La logica della doppiezza - Prima Parte (1/3)

 La logica della doppiezza
 
Prima Parte (1/3)

Il confronto con i sofisti è ancora attuale

È diffuso oggi il pregiudizio che noi possiamo far uso della nostra ragione come ci pare e piace, senza essere legati a particolari obblighi o regole di logica o morale: l’importante è aver ragione noi e sconfiggere l’avversario, importante è che gli altri bevano quello che diamo loro da bere, non importa con quale mezzo.

È un continuo disprezzo del sano ragionare, un giocare sull’equivoco, navigare nell’ambiguità, uno spudorato contraddirsi, puntare sulle apparenze, sgusciare alle obiezioni, fuggire l’evidenza, dialogare a vuoto, tacere pur di non riconoscere d’aver sbagliato, far tacere le voci critiche, dar spazio ai ciarlatani, promuovere gli imbonitori.

Poco manca che sul frontale di un’Università cattolica compaia il famoso motto di Tertulliano «credo quia absurdum». Si predicano assurdità col pretesto dello «scandalo della croce» (Gal 5,11). Si polemizza con Lutero contro la ragione sofistica e in nome di una fede emotiva, irrazionale ed atematica si usa la stessa sofistica per falsare la sana filosofia e la Parola di Dio e respingere il Magistero della Chiesa e dei Santi.

Si è perduta la consapevolezza che è possibile peccare moralmente nell’uso della ragione, per cui oggi sono in circolazione nella generale indifferenza, come cose normali, le idee più sofistiche, assurde, disoneste, blasfeme, corruttrici, scandalose, dannose per le anime e per i corpi, senza che si odano voci persuasive ed autorevoli capaci di svergognare gli empi, di abbattere gli idoli e dar pace e consolazione alle menti invischiate in inestricabili contraddizioni e in una permanente irrisolta conflittualità.

Tutto ciò perché a partire da Lutero e Cartesio si è voluto sostituire contro la logica aristotelico-tomista, garantita dal Vangelo, la logica della doppiezza. Infatti la logica cartesiana non si basa su di un sì incondizionato della ragione all’evidenza della verità sensibile, ma sulla certezza di dubitare di tutto, dubbio che evidentemente non può essere altro che l’oscillazione fra il sì e il no. Per questo il sì cartesiano al vero è un sì che all’occorrenza può sempre trasformarsi in un no, se ciò può convenire.

 Così parimenti il ragionare di Lutero è talmente irrazionale che nessuno parla della logica di Lutero, il quale nei suoi ragionamenti non si preoccupa affatto del rispetto delle regole della logica, fraintendendo le parole di San Paolo, quando egli si domanda: «Dove è il sapiente? Dove è il dotto?  Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo?» (I Cor 1,20), senza capire che evidentemente Paolo se la prendeva proprio con i sofisti del suo tempo, giacchè, se c’è un Autore biblico che esalti tanto la ragione e la sapienza umane, questi è proprio San Paolo, col suo esaltare Cristo, «nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col2,3). Parimenti, dove trovare una maggiore apoteosi della ragione che nel Logos giovanneo, quel logos col quale, conservate le proporzioni, Aristotele definisce la stessa essenza dell’uomo zoon logon econ?

La persona doppia è una persona sostanzialmente indecisa, la quale al momento di fare la sua scelta di vita e di determinare e scegliere il senso della sua esistenza o di capire l’identità della sua persona, ha pronunciato un sì alla verità, cioè a Dio, ma nel contempo non ha saputo resistere a dire un sì anche alla falsità, cioè al suggerimento del demonio di dire no a Dio.

Il sofista non ha risolto la questione fondamentale dell’origine della verità. Egli non sa decidersi fra Cristo che accusa il demonio di essere un bugiardo e il serpente genesiaco il quale accusa Dio di essere un bugiardo. Per lui al di là del dire sì al sì e no al no, esiste una terza possibilità: dire sì e no. Per lui il «di più» del quale parla Cristo avvertendo che viene dal diavolo, non è un di più, ma è l’atto di operare la sintesi, direbbe Hegel, fra l’essere e il non-essere, il positivo e il negativo, fra l’affermazione e la negazione, fra il sì e il no, fra il vero e il falso.

Dunque la logica moderna, stando a Cartesio e ad Hegel, non è più la logica rigida, astratta ed unilaterale del sì, ma la logica fluida, concreta e vitale del sì e no. Non più un solo Padrone, il Vero, ma due Padroni, il Vero e il Falso. Non più l’affermazione che nasce dall’adeguazione dell’intelletto alla realtà, ma la contraddizione, che nasce dalla disobbedienza dell’intelletto alla realtà. Si tratta di quella che era già la logica dei farisei, contro i quali Cristo polemizza accusandoli di ipocrisia.

L’opera di Aristotele

Aristotele nella sua opera di fondazione della logica si trovò a dover combattere con mestieranti della filosofia, i sofisti, i quali non usavano la ragione per dimostrare alla gente la verità e per insegnare il metodo per giungere alla verità, ma sconcertavano le menti con discorsi dissolventi, spingevano all’ipocrisia e facevano l’apologia dell’assurdo e della menzogna per motivi esibizionistici e di guadagno, per dar spettacolo, per il gusto di assoggettare gli altri alle proprie idee e per desiderio di fama e di successo.

Viceversa Aristotele, vera tempra di filosofo, sincero ed inflessibile ricercatore della verità, spirito profondamente onesto e disinteressato, aveva impegnato la sua vita nel servizio al prossimo sulla via della sapienza, per cui si era accorto di quanto importante fosse, nella missione del filosofo, conoscere e mostrare quali sono le funzioni della ragione, quale ne sia l’energia e come essa vada usata per trovare e fondare la verità e far trovare agli altri la verità, così da renderli capaci di ripararsi dagli inganni e di confutare gli impostori.

Per questo, egli scrisse le sue famose opere di logica, per comprendere le quali occorre congiungerle con i suoi trattati di psicologia, di etica e di metafisica, giacchè lo spirito esplica la sua vitalità in queste quattro potenze: l’organizzazione del pensiero (la logica), l’animazione dell’intendere (la psicologia), la forza dell’agire (l’etica)e il possesso conoscitivo del reale (la metafisica).

Aristotele notò la possibilità razionale di formare ipotesi, le quali devono essere controllate, vagliate e verificate mediante un confronto dialogico, finché, auspicabilmente la verità non appare. A quel punto lì cessa il processo dialettico ed appare il sapere che può essere dimostrato con prove sicure riallacciandosi al principio di identità e non-contraddizione,

Aristotele, inoltre, si accorse che esiste una dialettica sana e produttiva, che fa avvicinare alla verità, ed esiste una dialettica sofistica e disonesta, che blocca l’apertura al vero e impiglia i dialoganti nelle apparenze soggettive scambiate per verità. È questa la logica hegeliana.

Invece, come dimostrò Aristotele, nella scienza, nel vero sapere, si parte da una verità oggettiva evidente ed indiscutibile, di senso o di ragione, comunemente accolta e, osservando le regole del ragionare, è possibile che a un certo punto entrambi i dialoganti giungano alla comune e certa conoscenza e dimostrazione della verità.

Ma, prosegue Aristotele, la condizione fondamentale perché si possa avere la scienza, è l’accettazione del principio di non-contraddizione, perché, se questo non viene accolto dai dialoganti, è impossibile che chi ha ragione possa dimostrare di sbagliare a chi ha torto. Infatti, se l’opponente nega il principio e assume quello opposto, che sarà fatto proprio da Hegel, della contraddizione, ossia ritiene che è vero non ciò che è, ma ciò che sembra a me, l’opponente può sempre obiettare e dire: non mi convinci, perché ciò che è vero per te è falso per me.

In tal modo Aristotele mise in luce i princìpi e le leggi della logica, primo fra tutti il principio di non-contraddizione, che vieta di affermare e negare simultaneamente di un medesimo soggetto il medesimo attributo. Alla luce di questo principio la ragione forma tutti i suoi atti, dai più semplice, i concetti. ai più complessi, il sillogismo sul piano della forma del ragionamento (logica formale), e quindi determina le condizioni di razionalità della materia del sapere come base di partenza del metodo che conduce alla scienza (logica materiale).

È merito di Aristotele l’aver scoperto e tematizzato le due modalità dell’argomentazione razionale: quella dialettica, che procede per tentativi mediante categorie logiche e giunge a conclusioni probabili; e quella scientifica che esibendo prove del che (oti, quia) e del perché (dioti, propter quid) giunge a conclusioni apodittiche e certe, proprie della scienza.

Nel trattato sull’anima Aristotele mostra l’attività della ragione per la quale essa apprende la natura delle cose, ossia la natura del processo conoscitivo; nella metafisica tratta dell’oggetto più ampio e supremo della ragione, che è la realtà o l’ente nel suo complesso. Nell’etica tratta delle virtù morali necessarie alla ragion pratica anche nel campo della logica, soprattutto prudenza e giustizia, per fare buon uso delle proprie forze al fine di conseguire con certezza e fondatezza la verità, difenderla dagli errori e comunicarla lealmente, senza sotterfugi e senza ambiguità al prossimo.

In tal modo in Aristotele la logica. che insegna l’arte, la virtù e il metodo del ragionare corretto ed onesto, è lo strumento (organon) della ragione per mezzo del quale essa scopre la verità ed è in grado di mostrarla agli altri. Quanto invece alla metafisica, essa tratta dell’ente in quanto ente, che è l’oggetto proprio della ragione, ente in base al quale la ragione, nell’atto del conoscere, produce un ente interiore, l’ente di ragione, ossia i concetti, che servono alla ragione per rappresentare razionalmente quanto ha appreso dell’ente reale, concetti che la logica collega fra di loro secondo un ordine razionale al fine di conoscere e fondare la verità e di condurre gli altri alla verità mostrando loro le ragioni di accoglierla.

Mentre oggetto della psicologia gnoseologica e della metafisica sono enti reali, ossia rispettivamente l’anima e l’ente come ente, oggetto della logica è il reale in quanto pensato e concettualizzato, ossia l’ente ideale o di ragione, non quindi l’ente oggettivo esterno all’intelletto, indipendente da esso, ma l’ente in quanto rappresentato nel concetto prodotto dall’atto conoscitivo.

Viceversa, il far apparire o il simulare quello che non è, il mettere in dubbio ciò che è certo, la negazione del principio di non-contraddizione, il sostenere che i contrari di verificano assieme, la pretesa di dimostrare ciò che è evidente, lo scambio dell’opinabile col certo, il gusto della contraddizione, la discussione fine a se stessa, la confutazione sleale dell’avversario o il farlo cadere in un trabocchetto mediante la riduzione dell’ente reale all’ente pensato, osserva Aristotele, il ridurre la metafisica alla logica, è l’arte odiosa del sofista, per mezzo della quale egli seduce e imbonisce gli ingenui, favorisce gli impostori, refrattari alle regole  della logica e vittime delle apparenze, per dar loro ad intendere come verità le sue menzogne facendo loro apparire  vero ciò che è  falso e falso ciò che è vero.

La logica è una scienza e un’arte

La ragione, nella sua attività conoscitiva, costruisce ad arte un mondo interiore alla coscienza che riproduce e rappresenta il mondo esteriore della realtà. La ragione agisce pertanto in due direzioni: da una parte intende conformarsi alla realtà delle cose per rispecchiarla fedelmente nel suo intimo, divenire in qualche modo immaterialmente, assimilarsi, far propria, mediante concetti, giudizi e ragionamenti, la realtà stessa che conosce; e d’altra parte, al fine di raggiungere questo scopo, costruisce mediante leggi e princìpi, un sistema ordinato di mezzi conoscitivi, i concetti, i quali sono enti mentali, detti enti di ragione, che rappresentano e corrispondono, per quanto la nostra ragione ne è capace, agli enti reali da noi intellegibili, che stanno attorno a noi, distinti da noi, davanti a noi, al di sopra e al di sotto di noi, prima e dopo di noi, indipendenti da noi. presupposti al nostro conoscerli e pensarli, quindi non prodotti da noi, ma dal potere creativo di Dio, così come Egli è il creatore della nostra ragione.

In questo secondo senso la ragione compie un’opera d’arte, intendendo per arte, la retta ragione di un’opera da compiere. Intendendo quindi in generale per logica l’attività della ragione funzionale al sapere, la logica viene ad avere due aspetti. Nel primo senso, ossia in quanto complesso di princìpi e leggi, è oggetto di scienza; ma in quanto essa insegna alla ragione come condursi, quali mezzi usare, come ordinarli, e che cosa fare per raggiungere la scienza, la logica è un’arte e, come diceva San Tommaso d’Aquino, è l’«arte delle arti», giacchè da come organizziamo il nostro pensare e ragionare dipende l’edificazione di tutte le arti esteriori materiali dell’agire umano. E lo stesso agire morale, in quanto organizzato logicamente, si presenta con l’aspetto di un’opera d’arte del pensiero.

È importante non ridurre l’attività logica al semplice fare o produrre concetti, come se tutto il problema del sapere e dell’agire si esaurisse nel nostro mondo ideale e nel mondo dell’ente di ragione. Sapere che cosa fa la ragione è certo fare scienza. Ma la scienza più importante è conoscere quella realtà esterna e trascendente e fondante la ragione, verso la quale la ragione stessa tende, quella divina realtà, «ubi ipsum lumen rationis accenditur», per dirla con San’'Agostino.

La sovrastima dell’opera logica della nostra ragione, proveniente dalla nostra superbia, è quella che sta all’origine del ragionare sofistico, che conduce sul piano morale, alla falsità, alla simulazione, alla doppiezza ed all’ipocrisia. Questi vizi hanno la loro origine speculativa nel ridurre il reale al pensato, nel ridurre la cosa al concetto della cosa, il che ci dà l’illusione di poter padroneggiare la realtà a nostro piacimento per la soddisfazione delle nostre voglie, del nostro egoismo ed egocentrismo, quasi fossimo noi i creatori delle cose e non piuttosto Dio vero creatore di esse e di noi stessi.

Da quanto detto appare evidente che come la gnoseologia realista dell’ordinazione del pensare all’essere dà fondamento all’onestà e correttezza del ragionare, l’idealismo, che riduce l’essere al pensiero, sta alla base della sofistica e dell’arte di imbrogliare il prossimo.  

Occorre dunque distinguere accuratamente l’oggetto della logica dall’oggetto della metafisica e in generale dalle scienze della realtà: oggetto della logica è il concetto del reale; oggetto della scienza del reale è lo stesso reale esterno all’anima.

L’oggetto della logica è immanente alla ragione perché è prodotto dalla stessa ragione. Oggetto del sapere del reale è lo stesso reale trascendente alla ragione perchè non prodotto dalla ragione, ma da Dio. L’idealista, che riduce il reale all’ideale, al razionale e al logico, finisce per scambiare le proprie idee per la stessa realtà e per chiudersi nelle proprie idee nella convinzione che egli con ciò stesso abbia esaurito la conoscenza del reale.

Le operazioni logiche fondamentali

L’operazione logica fondamentale è la costituzione dell’ente di ragione logico. Si tratta dello stesso ente reale esterno al pensiero immanentizzato e fatto proprio dal pensiero ovvero dalla ragione sotto forma di concetto, idea, giudizio, ragionamento. A questo punto la ragione si rapporta verso l’essere in due modi opposti a seconda che si tratti dell’ente reale o dell’ente logico.

Nel campo del reale la ragione vede l’opposizione radicale ed assoluta fra l’essere e il non-essere. Essi non hanno niente in comune e si escludono, si negano l’un l’altro vicendevolmente in modo assoluto.

Nel campo del reale la ragione formula pertanto il principio di identità, che possiamo svolgere nelle seguenti osservazioni: è impossibile che un dato ente sia e non sia simultaneamente e sotto il medesimo aspetto. Ogni ente ha una sua identità ed è identificabile per questa identità. Ogni ente è un ente determinato e non altro. I contrari non possono realizzarsi assieme simultaneamente, ma solo successivamente. Inverno ed estate non possono verificarsi simultaneamente, ma solo successivamente. Ogni diveniente, in ogni momento del suo divenire, ha una sua identità, e non può non essere ciò che è, nel momento in cui è, mentre non è più ciò che è stato e non è ancora ciò che sarà. 

Il divenire, dunque, non è, come vorrebbe farci credere Hegel, «unità di essere e nulla», perché una cosa o è o non è; non può essere e non essere ad un tempo. Il divenire è certamente passaggio. In ciò Hegel ha ragione. Ma passaggio è, come intuì Aristotele, atto di ciò che è in potenza. Il diveniente appartiene all’essere, Non c’entra affatto col nulla. Solo che è appunto essere diveniente e non fisso o stabile.

Il divenire non giustifica affatto una logica della contraddizione, perché non si tratta affatto di affermare e negare che il diveniente esiste, cosa che non ha senso, ma semplicemente si tratta di riconoscere che il diveniente diviene, il che è intellegibile, concettualizzabile, ha una sua identità e non è affatto contradditorio. L’uso della logica è regolato dalla virtù dell’onestà intellettuale

Una cosa molto interessante in Aristotele è il collegamento che egli fa dell’uso della logica con l’etica, sia l’etica personale del nostro rapporto con la verità, che concerne il raggiungimento dello scopo della nostra vita, sia l’etica sociale, concernente il nostro dovere di dire la verità, di opporci alla falsità e di guardarci da coloro che tentano di sviarci dal sentiero della verità, imparando a smascherare i loro inganni e a confutarli.

Si tratta di un aspetto della virtù della giustizia, che attua la nostra naturale propensione alla vita sociale e al servizio del bene della polis. La vita sociale per Aristotele è un’elevata manifestazione della razionalità umana nell’esercizio della comunicazione tra gli individui. Anche qui il rispetto delle regole della logica è un preciso dovere di giustizia e di onestà ai fini di una vita comune  pacifica e concorde.

Di queste norme che aiutano a far ben funzionare la ragione contro gli errori e i sofismi Aristotele tratta negli Elenchi sofistici. Così Aristotele, circa la questione del possibile e dell’impossibile, trattando dell’esercizio logico del pensare e del dire, distingue ciò che è possibile ma illecito, da ciò che è assolutamente impossibile. Ciò comporta la distinzione tra il falso e il contradditorio.

Così per Aristotele, mentre è possibile concepire e dire il falso, ottenendo credito da parte della ingenuità degli  altri o per connivenza con loro, ma è moralmente biasimevole, ed è quindi possibile ma moralmente illecito contraddire al vero, cosa che sta alla base della menzogna o dell’impostura nel rapporto sociale, è possibile, benché vietato dalla logica,  contraddirsi, ma in tal caso ci si confuta da soli; ed inoltre il concetto contradditorio – come per esempio un cerchio quadrato o una montagna senza valli – è assolutamente impensabile, sono parole senza senso.

Aristotele poi osserva come il partire da premesse false o l’incoerenza logica o il contraddirsi o il rifiuto dell’evidenza o il dubbio affettato o il contraddire al vero affermando il falso o negando il vero, siano gi strumenti abituali del sofista e dell’impostore per ingannare il prossimo. Capita a volte che è lo stesso cattivo ragionatore che, forse senza rendersene conto, s’imbroglia da sè a causa di un cattivo ragionamento.

Aristotele sostiene quindi un preciso dovere di docilità e quindi di onestà dell’intelletto all’apparire della verità dell’essere, ossia la verità del dato oggettivo, l’ente extramentale, nella sua propria identità, si tratti di ente immutabile o ente mutevole, ente sensibile o intellegibile, eterno o temporale, , uno o molteplice, corruttibile o incorruttibile, non importa. È sufficiente che si tratti di ente, di realtà, oggetto naturale dell’intelletto.

Per Aristotele il riconoscere le cose come sono è un preciso dovere morale di onestà. Viceversa, opporsi all’evidenza, manipolare la realtà, cambiarle le carte in tavola, sgusciare per non essere afferrati, giocare sull’equivoco, dubitare dell’indubitabile, è «indocilità» (apaideusìa). S.Tommaso la chiama «protervia». Ciò porta come conseguenza necessaria il dar per certo ciò che è dubbio o ridurre l’essere all’apparire o il far apparire quello che non è. È questa la tipica arte, la tipica ipocrisia, la tipica doppiezza,  la tipica  illusione del sofista.

Stante la validità del principio di identità, per il quale ogni ente, necessario o contingente, diveniente o non diveniente, mutevole o immutabile, ha la sua identità e non è altro da sé,  diventa grave obbligo morale, al fine di dire la verità sulla realtà, di evitare di affermare e negare simultaneamente di una medesima cosa il medesimo attributo, senza prendere a pretesto, come faceva Hegel, il fatto che tale realtà è in divenire.

La logica per Aristotele comporta due aspetti fondamentali, corrispondenti alle due funzioni fondamentali della ragione: la prima è partire da premesse vere e giungere a conclusioni certe e la seconda è procedere correttamente senza contraddizioni.

La prima è la logica della dimostrazione, detta logica «materiale», perché tratta della materia del discorso o del ragionamento, materia che deve riflettere la verità delle cose, quindi oggetto di una precedente conoscenza diretta della realtà. Questa logica determina  quale e come dev’essere la materia del discorso affinchè possa essere adatta e proporzionata alla ragione e da essa comprensibile, approfondita e  dimostrabile.

La seconda è la logica che regola la correttezza e coerenza formale del discorso, indipendentemente dal suo contenuto o materia e perciò è detta logica «formale». Essa è la logica della consequenzialità, che insegna a trarre le ultime conseguenze delle  premesse, a prescindere dal fatto che siano vere o false.

Inoltre Aristotele concepisce l’attività della ragione come un divenire, un movimento, un succedersi di concetti, di giudizi e di ragionamenti fra loro collegati in modo necessario nel rispetto del principio di identità e di non-contraddizione. 

Il ragionamento parte da un principio o verità prima intuìti dall’intelletto e alla luce di questo principio la ragione avanza nel sapere scientifico o per induzione a contatto con l’esperienza dell’ente sensibile o per deduzione, oltre l’esperienza, nel puro intellegibile, fino a giungere a una conclusione, che diventa oggetto incorruttibile della contemplazione dell’intelletto.

Questa conquista diventa a sua volta stimolo e principio di altre conquiste. Termine ultimo del cammino della ragione è la visione dell’ottimo intellegibile, Dio, che è il motore immoto, la causa prima della realtà e il fine ultimo del movimento della ragione.

Il soggetto di questo divenire è dunquel’intelletto (nus). Che. passando dalla potenza all’atto, all’inizio vuoto di contenuti, a contatto con la realtà sensibile, dà il via all’attività della conoscenza e quindi della ragione, la quale, partendo dalle prime evidenze del senso e dell’intelletto, applicando il principio di ragion d’essere e di causalità, applicando le regole della logica, conquista verità sempre più vaste ed elevate, dimostra l’esistenza di una causa prima, ed estende il suo sapere indefinitamente in un continuo progresso nel campo delle verità empiriche e razionali.

Aristotele distingue ciò che è originariamente certo ed evidente e cioè che  l’ente non può simultaneamente essere e non essere sotto il medesimo aspetto. da ciò che necessita di essere dimostrato e quindi rigorosamente ricondotto o ridotto o risolto nelle prime certezze del senso e dell’intelletto.

Fine Prima Parte (1/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato 5 gennaio 2023

Aristotele notò la possibilità razionale di formare ipotesi, le quali devono essere controllate, vagliate e verificate mediante un confronto dialogico, finché, auspicabilmente la verità non appare. A quel punto lì cessa il processo dialettico ed appare il sapere che può essere dimostrato con prove sicure riallacciandosi al principio di identità e non-contraddizione.

Aristotele, inoltre, si accorse che esiste una dialettica sana e produttiva, che fa avvicinare alla verità, ed esiste una dialettica sofistica e disonesta, che blocca l’apertura al vero e impiglia i dialoganti nelle apparenze soggettive scambiate per verità. È questa la logica hegeliana.

Invece, come dimostrò Aristotele, nella scienza, nel vero sapere, si parte da una verità oggettiva evidente ed indiscutibile, di senso o di ragione, comunemente accolta e, osservando le regole del ragionare, è possibile che a un certo punto entrambi i dialoganti giungano alla comune e certa conoscenza e dimostrazione della verità.

Nel campo del reale la ragione formula pertanto il principio di identità, che possiamo svolgere nelle seguenti osservazioni: è impossibile che un dato ente sia e non sia simultaneamente e sotto il medesimo aspetto. 

Ogni ente ha una sua identità ed è identificabile per questa identità. Ogni ente è un ente determinato e non altro. I contrari non possono realizzarsi assieme simultaneamente, ma solo successivamente. Inverno ed estate non possono verificarsi simultaneamente, ma solo successivamente. 

Ogni diveniente, in ogni momento del suo divenire, ha una sua identità, e non può non essere ciò che è, nel momento in cui è, mentre non è più ciò che è stato e non è ancora ciò che sarà. 

Immagini da Internet:
- Deposizione, di Daniele da Volterra (Pietro e Giovanni, particolare)
- Gruppo di matematici e astronomi, Scuola di Atene, di Raffaello
- le 4 stagioni

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