare le anime dal demonio!”.
Fontanellato, 16 agosto
2019
[1] Vedi le
dichiarazioni del Padre Timothy Radcliffe, ex-Maestro Generale dell’Ordine dei
Frati Predicatori, pubblicato in isoladipatmos
del 2017 nella rubrica “I falsi amici del Papa”.
[2] P.Alféri, Guillaume
d’Ockham. Le singulier, Les Editions de Minuit, Paris 1989.
[3] Nutro seri
dubbi che il mondo islamico accetterebbe una proposta del genere, retto com’è
dal ben noto principio che tutti capiscono: “o mangi la minestra o salti la
finestra”.
[4] Così si spiegano le recenti
dichiarazioni del Card.Ravasi circa “I nostri fratelli massoni”; P.Siano, Karl Rahner “massonico”? Il pensiero di Karl
Rahner e la cultura massonica a confronto, in Fides Catholica, 2, 2007, pp.315-360; il mio libro PAROLE CHIARE SULLA VITA DELLA CHIESA, Edizioni
Fede&Cultura, Verona 2011.
[5] Cf il mio
articolo Il Concilio Vaticano II secondo il Card.Kasper, pubblicato su
questo sito nel marzo scorso.
[6] Per esempio, l’Unitatis redintgratio dice al n.3 che i
protestanti devono raggiungere la pienezza della loro comunione con Roma
correggendo i loro errori. Ma siccome per Kasper oggi ci si è accorti che
Lutero aveva ragione, allora secondo lui questi avvertimenti devono essere
soppressi. E difatti Kasper non ne ha mai parlato.
[7] Vedi il mio
libro Karl Rahner. Il Concilio tradito,
Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009.
[8] Un resoconto interessante e
ricco di notizie dell’incredibile agitazione di spiriti, ma anche del grandioso
e fruttuoso moltiplicarsi di scambi, che avvennero durante i lavori del
Concilio, in mezzo a manovre di ogni genere, intuizioni luminose, fatiche
massacranti e a interminabili discussioni, è il Diario del Concilio (Edizioni San Paolo 2005) del Padre Yves
Congar, che fu perito del Concilio.
[9] Padre Hermes Ronchi e Padre Raniero
Cantalamessa.
[10] Raniero La Valle.
[11]Padre
Gustavo Gutiérrez, Leonardo Boff, Frei Betto.
[13] Padre Antonio Spadaro.
[14] Padre Timothy Radcliffe, Enzo
Bianchi e Andrea Grillo.
[15] Come hanno
detto esultanti il massone Scalfari: “finalmente un Papa che mi piace”, e
Melloni: “da mille anni non avevamo avuto un Papa così”, e Kasper: “finalmente,
dopo 500 anni, un Papa che fa la pace con i luterani”.
[16] S.Tommaso, Sum.Theol., II-II, q.162, a.1.
[17] Cf l’interessantissimo quadro
che il Padre Paolo Siano, dotto massonologo francescano, fa della dottrina
massonica nel suo articolo apparso nel sito web Corrispondenza Romana del 2.VIII.2017.
[18] Cf il famoso
libro di Robert Hugh Benson, Il padrone
del mondo.
[19] La composizione
letteraria dell’Apocalisse è disorganica e discontinua. E’ infatti presente la narrazione di eventi futuri, che
però non sono connessi secondo uno svolgimento logico-temporale continuativo,
ma con salti, balzi, interruzioni e retrocessioni. Difficile sapere per quale
motivo. Forse il fatto rientra nella fenomenologia dell’ispirazione profetica. O
forse si tratta di una raccolta affrettata in un periodo di persecuzione.
[20] Cf Giovanni Filoramo, Il risveglio della gnosi ovvero diventare
Dio, Editori Laterza, Bari 1990.
[21] E’ interessante
come Kant presenta come superbia la pretesa della metafisica di oltrepassare il
sensibile per elevarsi al puro intellegibile, mentre non si accorge di quanto invece è superbo lui a
concepire una “ragion pratica” fondata su se stessa, che non ammette alcun
dovere di assoggettarsi alla volontà divina.
[22] E’ interessante
notare come questa immagine della donna come ispiratrice dell’uomo,
l’incontriamo, tra i vari esempi che si potrebbero fare del passato, nel
sec.XIX, nel filosofo Auguste Comte, fondatore del positivismo, anche se questa
esaltazione della donna avviene in un
contesto antropocentrico. Cf J.Maritain, Il
positivismo e la condotta umana, c.XII de La filosofia morale. Esame storico e critico dei grandi sistemi,
Ed.Morcelliana, Brescia 1971, pp.367, 380-382.
[23] S.Giovanni Paolo
II ha chiamato significativamente la donna “madre dell’uomo”. Non si tratta
ovviamente del semplice fatto biologico, che può apparire una banalità, ma
della maternità spirituale.
[24] Difficile
immaginare come un Card.Ravasi, che, al seguito di Rahner, considera il
racconto del peccato originale come un “mito eziologico”, esalta la massoneria
e si dedica al culto di Pacha Mama, possa svolgere convenientemente questa
ardua missione.
[25] Raissa
Maritain, basandosi su S.Giovanni Damasceno, citato da S.Tommaso, sostiene che
il demonio che ha tentato i progenitori era stato probabilmente addetto dalla
Provvidenza al governo delle cose terrene. Per questo egli conserva, benchè
pervertito, un potere su di esse, che in certo modo gli viene riconosciuto da
Cristo stesso. Cf R.Maritain, Il principe
di questo mondo. Storia di Abraham, Ed.Massimo, Milano 1978.
[26] Non però nel
senso rahneriano di esseri umani comunque in grazia, in quanto la grazia,
secondo Rahner, è sempre necessariamente
presente in tutti e tutti la posseggono senza mai perderla.
[27] Il prossimo Sinodo dei Vescovi
sull’Amazzonia si riferisce nell’attuale attenzione della Chiesa a quelle aree
umane che ancora attendono la diffusione del Vangelo.
[28] È questo il
lavoro dell’inculturazione, mentre il lavoro inverso, ossia l’uso di una data
cultura per interpretare il dato rivelato si chiama «acculturazione».
[29] Cf Gc 3,15;
S.Tommaso, Sum.Theol., II-II, q.55.
[30] Come per
esempio quella di Marco Pannella recentemente elogiata da Mons.Paglia.
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