Un ritratto plausibile di Papa Francesco - Tra modernisti e passatisti

 Un ritratto plausibile di Papa Francesco

Tra modernisti e passatisti

Utilità di esprimere con saggezza e modestia

un giudizio su Papa Francesco

Numerosi sono oggi i tentativi di dare una valutazione dell’attuale pontificato, il quale suscita certamente un grande interesse e reazioni contrapposte, che faticano ad esprimersi in un giudizio equilibrato e spassionato, perché mancano di un adeguato criterio valutativo. Il clima ecclesiale che stiamo vivendo non lo favorisce a causa del fatto che molti non sanno che cosa significa essere cattolico e si attribuiscono questo titolo in modo inappropriato, perché in realtà accolgono idee estranee al vero cattolicesimo, così come è delineato dal Catechismo della Chiesa Cattolica.

 

Molti, quindi, che si credono o si presentano o sono considerati cattolici,  giudicano il magistero, le idee, la pastorale e il governo di Papa Francesco in base a un concetto di cattolicesimo, di Chiesa e di pontificato, che in realtà risente di idee moderniste, ariane, nestoriane, docetiste, monofisite, filoprotestanti, filomarxiste, razionaliste, evoluzioniste, freudiane, rousseauiane, panteiste, idealiste, induiste, marcioniste, massoniche, secolariste, preconciliari, controriformiste, medioevali.

È evidente come il parere che esce da tali criteri non è capace di rendere giustizia alla persona, agli insegnamenti, alle opinioni, alla linea di governo, alla pastorale e alla condotta morale del Sommo Pontefice attualmente regnante.  Ciò che manca, in particolare, in questi criteri di giudizio, è la distinzione in un Papa tra quello che è l’ufficio petrino del maestro della fede e di pastore universale della Chiesa dal suo essere semplice creatura umana, come tutti noi, ferita dal peccato originale e redenta da Cristo, con particolari doti e difetti,  egli pure, quindi, come tutti noi, discepolo di Cristo, bisognoso di purificarsi continuamente dai peccati, fallibile nelle sue idee e nelle sue opinioni, soggetto all’ignoranza e all’errore, in un continuo cammino e progresso verso il regno di Dio.

Per esprimere un giudizio saggio ed equilibrato su Papa Francesco, è inoltre essenziale sapere con precisione ed oggettività qual è il significato del Concilio Vaticano II e come oggi dobbiamo atteggiarci nei suoi confronti, perché Papa Francesco, come tutti i Papi del postconcilio, ci è guida nell’interpretazione e nella recezione delle dottrine conciliari e nella messa in pratica delle sue direttive e riforme giuridiche e pastorali. 

Inoltre, nel giudicare su Papa Francesco, data la delicatezza e la difficoltà dell’impresa richiedente una formazione teologica, un’esperienza pastorale e una conoscenza dell’essenza, dei compiti e degli uffici del Romano Pontefice, ci si meraviglia che, per quanto mi risulta e mi viene segnalato, chi si cimenta in questa impresa, di per sè assai utile per fare chiarezza, discernere il buono dal cattivo, aiutare i fedeli alla comunione e all’obbedienza al Vicario di Cristo, non siano per lo più teologi o collaboratori del Papa o ufficiali della Curia romana o Cardinali, ma giornalisti, pubblicisti o filosofi o sociologi od opinionisti.

La cosa comunque, in mancanza d’altro, fa piacere perché rende un servizio al popolo di Dio, che viene aiutato nel discernimento e quindi nella fedeltà al Papa, e al Papa stesso, il quale viene aiutato nel suo ministero, gli si segnalano difficoltà e problemi, gli si espongono dubbi, gli si avanzano richieste, gli si suggeriscono iniziative e proposte, gli si offre una correzione fraterna.

Cominciamo ad assestare il tiro

Il più equilibrato e centrato, a mia conoscenza, fra tutti i giudizi finora espressi su Papa Francesco, è quello del noto giornalista cattolico Americo Mascarucci, il quale ha recentemente pubblicato un libro su Papa Francesco dal titolo Papa Francesco in controluce tra modernismo e tradizione[1].

Il ritratto che Mascarucci fa del Papa, come quello di qualunque ritrattista che si rispetti, evidenzia le luci e le ombre. Non si tratta di una fotografia ritoccata, ma che rispecchia la realtà così com’è.  Mascarucci, da buon cattolico, si accosta al Papa con amore, riconoscenza, rispetto e con filiale franchezza e sincerità, Sa che cosa può criticare e che cosa non può criticare. Sa fin dove può arrivare e qual è il limite che non può oltrepassare.  Non strumentalizza il Papa, non lo tira dalla sua parte, non lo adula. Non ne fa un modernista o un rahneriano. Non ne fa un eretico. Non ne pone il magistero in discontinuità con quello pontificio precedente. Lo considera un innovatore, ma non un sovversivo. Non si accanisce spietatamente alla ricerca esclusiva dei suoi difetti veri o presunti.

Il sottotitolo del libro parla di «tradizione»; tuttavia, leggendo il libro, ci si accorge che Mascarucci, mettendo in luce gli opposti estremismi che oggi e da 60 anni affiggono la Chiesa, col termine «tradizione» non intende riferirsi alla Sacra Tradizione, in quanto fonte della Rivelazione insieme con la Sacra Scrittura, ma si riferisce a quei cattolici, i quali sono fermi a un passato ecclesiale e dottrinale superato dalla Chiesa rinnovata e dalle dottrine più avanzate del Concilio Vaticano II e del postconcilio. Questi cattolici, per il loro attaccamento irragionevole a quel passato, possono essere chiamati «passatisti». Li si potrebbe chiamare anche arretrati o anacronistici.

Viceversa, come lascia ben capire Mascarucci, il modernista è colui che intende la modernità come un valore assoluto, dimenticando che essa ha anche errori ed orrori, per cui il modernista, invece di giudicarla alla luce del Vangelo, prende da questo solo quello che piace alla modernità e scarta il resto come superato o sbagliato. Il modernista si picca di essere l’interprete del Concilio, mentre invece ne dà un’interpretazione modernista, mentre i passatisti respingono il Concilio credendo che sia modernista.

Ora è certamente un dovere essere moderni, e di ciò Mascarucci non dubita; il che coincide con l’accettare le dottrine del Concilio, che appunto propongono una Chiesa sanamente moderna e prendono dal pensiero moderno quanto si accorda col Vangelo.

Mascarucci fa capire che modernisti e passatisti sono l’estremizzazione rispettivamente ereticale e scismatica di due fattori normali della dinamica ecclesiale e dottrinale cattolica, rispettivamente il progresso o rinnovamento e la conservazione o fedeltà. Nella loro estremizzazione essi sono incompatibili fra di loro. Ricondotti invece nei loro giusti confini, si richiamano l’un l’altro, sono reciprocamente complementari.

Mascarucci tende a scambiare i termini progressista con modernista e conservatore con passatista. Per capire a chi esattamente si riferisce, occorre guardare il contesto. Egli non confonde i concetti, ma è solo una questione di parole.

Progredire nella conoscenza della verità, nel bene e nella virtù è un preciso dovere. In tal senso la Chiesa è promotrice di progresso dottrinale e morale. In tal senso il cattolico è un progressista. Ma Mascarucci con questo termine indica anche quel falso progresso che comporta la trasgressione della legge morale o dei comandamenti di Dio o della Chiesa.

E per converso Mascarucci denuncia come falsari quei modernisti, che vorrebbero abolire o mutare la legge morale in nome di un falso progresso o rinnovamento e che pertanto accusano di conservatorismo e passatismo quei cattolici che vogliono restar fedeli alle norme immutabili della morale e per conseguenza il Magistero stesso della Chiesa, suprema ed infallibile maestra nel guidare l’uomo alla santità ed all’eterna salvezza.

Ma con questi procedimenti truffaldini, nota il Mascarucci, non abbiamo più qui un sano progressismo, ma un vero e proprio modernismo, simile a quello a suo tempo condannato da S.Pio X. Grave errore pertanto dei modernisti – nota Mascarucci - è lo scambiare per conservatorismo o passatismo chi vuol conservare la legge morale ed esserle fedele nella prassi, come è negli intenti costanti della Chiesa, custode infallibile del deposito rivelato, che contiene anche i precetti supremi della legge morale, di per sé immutabile, anche se essa, nelle singole persone e nel corso della storia, può e deve essere conosciuta e praticata sempre meglio.  Ciò dimostra all’evidenza come conservazione e progresso si richiamano a vicenda, perché la vita morale consiste nel far progredire la conoscenza e la pratica di quella legge morale che dev’essere conservata nella sua immutabilità.

Progredire nella fede vissuta non significa mutare, togliere o aggiungere, ma esplicitare, aumentare, arricchire, sviluppare, chiarire. La Parola di Dio è una realtà vivente e la vita vuol dire crescita, espansione ed aumento, «La carità che non cresce – diceva Sant’Agostino – non è carità».

Il progrediente o vero progressista fa progredire ciò che conserva, e conserva ciò che fa progredire. Quindi il progredire suppone il conservare. È chiaro che i valori da conservare e sviluppare sono sempre quelli: la Parola di Cristo non passa. E tuttavia, sempre meglio dev’essere conosciuta e sempre meglio de’essere praticata. I passatisti seguono l’esempio del’evangelico servo infingardo (Mt 25,26), che, invece di far fruttare il talento ricevuto, lo seppellisce.

Mascarucci usa inoltre il termine «tradizionalista» ora per indicare il passatista, sostenitore di un concetto sbagliato di tradizione (Cf Mt 15,2; Mc 7,3), ora per indicare il conservatore o semplicemente il cattolico rispettoso della tradizione (Cf I Cor 11,2). Il conservare ciò che va conservato è stretto dovere; il conservare ciò che va lasciato è una stoltezza che si può chiamare conservatorismo.

Anche il termine «conservatore» indica ora chi custodisce il deposito (I Tm 6,20; II Tm1, 12) della tradizione, ufficio necessario e prezioso, ora chi vuol conservare cose ormai superate, inutili o in disuso. In tal senso S.Paolo raccomanda di dimenticare il passato (Fil 3,13) e parla di «cose vecchie, che sono passate» (cf II Cor 5,17), mentre occorre essere aperti al nuovo proveniente dal Vangelo (Gv 13,34; II Cor 3,6; Eb 10,20) e dallo Spirito Santo (II Cor 5,17; I Cor 5,7; Col 3,10; Gal 6,15; Ef 2,15; 4,24; II Pt 3,13; Ap 3,12; 21,5).

Mascarucci passa in rassegna dieci punti caldi, paradigmatici rispetto a questo grave problema, relativi a dieci sfere di azione e di pensiero, che toccano tutti gli ambiti principali della vita della Chiesa e per conseguenza dell’azione di Papa Francesco: la teologia (c.1); la devozione mariana (c.2); la famiglia (c.3), il problema del genderismo (c.4); i divorziati risposati (c.5); l’ecumenismo (n.6); il comunismo (n.7); l’inculturazione (n.8); la fratellanza universale (n.9); la liturgia (n.10). Vediamoli nei prossimi paragrafi,

Le questioni centrali

La questione di fondo, dalla quale derivano tutte le altre, e che giustamente Mascarucci pone per prima, è la questione dottrinale. Al riguardo Mascarucci mette a fuoco, con notevole acribia teologica, il nodo centrale da sciogliere, che consiste nel chiarire se Papa Francesco è veramente, come vorrebbero farci credere i Gesuiti rahneriani de La Civiltà Cattolica un criptorahneriano. La risposta di Mascarucci è netta e sicura: no, perché Rahner è un eretico e un Papa non può essere un eretico. Francesco, con fine discernimento, ha certamente fatto suoi taluni aspetti positivi del rahnerismo, che sono in linea col rinnovamento conciliare. Ma nel contempo il Papa ne ha condannato l’errore di fondo, che  consiste in un idealismo panteista di stampo hegeliano[2], condannando l’idealismo[3] e lo gnosticismo[4].

Il sospetto di rahnerismo nel Santo Padre viene da alcuni che ricordano che egli è stato eletto grazie all’apporto dato dalla cosiddetta ben nota «mafia di San Gallo». che era per lo più composta di rahneriani, come i Cardd.Martini, Lehmann, Kasper, Danneels, Silvestrini, Murphy O’Connor.

Le stesse dimissioni di Papa Benedetto probabilmente furono condizionate da una pressione esercitata dai rahneriani, dei quali Benedetto era diventato nemico sin dall’immediato postconcilio, allorchè, dopo essere stato collaboratore di Rahner durante i lavori del Concilio, si accorse della tendenza hegeliana di Rahner e ne prese le distanze, giungendo nel 1982 ad una durissima accusa di hegelismo nel libro Les principes de la théologie catholique[5].

Dalla questione di fondo del rahnerismo, ci mostra Mascarucci, discende il problema pastorale centrale del pontificato di Papa Francesco: la conciliazione fra passatisti e modernisti, facendoli entrare entrambi nell’alveo dell’ortodossia. Ogni cattolico è libero, secondo la sua sensibilità soggettiva, di orientarsi preferibilmente verso il conservare o verso l’innovare, purchè non fuoriesca dal guard-rail dell’ortodossia e della disciplina ecclesiale.

Senonchè purtroppo ormai da 60 anni, dalla fine del Concilio, la Chiesa è tormentata da questa divisione interna, originata da due opposte interpretazioni del Concilio: una, di tipo modernista, che lo strumentalizza a suo vantaggio; e qui giocano soprattutto i rahneriani; l’altra, originata dal movimento di Mons. Lefebvre, ed oggi diramatasi in varie correnti, che si differenziano fra loro per una distanza più o meno grande dalla comunione col Santo Padre: si va dalla Fraternità Sacerdotale San Pio X dei lefevriani, i quali riconoscono Francesco come Papa, ma non ne accettano il magistero ispirato al Concilio; ai seguaci di Roberto De Mattei, i quali accettano Francesco come Papa, ma lo sospettano di eresia; ai seguaci di Mons. Carlo Maria Viganò, che considera Francesco come incapace di governare la Chiesa, meritevole di dimettersi, mentre gli insegnamenti del Concilio andrebbero annullati, a Don Alessandro Minutella, il quale sostiene che Francesco è stato eletto invalidamente, e che Benedetto è il vero Papa e che i Cardinali sono scomunicati, ad Andrea Cionci, che si limita al rifiuto di Francesco come Papa, per sostenere Benedetto, astenendosi dal ritenere scomunicato il sacro Collegio, al Padre Serafino Lanzetta, che riconosce Francesco come Papa, ma respinge le dottrine del Concilio.

Mascarucci riconosce come Papa Francesco è troppo indulgente verso i modernisti e troppo severo verso i passatisti. Ma il problema è che i modernisti hanno acquistato un tale potere nel campo della cultura teologica, e delle istituzioni ed organizzazioni ecclesiali, che ai Papi del postconcilio il contenere la loro invadenza è apparsa un’impresa superiore alle loro forze, considerando anche i lati buoni che essi hanno e che forse i Papi avrebbero dovuto essere più perspicaci nello smascherarli e più energici nel prendere provvedimenti.

Mascarucci nota come il Papa non manca di insegnare nell’ambito dell’etica familiare e sessuale i princìpi morali cristiani, ma che forse per un’eccessiva tolleranza sembra mancare di energia nel richiamare e correggere le persone e i movimenti, la cui condotta e le cui idee offendono gravemente il buon costume e provocano turbamento e scandalo, e spargono disorientamento nell’ambito delle convinzioni morali e religiose.

Anche nel campo della liturgia, nota sempre Mascarucci, il Papa sembra essere troppo autoritario nei confronti della pratica della Messa vetus ordo, mentre pare non preoccuparsi abbastanza dei più gravi disordini e profanazioni liturgici che avvengono negli ambienti modernisti.

Si può osservare allora riassuntivamente, raccogliendo le considerazioni di Mascarucci,  che il Papa insiste nel dire che la Chiesa non deve essere ripiegata su se stessa e che essa non è fine a se stessa. Da qui la sua tematica della Chiesa in uscita, della Chiesa evangelizzatrice, aperta a tutta l’umanità. Cose giustissime. Tuttavia, il vigore missionario della Chiesa e la sua potenza d’espansione, hanno la loro origine, traggono il loro impulso ed ottengono la loro credibilità e capacità di persuadere il mondo dal fatto che la Chiesa dà un esempio di unità e coerenza interna,  pacifica e convinta, certo diversificata e non monolitica e tuttavia salda e compatta, armoniosa e concorde, cosa che purtroppo dalla fine del Concilio sta venendo meno per il sorgere di dissensi e conflitti interni, e di ostinare contrapposizioni, che gli ultimi Papi, per quanto Santi, non sino riusciti a placare e a rimediare.

Il conflitto interno alla Chiesa fra modernisti e passatisti è il riflesso di un dramma che oggi la stessa umanità sta vivendo nella divisione fra occidente cattolico modernista ed oriente ortodosso passatista. La radice profonda, spirituale, «metafisica», direbbe Cirillo, dell’attuale conflitto russo-ucraino. è questa opposizione di modernismo-consevatorismo.

Per capire le radici storiche di questo conflitto, bisogna risalire addirittura alla fondazione del Sacro Romano l’Impero di Nazione Germanica, fondato da Carlo Magno e benedetto da Papa Leone III nell’800. Di lì a poco Carlo Magno avrebbe proposto un’aggiunta al Credo, il famoso Filioque, che successivamente fu accettato dal Papa. Si trattò. dunque un progresso dogmatico, che incontrò il rifiuto del Patriarca di Costantinopoli, che vide in ciò un tradimento della Tradizione e che fu all’origine dello sciagurato scisma del 1054. Lo scisma di Costantinopoli ebbe gli stessi caratteri dello scisma di Mons. Lefebvre: il vedere nel nuovo la pretesa di cambiare ciò che non deve essere cambiato.

In conclusione, come si esce dal rahnerismo? Bisogna che il Papa, nella linea del Concilio e dei Papi da otto secoli a questa parte, ossia dal 1274, quando morì San Tommaso d’Aquino, rinnovi la raccomandazione ai teologi e filosofi cattolici di prendere a modello non Rahner, falsificatore del pensiero tomista, ma lo stesso San Tommaso, oggi rappresentato in modo eccellente dal pensiero di Jacques Maritain, al quale San Paolo VI consegnò il Messaggio del Concilio agli intellettuali, Maritain raccomandato da San Giovanni Paolo II in una lettera personale indirizzata nel 1982 all’Università Cattolica di Milano.

Punti oscuri

Il pontificato di Papa Francesco è senz’altro nella linea del Concilio, ma tende a mantenere l’impostazione buonista della sua parte pastorale, mentre giustamente mantiene le novità dottrinali. Viceversa, Benedetto XVI aveva già detto che la parte pastorale può essere discussa, in quanto essa ha una tendenza buonistica che affloscia l’aspetto ascetico ed agonistico della vita cristiana, ed ha un atteggiamento troppo ottimista nei confronti del mondo moderno, abbassando la guardia contro i suoi errori e considerandolo con una certa ingenuità come se esso fosse tutto composto di uomini di buona volontà in attesa di accogliere il messaggio del Concilio e come se per rendere accettabile il Vangelo agli uomini del nostro tempo bastasse adottare un linguaggio adatto e tutti sarebbero pronti ad accoglierlo. Invece ormai da 60 anni stiamo constatando che non è affatto così. Ci vuole ben altro per attirare le anime. Ci vogliono: preghiera, sacrifici, piena ortodossia, autentica testimonianza di fede vissuta personalmente e comunitariamente.

Nonostante la massima cura per la comprensibilità del linguaggio (si pensi per esempio all’italiano al posto del latino nella Messa), i risultati sono scarsissimi, quando non dobbiamo registrare un gran calo dei cattolici e gran numero di defezioni e di apostasie.

La pastorale conciliare sembra dimenticare che nella vita presente la natura umana, ferita dal peccato originale, non conserva solo le buone inclinazioni originarie, ma tende anche a fare il male, il che richiede misure di contenimento non solo di tipo dialogico, ma anche coercitivo e repressivo, cioè alla misericordia dev’essere accompagnata la severità, severità dei costumi e severità  nella guida pastorale. 

In sostanza, il Concilio, nel reagire all’eccessiva severità del passato, è caduto nel difetto opposto della remissività e della debolezza nei confronti degli assalti e delle insidie del male.  Occorre recuperare una moderata severità senza tornare agli eccessi del passato. Ora, il difetto pastorale dell’attuale Pontefice sembra essere quello di insistere in questo buonismo, anziché correggere l’impostazione conciliare, correzione che peraltro era già stata tentata da S.Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, dopo l’ingenuità di S.Giovanni XXIII e il buonismo di S.Paolo VI.

Questo difetto del Papa attuale si manifesta in vari modi. Innanzitutto si tratta di un difetto di linguaggio, che a volte è o ambiguo o reticente; non è chiaro se per opportunismo o per difetto d’espressione o improprietà di linguaggio; certo è solo un difetto pastorale, dove il Papa può sbagliare, specie se parla a braccio o in modo estemporaneo, un difetto che non tocca la dottrina; e tuttavia può metterla in pericolo, perchè chi ascolta può fraintendere o cadere nell’equivoco o credere che sia negato ciò che è solo taciuto. Mascarucci non tratta questo punto, ma a me pare importante. Facciamo alcuni esempi.

Il Papa parla spesso del dovere di accogliere gli immigrati, ma non sempre precisa che alcuni di essi sono pericolosi perché fanatici islamici o criminali o persone che vogliono vivere alle spalle della società.

Riguardo al problema del rapporto con i luterani, ha espresso un giudizio su Lutero che ha sconcertato molti, non tanto perché sbagliato, ma perchè non precisato. Ha detto: «Era un riformatore. … La Chiesa non era proprio un modello da imitare: c’era corruzione nella Chiesa, c’era mondanità, c’era attaccamento ai soldi e al potere. E per questo lui ha protestato. Poi era intelligente e ha fatto un passo avanti giustificando il perchè faceva questo. … Lui ha fatto una medicina per la Chiesa. Poi questa medicina si è consolidata in uno stato di cose, in una disciplina, in un modo di credere, in un modo di fare, un modo liturgico»[6]

Bastava che specificasse di riferirsi agli inizi dell’attività riformatrice di Lutero, allorchè dette buona impressione anche a uomini di Dio. Fu solo in seguito, infatti, che egli assunse quel tono arrogante e ribelle, che lo condusse all’eresia ed alla separazione dalla Chiesa. Ma è chiaro che il Papa, esprimendosi in tal modo, dà l’impressione di voler dare un giudizio complessivo su Lutero, giudizio che sarebbe profondamente ingiusto, quasi a giustificare la ribellione ereticale di Lutero, cosa che non può avvenire sulla bocca di un Papa, maestro di verità.

Inoltre il Papa, trattando temi d’interesse ecumenico con i luterani, si mostra troppo preoccupato di non scontentarli, per cui, trattando della giustificazione, parla della grazia senza parlare del merito; parla della fede, ma non delle opere; parla della misericordia, ma non del castigo; parla dell’amore ma non della legge; parla della persuasione, ma non della coercizione; parla del perdono, ma non dell’espiazione; parla della mistica, ma non dell’ascetica, parla del paradiso, ma non dell’inferno.

Trattando di ecologia, esalta la bellezza e la provvidenzialità della natura creata da Dio e messa da Lui a sua disposizione affinchè la coltivi e si nutra dei suoi frutti, e tragga da essa mediante il lavoro e la tecnica strumenti sempre più avanzati per i suoi spostamenti nello spazio, per le comunicazioni, per produrre opere d’arte, e per la cura della salute. Esalta la ricerca scientifica, che ci consente di esplorare i segreti della natura e il gusto estetico, che ci consente di ammirarne le bellezze.

Ma non parla dell’ostilità della natura nei nostri confronti, come castigo del peccato originale ed occasione per far penitenza dei peccati. Vede sì la natura come creata da Dio, esorta alla solidarietà in occasione di calamità naturali, ma non dice mai che Dio si serve della sofferenza che ci infligge la natura per correggerci e convertirci e perché offriamo sacrifici per la nostra e l’altrui salvezza. È molto compassionevole verso i sofferenti, ma trova difficoltà a spiegare il perché e l’utilità della sofferenza, salvo poi a parlare con fervore del mistero della Croce.

In occasione del Sinodo sull’Amazzonia, ricorda Mascarucci, abbiamo assistito all’increscioso e scandaloso episodio del culto a Pachamama in Vaticano e in una chiesa romana. Anche qui il Papa non è stato del tutto chiaro, giacchè da una parte ha voluto assicurare che non si trattava di praticare l’idolatria, ma dall’altra ha assistito ad un atto di culto all’idolo nei giardini vaticani ed ha permesso la collocazione temporanea della statuetta in una chiesa romana. 

Bastava che facesse con chiarezza la distinzione fra inculturazione e idolatria: la statuetta poteva considerarsi come simbolo o immagine della madre terra in quanto creata da Dio, e sotto questo aspetto si poteva considerare come esempio di inculturazione della fede cristiana nella creazione della terra, madre e nutrice provvidente. Ma nel contempo occorre evitare di considerare la statuetta, secondo la religione locale, come simbolo della Madre Terra intesa come Dea, oggetto di culto idolatrico. Giustamente, per l’occasione, - rileva Mascarucci - il Card. Brandmüller ha parlato di panteismo.

Mancanza di chiarezza ed ambiguità c’è anche nell’insegnamento dell’Amoris laetitia riguardo alla questione della liceità della Comunione alle coppie di divorziati risposati. Infatti l’unico punto nel quale il Papa tratta di tale eventuale permesso è la nota 351, nella quale si usa il condizionale («potrebbe essere»). Ma, come è noto, una norma non si fa al condizionale, ma all’imperativo o all’indicativo. Che direste di un avviso di questo tenore: «qui si potrebbe parcheggiare tutti i giorni dalle 16 alle 18»?

Il chiedersi se il documento pontificio non metta in forse l’indissolubilità del matrimonio, non mi pare pertinente, perché non è affatto necessario che l’esistenza della nuova oppia supponga lo scioglimento del precedente matrimonio. È chiaro che se si parla di «divorziati», il riferimento è solo al divorzio davanti allo Stato, mentre se i due si erano sposati validamente in chiesa, è chiaro che il legame vale ancora, anche se non è rispettato.

Una cosa da notare è che comunque il Papa prende atto dell’esistenza di questo tipo di coppia e non intìma ad essa di sciogliersi, ma semplicemente ne regola la condotta, facendo capire che anche se non riceve i sacramenti, non per questo non può essere un grazia, ma patto che curi un cammino di conversione.

Inoltre è interessante che il Papa osserva che la colpa può andar soggetta a delle attenuanti a causa della violenza della passione. In ogni caso il Papa respinge la tesi rigorista, secondo la quale la coppia sarebbe permanentemente in uno «stato di peccato», quindi priva della grazia. Egli lascia intendere la possibilità e forse l’inevitabilità – data la situazione - che cada nel peccato grave e quindi perda la grazia, ma la può recuperare confessandosi direttamente a Dio, che perdona anche senza i sacramenti.

Per quanto riguarda l’accordo con la Cina, Mascarucci giustamente tiene conto delle preoccupazioni ed avvertimenti del Card. Zen, ed anche in tal caso la scelta fatta dal Papa non manca di creare dubbi, anche per il fatto che i termini precisi dell’accordo siano segreti. Un bene che interessa tutti come può essere segreto?

Viene il sospetto che la Santa Sede nasconda agli occhi della Chiesa qualcosa di poco pulito o disonorevole e quindi di compromissorio. Il Papa è veramente libero di scegliere i Vescovi che vuole? O è costretto a scegliere dei semicomunisti? È riuscito a far cessare l’opposizione fra cattolici filocomunisti e cattolici emarginati? Tra i fedeli al Papa e cattolici succubi del regime (naturalmente chiamati «patriottici» dal regime), antepone forse i cattolici filocomunisti ai cattolici contrari agli errori del comunismo ed integralmente fedeli al Papa ed alla dottrina della Chiesa? Preferisce essere obbedito più da quelli che da questi?

Anche in tema di fratellanza il pensiero del Papa dev’essere chiarito. Quando egli dice che «siamo tutti fratelli», egli chiaramente si riferisce ad una fraternità di carattere meramente naturale, corrispondente al comune possesso della ragione, caratterizzante l’essenza dell’uomo, e quindi di tutti gli uomini, tutti soggetti alle medesime leggi dell’etica naturale, tutti chiamati da Dio a quella superiore e soprannaturale fratellanza, specificante cristiana, che è l’esser figli di Dio Padre, fratelli di Cristo, ad immagine di Cristo, Figlio del Padre nello Spirito Santo.

Su questo piano della fratellanza cristiana è chiaro che i fratelli sono solo i cristiani battezzati, anche se chi non conosce il Vangelo e tuttavia vive in onestà di coscienza, è certamente reso figlio di Dio dallo Spirito Santo senza che ne abbia consapevolezza, anche perché senza la figliolanza divina la salvezza è impossibile e Dio vuol salvare tutti. 

Buone iniziative 

Mascarucci non cita alcuni importanti e direi storici interventi del Papa, che risultano essere totalmente nuovi in tutta la storia del papato e quindi molto interessanti. Essi sono: la già citata condanna dello gnosticismo; la catechesi sulla lotta contro Satana e l’accordo di Abu Dhabi con i musulmani.

Nessun Papa prima dell’attuale Pontefice aveva mai condannato lo gnosticismo, dottrina filosofico-esoterica sorta nei primi secoli del cristianesimo dalla mescolanza di dottrine orientali, neoplatoniche e pitagoriche e miti pagani orfici, teogonici e ierogamici con le dottrine cristiane, il tutto ispirato dalla prospettiva di un sapere assoluto, «gnosi», che riappare nell’idealismo panteista tedesco e nella massoneria. Ora Rahner attinge da qui. Dal che abbiamo la prova lampante dell’opposizione del Papa a Rahner.

Nessun Papa fino all’attuale ci aveva mai dato tante indicazioni sul come combattere il demonio e vincere e sue tentazioni. Infatti, in base a una statistica condotta sui Papi precedenti, per quanto se ne sappia e se ne possa sapere, mentre la quantità di interventi è insignificante, nel caso del Papa attuale si sono contati ben 186 interventi e possiamo aspettarcene ancora.

Quanto all’accordo di Abu Dhabi, è la prima volta dalla nascita dell’Islam, 14 secoli fa, che un Papa firma un simile accordo di collaborazione e di pace con un alto rappresentante dell’Islam. Ciò che sorprende e dà molta soddisfazione e speranza è il riconoscimento, nel documento, dell’universale fratellanza umana sotto l’obbedienza a Dio creatore e Signore del cielo e della terra, fatto stupefacente, in quanto nella tradizione islamica, finora «fratelli» erano solo i fedeli del Corano. Il fatto che non vi siano state significative reazioni negative o di dissenso nel mondo islamico, pur così frastagliato, è un altro motivo di conforto e di speranza. Questo evento storico si può considerare uno dei più bei frutti del dialogo interreligioso promosso dal Concilio.

Papa Francesco sa anche correggersi

Mascarucci nota come Papa Francesco, eletto dalla corrente filomodernista, era oggetto di sue grandi speranze; e di fatti all’inizio sembrava essere il Papa «rivoluzionario», il Papa del «nuovo paradigma» e della «svolta epocale»; e invece i modernisti sono rimasti delusi, perchè Francesco, avendo avvertito la sua gravissima responsabilità di Vicario di Cristo,  non poteva imboccare la via del’eresia, e i modernisti avrebbero dovuto aspettarselo, se non fossero accecati dall’ambizione e dalla sete di potere.

Così il Santo Padre, ascoltando la voce della propria coscienza e chiudendosi alle lusinghe e agli inganni degli adulatori, è riuscito a svincolarsi dal loro abbraccio insincero per agire liberamente nella sua altissima missione. È interessante notare allora, con Mascarucci, alcuni atti del Papa, dove appare evidente questo accostarsi di Francesco a Cristo e non al mondo. Elenchiamoli.

1.Con l’intervento disciplinare su Bianchi ha posto un freno al falso ecumenismo, al dilagare del profetismo protestante, della liturgia fai-da-te. e del carismatismo antigerarchico alla Kiko Arguello e alle Messe dell’impanazione luterana di Andrea Grillo, nonchè all’egualitarismo catto-ortodosso di Alberto Melloni.

2. Col precisare che per essere perdonati da Dio e ricevere la sua misericordia occorre pentirsi dei peccati, riceverne l’assoluzione nel sacramento della penitenza, far opere di penitenza riparatrici, ha corretto il suo iniziale misericordismo, che sembrava escludere l’esercizio della giustizia divina, negare che Dio punisce il peccato[7] e che esistano dannati nell’inferno[8]; inoltre, in nome della gratuità della salvezza, sembrava negare la necessità dei meriti, dell’osservanza dei comandamenti  e delle opere buone, tutte idee che in Rahner sono esplicitamente professate.

 3. Con l’inviare a Medjugorje un suo rappresentante ha corretto la sua iniziale ironia su Medjugorje, ed ha intrapreso un’indagine seria, come quella che aveva iniziato Benedetto XVI. San Giovanni Paolo II non aveva mai avuto obiezioni contro le apparizioni di Medjugorje, benchè, dietro consiglio di Ratzinger, si fosse astenuto dal pronunciarsi.

Con gli interventi fermi e chiari contro l’aborto, il divorzio, l’eutanasia, la fecondazione artificiale, la sodomia, la pedofilìa, il concubinaggio, per la famiglia, per l’incremento delle nascite  e per il rispetto della la sessualità  come «dono di Dio», il Papa ha corretto l’eccessiva indulgenza iniziale (vedi le lodi alla Bonino e a Pannella) nei confronti dello sfrenato edonismo, della dilagante corruzione sessuale,  del degrado morale e del disprezzo per la legge morale naturale, dovuti alla concezione rahneriana della libertà della persona. Da qui la disapprovazione delle eresie dei vescovi tedeschi favorevoli alla sodomia, al matrimonio dei preti e al sacerdozio della donna.

4. Dopo esser partito con un’esaltazione esagerata della misericordia divina, ha precisato successivamente che essa benefìcia solo chi, pentito dei propri peccati, non la rifiuta, e a sua volta fa misericordia al prossimo. Ha ammesso che l’irrompere della sofferenza non è certo segno della misericordia divina, la quale di per sè solleva dalla sofferenza e non la causa, ma è conseguenza del peccato.

Tuttavia anche la possibilità che ci è data in Cristo di riscattarci dal peccato mediante la sofferenza, è effetto della misericordia del Padre. Il Papa ha bensì mostrato ammirazione per il libro di Kasper sulla misericordia[9], ma non ha approvato la tesi marcionita, secondo la quale Dio castigava solo nell’Antico Testamento, ma nel Nuovo non castiga più.

Il Papa non parla mai di castighi divini[10], che pure è uno dei concetti fondamentali della Bibbia e della religione naturale. Ma su questo termine esistono equivoci, che vanno chiariti, per spiegare che cosa intendono esattamente la Bibbia e la dottrina cattolica. E neppure il Papa dice mai che nell’inferno ci sono dei dannati. Ciò ha portato alcuni a credere che egli accolga la teoria buonista[11] di Rahner e Von Balthasar, secondo i quali tutti si salvano. Ma neppure questo il Papa l’ha mai detto. Ed anzi più volte ha avvertito delle conseguenze della disobbedienza ai divini comandamenti e del rifiuto di unirsi alla croce di Cristo per la propria salvezza.

5. Mentre all’inizio respinse l’espressione «valori non negoziabili»[12], che pur era stata usata da Benedetto XVI, nell’ultima parte dell’esortazione Fratelli tutti[13] riprende l’espressione per riferirla ad una «salda e stabile validità universale di princìpi etici basilari», cancellando quell’impressione di relativismo morale, che potevano dare certe sue espressioni, che accentuavano eccessivamente l’influsso delle situazioni, delle circostanze e dei condizionamenti storici ed ambientali, nonché la diversità delle culture.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 13 aprile 2022

Americo Mascarucci

 

 Il ritratto che Mascarucci fa del Papa, come quello di qualunque ritrattista che si rispetti, evidenzia le luci e le ombre. 

Non si tratta di una fotografia ritoccata, ma che rispecchia la realtà così com’è. 


 

Mascarucci, da buon cattolico, si accosta al Papa con amore, riconoscenza, rispetto e con filiale franchezza e sincerità. 
 
 
 
 
Immagini da internet 
 
 
 
 

[1] Historica Giubilei Regnani, Roma 2022.

[2] Cf  il mio opuscolo Rahner e Küng. Il trabocchetto di Hegel, Chora Books, Hong Kong 2021.

[3] Vedi il mio articolo sul periodico della Pontificia Accademia Teologica Romana, della quale sono socio: La dipendenza dell’idea dalla realtà nell’Evangelii gaudium di papa Francesco, in PATH, , 2014/2, pp.317-329.

[4] Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, del 19 marzo 2018.

[5] Téqui, Paris 1982, pp.179-190.

[6] Cit. da J.A.Ureta, Op.cit., p.103.

[7] È, questa, una verità di fede chiaramente insegnata dalla Bibbia e dalla sana ragione e confermata dal Concilio di Quierzy dell’853 (Denz.623) e dal Concilio di Trento (Denz.1523).

[8] Cf il mio libro L’inferno esiste. La verità negata, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2010.

[9] Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo. Chiave della vita cristiana, Queriniana, Brescia 2015.

[10] Sulla delicata questione, vedi il mio libro Perché peccando ho meritato i tuoi castighi. Un teologo davanti al coronavirus, Chora Books, Hong Kong 2020.

[11] Cf il mio opuscolo L’eesia del buonismo. Il buonismo e i suoi rimedi, Chora Books, Hong Kong 2017.

[12] Cf  J.A.Ureta, Op.cit., p.21.

[13] Nn. 211, 214.

6 commenti:

  1. Caro Padre Cavalcoli,
    sono d'accordo al 100% con i suoi commenti.
    Ora, la mia opinione è che in larga misura i Vescovi siano responsabili (ripeto: in una certa misura) delle cattive valutazioni che i fedeli cattolici fanno dell'attuale pontificato.
    Voglio dire, anzitutto, che nel buon fedele cattolico, è dovere conoscere e valutare questo pontificato per essere un buon figlio del Papa.
    Lei ha scritto più di una volta che noi, come fedeli cattolici, dobbiamo compiere due cose per avere un atteggiamento corretto nei confronti del Santo Padre: 1) conoscere esattamente il programma del suo pontificato, per poterlo aiutare secondo le nostre possibilità; e 2) conoscere i bisogni della Chiesa, per sopperire alle carenze del Papa in questo senso.
    Ora, non possiamo assolvere questi due compiti senza valutare l'attuale pontificato.
    La domanda allora è: in che modo i Vescovi aiutano i fedeli della loro diocesi a svolgere questo compito? Li aiutano a distinguere nel Papa il suo ufficio e la sua persona? I Vescovi aiutano i fedeli a distinguere ciò che può essere criticato nel Papa e ciò che non può essere criticato? O meglio, la maggioranza dei Vescovi dà l'impressione che al Papa vada tutto bene?
    Probabilmente alcuni (o molti) Vescovi danno l'impressione di essere stati i primi "papolatri", per paura di rappresaglie da parte di Roma. Questo può essere vero. E indicherebbe un altro dei punti che possono essere criticati nell'attuale pontificato: il suo modo quasi dispotico di esercitare il governo universale della Chiesa.
    Grazie.

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    1. Caro Ross,
      io cerco di tenermi informato il più possibile sulle vicende della Chiesa e sull’operato dei nostri Vescovi. Leggo tutti i giorni Avvenire, leggo La Civiltà Cattolica ed inoltre, attraverso l’internet, sono a contatto con diversi giornalisti cattolici. Infine vivo in una comunità domenicana con Confratelli informati circa queste cose.
      Ebbene, se devo dire un mio parere su quanto modestamente mi risulta, senza pretese scientifiche, la mia impressione è che i nostri Vescovi si diano certamente da fare; tuttavia su questa precisa questione di come valutare l’attività di questo Pontefice, non noto che ci diano mai dei criteri di valutazione, così da poter distinguere ciò che un buon fedele può criticare da quello che non può criticare. Tutt’al più noto che quei pochi Vescovi, di cui parla la stampa, si limitano a ripetere in forma pedissequa tutto quello che dice il Papa.
      Mi sembra che ci sia un atteggiamento eccessivamente ossequiente o forse troppo timoroso di offenderlo. E invece sono certo che una critica filiale gli farebbe bene e sarebbe anche pronto ad accettarla. Di fatti, da quando seguo l’operato del Papa fin dall’inizio, ho notato che qualche osservazione l’ascolta.
      Nello stesso tempo, i Vescovi insegnando ai fedeli qual è l’atteggiamento giusto da tenere nei confronti del Papa, farebbero un’opera altamente educativa e toglierebbero pretesti ai passatisti di strumentalizzare certi difetti del Papa per attaccarlo in maniera offensiva e addirittura scismatica.

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  2. Bellissimo ed esemplare spiegazione che dice tutto benissimo ed efficacemente. Spassoso l'esempio dell'avviso di parcheggio al condizionale.

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    1. Caro Alessandro,
      sono contento che quanto ho scritto sia di sua soddisfazione e mi incoraggia a proseguire in questo mio lavoro, perchè in tal modo sento di corrispondere alla mia vocazione di Domenicano, predicatore del Vangelo.

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  3. Caro Padre Cavalcoli,
    Comprendo perfettamente l'espressione "l’ingenuità di S.Giovanni XXIII", ma faccio fatica ad accettare l'espressione "il buonismo di S.Paolo VI".
    Tuttavia, cercando di interpretare nel migliore dei modi il suo testo, comprendo che il termine "buonismo" ammette gradi di serietà: da un'iniziale inclinazione o vaga tendenza buonista (come potrebbe essere il caso di Paolo VI) al buonismo inteso nel senso eretico, come derivato dall'eresia marcionita dei primi secoli cristiani.

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    1. Caro Giuseppe,
      concordo perfettamente con il suo discorso circa i gradi del buonismo.
      Gli errori dottrinali morali sono come i livelli di serietà di una malattia: possono avere una forma leggera, una forma media e una forma grave.
      Concordo nel ritenere che il buonismo di San Paolo VI non fosse una cosa grave, come invece lo è il buonismo di tendenza di rousseauiana, la quale ignorando il peccato originale viene alla fine a negare l’esistenza del peccato oppure concepisce degli ideali utopistici irrealizzabili nella vita presente.
      Riguardo a questo tema, mi permetto di consigliarle il mio libro:
      L’eresia del buonismo. Il buonismo e i suoi rimedi. Casa Editrice Chorabooks, Hong Kong, 2017.

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