Da Hegel a Marx - Il passaggio storico dal panteismo all’ateismo attraverso Feuerbach - Prima Parte (1/5)

Da Hegel a Marx

Il passaggio storico dal panteismo all’ateismo

attraverso Feuerbach

Prima Parte (1/5)

                                                                          Maledetto l’uomo che confida nell’uomo.

                                                                            Benedetto l’uomo che confida nel Signore

                                                                                                       Ger 17,5.7

Il cogito cartesiano è la radice dell’ateismo moderno[1]

A seguito del peccato originale è rimasta nell’uomo, istigata dal demonio, la ribellione verso Dio e l’insofferenza di dover essere guidati dalla sua legge. L’uomo vuol regolarsi da sé secondo le proprie concupiscenze. L’uomo non vuol essere dipendente da Dio, ma solo da se stesso. Per questo vuol dare la scalata al cielo per abbattere il trono di Giove come Prometeo e i Titani o respinge il timore degli dèi come Lucrezio.

L’ateismo moderno nasce da una falsificazione del dogma dell’Incarnazione, che viene inteso come la possibilità data all’uomo di diventare Dio perché Dio diventa essenzialmente uomo. Sono quindi rotti i confini tra Dio e l’uomo: l’umano trapassa liberamente nel divino e il divino si compiace di trapassare nell’umano. Attributi umani e attributi divini non sono più separati fra loro, ma si mescolano fra di loro: Dio muta e soffre; l’uomo crea se stesso.

Il mistero dell’Incarnazione è tutto a beneficio dell’uomo composto di spirito e corpo, perché riunifica queste due componenti messe in contrasto a causa del peccato originale. Questo mistero pertanto mostra come lo spirito discende nella materia e la materia può salire allo spirito. L’intelletto illumina il senso e il senso fa il bene dell’intelletto. La volontà guida la passione e la passione dà forza alla volontà. La comunione spirituale si esprime in quella sensibile e quella sensibile stimola quella spirituale.

Questo mistero però può essere frainteso in due sensi opposti: o in senso ultraspiritualistico ovvero panteista o in senso materialista.  Nel primo caso la materia è ignorata, assorbita e sostituita dallo spirito. Nel secondo lo spirito si materializza nella materia. Nel primo caso abbiamo un falso teismo: Dio è l’uomo. Nel secondo abbiamo l’ateismo: Dio non esiste, perché l’uomo basta a se stesso. L’uomo stesso è Dio. Quindi l’idealismo panteista produce il materialismo ateo. Feuerbach mostra come da Hegel viene fuori Marx[2].

Il germe dell’ateismo è già contenuto in una concezione immanentistica dell’Incarnazione. Si parte da un fraintendimento dell’inabitazione di Dio nell’anima in grazia, che suppone la trascendenza divina, per ricavare da essa un concetto immanentistico di Dio come «Dio-con-noi», prima il Dio di Lutero e poi il Dio di Hegel, il Gott mit uns dei nazisti. Non più l’uomo finalizzato a Dio, ma Dio finalizzato all’uomo. L’Incarnazione non servirebbe a condurre l’uomo a un Dio trascendente, ma è l’operazione dell’uomo che, avendo scoperto di essere Dio, toglie di mezzo, «uccide» il Dio trascendente.

Ed ecco Nietzsche.  Il superuomo sostituisce Dio. L‘uomo non ha bisogno di un Trascendente, perché si trascende da sé.  Ancor oggi per un Rahner Dio è il l’orizzonte sconfinato e il vertice sommo dell’autotrascendenza umana. Per Rahner, come per Hegel, l’uomo non è creato da Dio dal nulla, ma è l’«autoestrinsecazione» o «autoalienazione» o «autocomunicazione» di Sé all’uomo, che a sua volta è l’ente dell’autotrascendenza in Dio come orizzonte e pienezza finale della natura umana. Quindi in fin dei conti Dio viene a comunicare se stesso a se stesso. È la circolarità hegeliana.  

Così l’ateismo ha due possibili sbocchi linguistici: o quello di abolire la parola «Dio», in quanto richiama qualcosa che non esiste o quella di usare la parola per riferirla all’uomo. Feuerbach e Marx la usano ancora. Gli atei di oggi l’hanno completamente abolita.

Ora dobbiamo ricordare invece la fondamentale distinzione fra materia e spirito, visibilia e invisibilia. L’essere si pone su due piani: uno finito, inferiore, materiale, l’umano; e l’altro infinito, spirituale, superiore, il divino. La materia ha origine dallo spirito, benché essa nell’uomo rechi beneficio allo spirito: mens sana in corpore sano.  

Nell’Incarnazione non è vero che Dio diventi uomo e l’uomo diventi Dio. L’essere non è come un palloncino che si gonfia e si sgonfia. Dio resta Dio e l’uomo resta uomo. Solo che umanità e divinità si uniscono restando distinte nell’unica persona di Cristo. L’atreptos, il «senza mutazione» del dogma calcedonese è inviolabile ed è eresia negarlo.

L’autentica concezione dell’Incarnazione suppone una visione sì unitaria, ma nel contempo partecipativa dell’essere, non monistica, totalitaria ed univoca. È sbagliato credere che l’essere o c’è tutto o non c’è niente. No, esiste anche l’essere parziale, l’essere per partecipazione.  Questo è l’essere umano.

Non c’è solo l’assoluto, ma anche il relativo, che è relativo all’assoluto. Né il relativo va assolutizzato, come se fosse relativo a se stesso. La dualità spirito-materia non è un «dualismo» che debba essere tolto. Se essi nello stato di natura decaduta si trovano in contrasto fra loro, la Redenzione di Cristo insegna come riconciliarli secondo il piano originario della creazione. Per ottenere l’unione non bisogna cadere nella confusione, ma ricostruire il modello edenico infranto dal peccato con l’aggiunta del modello escatologico proposto da Cristo.

Per questo si può dire senz’altro che l’anticamera dell’ateismo contemporaneo è la cristologia di Hegel[3], per la quale in Cristo la natura umana s’identifica con la natura divina. Dunque l’uomo è Dio. Feuerbach e Marx ne traggono le conseguenze: se dunque l’uomo è già da sé Dio, non occorre alcun Dio creatore al di sopra di lui, ma chi pensa questo, offende la dignità umana sovrapponendo sull’uomo un padrone celeste che non esiste e che serve solo ai padroni per intimorire i lavoratori con vani scrupoli, illuderli con vane speranze, mantenere lo status quo ed opprimere e sfruttare la classe lavoratrice.

Dietro l’attuale misericordismo di un Dio che salva tutti e approva e benedice tutti si nasconde l’ateismo dato da un falso Dio che non esercita la giustizia e lascia che il forte schiacci il debole senza castigare il primo e senza liberare il secondo. Ricompare il falso Dio dei ricchi contro il quale non insorge tanto Marx, quanto piuttosto la Madonna del Magnificat. 

Occorre altresì notare che sia l’antropologia hegeliana che quella marxista hanno il loro fondamento nel cogito cartesiano e nell’io luterano. Cartesio fornisce il principio dell’autocoscienza; Lutero il principio del Dio-con-me. Hegel congiunge i due princìpi e conclude: io ho coscienza di essere Dio, o inversamente: Dio in me ha coscienza di essere uomo.

Il cogito è puro spirito, res cogitans, il mio io, che si oppone alla materia o al corpo, res extensa.  L’io, secondo Cartesio, deduce l’esistenza e la conoscibilità della realtà materiale esterna dall’autocoscienza. Il pensiero si materializza nel porre l’esistenza della materia. La materia nell’io è materia pensata, è idea della materia, è spirito. L’essere materiale deriva dall’autocoscienza umana. Ma nel contempo l’essere materiale si trascende nell’autocoscienza dell’io.

Il Dio cartesiano è un Dio pensato a priori, un’idea innata, che ha sussistenza reale extramentale in forza del suo essere pensata. È Dio che rivela all’io l’esistenza oggettiva della realtà materiale esterna e la possibilità della mente di cogliere la verità di queste cose. Dio tuttavia è ancora puro spirito, creatore dello spirito e della materia.

Il falso teismo di Cartesio nasce da una finta spiritualità che in realtà genera l’egoismo e provoca l’ateismo. Come è noto, Cartesio pone il principio della sua filosofia, che è il famoso cogito, per il quale io non traggo la verità sulle cose e su Dio partendo dall’esperienza sensibile della realtà esterna o del mio stesso io fisico, ma dalla mia autocoscienza, ossia dalla coscienza che ho di pensare me stesso pensante il mio pensiero.

Questa concezione è errata, perché scambia l’effetto per la causa e cade sotto il rimprovero di stoltezza pronunciato dalla Sacra Scrittura contro coloro che dalle cose sensibili non sanno risalire alla loro causa divina (Sap 13, 1-9). Se io sono causato, come constato dalla presa di coscienza del mio essere, non posso ritenere che il mio creatore esista in forza del fatto che lo penso, io, col mio pensare creato! Io diventerei la causa di Dio! Allora Dio sono io ed Egli è un prodotto del mio pensiero!  Semmai è l’idea che ho di Lui che l’ho ricavata dal fatto che, essendomi trovato causato, lo pongo come causa del mio essere!

Invece per Cartesio io giungo a sapere che Dio esiste non partendo dalla conoscenza del mondo esterno ed applicando induttivamente il principio di causalità che mi porta alla scoperta di Dio come causa prima e creatore del mondo, ma nel momento in cui penso alle mie idee, mi accorgo di avere l’idea di Dio e, poichè l’essenza divina implica il suo sussistere, ne deduco che Dio esiste, senza chiedermi affatto com’è che questa idea di Dio esiste in me e senza essere sfiorato dal dubbio che questa idea la posseggo perché, forse inconsapevolmente, ho già scoperto induttivamente che Dio esiste ed ho capito che, per essere Dio, in Lui l’essenza deve coincidere con l’esistenza. Abbiamo qui quindi un circolo vizioso per dimostrare quello che si dà già (immotivatamente) per scontato.

Ma questo procedimento illusorio che mi porta a mettermi al posto di Dio con un finto teismo, non può che nascere dalla superbia, che mi rende insopportabile avere un Signore al di sopra di me che mi detta quello che devo essere o fare e quello che non devo essere o fare. Inoltre è chiaro che questo mettermi al posto di Dio mantenendo l’idea ma non la realtà di Dio, evacua la virtù della pietà o della religione, giacchè quale culto potrei rendere a una semplice idea che in fin dei conti nasconde il mio semplice io? Dovrei rendere culto a me stesso!

Ma il fatto è che il metodo cartesiano suppone, come è noto, che io non ricavo il concetto di una cosa dal contatto sensibilmente avuto di quella cosa, ma io affermo che quella cosa esiste fuori di me perché io ne ho già il concetto, per cui io, col mio atto di concepire quella cosa, pongo l’essere di quella cosa.

Quindi alla fine, come Fichte ha ben dedotto dal cogito cartesiano, non è Dio che crea le cose fuori di me indipendentemente da me, ma sono io che, ponendo il mio io, nella mia autocoscienza, nel mio cogito, pongo l’essere delle cose, delle quali ho l’idea anticipata («apriori»). E se quella cosa è Dio, ne viene la conseguenza che posso affermare che Dio esiste non perché ne ho le prove dalla realtà esterna, ma semplicemente perché lo penso apriori, ne ho il concetto.

Allora c’è da chiedersi, alla fine, se è Dio che crea me o sono io che esisto già da me stesso e in forza di me stesso, ossia della mia autocoscienza. La risposta è che siccome sono io che concepisco l’essenza di Dio e siccome Dio è un mio pensiero, allora sono io che creo Dio, cioè dò essere al mio concetto di Dio. Ecco il dogma fondamentale dell’idealismo: l’essere è l’essere pensato. Basta pensare perché l’essere sia. Basta avere un concetto di Dio per poter dire che Dio esiste nella realtà,

Ma come mai capita quest’errore? Perché al cartesiano manca il senso dell’essere, perché egli è tutto chiuso nelle sue idee. E questo perchè? Perché per lui l’essere non è altro che il suo esistere in quanto pensato da lui. L’essere è l’idea dell’essere. Quindi l’essere non è più riconosciuto come in sé esterno all’autocoscienza, non è più un reale bisognoso di essere fondato su di un Dio esterno e trascendente, suo creatore, ma è posto dall’io stesso così come l’io pone e produce i suoi pensieri.

L’ateismo marxista deriva dall’idealismo hegeliano

Dunque allora per l’idealista, se Dio esiste, non sarà altro che un’idea, un Dio-pensato-dall’io. Allora si capisce come a questo punto comparirà un Marx a dedurre che l’uomo non ha bisogno di essere fondato su di un Dio trascendente. L’uomo basta a se stesso; non dipende da un ente superiore, una causa prima che lo abbia creato e dal quale dipenda nell’essere.  

Oltre a ciò Marx confonde la libertà con l’indipendenza, per cui per lui un Dio trascendente sarebbe un padre-padrone oppressore, che impedisce all’uomo di essere libero. Infatti Marx non concepisce una libertà finita, causata e dipendente da Dio. La libertà o è assoluta o non c’è. L’uomo che ammette un Dio si rende schiavo di questo fantasma con le sue stesse mani così come accetta di essere schiavo del padrone e del prete.

È inoltre interessante che Marx, ponendosi la questione dell’origine dell’uomo[4], egli che pure è dotato di senso storico e del divenire, non si rende conto della contingenza dell’esistenza umana, ossia del fatto che l’uomo esiste ma potrebbe non esistere e di fatto gli individui iniziano ad esistere e cessano di esistere. Parte dall’idea, del tutto infondata, che l’uomo, il Gattungswesen sia l’ente necessario per eccellenza, che esiste per essenza, ancora una volta attribuendo irragionevolmente all’umanità un carattere esclusivamente proprio della divinità.

È curiosa questa identificazione dell’essenza e dell’esistenza nell’uomo, quando poi Marx afferma che l’uomo alienato nel sistema capitalistico è privato della sua essenza e l’attuazione del comunismo consiste nel fatto che l’uomo rientra in possesso della sua essenza. Probabilmente la spiegazione di questa contraddizione la troviamo nella concezione dialettica dell’Assoluto propria di Hegel: l’Assoluto di necessità nega se stesso e torna a se stesso. Marx, è chiaro, ha messo l’uomo al posto dell’Assoluto hegeliano, ma il meccanismo dialettico è lo stesso.

Se l’uomo per Marx è l’ente supremo, la cui esistenza coincide con l’essenza, non per questo per Marx l’ente supremo è eterno, semplice, atto puro, immutabile e impassibile, come il Dio trascendente del teismo, ma, come l’uomo, è storico, evolutivo, conflittuale, mutevole e diveniente.

E del resto già l’Assoluto hegeliano coincide col Divenire e con la Storia. Diciamo che è un eterno divenire. E la legge di questo divenire per Hegel e per Marx naturalmente è la dialettica. Da qui la notissima espressione per esprimere il sistema marxiano di «materialismo storico-dialettico». Ovviamente l’elemento materiale accentua il divenire temporale dell’Assoluto marxiano.

Vi sono poi alcuni che si sono chiesti, pensando di fare una domanda molto acuta: chi causa la causa prima? Essi credono che comunque l’ente, qualsiasi ente, sia causato, per cui anche un ente primo dovrà essere causato. Nell’ottica realista si dimostra che esiste un ente non causato, per cui è assurdo poi chiedersi chi lo causa.

Quanto all’ottica idealista la risposta è semplice. L’idealista accetta il principio della causa sui, per cui gli è facile rispondere: sono io il principio di me stesso. Io non sono causato da nessuno, perché esisto in forza del mio pensarmi: cogito, ergo sum. Non penso perché sono, ma sono perché penso.

Se io concepisco Dio in questo modo, sono già ateo senza che me ne renda conto. Per potermene accorgere, basta che io rifletta su questo punto: che Dio è un Dio che è l’esplicitazione del mio io? Se Dio è questo, allora vuol dire che Dio sono io. Ma allora che bisogno c’è di un doppione che sta in cielo e che sarebbe il mio creatore? Eppure il vero Dio sarebbe proprio questo! Ma se questo Dio è inutile, perché io già basto a me stesso, ecco allora eliminato il Dio trascendente, altro da me e al di sopra di me, il vero Dio altissimo, essere supremo, causa prima, giacchè in realtà io sono una semplice creatura. Ed ecco l’ateismo!

Una questione importante oggi è quella affrontata dal Maritain[5] di saper discernere il vero ateismo dall’ateismo apparente e viceversa saper smascherare certe forme di apparente teismo che un realtà nascondono l’ateismo. Io, per esempio, mi sono visto accusare di credere in un Dio «pagano» o «precristiano» perché ho affermato che Dio castiga i malvagi.

È chiara la concezione che hanno di Dio questi miei accusatori: è il Dio del buonismo e del misericordismo, che fa solo misericordia e non castiga nessuno. Ebbene, sì, nei confronti di questo falso Dio, che contraddice a un terzo di quello che la Bibbia dice di Dio, io sono un ateo, ma solo perché i veri atei sono i miei accusatori.

È poi immaginabile il danno che fanno gli pseudoteisti: è quello di suscitare negli onesti una reazione di rigetto sdegnata, che li porta a negare Dio, ma solo, come osserva giustamente il Maritain, perché è stato presentato loro un falso concetto di Dio, fideista, irrazionale, idealista, panteista o quant’altro, sicchè la loro reazione è del tutto sana, perché fatta nel nome del vero Dio, anche se costoro forse non se ne rendono conto e si dichiarano atei. Sono coloro che, come è stato detto, «credono di non credere», ma sono più credenti di coloro che hanno sempre sulla bocca la parola «Dio» pronunciata anche dal pulpito o su di una cattedra di teologia, ma che confondono Dio con un idolo della loro mente.

Una forma antichissima di ateismo apparente ed ancor oggi diffusa in Asia è il buddismo, il cui ideale è il raggiungimento del famoso quanto spesso frainteso «nirvana», che comporta la negazione non di Dio, come alcuni credono, ma del vano e del molteplice, ideale per raggiungere il quale occorre fare il «vuoto» (sunyata), che non è, contro anche qui un fraintendimento diffuso, una soppressione delle passioni, ma è uno svuotamento o «kènosi»[6] dalle proprie impurità e concupiscenze così come svuotiamo un prezioso calice da un liquido spregevole per riempirlo di un pregiato liquore.

Così la mente dell’asceta o del monaco buddista, diventa il «buddha», ossia l’«illuminato» da una Luce ineffabile, che non è in grado di descrivere e della quale non parla – ecco il sospetto di ateismo -. Il nirvana non è la Luce che illumina, ma il riflesso beatificante di quella Luce nel monaco contemplante. Il suo teismo, quindi, non si ricava dal fatto che il monaco parla di Dio, ma da ciò che dice della propria esperienza, dalla quale si deduce che, se è così beatificante, è segno che ha avuto un contatto con Dio, così come se uno si scotta una mano, è segno che ha toccato il fuoco.

Il Dio di Lutero è un Dio per l’io: il Dio-con-me, che non è, nella visione di Lutero, il Dio puro spirito trascendente ed astratto e lontano dell’Antico Testamento, ma è il Dio vicino, concreto ed incarnato, immanente, del Nuovo, inteso come Dio che non può essere Dio se non nell’uomo, fatto uomo e per l’uomo. Ora è facile passare da un Dio che per essenza benefica l’uomo a un Dio funzionale all’uomo. Non più l’uomo servo di Dio, ma Dio servo dell’uomo. Ma allora chi è che conta? È Dio? No! È l’uomo!

Da qui verrà fuori il Dio di Hegel, che non è Dio senza il mondo. Lo spirito non può fare a meno della materia. È il Dio di Spinoza e di Schelling, sintesi di pensiero ed estensione, il Deus sive Natura. Per Hegel l’Idea si fa natura e la natura si trascende nell’Idea.  L’uomo si fa Dio e Dio si fa uomo. Lo spirito si fa materia e la materia si fa spirito.

Per Hegel l’assoluto, l’essere esistente per essenza, è Dio, è lo Spirito. Per Marx, è la materia, è l’uomo collettivo il Gattungswesen, l’essere del genere[7], s’intende il genere umano. Tanto per Hegel quanto per Marx lo spirito è dialettico, diviene nella storia e procede per opposizioni.

Sia per Hegel che per Marx lo spirito, che è l’io cartesiano-luterano, è uno spirito dialettico, che esiste da sé, pone sé fuori di sé e contro a sé come materia, aliena se stesso, perde la propria essenza e, in forza della negazione della negazione di sé, torna a sé, recupera la coincidenza di essenza ed essere, del pensiero e dell’essere, dopo essersi contraddetto ed estraniato da sè nell’altro da sé.

Così si verifica in Hegel la riconciliazione dello spirito con se stesso, dello spirito fuori di sé ed estraniato da sé, senza tuttavia togliere l’opposizione dello spirito con se stesso all’interno di se stesso, come per Fichte, perché questa inquietudine è l’essenza e la vita dello spirito. La quiete è compagna dell’inquietudine. Il semplice è la sintesi del contradditorio. L’assoluto non è senza il relativo. L’infinito non è senza il finito. Il bene non è senza il male. La vita non è senza la morte. L’eterno è l’eterno divenire. 

Così l’inizio produce la fine, ma la fine torna all’inizio, sicchè come all’inizio uno è tutto, alla fine tutto è uno. Lo spirito diviene materia e la materia diviene spirito. Un falso concetto di Dio facilmente produce l’ateismo e nasconde l’ateismo. L’ateismo di Feuerbach, ripreso poi da Marx, è il disvelamento dell’ateismo implicito nel teismo hegeliano.

L’io, pensando se stesso, pone se stesso non solo come pensato, ma come essere, dato che il pensiero coincide con l’essere: questa è l’interpretazione fichtiana prassistica del cogito cartesiano, interpretazione che poi resta in Hegel e in Marx, anche se Hegel si accontenta del pensare speculativo, mentre Marx assume il prassismo fichtiano ed afferma che lo spirito, che per lui come per Feuerbach è lo spirito umano, produce materialmente se stesso mediante il lavoro. L’uomo si naturalizza e la natura si umanizza.

Marx, però, nella linea di Feuerbach, recupera il realismo gnoseologico contro l’idealismo hegeliano. La scienza non è scienza dell’idea assoluta, non è teologia, non è metafisica, non è scienza dello spirito, ma scienza empirica della realtà materiale esterna, naturale, oggettiva, tecnica, economica, politica, sociale e storica, sapere non posto dalla coscienza, ma indipendente dalla coscienza, perchè non è la realtà che dipende dalla coscienza, ma è la coscienza che dipende dalla realtà.

Questo realismo di Marx andrebbe bene, senonchè questa dipendenza della coscienza dalla realtà la intende materialisticamente, cioè come se lo spirito dipendesse dalla materia o fosse un’escrescenza («sovrastruttura») della materia. Ricordiamo inoltre che per Marx la verità non dipende dalla ragione speculativa, ma dalla prassi. In evidente polemica con Hegel, nella famosa Tesi XI su Feuerbach egli dice che quello che conta non è contemplare il mondo, ma trasformarlo.

Il realismo marxista non ha alcuna aspirazione speculativa, ma è solo funzionale all’affermazione politica dello stesso marxismo nella configurazione concreta del partito comunista. Il sapere marxista è dominato da una volontà di potere, secondo l’indirizzo dato al sapere da Cartesio. Non è escluso, certamente,  in Marx, il concetto tomista della verità come adaequatio intellectus et rei, ma possiamo immaginare come, stanti quei princìpi prassistici dialettici, il marxista non si faccia scrupolo, all’occasione, di alterare i dati oggettivi per giustificare l’ingiustificabile e negare l’evidenza, se ciò può servire per ingannare gli ingenui e favorire la causa del  marxismo, come di fatto avviene dovunque il marxismo è propagandato e messo in pratica, soprattutto nella forma leninista. L’etica marxista viene così a giustificare la menzogna, se questa può servire all’affermazione o al successo del partito comunista.

In Marx la ragione si adatta alla realtà, ma anche la realtà, all’occorrenza, deve adattarsi alla ragione. Marx non identifica, come Hegel, il reale col razionale, ponendosi solo sul piano del pensiero; li distingue, ma per mezzo dell’azione vuole, all’occorrenza, che il reale sia razionale.

Fine Prima Parte (1/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 20 dicembre 2021

 

Per questo si può dire senz’altro che l’anticamera dell’ateismo contemporaneo è la cristologia di Hegel, per la quale in Cristo la natura umana s’identifica con la natura divina.

Dunque l’uomo è Dio.

 

 

Feuerbach e Marx ne traggono le conseguenze:

 se dunque l’uomo è già da sé Dio, non occorre alcun Dio creatore al di sopra di lui, ma chi pensa questo, offende la dignità umana sovrapponendo sull’uomo un padrone celeste che non esiste e che serve solo ai padroni per intimorire i lavoratori con vani scrupoli, illuderli con vane speranze, mantenere lo status quo ed opprimere e sfruttare la classe lavoratrice.

Se l’uomo per Marx è l’ente supremo, la cui esistenza coincide con l’essenza, non per questo per Marx l’ente supremo è eterno, semplice, atto puro, immutabile e impassibile, come il Dio trascendente del teismo, ma, come l’uomo, è storico, evolutivo, conflittuale, mutevole e diveniente.

Immagini da internet: Hegel, Marx, Feuerbach


[1] Il Padre Cornelio Fabro pubblicò un poderoso studio storico nel quale dimostra le radici atee del falso

 teismo di Cartesio Introduzione all'ateismo moderno, Studium, Roma, 1964; cf AA.VV., L’ateismo. Natura e cause, Editrice Massimo, Milano 1981.

[2] P.-D. Dognin, Introduzione a Karl Marx, Città Nuova, Roma 1972; Maurice Guerry, Chiesa cattolica e comunismo ateo, Editrice Città Nuova, Roma1961.

[3] Cf il mio articolo La dialettica nella cristologia di Hegel, in Sacra Doctrina, 6.1997, pp.87-140; il mio opuscolo Rahner e Küng. Il trabocchetto di Hegel, Edizioni Chorabooks, Hong Kong 2021; E.Brito, La Christologie de Hegel, Beauchesne, Paris 1983..

[4] Cf G.M.-M. Cottier, L’athéisme du jeune Marx et ses origines hégéliennes, Vrin, Paris 1959, pp. 351-353.

[5] Il significato dell’ateismo contemporaneo, Morcelliana, Brescia 1954.

[6] C Masao Abe, Sunyata buddhisa e kenosi cristologica, Città nuova Editrice, Roma 1995.

[7] La traduzione fatta da alcuni con «essere generico» non ha senso. Marx intende riferirsi semplicemente al genere umano, che per lui ha un essere per conto proprio, è l’essere sussistente, che quindi prende il posto del Dio ipsum Esse di San Tommaso. Marx, alla scuola di Hegel, s’intendeva di metafisica. Il guaio è che l’applica male.

 

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