La Chiesa che nasce dal caos

 La Chiesa che nasce dal caos

Chi edifica la Chiesa? Siamo noi o è Cristo?

Padre Antonio Spadaro in un articolo su La civiltà cattolica del 17.XII.2022-7.I.2023 intitolato Crisi e futuro della Chiesa afferma che

«il ritmo della Chiesa non è quello della sinfonia, ma piuttosto quello che evocavamo all’inizio come ritmo del ragionamento che stiamo sviluppando: quello della jam session di un concerto jazz. Questo genere vede confluire tradizioni musicali disparate ed è caratterizzato dall’improvvisazione e dalla poliritmia. Espressione caratteristica sono le riunioni di musicisti che si ritrovano per una performance senza aver nulla di preordinato, improvvisando su griglie di accordi e temi conosciuti.  Queste sono situazioni «geniali», dove la sfida consiste proprio nel dare una forma non preordinata a partire da un caos di suoni» (p.532).

Da queste parole si comprende che Spadaro non ha un’idea giusta di che cosa è la Chiesa, la quale non sorge dal confluire casuale di iniziative contrastanti desiderose di esternarsi così da formare un aggregato conflittuale e disarmonico vada come vada, purchè ognuna sia libera di esprimersi senza preoccuparsi di armonizzare con le altre, nelle comune fiducia che da questo confluire casuale e disordinato sorge d’impulso una forma geniale, non preordinata, non originariamente concepita, ideata e voluta, ma spontanea e preterintenzionale, che sarebbe la Chiesa.

Al contrario, la Chiesa è una società di persone fraternamente unite nella carità di Cristo, pur nella diversità degli uffici, delle qualità e dei pregi, ideata, voluta, fondata, organizzata e guidata da Cristo, per il tramite il suo vicario il Papa, sommo garante dell’unità della Chiesa, secondo un piano sapientissimo, con mezzi adatti per l’esecuzione di questo piano, comunità dei discepoli di Cristo, figli di Dio,  edificata e risultante dal confluire armonioso e sinergico di una pluralità di uffici, doni e carismi dello Spirito Santo, gerarchicamente ordinati al fine di renderla santa, e forte nel combattimento contro le forze di Satana, in vista di convertire il mondo a Cristo, salvandolo dai peccati col sangue di Cristo, iniziando già da quaggiù a instaurare quel regno di Dio, che avrà la sua pienezza finale solo nella futura Gerusalemme celeste.

Che esista una crisi oggi nella Chiesa non c’è dubbio, ed è anche molto grave, perché sembrerebbe che sia in atto quell’apostasia finale della quale parla S.an aolo nella Seconda Lettera ai Tessalonicesi. Ora Spadaro elenca certamente un certo numero di mali esistenti oggi nella Chiesa: rigidezze, pelagianismo, passatismo, secolarismo, clericalismo, affarismo, quieto vivere, idealismo. Si nota il punto di vista di una persona sbilanciato verso la tendenza modernista, e pertanto di uno che vede l’origine di tutti mali della Chiesa nei tradizionalisti e nei conservatori, mentre delle eresie e della corruzione morale causate dai modernisti neppure una parola. Nessuna attenzione ai lati buoni dei conservatori e alle giuste critiche che essi fanno ai modernisti.

Spadaro, per significare l’esperienza dell’eterno, della beatitudine e della grazia che caratterizza l’appartenenza alla Chiesa, cita le parole di uno scrittore svedese, un certo Stig Dagerman, il quale sostiene che l’esperienza della beatitudine e la visione dell’eterno supporrebbero l’esperienza di un «accecamento» ed un’«ustione», espressamente cercate similmente a come il bambino che si è bruciato col fuoco, secondo lui, «è attirato dal fuoco come una falena dalla luce. Sa che se si avvicina si brucerà di nuovo. E ciononostante si avvicina». E Dagerman conferma questa sua tesi aberrante affermando che «dobbiamo benedire i vulcani, ringraziarli della loro luce e del loro fuoco. Dobbiamo ringraziarli per averci accecato, perché solo chi è stato accecato può vedere davvero».

E Spadaro, completamente fuorviato da questo fenomeno patologico, commenta: «nell’esperienza dell’ustione c’è anche una forza di verità che purifica. Visione è accecamento, ustione, non generazione»; e «l’esperienza di Dagerman è l’urlo di una disperazione che ha provato l’esperienza della grazia e della meraviglia, ma senza credere che essa sia possibile come storia, come futuro aperto» (p.523).

Spadaro non si accorge che nello sfondo del pensiero di Dagerman c’è il paradigma hegeliano del positivo che proviene dal negativo, la luce dalle tenebre, il vero dal falso, il bene dal male, la felicità dalla disperazione, il caldo dell’amore dal bruciore dell’odio, la grazia dalla disgrazia, la salvezza dal peccato, come del resto pensava anche Lutero. Lo logica hegeliana non è altro che la logica di Lutero messa in forma filosofica.

Dobbiamo invece dire che il prezzo che Dio vuole che paghiamo per salvarci sia l’accettazione delle tenebre per arrivare alla luce, che dobbiamo sopportare l’inquietudine per arrivare alla pace, che dobbiamo sopportare il fuoco purificatore per sperimentare il fuoco dell’amore, che l’esperienza del peccato possa essere la condizione per potersene liberare, è vero, ma che la luce venga da chi ci acceca, che la verità venga dalla menzogna,  che il calore dell’amore da chi ci brucia, che la pace ci venga da chi ci turba, che otteniamo la salvezza peccando, questi sono princìpi perversi e malvagi, che non vengono da una mente divina, ma da una mente maledetta e diabolica, e conducono alla perdizione.

Una Chiesa che non fosse lumen gentium, sorgente di verità, di amore, di unità, di grazia, di concordia e di beatitudine, ma ci oscurasse la vista, ci gettasse fumo negli occhi, ci confondesse, ci mettesse in contraddizione con noi stessi e con gli altri, ci dividesse e contrapponesse tra fratelli con la scusa della diversità e del pluralismo, che ci creasse turbamento anziché darci pace, accondiscendesse al nostro desiderio di  furbizia, ci lasciasse nel dubbio ed anzi lo giudicasse necessario come fece Cartesio, una Chiesa che ci gettasse nella confusione e nella sconcerto, anziché distinguere il vero dal falso, e il bene dal male, anziché irrobustirci e renderci saldi e sicuri nella giustizia col farci credere che la menzogna e l’ipocrisia sono la via  della verità e della felicità, non è la vera Chiesa di Cristo, ma è la sinagoga di Satana.

Spadaro è vittima del più grossolano buonismo che ignora completamente la tematica apocalittica della lotta della Donna contro il Dragone, dei figli di Dio contro i figli del diavolo (I Gv 3,10) e concepisce la Chiesa non come una e santa, ma come accolta caotica di una molteplicità cacofonica di suoni tra loro contrastanti e discordanti, come quelli degli orchestrali prima che abbia inizio il concerto e arrivi il direttore d’orchestra.

Col pretesto che la Chiesa è fatta per tutti ed accoglie tutti, Spadaro dimentica che per appartenere alla Chiesa occorrono precise condizioni di buona volontà, onestà e lealtà, senza affatto escludere la situazione del peccatore. Ma Spadaro non si rende conto che c’è peccato e peccato e che se può appartenere alla Chiesa chi pecca ma non contro la Chiesa, dovrebbe essere evidente che non può appartenere alla Chiesa chi pecca contro la Chiesa o chi vuol costruirsi una Chiesa per conto proprio, magari col pretesto della riforma o del progresso o della tradizione, senza tener conto di che cosa ha voluto fare ed ha istituito Gesù Cristo.

Come in qualunque società normale, anche per la Chiesa, l’appartenenza alla Chiesa suppone il rispetto di ben precise norme e condizioni, mancando le quali è chiaro che uno è fuori della Chiesa o contro la Chiesa. Se così non fosse, che senso avrebbero le scomuniche? Don Minutella è stato giustamente scomunicato perché non accetta l’autorità del Papa. Ma forse che il rahneriano che concepisce la Chiesa come cristianesimo atematico trascendentale e umanità pareggiata alla vita divina, normata dal relativismo dogmatico sulla base della gnoseologia idealista, il cosiddetto «cristianesimo anonimo», non meriterebbe di essere scomunicato?

Dovrebbe essere evidente che non può appartenere alla Chiesa chi ne ha una concezione falsa, quale che sia questa concezione, sia quella del lefevriano, sia quella del rahneriano.  La cosa scandalosa oggi nella Chiesa, cosa generatrice di equivoci e conflitti senza fine, è la presenza attiva, stimata ed influente di soggetti, che pur considerati cattolici, lavorano di fatto per la demolizione della Chiesa e si vedono da decenni  i risultati di una tale sciagurata azione in una Chiesa, che invece di espandersi si restringe, invece di aumentare in vitalità, si sta inaridendo, invece di crescere in santità, lascia  diffondersi  corruzione morale col pretesto del «diverso», invece di convertire le anime a Cristo, si converte al mondo, invece di  conservare il deposito, lo sta sperperando, invece di rinnovare stravolge,  invece di diffondere la luce, sparge l’errore,  invece di operare per la pace, crea discordie, invece di opporsi ai potenti di questo mondo, si lascia da essi intimidire e tacitare, invece di difendere i deboli e gli oppressi, fa combutta con gli oppressori.

È chiaro che con ciò non intendiamo assolutamente misconoscere i meriti del pontificato di Papa Francesco e dei precedenti Pontefici, nonché di tutte le forze sane della Chiesa, spesso operanti nel silenzio e nel nascondimento, magari incomprese, derise, ed emarginate dal chiasso dei tromboni passatisti e modernisti, eppure forze sane, sulle quali la Chiesa può contare e grazie alle quali può sperare in un futuro, che non è quello futurologico di Spadaro, ma quello che ci è insegnato da Cristo, dall’Apocalisse, da San Paolo e dal Concilio.

È chiaro che con ciò non s’intende affatto escludere la possibilità dell’appartenenza inconsapevole alla Chiesa di coloro che vivendo onestamente secondo coscienza e senza loro colpa non sanno che l’appartenenza alla Chiesa è necessaria alla salvezza.

Inoltre, una grave lacuna nell’analisi di Spadaro è la totale assenza di un benchè minimo dibattito sul tema enorme della problematica connessa con la riforma conciliare, quando invece tutta la crisi della Chiesa di oggi si riassume nel problema di chiarire una buona volta che cosa ha voluto fare veramente il Concilio, confutando le false interpretazioni operate dai modernisti, false interpretazioni che i lefevriani credono vere, con la conseguenza di respingere le dottrine del Concilio, che essi scambiano per moderniste, mentre in realtà sono il vero rimedio al modernismo.

Spadaro poi fa una strana apologia dell’«inquietudine» come fattore di crescita e di progresso della Chiesa, un discorso che sa tanto di dialettica hegeliana e assai poco di spirito evangelico, che chiama beati i pacifici. In realtà oggi nella Chiesa di inquietudine ce n’è fin troppa e abbiamo un gran bisogno di pace e di concordia, pensando soprattutto che è in atto una terribile guerra fra Russia e Ucraina. E come la Chiesa può predicare e insegnare efficacemente la pace, se è una Chiesa divisa da 60 anni fra rahneriani e lefevriani?

D’altra parte Spadaro, nella sua polemica contro gli indietristi, trascura di rilevare come altro errore dei lefevriani è quello di prendere per moderniste le novità dottrinali del Concilio e di non aver capito che la Messa novus ordo non è affatto filoprotestante, ma perfettamente cattolica e in linea con la Tradizione.

La questione dell’identità

Spadaro si rende conto che la sua concezione confusionaria della Chiesa suscita reazioni, ma le considera delle «tentazioni». Dice:

«Oggi avvertiamo una tentazione forte – a volte anche nella Chiesa -, quella di “serrare le fila”. Si avverte la tentazione di opporre al caos percepito la risposta di un cattolicesimo intransigente e identitario» (p.528).

Osservo il fatto che oggi si è diffuso il pessimo vizio di giocare sull’equivoco. Sono frequentissime le affermazioni improntate ad ambiguità o a doppio senso, in modo tale che, se l’impostore viene scoperto, nega l’addebito ed ha sempre la possibilità di rifugiarsi nell’affermazione contraria.

È la logica del dire e non dire, dire e smentire, dire ma non dire e cose simili. È la logica della doppiezza, dell’ipocrisia e del farisaismo, svelata e condannata da Cristo, il quale chiama «serpenti» e «razza di vipere» questi soggetti. È la logica della contraddizione e, diciamolo pure, della truffa e della frode, logica della quale Hegel è il fondatore e maestro insuperabile. Ma potrà mai essere la logica del discepolo di Cristo? Di colui che ha detto: il vostro parlare sia sì, sì, no, no?

È cosa stolta ironizzare sul fatto che la Chiesa abbia e debba avere una sua identità, un suo volto preciso, identificabile e riconoscibile. Ogni cosa ha una sua identità, anche Dio, che è Colui Che È e non è Colui che non è. Una cosa è o non è. Il di più, dice Cristo, appartiene al diavolo.

La Chiesa ha una sua ben precisa identità, una precisa inconfondibile fisionomia, che le proibisce di svicolare a destra o a sinistra. Il doppio gioco è cosa odiosa ed estranea alla persona onesta e sincera. Come è dunque possibile considerare «tentazione» il bisogno di onestà intellettuale? il bisogno di mantenere la propria identità di cattolici? Spadaro non si accorge che è egli stesso a cadere nel laccio del diavolo, di colui che Cristo chiama il «menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44)?

Quanto al problema della confusione, della quale sentiamo parlare spesso come presente nella Chiesa e diffusa da pastori confusionari, osserviamo che lo stato mentale di confusione non è necessariamente effetto di una colpa, ma è uno stato inevitabile in certe circostanze, eventualmente indotto da discorsi confusi, uno stato conseguente al peccato originale, per il quale il nostro intelletto ha perduto quell’acutezza di vista per la quale sapeva cogliere con sicurezza, anche se a volte in modo solo analogico, l’identità di ogni cosa, compreso Dio stesso. 

Tuttavia un certo stato mentale di confusione era naturale anche nel paradiso terrestre, in relazione alla conoscenza di Dio per il fatto che l’identità divina trascende la capacità di comprensione del nostro intelletto, per cui il concetto di Dio che possiamo formare non può essere preciso ed univoco, ma è confuso, indistinto ed analogico.

Si dice, con un’altra espressione usuale, che l’essenza divina per noi è misteriosa o incomprensibile. Lo stesso dicasi dell’essenza della Chiesa. Per noi la Chiesa è un mistero, certo intellegibile, un qualcosa dotato di una sua identità, ma tale per cui davanti ad essa, benché l’intelletto la colga e sappia quindi distinguere che cosa è e che cosa non è la Chiesa, si trova in una certa confusione, del tutto normale e involontaria, quindi priva di colpa, come è invece colpevole la confusione provocata ad arte per fini disonesti.

Mentre dunque esiste un confondersi involontario, causato dalla limitatezza del nostro intelletto davanti al mistero, si dà anche un confondere e un confondersi che è peccaminoso, in quanto la mente, pur cogliendo l’identità di una cosa, non dà a tale identità la sua semplice adesione, ma assume una posizione doppia, oscillatoria, tra l’assenso e il dissenso senza fissare la posizione del’intelletto nella verità, ma aprendo anche al falso. Perché e da che cosa dipende questa doppiezza? A che pro? È la traccia in noi del peccato originale, per il quale, essendoci assoggettati allo spirito della menzogna, non sappiamo o non vogliamo deciderci con semplicità per la verità, ma ci attira la menzogna.

Se tuttavia noi non possiamo pretendere sempre dalla nostra ragione una decisione ferma laddove non è possibile per l’inevidenza della realtà, non dobbiamo neppure rassegnarci alla nostra tendenza alla duplicità e farne una legge. È questo il difetto della dialettica hegeliana.  Invece Aristotele ebbe la saggezza di inventare una dialettica, la quale dà una regolamentazione d’emergenza all’oscillazione della nostra ragione, così da impedirle di cadere da una parte nello scetticismo, ma dall’altra da assicurale almeno una parvenza di verità, anche se di fatto non riesce a raggiungere la certezza della scienza.

Così la logica cristiana non è la logica della negazione che comporta la doppiezza dell’affermare e negare simultaneamente, ma è la logica, per la quale essa, sull’esempio di Cristo, ha pronunciato un sì assoluto a Dio (cf II Cor 1, 17-20). Nella logica cristiana il negativo da sé non produce nulla, ma produce solo se utilizzato dal positivo: la morte di Cristo è salvifica non in quanto morte, ma in quanto assunta dal Positivo assoluto che è Dio. Il principio della logica e dell’etica cristiane non è quello diabolico della disobbedienza, ma dell’obbedienza. Non è la disaequatio, ma l’adaequatio intellectus et rei.

Certamente la Chiesa non è una squadra di calcio o una figura geometrica o un congegno meccanico che possano essere definiti con precisione ed univocità, senza l’esperienza del mistero. Pretendere di cogliere a questo modo l’identità della Chiesa certamente sarebbe presunzione, che cadrebbe sotto la giusta critica di Spadaro.

Ma ciò non autorizza Spadaro a considerare una tentazione la coscienza che la Chiesa ha una sua identità e quindi il bisogno di identificare l’identità della Chiesa. Tentazione invece è quella nella quale cade Spadaro, che si lascia invischiare nella doppiezza della logica hegeliana della sintesi dell’affermazione della negazione. 

Dove sta andando la Chiesa?

Per quanto riguarda la questione del futuro della Chiesa, Spadaro naviga nelle astrazioni e non sa dirci nulla di meglio che il futuro della Chiesa attira a sé il presente e il passato, che non dobbiamo attaccarci a un passato morto, che il presente proviene dal passato ed è proiettato verso il futuro e che il futuro ci riserva delle sorprese, senza accennare minimamente a un solo contenuto del futuro della Chiesa, il quale, come è noto, è oggetto di un’intera disciplina teologica, che è l’escatologia, che trae il suo fondamento biblico dalle profezie escatologiche dei profeti veterotestamentari, di Cristo e di San Paolo, nonché dall’Apocalisse.

Ma a parte questo futuro escatologico trascendente, quale futuro immediato possiamo sperare per la Chiesa di oggi? Anche qui Spadaro non sa andar oltre gli auspici genericamente ottimistici del più vieto progressismo, senza darci un quadro storico concreto che azzardi qualche ipotesi che possa andare oltre la buona speranza.

Gli analisti più seri dell’attuale situazione constatano ormai da decenni un processo di decadenza e di deterioramento, nonostante la venuta di un Concilio come il Vaticano II, che conteneva e contiene poderosi fattori di conciliazione, di pace e di progresso per la Chiesa e per la società del nostro tempo. Che cosa è che non ha funzionato? Non ha funzionato il meccanismo della profezia. La famosa frase, non troppo felice, di San Giovanni XXIII contro i «profeti di sventura» è stata talmente gonfiata ed è diventata un tale spauracchio, che si è finiti per non capire più che cosa è la profezia e la sua funzione.

Certamente quei profeti di sventura contro i quali se la prendeva il Santo Pontefice hanno continuato ad esistere, ma li si è rifiutati accanto a coloro che, nella piena accettazione del Concilio e proprio perché avevano accettato il Concilio, avvertivano circa i danni e i castighi divini che sarebbero venuti dal non applicarlo o dall’applicarlo male. Il rifiuto di ascoltare questi profeti non ha fatto che aggravare quei mali che essi denunciavano e non ha mancato di far scendere sugli uomini empi e ribelli i castighi divini preannunciati, ai quali purtroppo molti sono stati sordi, per cui non si sono convertiti.  L’ira divina non sembra spaventare molti, sì da farli retrocedere dai loro peccati, ma pare che la loro preoccupazione sia quella di non scontentare gli uomini e non perdere il loro favore.

Basta che leggiamo qualunque profeta biblico e ci accorgeremo che accanto ad annunci gioiosi, pronuncia anche immancabilmente severi avvertimenti e ammonimenti da parte del Signore, minacce di castighi e di sciagure in caso di mancata conversione e di ostinazione nei propri peccati. Coloro che annunciano solo cose belle e piacevoli sono invece esattamente gli adulatori e i falsi profeti. Questo non toglie certo che sia riprovevole quel catastrofismo dei lefevriani che vedono nel Concilio Vaticano II l’origine di tutti i mali della Chiesa di oggi.

Ma anche le rassicuranti e consolanti inquietudini utopiche proposte da Spadaro come pegno e primizia della pienezza finale, hanno tutto il sapore di una presa in giro e di un’intollerabile leggerezza con lo scambiare la serietà del dramma che stiamo vivendo con la simpatica creatività bizzarra di una jam session di jazz.

Le parole del Card. Hollerich, Relatore generale del Sinodo sulla sinodalità, che dichiara di non aver idea di quello che scriverà e che affida ai partecipanti al sinodo il compito di dirgli che cosa dovrà scrivere, non sembrano le parole di un provvido e saggio pastore del gregge, pieno di propositi formativi e stimolanti, ma della zelante dattilografa che si dichiara disponibile a scrivere quello che il ragioniere le detterà.

Il commento di Spadaro alle parole di Hollerich:

«Quanto futuro c’è in queste parole! Non è indeterminatezza, ma attesa, tensione, ascolto, consapevolezza del futuro. Occorre sopportare la sospensione, evitando che la nostra progettualità sul futuro divenuto un attivismo pelagiano pettegolo o un’operazione pastorale segnata dal carisma della frenesia. Che la sospensione sia la forma della Chiesa del futuro? Certo che è, almeno escatologicamente, così. Una sospensione inquieta» (p.529).

Che cosa ci dicono queste parole di Spadaro? Ben poco. A che serve allora parlare del futuro della Chiesa? Il tema è interessantissimo. Come ci muoviamo se non sappiamo dove la Chiesa sta andando? Come ci prepariamo se non sappiamo che cosa sta per succedere? Come ci teniamo al sicuro se non sappiamo i rischi che stiamo correndo? Quali mete ci ha indicato Papa Francesco? Qual è la strada da percorrere?

È possibile prevedere per la Chiesa eventi a breve scadenza? Dove essa sta andando? Quali sono le prospettive immediate del suo cammino? Qual è il suo futuro prossimo? Che cosa le sta venendo incontro? Che cosa sta nascendo?

Sono tutte domande che possiamo e dobbiamo porci, se vogliamo vivere bene la nostra vita di fede, se vogliamo adempiere alla volontà di Dio, se vogliamo avanzare sul cammino del regno di Dio, se vogliamo portare a termine l’opera riformatrice del Concilio Vaticano II.

Non è possibile rispondere qui a tutte queste domande. Le lascio al Lettore. Qui mi limito a dire che quello che io vedo è la riscoperta dell’esistenza di Dio, il ritrovamento dei valori umani universali, il convergere dei popoli e delle nazioni sotto la guida di un governo politico mondiale, la valorizzazione della reciprocità fra Oriente ed Occidente, la ricostituzione dell’unità cristiana dell’Europa e dell’unità feconda dell’uomo e della donna, la conversione degli spiriti verso la religione cattolica, l’espansione dell’area geografica della Chiesa cattolica e l’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini della terra, un passo ulteriore dell’umanità nel progresso scientifico, tecnico, civile e morale, un passo avanti della Chiesa nella conoscenza della Verità, nella crescita della sua santità, nella pregustazione delle primizie del regno dei cieli,  un passo avanti nella battaglia contro Satana e i suoi accoliti, l’avvicinarsi di Israele all’incontro con Cristo.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 8 gennaio 2023

Cf. https://www.laciviltacattolica.it/articolo/crisi-e-futuro-della-chiesa/

 
 
La Chiesa ha una sua ben precisa identità, una precisa inconfondibile fisionomia, che le proibisce di svicolare a destra o a sinistra.  Come è dunque possibile considerare «tentazione» il bisogno di onestà intellettuale? il bisogno di mantenere la propria identità di cattolici? 
 
 Immagine da Internet

7 commenti:

  1. 5/01/2023 - 29/03/2023

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    1. Caro Michele,
      che cosa hai voluto significare con queste date?

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    2. Il 29 marzo accadrà qualcosa di importante, parola di Benedetto XVI.

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  2. Caro Padre Cavalcoli,
    lei scrivi che: "Spadaro non si accorge che nello sfondo del pensiero di Dagerman c’è il paradigma hegeliano del positivo che proviene dal negativo, la luce dalle tenebre, il vero dal falso, il bene dal male, la felicità dalla disperazione, il caldo dell’amore dal bruciore dell’odio, la grazia dalla disgrazia, la salvezza dal peccato, come del resto pensava anche Lutero. Lo logica hegeliana non è altro che la logica di Lutero messa in forma filosofica".
    Capisco che lei non abbia altra scelta che parlare in termini ipotetici del caso specifico di Spadaro e del suo sottostante hegelismo, ma non si potrebbe supporre che la simpatia che Spadaro manifesta per la metafisica hegeliana non sia in lui, come nel caso di un numero enorme di sacerdoti formati negli ultimi decenni, una scelta consapevole di utilizzare la filosofia di Hegel per comprendere ed esprimere la fede?

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    1. Caro Pierino,
      purtroppo da molti decenni il clero è formato prevalentemente da formatori influenzati da Rahner, il quale riprende la cristologia hegeliana.
      Ora, Spadaro appartiene alla generazione successiva alla mia, la quale, soprattutto alla Gregoriana, dove ha studiato, è fortemente influenzata dai rahneriani.
      Come giudicare il suo comportamento? Lei sembra ipotizzare che Spadaro realizzi deliberatamente un piano di destabilizzazione della teologia, ispirato alla filosofia di Hegel.
      La cosa è possibile, però io preferisco ipotizzare che Spadaro non sia pienamente consapevole dell’operazione che sta portando avanti, ma sia piuttosto uno strumento inconsapevole del tentativo che i modernisti stanno portando avanti ormai da decenni per avere il dominio dell’attività teologica all’interno della Chiesa.
      Che cosa fare? Modestamente io propongo di seguire un esempio, come quello che sto dando io, di piena fedeltà al Magistero della Chiesa e al Papa. Certamente siamo in pochi, ma non importa. E’ quel piccolo gregge, del quale parla il Signore, fermento nella pasta, pronto a sacrificarsi per il Regno di Dio con pazienza, umiltà, saggezza e carità.

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    2. Grazie, Padre, per la sua gentile risposta, che è perfettamente in linea con quanto immaginavo. Come giudicare l'atteggiamento di Spadaro nello scrivere questo genere di articoli così estranei alla teologia cattolica? Resta solo da ipotizzare.
      E ora, dopo la sua risposta, credo di capire meglio la sua ipotesi che Spadaro non sia pienamente consapevole del suo lavoro distruttivo sulla teologia. E suppongo che sia così perché non è consapevole del suo hegelismo di base, in cui è immerso.
      Mi spiego. Poiché lei dice che la formazione di questa generazione di sacerdoti si basa sulla cristologia di Rahner, suppongo che ciò non significhi che ci sia piena consapevolezza dell'hegelismo presente in Rahner.
      Se non ho frainteso, la diffusione della cristologia rahneriana (e della sua conseguente morale) nella grande maggioranza del clero non significa necessariamente che questo clero sia pienamente consapevole dell'hegelismo filosofico di base. E che non dovrebbe essere così semplice dimostrare che in fondo a Rahner c'è Hegel.
      Grazie, Padre Giovanni.

      Pierino Savelloni

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    3. Caro Pierino Savelloni,
      mi fa piacere che lei condivida le mie opinioni.
      Quello che ci resta da sperare è che questa tendenza pericolosa possa essere corretta.
      Ciò che la rende più insidiosa è che si presenta come attuazione della riforma conciliare, mentre in realtà conduce al modernismo provocando la reazione contraria dei passatisti, quelli che il Papa chiama indietristi, i quali pretendono di rifarsi alla tradizione, che essi però interpretano in modo sbagliato contrapponendola alle dottrine del Concilio.

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