Pietà per l’Ucraina La vocazione ecumenica dell’Ucraina - Seconda Parte (2/4)

 Pietà per l’Ucraina

La vocazione ecumenica dell’Ucraina

Seconda Parte (2/4) 

L’avvertimento di Henry Kissinger

A questo punto comprendiamo il senso di questa dichiarazione profetica del 2014 di Henry Kissinger, riportata il 9 maggio scorso dal Sito PeaceLink, dichiarazione fatta il 5 marzo 2014, sul Washington Post, un articolo dal titolo Per risolvere la crisi dell'Ucraina, partire dalla fine. Ricordiamo che Henry A. Kissinger è stato prestigioso ministro degli Esteri degli Stati Uniti dal 1973 al 1977. Si noti l’imparzialità del giudizio di Kissinger, benchè appartenente agli USA, cioè una delle due parti in causa. Ciò va certo ad onore degli Stati Uniti.

Scrive Kissinger: 

«La discussione pubblica sull'Ucraina è tutta imperniata sulla contrapposizione [con la Russia]. Ma sappiamo dove stiamo andando? Nella mia vita ho visto iniziare quattro guerre con grande entusiasmo e sostegno pubblico, tutte guerre che non sapevamo come finire e da tre delle quali ci siamo ritirati unilateralmente. Il test della politica è come finisce, non come inizia.

Troppo spesso la questione ucraina viene presentata come una resa dei conti: se l'Ucraina si unisce all'Est o all'Ovest. Ma se l'Ucraina vuole sopravvivere e prosperare, non deve essere l'avamposto di nessuna delle due parti contro l'altra: dovrebbe fungere da ponte tra di loro. La Russia deve riconoscere che tentare di costringere l'Ucraina a diventare un satellite, e quindi spostare di nuovo i confini della Russia, condannerebbe Mosca a ripetere la sua storia di pressioni reciproche in rapporto ad Europa e Stati Uniti, che si avvitano in cicli capaci di autoriprodursi senza fine.

L'Occidente deve capire che, per la Russia, l'Ucraina non può mai essere un semplice paese straniero. La storia russa iniziò in quella che fu chiamata Rus di Kiev. Da lì si diffuse la religione russa. L'Ucraina è stata parte della Russia per secoli e le loro storie si sono intrecciate ancor prima di allora. Alcune delle battaglie più importanti per la libertà russa, a cominciare dalla battaglia di Poltava nel 1709, furono combattute sul suolo ucraino. La flotta del Mar Nero, lo strumento della Russia per proiettare potere nel Mediterraneo, ha sede a Sebastopoli, in Crimea, con un contratto di affitto a lungo termine. Anche famosi dissidenti come Aleksandr Solzhenitsyn e Joseph Brodsky hanno insistito sul fatto che l'Ucraina fosse parte integrante della storia russa e, in effetti, della Russia.

L'Unione Europea deve riconoscere che la sua dilatorietà burocratica e la subordinazione dell'elemento strategico alla politica interna nel negoziare le relazioni dell'Ucraina con l'Europa hanno contribuito a trasformare un negoziato in una crisi. La politica estera è l'arte di stabilire le priorità.

Gli Ucraini sono l'elemento decisivo. Vivono in un paese con una storia complessa e una composizione poliglotta. La parte occidentale fu incorporata nell'Unione Sovietica nel 1939, quando Stalin e Hitler si divisero il bottino. La Crimea, la cui popolazione è per il 60 per cento russa, divenne parte dell'Ucraina solo nel 1954, quando Nikita Khrushchev, ucraino di nascita, gliela assegnò come parte delle celebrazioni del 300° anno di un accordo russo con i cosacchi. L'ovest è in gran parte cattolico; l'est in gran parte russo-ortodosso. L'occidente parla ucraino; l'est parla principalmente russo. Qualsiasi tentativo da parte di un'ala dell'Ucraina di dominare l'altra - come è stato finora - porterebbe alla fine alla guerra civile o alla divisione del paese. Trattare l'Ucraina come parte di un confronto est-ovest farebbe affondare per decenni qualsiasi prospettiva di portare la Russia e l'Occidente, e in particolare Russia ed Europa, in un sistema internazionale cooperativo.

L'Ucraina è indipendente da soli 23 anni; in precedenza era stata sotto varie forme di dominio straniero sin dal XIV secolo. Non sorprende che i suoi leader non abbiano imparato l'arte del compromesso, tanto meno della prospettiva storica. La politica dell'Ucraina post-indipendenza dimostra chiaramente che la radice del problema risiede nei tentativi dei politici ucraini di imporre la loro volontà alle parti recalcitranti del paese, prima da parte di una fazione, poi dell'altra.

Questa è l'essenza del conflitto tra Viktor Yanukovich» (filorusso) «e la sua principale rivale politica, Yulia Tymoshenko» (filoccidentale). «Rappresentano le due ali dell'Ucraina e non sono stati disposti a condividere il potere. Una saggia politica degli Stati Uniti nei confronti dell'Ucraina cercherebbe di fare in modo che le due parti del paese cooperino tra loro. Dovremmo cercare la riconciliazione, non il dominio di una fazione.

La Russia e l'Occidente, e meno di tutte le varie fazioni in Ucraina, non hanno agito secondo questo principio. Ognuno ha peggiorato la situazione. La Russia non sarebbe in grado di imporre una soluzione militare senza isolarsi in un momento in cui molti dei suoi confini sono già precari. Per l'Occidente, la demonizzazione di Vladimir Putin non è una politica; è un alibi per l'assenza di una politica.  

Putin dovrebbe rendersi conto che, quali che siano i torti che lamenta, una politica di imposizioni militari produrrebbe un'altra Guerra Fredda. Da parte loro, gli Stati Uniti devono evitare di trattare la Russia come un soggetto aberrante a cui insegnare pazientemente le regole di condotta stabilite da Washington. Putin è uno stratega serio, nei termini della storia russa. Comprendere i valori e la psicologia degli Stati Uniti non è il suo forte. Né la comprensione della storia e della psicologia russe è stata un punto di forza dei politici statunitensi.   I leader di tutte le parti dovrebbero tornare a esaminare i risultati possibili, non prendere atteggiamenti competitivi. Questa è la mia idea di un risultato compatibile con i valori e gli interessi di sicurezza di tutte le parti:


1. L'Ucraina dovrebbe avere il diritto di scegliere liberamente le sue associazioni economiche e politiche, anche con l'Europa. 

2. L'Ucraina non dovrebbe aderire alla NATO, una posizione che ho preso sette anni fa, l'ultima volta che si pose la questione. 

3. L'Ucraina dovrebbe essere libera di creare qualsiasi governo compatibile con la volontà espressa dal suo popolo. Fossero saggi, i leader ucraini opterebbero quindi per una politica di riconciliazione tra le varie parti del loro paese. A livello internazionale, dovrebbero perseguire un atteggiamento paragonabile a quello della Finlandia. Quella nazione non lascia dubbi sulla sua fiera indipendenza e coopera con l'Occidente nella maggior parte dei campi, ma evita accuratamente l'ostilità istituzionale nei confronti della Russia[1]

 4. L'annessione della Crimea da parte della Russia è incompatibile con le regole dell'ordine mondiale esistente. Ma dovrebbe essere possibile porre le relazioni della Crimea con l'Ucraina su basi meno problematiche. A tal fine, la Russia riconoscerebbe la sovranità dell'Ucraina sulla Crimea. L'Ucraina dovrebbe rafforzare l'autonomia della Crimea nelle elezioni che si terranno alla presenza di osservatori internazionali[2]. Il processo includerebbe la rimozione di qualsiasi ambiguità sullo stato della flotta del Mar Nero a Sebastopoli.

Questi sono principi, non prescrizioni. Le persone che hanno familiarità con la regione sapranno che non tutti saranno appetibili a tutte le parti. L'obiettivo non può essere la soddisfazione assoluta, ma una equilibrata insoddisfazione. Se non si raggiunge una soluzione basata su questi o altri elementi comparabili, la deriva verso lo scontro è destinata a precipitare. Il momento arriverà abbastanza presto».

E conclude:

«L'Ucraina non dovrebbe aderire alla NATO. Se non si raggiunge una soluzione basata su questi o altri elementi comparabili, la deriva verso lo scontro è destinata a precipitare».

Per comprendere veramente i caratteri e le cause della presente guerra e volere veramente la pace, occorre conoscere tutte le cause, altrimenti gli effetti rimangono. Ora la causa di questa guerra non è solo la voglia della Russia di dominare l’Ucraina, per cui questo conflitto non si riduce ad un’invasione dell’Ucraina da parte dei Russi; Ma ciò che ha consentito l’invasione dell’Ucraina, come ha rilevato bene Kissinger, è uno stato di divisione, contrapposizione e frantumazione interna politico-religioso-nazionale che si trascina da secoli.

La guerra, quindi, non è solo una guerra di Putin contro l’Ucraina, ma è una guerra dell’Ucraina contro se stessa, è una guerra civile tra filorussi e antirussi, tra filoccidentali e antioccidentali. Chi ha interesse a nascondere questo aspetto? Evidentemente gli Americani, che vogliono presentarsi come i liberatori della povera Ucraina martoriata dal tiranno e macellaio Putin.

Per estinguere questa guerra e raggiungere la pace, occorre quindi ascoltare le sagge esortazioni di Kissinger a fare in modo che l’Ucraina trovi la pace con se stessa. Tutto questo mio articolo batte questa strada sottolineando l’aspetto spirituale-religioso, o «conflitto metafisico», come ha detto il Patriarca Cirillo, aspetto che è di mia competenza come teologo e storico della teologia.

Ma è interessantissimo come a far notare questo aspetto sia proprio l’ebreo americano Kissinger, uomo di autorevolissimo prestigio politico. Ciò indubbiamente va ad onore degli Stati Uniti e dimostra la sua tradizionale libertà di pensiero; ma è anche un forte richiamo, rimprovero e avvertimento agli stessi Stati Uniti, che speriamo essi vogliano ascoltare.

 

La seduzione del nazionalismo nazista: Stepan Bandera

Dal blog di Dino Valle:

«Durante la seconda guerra mondiale, alla guida del movimento nazionalista ucraino OUN, Bandera fondò l’esercito partigiano UPA, che combatté prima contro i polacchi, poi contro l’Armata rossa al fianco dei nazisti, e poi contro gli stessi tedeschi.

Polacchi e sovietici rappresentavano la minaccia principale al nazionalismo ucraino, e l’avanzata nazista fu vista con opportunismo come un’occasione per sconfiggerli. Quando poi l’occupazione tedesca si mostrò un ostacolo per la creazione dell’Ucraina indipendente cui mirava l’OUN, Bandera non ci pensò due volte e organizzò una rivolta. Fu arrestato e richiuso nel campo di concentramento di Sachsenhausen. Quando l’Armata rossa cominciò la riconquista dell’Ucraina, fu liberato e usato per animare la resistenza antisovietica. I tedeschi rappresentavano pur sempre il male minore rispetto ai sovietici.

Gli uomini di Bandera, in nome del nazionalismo ucraino, hanno portato avanti una pianificata pulizia etnica in Galizia e Volinia uccidendo, secondo le stime più prudenti, 60mila polacchi. Durante l’alleanza con i nazisti hanno certamente contribuito, almeno indirettamente, allo sterminio della popolazione ebraica di quelle regioni, anche se non c’è accordo tra gli storici circa una loro attiva partecipazione al massacro degli ebrei.

L’OUN non era un’organizzazione antisemita, eppure Bandera non esitò a disporre lo sterminio degli ebrei insieme a polacchi e russi, ma anche ad accoglierli nella propria organizzazione e a proteggerli dai tedeschi quando questo faceva comodo alla causa nazionale. Bandera e i suoi hanno combattuto una guerra partigiana, cinica e spietata, non preoccupandosi di eliminare chiunque costituisse un ostacolo al predominio degli ucraini a ovest del Dnipro.

L’accusa più comunemente rivolta dagli ucraini del sud e dell’est – diciamo, dai russi d’Ucraina, russofoni e russofili, e comunque anti Maidan – a chi ha preso parte o anche solo appoggiato le manifestazioni che hanno portato alla caduta di Janukovič è quella di celebrare un collaborazionista della Wehrmacht come fosse un eroe e chiamare poi il governo di Kiev “giunta fascista”.

D’altro canto, le occasioni sono state offerte in quantità. Una gigantografia di Bandera ha accompagnato tutti i giorni di Euromaidan, osservando dal palco di piazza Indipendenza gli scontri che hanno infiammato la città. La bandiera rossonera dell’UPA sventolava sulle barricate stagliandosi contro il fumo nero degli pneumatici. E il saluto che era stato dei partigiani – Gloria all’Ucraina, gloria agli eroi – è diventato il motto patriottico di quegli ucraini che raggruppiamo sotto l’etichetta semplicistica di “filoeuropei”, dal Pravy Sektor agli studenti di Leopoli, ai militari impegnati nell’operazione di riconquista dell’est.

Bandera è un brand. A Ternopil’, Ivano-Frankivsk, Leopoli ma anche a Kiev è sulle magliette, sulle bandierine per le auto, sulle tazze per il tè, sulle spille. Si può dire che chi le indossa è un neonazista antisemita? “Non abbiamo ancora fatto i conti per bene con la nostra storia recente”. Aleksandr vuole essere chiamato Alessandro. È uno dei “bambini di Černobyl”. Ha trascorso molte estati sul litorale romano e parla italiano come se fosse sempre vissuto a Ostia, anche se oggi abita a Kiev e in Italia non ci viene più. “Che vuoi, con l’isolamento sovietico la storia era solo quella dei libri scritti a Mosca. E poi dopo è stato un po’ un fai da te. Ognuno ha ripescato eventi e personaggi che facevano comodo, senza passare per una seria analisi storica. Certo, ora sarebbe il caso di farlo, ma questo non vuol dire che tutti quelli che ricordano Bandera come un eroe nazionale siano razzisti e antisemiti”.

Dopo l’indipendenza le due Ucraine etnico-linguistiche si sono distinte anche nella toponomastica. C’è stata un’Ucraina rimasta fedele a un’identità legata al passato sovietico, dove le strade e le piazze sono ancora intitolate alla Rivoluzione d’Ottobre e agli eroi dell’Urss, e dove i monumenti di Lenin avevano sempre fiori freschi ai loro piedi. E c’è stata un’Ucraina che ha cercato di ricostruirsi un’identità nazionale, aggrappandosi a frammenti di un passato un po’ sepolto, dove le statue del poeta Taras Ševčenko hanno scalzato quelle di Lenin dai piedistalli, e la toponomastica si è riempita di personaggi riemersi da una storia in parte ancora da scrivere, dal re Danylo Halytsky a Bogdan Khmelnytsky. E in mezzo c’è finto pure Bandera.

Leopoli è la città in cui più è celebrata la sua immagine. Nel punto in cui la via che porta il suo nome incrocia il viale Eroi dell’Upa, una sua statua di bronzo sta in piedi, fiera, sotto il tridente ucraino. E la sua casa natale, nel vicino villaggio di Stryi, è diventata un museo.

Masha è di Leopoli ma è stata nella Maidan di Kiev. Ha fatto la sua parte distribuendo tè e sandwich a chi combatteva, a chi presidiava le barricate. Lei è ucraina che parla ucraino, non ha mai potuto soffrire chi ha governato fino a ieri e non vuole vedere il suo paese nelle braccia della Russia. “Ma non posso votare per chi si rifà a un passato razzista. Non posso stare con chi dice che Bandera era un eroe, anche se oggi combatte per una giusta causa. Secondo me bisognerebbe dirlo chiaramente. In fondo, che bisogno c’è di tirare in ballo Bandera oggi per combattere i politici corrotti e chiedere una democrazia moderna?”

Nel 2010, il presidente “arancione” Viktor Juščenko conferì la medaglia di eroe dell’Ucraina alla memoria di Bandera, ma il decreto – da subito molto contestato da diverse parti politiche e dichiarato illegale dal tribunale di Donetsk – fu poi annullato dal suo successore, Janukovič. Anche la morte di Bandera è motivo di divisione. L’autopsia sul suo corpo concluse che era stata causata da cianuro. Tre anni dopo, il tribunale di Karlsruhe stabilì che a ucciderlo era stato il KGB, su ordine diretto di Kruščëv. Per alcuni un assassinio, per altri la giusta fine di un criminale».

L’amor di patria non va confuso col nazionalismo 

Non bisogna confondere il nazionalismo col patriottismo. Il cristiano è un patriota, ma non un nazionalista. Col pretesto che tutti siamo cittadini del mondo, il patriota non è un ente astratto, uno spiantato, senza concrete radici storiche e territoriali, non è un apolide qualunquista, che per amor di quieto vivere, si atteggia a pacifista, contro qualunque uso della forza, come fossimo tutti ancora nel paradiso terrestre, innocenti e di buona volontà, o già nella Gerusalemme celeste, liberi da ogni inclinazione al peccato e all’omicidio. Il patriottismo, al contrario è un dovere umano prima che cristiano, più volte esaltato e raccomandato da San Giovanni Paolo II, come adempimento del IV Comandamento «onora tuo padre e tua madre».

Cosa ben diversa, benchè apparentemente simile, è il nazionalismo, più volte condannato da Papa Francesco, come divinizzazione idolatrica ed egoistica della propria patria, vogliosa di primeggiare sulle altre, anziché esserne sorella, nel consesso della comunità internazionale, dove la diversità delle patrie fra di loro consente una reciproca integrazione ed amicizia nella concordia sui valori universali e nella pace.

Il nazionalismo ha un teorico famoso e seducente in Hegel, il quale elaborò questa teoria applicandola al popolo tedesco, destinato, secondo lui, dopo l’avvento di Lutero, a diffondere il vero Vangelo a tutto il mondo al posto della sorpassata Chiesa cattolica. Lo Spirito del mondo, il Weltgeist, il Dio immanente alla storia, per Hegel, si determina nel Volksgeist, lo spirito del popolo, ed eminentemente il popolo tedesco, il quale soppianta in questa missione messianica il vero popolo di Dio, Israele e per conseguenza la Chiesa, nata da questo popolo. Questo è il motivo profondo, per il quale il nazismo volle sterminare gli Ebrei: l’invidia come popolo prediletto da Dio, aldilà dei motivi razziali, che del resto s’inseriscono in questo quadro[3].

In conformità alla tradizione dell’antica mitologia germanica degli dèi guerrieri, il Tedesco è, secondo Hegel, il popolo più forte ed abile degli altri nell’arte della guerra. Per questo Hegel fa un’esplicita apologia della guerra come espressione della vitalità di un popolo, fattore di progresso storico, espressione del processo dialettico del divenire dall’Assoluto.

Dobbiamo allora dire che è giusta l’esigenza dell’unità e indipendenza dell’Ucraina, ma sbagliata fu la base ideale su cui fondarla: Bandera avrebbe dovuto prendere a modello non il Volksgeist di Hegel, ma la concezione cristiana della patria. Bandera, se fosse stato saggio e vero amante della patria, avrebbe potuto e dovuto farsi ispiratore del vero patriottismo ucraino, fondato sul battesimo di san Vladimiro, principe di Kiev, tanto più che Bandera, figlio di un prete cattolico uniate, aveva ricevuto un’educazione cattolica.

Fine Seconda Parte (2/4)

P. Giovanni Cavalcoli       

Fontanellato, 12 maggio 2022

Memoria della Prima Apparizione della Madonna a Fatima


 

 

Per estinguere questa guerra e raggiungere la pace, occorre quindi ascoltare le sagge esortazioni di Kissinger a fare in modo che l’Ucraina trovi la pace con se stessa. Tutto questo mio articolo batte questa strada sottolineando l’aspetto spirituale-religioso, o «conflitto metafisico», come ha detto il Patriarca Cirillo, aspetto che è di mia competenza come teologo e storico della teologia.


Dobbiamo allora dire che è giusta l’esigenza dell’unità e indipendenza dell’Ucraina, ma sbagliata fu la base ideale su cui fondarla: Bandera avrebbe dovuto prendere a modello non il Volksgeist di Hegel, ma la concezione cristiana della patria. Bandera, se fosse stato saggio e vero amante della patria, avrebbe potuto e dovuto farsi ispiratore del vero patriottismo ucraino, fondato sul battesimo di san Vladimiro, principe di Kiev, tanto più che Bandera, figlio di un prete cattolico uniate, aveva ricevuto un’educazione cattolica.


Immagini da Internet:
- Henry Kissinger
- Stepan Bandera

[1] Solo di recente, purtroppo, la Finlandia è venuta meno a questa neutralità chiedendo di entrare nella NATO. Ma a che cosa serve ciò per raggiungere la pace?

[2] Purtroppo ciò non è avvenuto e l’ONU non ha riconosciuto il valore del plebiscito che ha portato la Russa ad annettersi la Crimea.

[3] Questo è il motivo individuato dal Maritain. Vedi il suo libro Il mistero d’Israele e altri saggi, Morcelliana, Brescia 1964.         

 


2 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    a proposito del nazionalismo ucraino filo-nazista, ma soprattutto anti-russo, negli anni 30 – 40 del secolo scorso, ritengo sia utile puntualizzare che esso non sorse solo per fascinazione verso le ideologie nazi-fasciste dell’epoca, ma anche come reazione alla grande carestia che il popolo ucraino aveva patito, in conseguenza della politica sovietica di collettivizzazione forzata della terra (1929 – 1933), che va sotto il nome di “Holodomor”.
    Nel marzo 2008 il parlamento dell'Ucraina e diciannove nazioni indipendenti hanno riconosciuto le azioni del governo sovietico nell'Ucraina dei primi anni trenta come atti di genocidio. Una dichiarazione congiunta dell'ONU del 2003 ha definito la carestia come il risultato di politiche e azioni “crudeli” che provocarono la morte di milioni di persone.
    Ciò precisato, non vuole comunque giustificare il fatto che, durante la Seconda Guerra mondiale, milizie ucraine ultranazionaliste, per appoggiare i nazisti contro i russi-sovietici, si prestarono a partecipare attivamente a eccidi di civili ebrei e polacchi.

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    1. Caro Bruno,
      la ringrazio per questi ragguagli, notizie che nell’insieme conoscevo già, anche se non ho pensato di pubblicarle.
      Probabilmente una parte notevole del popolo ucraino mantiene nei confronti della Russia un atteggiamento di rancore e di diffidenza, un fattore che certamente contribuisce allo svolgersi della guerra attuale.

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