La presenza dello Spirito Santo - Stiamo vivendo l’età dello Spirito Santo inaugurata a Pentecoste - Quarta Parte (4/5)

 La presenza dello Spirito Santo

Stiamo vivendo l’età dello Spirito Santo inaugurata a Pentecoste

 Quarta Parte (4/5)

Sant’Agostino infatti nel De civitate Dei, libro XX, cc. VII-X, vede l’inizio dell’era dello Spirito, che è l’era della Chiesa terrena, nella «prima risurrezione spirituale, ossia nel Battesimo e nella Pentecoste, resurrezioni delle quali delle quali parla il c.20 dell’Apocalisse appunto sotto l’immagine di una «prima risurrezione». La seconda risurrezione è invece quella effettiva, corporea, finale alla Venuta di Cristo.

Agostino vede tra la prima e la seconda risurrezione, tempo che rappresenta la durata della Chiesa terrena, una lotta o  conflitto fra la città di Dio, la Chiesa, e la città di Satana, il mondo dei malvagi, conflitto adombrato nel c.12 dell’Apocalisse sotto l’immagine della Donna che ha partorito il «Figlio maschio, destinato a governare tutte le genti con scettro di ferro» (v.5), Donna che viene attaccata da un drago, immagine delle potenze sataniche (v.13), voglioso di divorare il Figlio della Donna (v.3). Famosi sono i due princìpi sui quali, secondo Agostino, si basano le due città: la prima, l’amor Dei usque ad contemptum sui; la seconda, l’amor sui usque ad contemptum Dei.

Nel XII sec. Gioachino da Fiore annunciò l’era dello Spirito Santo che egli intese come presenza dello Spirito Santo non come rivelatore del Vangelo annunciato da Cristo e destinato a durare fino alla fune del mondo, ma come una venuta dello Spirito che avrebbe dovuto verificarsi al suo tempo con l’annuncio di quel «Vangelo eterno» (Ap 14,6), del quale parla l’Apocalisse.

Gioachino non capì che l’era dello Spirito era già iniziata a Pentecoste con la fondazione della Chiesa, per cui non c’era più da attendersi un Vangelo eterno che superasse quello temporale in vigore fino ad allora, giacchè il vangelo eterno del quale parla l’Apocalisse non è altro che il Vangelo di Gesù Cristo che la Chiesa stava diffondendo nel mondo per mezzo degli apostoli e che diffonderà immutato fino alla fune del mondo. Gioacchino, per la verità, accettava l’autorità del Papa nella diffusione del Vangelo, temporale o eterno ce fosse e per questo sottopose umilmente al giudizio del Papa le sue profezie.

L’intuizione felice di Gioachino fu quella di dividere la storia in tre età corrispondenti a tre successive manifestazioni delle Tre Persone della Santissima Trinità. L’età più antica fu quella del Padre, iniziata con la caduta dei progenitori e durata fino alla venuta di Cristo, che inaugura l’età del Figlio, al quale, con l’invio dello Spirito Santo a Pentecoste inizia l’età dello Spirito. Ma a questo punto Giochino divide l’età dello Spirito in due periodi, uno prima di lui, espressione del Vangelo temporale e un’altra, che secondo lui sarebbe iniziata nel 1260, annunciatrice di quel «Vangelo eterno» che è annunciato da un angelo in Ap 14,6.

Ma anche questa periodizzazione della storia in relazione alla progressiva manifestazione della Trinità presenta la futura venuta dell’era dello Spirito in una forma che sembra voler costituire un superamento del nostro rapporto col Figlio e col Padre. Da ciò verrebbe la conseguenza che nell’età dello Spirito la dogmatica insegnata dalla Chiesa, il cui pastore è il Papa, Vicario del Figlio, sarebbe superata da una superiore conoscenza mistica o da una superiore interpretazione del Vangelo garantite dallo Spirito., Gioachino non intendeva questo, cosa che è testimoniata dal suddetto gesto di sottoporre i suoi scritti al giudizio del Papa.

Inoltre egli presentava il successivo manifestarsi delle divine Persone senza tener conto che esse essendo un unico Dio, agiscono sempre assieme nella storia, ma secondo un certo avvicendamento, un po’ come in una diocesi ad un vescovo ne succede un altro. Ciò sembra esser dovuto al fatto che egli, accentuando troppo la distinzione delle persone, finiva per dimenticare che esse sono pur sempre il medesimo Dio.

È vero che la funzione delle singole Persone verso di noi è diversa, ma occorre tener presente che tale diversità non qualifica le Persone come tali, ma si tratta semplicemente di appropriazioni o accentuazioni di attributi e poteri divini, che sono propri della divinità come tale comune alle tre Persone[1]. Ciò che le distingue essenzialmente e sufficientemente come Persone è la generazione (Padre), l’esser generato (Figlio) e il procedere ab Utroque (Spirito)

Purtroppo il suo modo di esprimersi e la sua stessa concezione della Trinità tendenzialmente triteista[2] si prestava a questa interpretazione, sicchè i suoi scritti sarebbero stati utilizzati dai protestanti e si trova traccia di gioachimismo anche nell’idealismo di Schelling[3] e di Hegel con la loro idea di un’età dello Spirito[4] come immanenza di Dio nella storia intesa come attuazione di Dio, al di fuori della dogmatica cattolica.

Così nella visione gioachimita sembra respinta l’idea che la conoscenza dello Spirito conduce al Figlio e il Figlio conduce al Padre come insegna chiaramente il Cristo giovanneo, ma pare che con la venuta del «Vangelo eterno» sia superata e la conoscenza del Figlio e quella del Padre. Ciò era senz’altro alieno dal pio Gioachino, ma è chiaro che un’idea del genere è senz’altro eretica.

Nella linea di Agostino e di Gioachino da Fiore si pone nel sec. XVIII Gianbattista Vico con la sua «scienza nuova»[5], la quale si propone di rintracciare nella storia l’esecuzione logica, motivata e necessaria del piano della divina provvidenza, che non esclude affatto il libero arbitrio umano e i suoi contrasti di buone e cattive azioni, ma tutto fa convergere verso l’attuazione del medesimo piano. Questa scienza ha una sua verità, che è ciò che e il perché e il fine di ciò che l’uomo e Dio fanno o compiono nel corso del tempo nella realtà di questo mondo.

Nella storia, dunque, al di là del concreto e dell’individuale, esiste per Vico un’universalità di valori; al di là del contingente esiste una necessità logica o ideale; al di là del casuale, vi sono nessi di causa ed effetto; a prescindere dal mistero delle cause c’è la chiarezza dei fatti; il reale storico è l’ideale realizzato; al di là del tempo c’è l’eterno; nel temporale è presente l’Eterno. Ora la scienza è appunto scienza del perché, dell’universale, dell’immutabile, del razionale, del necessario, dell’ideale.

Ecco allora Vico parlare di una «storia ideale eterna» come spiegazione della storia intesa come successione di fatti umani. Nella realtà storica, al di là dell’oscurità della materia e del sensibile, l’idealità no è assente. La storia è maestra di vita perché mostrando che cosa succede e le sue conseguenze, mostra che cosa fare per avere o evitare le sue conseguenze. Una medesima azione infatti non può non avere i medesimi effetti e i medesimi motivi, per cui, posti i motivi, attuata l’azione, non c’è da attendersi che quegli effetti.

Hegel riprenderà questa impostazione di Vico con la differenza che mentre Vico cattolico rispetta pienamente la trascendenza del Dio eterno ed immutabile rispetto al divenire storico, ., il cui concetto di Dio è desunto non dal biblico Colui-Che-È, ma da Eraclito, il mondo è lo stesso divenire di Dio e Dio è il Dio che si fa mondo. Il vero fondatore della storia, dunque, non è Hegel, ma Vico[6].

Nel sec.XVI peraltro arriverà Lutero, il quale, pensando di applicare le parole di S.Paolo relative alla libertà cristiana e al regime dello Spirito, credette di sentire l’avvento dell’era dello Spirito per il suo tempo e quindi respinse la convinzione cattolica tradizionale che l’era dello Spirito fosse iniziata a Pentecoste con la missione degli apostoli sotto la guida di Pietro.

Secondo Lutero, come si sa, nei secoli precedenti il papato si era mondanizzato e paganizzato, fino a tradire il Vangelo e il messaggio di S.Paolo. Lutero invece si convinse di aver riscoperto lui il Vangelo dello Spirito nella sua autenticità, scoperta che comportava la cessazione del papato sostituito dall’ascolto diretto della voce dello Spirito.

Egli cioè, si è ritenuto direttamente ispirato dallo Spirito Santo nell’interpretare la Sacra Scrittura, senza che gli fosse necessario tener conto dell’interpretazione fattane dal Magistero. Questa abitudine si ritrova nei filosofi idealisti del sec. XIX, come Schelling ed Hegel, i quali similmente si considerarono uomini dello Spirito annunciatori di un’era dello Spirito, nella quale Dio sarebbe stato tutto in tutti (Cf I Cor 15,28), un’era quale quella annunciata dal profeta Geremia, nella quale tutti conosceranno Dio (Ger 31,34). Non c’è più l’Uno al di sopra del tutto, ma tutto è Uno. Tutto è Dio. Dio non è Dio senza il mondo.

Schelling sviluppa la posizione di Lutero, il quale avrebbe esplicitato il cristianesimo spirituale paolino come cristianesimo della libertà, contro il legalismo di Pietro, che pure conserva la sua funzione di custode della tradizione e della sostanza del cristianesimo. Per questo secondo Schelling, il futuro ci darà una Chiesa dello Spirito, che sarà la sintesi e ad un tempo il superamento del legalismo petrino e del liberismo paolino. Siamo ancora daccapo con una eco del gioachimismo estremista dell’età dello Spirito indipendente dal dogma.

Sulla stessa linea di Schelling è Hegel, il quale concepisce egli pure lo Spirito in forma triadica, senza tuttavia i riferimenti empirici – Pietro, Paolo e Giovanni – fatti da Schelling, perchè ad Hegel pare sufficiente la sua triade dialettica di affermazione, negazione, negazione della negazione.

Così Hegel delinea la manifestazione triadica dello Spirito:

 

«Il contenuto della verità è lo Spirito stesso, il movimento interiore vivente. La natura di Dio di essere puro Spirito si rivela all’uomo nella religione cristiana. Ma che cosa è lo spirito? Lo Spirito è l’uno, l’infinito uguale a se stesso, l’identità pura, la quale in secondo luogo si separa da sè come altro da sé, come essere per sé e dentro di sé contro la sostanza universale. Tuttavia questa separazione è superata, perché la soggettività atomistica, in quanto semplice relazione con sé, è a sua volta la sostanza universale, l’identità con sé.

 

Quando diciamo che lo Spirito è la riflessione interiore assoluta attraverso l’assoluta distinzione di se stesso e l’amore come sentimento, il sapere come Spirito, ciò vuol dire che lo Spirito è concepito come trino; il Padre, il Figlio e la loro differenza, concepita nella sua unità come Spirito. Inoltre dobbiamo notare che tale verità contiene la relazione dell’uomo alla verità stessa. Lo Spirito si oppone a sé come altro da sé ed è ritorno a sé a partire da questa differenza. L’altro, concepito nell’idea pura è il Figlio di Dio; ma quest’altro, nella sua separatezza è il mondo, la natura e lo spirito finito; perciò lo spirito finito è posto a sua volta come momento di Dio»[7].

Ecco le solenni dichiarazioni di Hegel annuncianti l’era dello Spirito:

 

«Non è difficile a vedersi come la nostra età sia un’età di gestazione e di trapasso a una nuova era: lo Spirito ha rotto i ponti col mondo del suo esserci e rappresentare, durato fino ad oggi; esso sta per calare tutto ciò nel passato e versa in un travagliato periodo d trasformazione.  Invero lo Spirito non si trova mai in condizione di quiete, preso com’è in un movimento sempre progressivo.

 

Ma a quel modo che nella creatura, dopo lungo placido nutrimento, il primo respiro, in un salto qualitativo, interrompe quel lento processo di solo accrescimento quantitativo e il bambino è nato; così lo Spirito che si forma matura lento e placido verso la sua nuova figura e dissolve brano a brano l’edificio del suo mondo precedente; lo sgretolamento che sta cominciando è avvertibile solo per sintomi sporadici: la fatuità e la noia che invadono ciò che ancor sussiste, l’indeterminato presentimento di un ignoto, sono segni forieri di un qualche cosa di diverso che è in marcia.

 

Questo lento sbocconcellarsi che non altera il profilo dell’intiero, viene interrotto dall’apparizione che, come un lampo, d’un colpo, mette innanzi la piena struttura del nuovo mondo.  Solo, un cotal “nuovo” ha tanto poco una piena effettualità, quanto il neonato; ed è essenziale non lasciar fuori di considerazione questo punto. Il primo sorgere è essenzialmente un’immediatezza; è, in altri termini, il concetto di quel nuovo mondo. Quanto poco un edificio è compiuto quando le sue fondamenta sono gettate, tanto poco il concetto dell’intiero che è stato raggiunto, è l’intiero stesso»[8].

 

«Nel mondo è sorta un’era nuova: Sembra che lo Spirito universale sia riuscito a liberarsi da ogni estranea essenza oggettiva, ad intendere finalmente se medesimo come Spirito assoluto, a produrre dal suo interno quel che gli sta innanzi e, in quiete, di fronte ad esso, a tenerlo in suo potere. Cessa la lotta tra l’autocoscienza finita e l’autocoscienza assoluta, che a quella appariva fuori di lei. L’autocoscienza finita ha cessato d’esser finita; e in tal modo d’altra pare l’autocoscienza assoluta ha conseguito quella realtà, che prima le mancava. Tutta la storia universale in genere e la storia della filosofia in particolare, rappresentano solo questa lotta e sembrano esser pervenute alla loro meta nel punto in cui l’autocoscienza assoluta, di cui esse hanno la rappresentazione, ha cessato d’essere alcunché di estraneo, in cui dunque lo Spirito è reale come spirito.

 

Infatti tale è esso soltanto in quanto sa se stesso come Spirito assoluto; e questo lo sa nella scienza. Lo Spirito produce se stesso come natura, come Stato; quella è la sua opera incosciente, in cui esso è a se stesso un altro, non come Spirito nello Stato, nei fatti e nella vita della storia, come anche nell’arte, esso si produce bensì in modo cosciente; sa parecchie specie della sua realtà. Unicamente nella scienza però esso si sa come Spirito Assoluto; e questo sapere soltanto è lo Spirito, è la sua verace esistenza. Questo è dunque il punto di vista dell’età nostra; e con ciò la serie delle formazioni spirituali è ora conchiusa»[9]

Arriverà così nel secolo scorso Giovanni Gentile, sedicente cattolico, per il quale l’io umano si identifica con l’Io assoluto. L’essere è l’essere-pensato-da-me. Dio non è più al di là di me, ma è in me. Il mio atto di pensare è il mio atto d’essere. Non esiste più un insieme di individui umani, gli uni distinti dagli altri come diverse sostanze, e neppure esiste una molteplicità di individui umani trascesi dallo Spirito, ma la molteplicità degli spiriti umani non è altro che una molteplice manifestazione dello Spirito. Esiste dunque solo lo Spirito, del quale io e gi altri siamo diverse rivelazioni, manifestazioni, finitizzazioni, concretizzazioni nella storia.

Gentile è l’erede della concezione hegeliana dello Spirito. E come Hegel vide l’era dello Spirito nello Stato Prussiano, così Gentile vide l’era dello Spirito nello Stato fascista. Ed è ben noto che i fascisti parlassero di un’”era fascista”. Lo Spirito del quale parla Gentile è dunque quello che secondo lui si attua nell’era fascista:

 

«Lo spirito è coscienza, sintesi di soggetto e oggetto, che perviene bensì nell’autocoscienza all’unificazione dell’oggetto col soggetto, ma in un’identità che, in quanto la stessa autocoscienza è coscienza, si sdoppia ipso actu nella dualità del soggetto-oggetto e del soggetto-oggetto. E, chi ben guardi, l’autocoscienza è immanente essa stessa nella coscienza, e l’oggetto di questa è pertanto sempre lo stesso soggetto, in un suo momento determinato, oggettivato. La coscienza dell’altro è sempre coscienza di sé, perché l’altro non è mai se non il Sé variamente determinato nel flusso dell’unità, in cui ciascun essere cosciente fa un tutto con l’universo o, meglio, è la coscienza dell’universo.

 

Sicchè lo spirito non è sintesi di due opposti nati come tali; anzi di due opposti che rampollano dall’unità fondamentale dello stesso soggetto o Io. Ma l’Io, che è radice di questa dualità di Io e non-Io, non è l’Io che è opposto al non-Io; questo è l’altro Io che rampolla dal primo, non è il primo. Il quale è realmente la realtà ancora indistinta dei due termini, ossia il Tutto, di cui ognuno di noi sente nel ritmo della propria coscienza il palpito universale»[10].

L’era dello Spirito secondo San Paolo

Notevoli differenze esistono però fra lo Spirito del quale parlano gli idealisti e quello del quale parla San Paolo: prima, che San Paolo  distingue lo spirito dell’uomo dallo Spirito di Dio (I Cor 2,11), come l’effetto è distinto dalla causa, per cui lo Spirito agisce per il ministero dello spirito umano, mentre per gli idealisti lo spirito umano non è un soggetto distinto dallo Spirito, ma è l’attuazione concreta e storica, l’apparizione empirica e la condizione ontologica dello Spirito divino.

Seconda. Per San Paolo

 

«uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare (fanèrosis) dello Spirito per l’utilità comune. … Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. … Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. … Ora, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. … Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (I Cor 12, 4-7. 12-14. 18. 27).

Qui Paolo passa a parlare dallo Spirito a Cristo, ma è chiaro che si tratta sempre di Dio. Occorre fare attenzione al paragone che Paolo fa dei molti fedeli con le membra di un corpo, che è Cristo. Ora è chiaro che in un corpo vivente le membra non sono soggetti esistenti per conto loro, ma componenti o parti del corpo stesso. Il soggetto è il corpo.

Con questo paragone che, se frainteso, sarebbe fuorviante, Paolo intende semplicemente esprimere lo strettissimo vincolo d’amore che stringe i fedeli a Cristo e allo Spirito e di Cristo e dello Spirito ai fedeli. Ovviamente Paolo non ha nessun dubbio che ciascuno di noi è una persona, per cui possiamo e dobbiamo, come credenti, considerarci senz’altro come membra di quel tutto che è la Chiesa, corpo mistico di Cristo, del quale Cristo è il Capo (Ef 1,22-23), per esprimere il fatto che ciascun credente è al servizio del bene comune a somiglianza delle membra di un corpo, che sono tutte funzionali al bene dello stesso corpo. Ma è chiaro che questo stesso bene rifluisce nelle singole membra, le quali a loro volta vivono e beneficiano della vita stessa del corpo. Così avviene per i rapporti vitali dei membri della Chiesa con la Chiesa e della Chiesa con i suoi membri.

Con ciò è nettamente smentita la teoria idealistica dello Spirito, del quale i singoli io empirici non sarebbero che manifestazioni storiche contingenti, senza alcuna consistenza di sostanze distinte da quella Sostanza divina che è lo Spirito, al quale si uniscono non come gli accidenti alla sostanza, alla maniera di Spinoza, ma come creature umane a Dio unite a Dio nell’amore vicendevole e verso Dio. 

Se Paolo parla di manifestazioni dello Spirito, si riferisce ai doni concessi dallo Spirito ai credenti e niente affatto a pretesi «fenomeni» materiali dello Spirito che giustificherebbero l’impianto della Fenomenologia di Hegel. Se tuttavia per fenomeno dello Spirito s’intendesse ciò che intende San Paolo, non ci sarebbe difficoltà a parlare di una «fenomenologia dello Spirito» non in senso idealista-panteista, ma in senso cattolico.

Paolo infatti sembrerebbe nei passi riportati dar spazio alla concezione immanentista e storicista hegeliana, schellinghiana e gentiliana dello Spirito, come unico Io trascendentale, del quale gli io empirici, me e te, non sono che apparizioni momentanee, eventi accidentali, manifestazioni passeggere, «fenomeni» temporali, accidentali, fatti contingenti del corso della storia.

Terza. Mentre per l’idealismo esiste un unico Spirito, che entra in contraddizione con se stesso, oppone sé a sé, per tornare in sé, dalla negazione di sé e mentre la molteplicità sorge dalla molteplicità delle negazioni, che tuttavia restano nell’Io come molti non-Io, per la Scrittura non esiste solo lo spirito, ma esistono anche gli spiriti, angelici ed umani, tra i quali esiste un conflitto sin dall’origine del mondo, una lotta continua con alterne vicende che dura per tutto il corso della storia.

Quando Cristo sta per tornare al Padre, promette agli apostoli l’invio dello Spirito Santo:

 

«Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, Egli mi renderà testimonianza, ed anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me sin dal principio» (Gv 16, 26-27). «Quando me ne andrò vi manderò il Consolatore. E quando sarà venuto Egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio» (v.8).

 

 «Quando verrà lo Spirito di verità, Egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che ha udito e vi annuncerà le cose future. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà» (Gv 16, vv. 13-15).

Fine Quarta Parte (4/5)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 giugno 2023

 

Nel XII sec. Gioachino da Fiore annunciò l’era dello Spirito Santo che egli intese come presenza dello Spirito Santo non come rivelatore del Vangelo annunciato da Cristo e destinato a durare fino alla fune del mondo, ma come una venuta dello Spirito che avrebbe dovuto verificarsi al suo tempo con l’annuncio di quel «Vangelo eterno» (Ap 14,6), del quale parla l’Apocalisse.

Gioachino non capì che l’era dello Spirito era già iniziata a Pentecoste con la fondazione della Chiesa, per cui non c’era più da attendersi un Vangelo eterno che superasse quello temporale in vigore fino ad allora, giacchè il vangelo eterno del quale parla l’Apocalisse non è altro che il Vangelo di Gesù Cristo che la Chiesa stava diffondendo nel mondo per mezzo degli apostoli e che diffonderà immutato fino alla fune del mondo. Gioacchino, per la verità, accettava l’autorità del Papa nella diffusione del Vangelo, temporale o eterno che fosse e per questo sottopose umilmente al giudizio del Papa le sue profezie.

È vero che la funzione delle singole Persone verso di noi è diversa, ma occorre tener presente che tale diversità non qualifica le Persone come tali, ma si tratta semplicemente di appropriazioni o accentuazioni di attributi e poteri divini, che sono propri della divinità come tale comune alle tre Persone[1]. Ciò che le distingue essenzialmente e sufficientemente come Persone è la generazione (Padre), l’esser generato (Figlio) e il procedere ab Utroque (Spirito)



Immagine da Internet: da liber figurarum, Gioacchino da Fiore


[1] Per esempio, quando si dice che lo Spirito Santo è l’Amore, ciò non ma vuol dire che il Padre e il Figlio non amino, ma s’intende semplicemente dire che lo Spirito Santo rappresenta il nesso di unione fra il Padre e il figlio.


 


[1] Per esempio, quando si dice che lo Spirito Santo è l’Amore, ciò non ma vuol dire che il Padre e il Figlio non amino, ma s’intende semplicemente dire che lo Spirito Santo rappresenta il nesso di unione fra il Padre e il figlio.

[2] Gioachino non distingueva nella Santissima Trinità la nozione di natura da quella di persona, sicchè, partendo dal fatto delle tre persine, concepiva la natura non come natura individuale, ma in senso collettivo, come un gruppo di amici. Questa fu la censura che gli fu fatta quando egli era già morto, sia dal Concilio Lateranense del 1215, e sia da Papa Alessandro IV in una sua Decretale del 1255, commentata da San Tommaso negli Opuscula thelogica, vol. I, Edizioni Marietti, Torino-Roma 1954, pp,427-431.

[3] Filosofia della Rivelazione, Edizioni Bompiani, Milano 2002, pp.995,1001,1375. 1419.

[4] Massimo Borghesi, L’età dello Spirito in Hegel, Edizioni Studium, Roma 1995.

[5] La scienza nuova seconda, Edizioni Laterza, Bari 1953.

[6] Dispiace che Maritain, che pure ci ha lasciato il suo ottimo libro Per una filosofia della storia (Morcelliana, Brescia 1967), parlando del fondatore della filosofia della storia, abbia citato Hegel e non Vico. Sono comunque dell’idea che volendo dare un nome alla scienza fondata da Vico, potremmo chiamarla fenomenologia dello Spirito a ben maggior diritto d Hegel, nel quale lo Spirito non è lo Spirito Santo, come nel cattolico Vico, ma è un equivoco «Spirito del mondo» (Welgeist), che ricorda sinistramente quello «spirito del mondo» (pneuma tu kosmu, I Cor 2,12), che non è affatto lo Spirito Santo, ma il demonio., «principe di questo mondo» (Gv 12,31).

[7]Lezioni sulla filosofia della storia, Editori Laterza, Bari 2003, p. 269.

[8] Fenomenologia dello Spirito, Edizioni La Nuova Italia, Firenze 1988, vo.I, pp.8-9.

[9] Lezioni di storia della filosofia, Edizioni La Nuova Italia, Firenze 1981, vol.3,II, p.414.

[10] La religione, Editore Sansoni, Firenze 1965, p.260.

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