Il Sommo Pontefice come Vicario di Cristo


Il Sommo Pontefice come Vicario di Cristo

Papa Leone X condannò la tesi di Lutero, secondo il quale il Papa «non è Vicario di Cristo» (n.25, Denz.1475). Chi è un vicario? Uno che agisce a nome di un superiore, in quanto, per incarico di questi, svolge tutte o in parte le sue funzioni, per cui fa le veci di un superiore e agisce al suo posto, in modo tale che ciò che decide il vicario, supponendo che svolga fedelmente l’incarico, viene con ciò stesso approvato e ratificato dal superore; vale o ha vigore come se fosse deciso dal superiore.

Ora, applicare al Papa il concetto di Vicario è un’operazione legittima e doverosa; se non altro, perché altrimenti Papa Leone non avrebbe riprovato la tesi di Lutero. Tuttavia, essa va fatta con opportuni accorgimenti ed una certa cautela, che cercherò adesso di spiegare. 

Il problema di fondo, in questo concetto come in tutti i concetti di fede, è che noi, per forza di cose, per parlare delle cose di fede, siamo obbligati a partire da concetti che applichiamo a noi esseri umani, e il cui contenuto,  pertanto, risente della nostra limitatezza, per non dire dei nostri difetti di esseri umani. 

Ma questa operazione è possibile, corretta, lecita, doverosa e salvifica, perché siamo autorizzati a farla dallo stesso Nostro Signore Gesù Cristo, che appunto, per spiegarci i misteri del regno di Dio e del piano della salvezza del Padre, ha usato i nostri concetti e si è espresso nel nostro linguaggio umano, di per sè fatto per esprimere le nostre cose umane. Mentre qui sono in gioco realtà soprannaturali, divine, trascendenti e misteriose, per esprimere adeguatamente le quali, occorrerebbe un linguaggio proporzionato, adatto, divino, che noi, come creature, non possediamo. 

Tuttavia, se Cristo e in suo nome la Chiesa -  e qui è il caso del termine «vicario» - usano un dato termine per esprimere il dato di fede, vorrà dire che il termine va bene, solo che starà poi a noi sforzarci di comprendere in che senso, in che modo, entro quali limiti ed a quali condizioni il termine si adatta ad esprimere il dato rivelato. La cosa allora da fare è separare, nel concetto, di solito analogico e a volte metaforico, ciò che si adatta al divino da ciò che, in quanto umano, non può essere attribuito al divino.

In che senso allora il Papa è vicario di Cristo? In che senso fa le sue veci? In che senso ed entro quali limiti chi ascolta lui, ascolta Cristo? Possiede gli stessi poteri di Cristo? Fa tutto quello che può fare Cristo? Lo sostituisce? Può fare a meno di Lui? È infallibile ed impeccabile in questo suo vicariato?

Da tutte queste domande, alle quali qui evidentemente non possiamo rispondere in modo dettagliato, già da buoni cattolici intuiamo che tra l’esser vicario in modo umano di un superiore umano è molto differente, anche se non del tutto diverso, altrimenti non si userebbe lo stesso termine, da come il Papa è e dev’essere Vicario di Cristo.

Vediamo le somiglianze e le differenze. È chiaro che Cristo, apprestandosi a lasciare questo mondo, ha affidato a Pietro il compito di essere la «roccia», la base, il fondamento o pietra angolare, sulla quale Cristo vuol «edificare» (oikodomeo, Mt 16,18) la sua Chiesa, col compito di pascerla (Gv 21,16), di aprire o chiudere ai fedeli l’ingresso nel regno dei cieli (Mt 16, 19) e di confermarla nella fede (Lc 22,32), assicurando Pietro che le potenze infernali non avrebbero mai prevalso (Mt 16,18).

 Riguardo a questi incarichi dati a Pietro, per capire in che senso ed entro quali limiti il Papa è Vicario, occorre fare delle distinzioni. Un vicario terreno può sostituire il superiore in tutti i suoi poteri, può fare da sè tutto quello che il superore farebbe, se fosse presente. Diversa è la posizione del Papa nei confronti di Cristo.

Il Papa partecipa soltanto dei poteri di Cristo, ma non li possiede tutti, altrimenti sarebbe Dio. Esercita, per grazia di Cristo, un potere divino nell’insegnamento delle verità di fede e nell’amministrazione dei sacramenti, ma non nel governo giuridico e pastorale della Chiesa, né tanto meno nell’esercizio della sua condotta personale. 

Mentre nell’esercizio del magistero dottrinale il Papa, assistito dallo Spirito Santo, soprattutto nella definizione di nuovi dogmi, svolge sempre degnamente la sua funzione di Vicario, può capitare che ciò non avvenga nel governo della Chiesa e nella sua condotta morale personale, come del resto la storia del papato attesta. 

In base a ciò bisogna dire che il titolo di Vicario di Cristo non deve sembrare troppo elevato, relativo com’è a quella precisa e limitata funzione, che Cristo ha affidato a Pietro come capo degli apostoli e pastore della Chiesa. Questo titolo, del resto, benchè non sia evangelico, ma solo di tradizione ecclesiastica, è appropriato, perché ha effettivamente un riscontro, almeno parziale, nel vicariato umano, benchè non univoco, ma solo analogico, con le dovute  distinzioni, che appunto adesso stiamo facendo.  Sta di fatto che questo titolo è riservato solo al Papa come capo della Chiesa. Se infatti il sacerdote può esser detto un alter Christus, per la sua funzione sacerdotale, di nessun sacerdote si dice che è Vicario di Cristo, in quanto uno solo è il Capo della Chiesa.

Da notare inoltre che il Papa è Vicario di Cristo solo per la Chiesa terrena; mentre in cielo il Capo è Cristo; e quando Cristo tornerà sulla terra alla fine del mondo, porrà termine alla serie dei suoi Vicari, non più necessari, perché Cristo governerà la Chiesa direttamente anche sulla terra. L’idea luterana ed ortodossa orientale di una Chiesa governata direttamente da Cristo mediante lo Spirito Santo, è un’ecclesiologia che dissolve la Chiesa terrena in quella celeste e con ciò stesso, per inevitabile ritorsione, a causa della confusione, riduce la celeste alla Chiesa terrena. 

Queste eresie perdono di vista la saggezza, con la quale Cristo ha voluto organizzare la sua Chiesa su questa terra, tenendo conto del fatto che la debolezza umana conseguente al peccato originale richiede che l’organizzazione comunitaria della Chiesa non possa essere lasciata alla buona volontà dei singoli, sia pure sotto la guida dello Spirito Santo, ma debba essere conservata, se occorre, anche con la coercizione, o quanto meno con atti esterni, da un’autorità visibile ed efficace. E questa è l’autorità del Vicario di Cristo, che «lega e scioglie» (Mt 16,19).
La Chiesa «invisibile» di Lutero, con la sua apparente spiritualità e libertà, fu una sua utopia dei primi anni, dopo i quali dovette rendersi conto che un potere coercitivo o quanto meno esterno era necessario, solo che ne istituì uno arbitrario di suo conio, trascurando quello legittimo voluto da Cristo.

Altra osservazione. Un vicario umano ha un certo spazio di manovra, una volta che svolge correttamente il suo ufficio. Ugualmente il Papa, nei confronti di Cristo. Il Papa deve saper distinguere con chiarezza ciò che lo vincola assolutamente a Cristo come suo Vicario, da ciò che Cristo lascia alla sua iniziativa, e quindi anche al suo rischio, considerando soprattutto l’enorme differenza delle circostanze nelle quali visse Cristo dall’ambiente storico nel quale vive ogni Papa. Da come un Papa sa utilizzare quelle circostanze e da come sa muoversi in esse egli dimostra  come  sa svolgere il suo mandato di Vicario di Cristo.

Entro quali limiti un Papa è Vicario di Cristo? Chiaramente entro quei limiti che si riferiscono al governo della Chiesa. In tutti gli altri campi del suo agire, nei suoi interessi umani e culturali, nelle sue relazioni umane e nelle sue amicizie, è evidente che egli è esente da questo ufficio, per cui Cristo per lui sarà, come per ogni cristiano, semplicemente il suo Signore e il suo modello di santità.

È da notare inoltre che il vizio morale può infettare il governo papale della Chiesa o la condotta morale; ma l’ignoranza o l’errore non può offuscare la mente del Papa nella conoscenza e nell’insegnamento delle verità di fede o di morale, si tratti di dottrine direttamente o indirettamente connesse col dato rivelato, siano della Tradizione o siano della Scrittura, si tratti di insegnamento ordinario o straordinario, semplice o solenne, nuovo o tradizionale. 

Dire però che il Papa è Vicario di Cristo nella dottrina non è da intendersi come se la parola del Papa dovesse identificarsi sic et simpliciter con la stessa Parola di Cristo. Era Lutero che aveva questa empia presunzione che la parola di Lutero fosse quella stessa di Gesù Cristo. Ora invece, nemmeno nelle sue definizioni dogmatiche il Papa ha questa pretesa. 

A meno che un Papa non ripeta materialmente le parole del Vangelo, cosa che allora può fare qualunque cristiano, gli insegnamenti pontifici non hanno assolutamente l’ardire di porsi alla pari o al livello della Parola di Dio, ma sono semplici, per quanto infallibili, chiarificazioni, interpretazioni, esplicitazioni, conseguenze dedotte o spiegazioni di questa Parola. 

Bisogna distinguere la dottrina di Cristo dalla dottrina della Chiesa. Quest’ultima, per lo stesso volere di Cristo (Lc 10,16), ci introduce e ci guida alla Parola del Vangelo e ce la fa capire, per quanto possa essere compresa dalle nostre menti limitate. Non vi aggiunge nulla e non le toglie nulla. E tanto meno può fraintenderla, come erroneamente crede Lutero con tutti gli eretici.

 Da questo punto di vista il Papa è Vicario con maggior autonomia del vicario umano, il quale deve limitarsi ad essere, come si dice, un semplice «portavoce». Al massimo può spiegare il senso delle parole; ma non è autorizzato ad interpretare i concetti, che deve trasmettere tali e quali. 

Invece il Papa ha dallo Spirito Santo, ad alcune condizioni speciali ed in alcune circostanze opportune, la facoltà e il dovere di condurre gradualmente nella storia il popolo di Dio, senza per questo mutare il senso del Vangelo o della Tradizione, alla «pienezza della verità» insegnata da Cristo (cf Gv16,13) ed «alla perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo» (Col2,2), ossia a farci comprendere sempre meglio  il suo messaggio e più a fondo di quanto non risulti dalla semplice lettura del testo. E questo progresso nella conoscenza della Parola di Dio avrà termine solo alla fine del mondo, quando apparirà svelatamente Cristo, la stessa Verità fatta Persona.

Questo ministero dottrinale del Papa è preparato dal lavoro dei teologi e degli esegeti biblici, i quali propongono al Papa nuove interpretazioni, che intendono far meglio conoscere la Parola di Dio. Sta poi al Papa approvarle o rifiutarle a suo insindacabile giudizio. 

Questo avrebbe dovuto fare Lutero, invece di avere la presunzione di sostituirsi al Papa, come se il Papa sbagliasse. In particolare, nell’interpretare S.Paolo, Lutero avrebbe dovuto dissipare il linguaggio equivoco di Paolo, mentre aggrava la confusione cadendo nell’eresia della sola fede e della sola grazia senza le opere e i meriti.

Infatti,  Paolo, quando parla della «legge», che sembra condurre al peccato,  non sempre si capisce se si riferisce alla legge mosaica del decalogo o al legalismo farisaico. Quando Paolo parla dell’inutilità delle «opere della legge» a conseguire la salvezza e della gratuità della grazia e della sufficienza della fede senza le opere, Lutero avrebbe dovuto chiarire che Paolo non si riferisce al decalogo, che resta sempre necessario alla salvezza, ma al legalismo farisaico, superato  dall’avvento di Cristo.   

Inoltre, un vicario terreno può agire con forza propria senza far ricorso al superiore. Invece il Papa rappresenta certo Nostro Signore, ma non ha, come un qualunque vicario umano,  una  forza umana  per conto proprio, sufficiente per poterLo rappresentare degnamente, senza la sua grazia: questo non solo nell’insegnamento dottrinale, dove la sua speciale grazia di stato non può venir meno, ma anche nella sua condotta morale e nel governo della Chiesa, dove gli occorre una grazia santificante, oltre che di stato, per compiere bene i suoi doveri. Ma in tal caso il Papa può respingere la grazia e cadere nel peccato.

C’è da considerare, inoltre, che se il Papa non erra quando insegna come maestro della fede e della morale, tuttavia il modo col quale si esprime, gli stati d’animo con i quali parla, il linguaggio che usa, l’atteggiamento che può avere verso i giusti o i peccatori, il condannare o non condannare, il correggere o non correggere, sono sue scelte, sono atti morali, nei quali egli, a seconda dell’intenzione dalla quale è mosso,  può peccare o non peccare. 

Il Papa è dunque infallibile nella dottrina ma è peccabile nella condotta pratica e morale e quindi anche nell’uso del linguaggio. Se usa un linguaggio ambiguo, astuto o equivoco nel dare un insegnamento in sè certo, questo insegnamento resta in se stesso  valido, ma il modo col quale viene trasmesso manca di onestà e di lealtà. 

Anche in un Papa, dunque, benché assistito dallo Spirito Santo nella conoscenza e nell’insegnamento, che mette di per sé in gioco l’intelletto, tuttavia questo atto, in quanto voluto, è causato dalla volontà, per cui assume una connotazione morale, per la quale il Papa può peccare in vari modi, o di doppiezza o di opportunismo o di pavidità o di imprudenza o di precipitazione  o di reticenza o di trascuratezza e cose del genere. 

Altra questione. Se giudichiamo che un Papa non rappresenti degnamente Nostro Signore, possiamo appellarci direttamente a Cristo? Può capitare la necessità o il dovere di disobbedire al Papa pur di obbedire a Cristo? Occorre di norma supporre che il Papa agisca con prudenza. Però la cosa può succedere. Ma diciamo subito che ciò può essere giustificato in relazione alla sua condotta pratica, non in rapporto ai contenuti dei suoi insegnamenti dottrinali,  soprattutto quelli di alto livello, come sono per esempio le encicliche, per non parlare delle definizioni dogmatiche o delle dottrine di un Concilio ecumenico. 

Per esprimere un parere in questa delicata e complessa materia, occorrono alcune condizioni. Prima, occorre esser certi che si tratti di una questione pastorale o giuridica o di condotta personale. Seconda, occorre possedere una sufficiente preparazione concernente la materia su cui giudicare. Terza, occorre avere un’informazione certa del fatto. Quarta, sentire eventualmente anche il parere di altri giudici autorevoli ed imparziali. Quinta, occorre avere l’animo sgombro da passioni o prevenzioni, con propensione ad interpretare in bonam partem. Sesta, occorre saper applicare un giusto criterio di giudizio al caso concreto. Questa è la condizione più difficile, perché suppone tutte le precedenti. Ma è quella decisiva. Nel formulare il giudizio, si deve usare modestia con tendenza o preferenza a sentirsi nell’opinione piuttosto che nella certezza.

 Espressa la valutazione, occorre poi vedere che cosa fare. In linea di principio, se la cosa è possibile, se si tratta di una questione veramente importante, di comune interesse, se ne vale la pena e non si rischiano conseguenze pericolose o spiacevoli, valendosi magari di qualche buon mediatore, e se c’è speranza di essere ascoltati o di ottenere qualcosa, si può far giungere, a seconda dell’opportunità, o personalmente o collettivamente, un’osservazione, una dichiarazione, un appello, un reclamo o una supplica al Santo Padre. 

Da notare inoltre che nella storia gli eretici odiano il Papa come Vicario di Cristo o manifestamente con disprezzo, insulti, ingiurie, calunnie, diffamazioni, maldicenze, critiche, accuse ed offese di ogni genere, dichiarandosi apertamente nemici, negando la sua autorità, fino a volte a maltrattarlo e a martirizzarlo, oppure subdolamente o nascostamente, con ipocrisia ed inganno, isolandolo dai buoni e compromettendolo coi malvagi, fraintendo o esagerando la sua autorità, fingendosi amici e collaboratori, fedeli devoti o addirittura entusiasti, mal consigliandolo o ricorrendo alla piaggeria ed all’adulazione, e in realtà sottraendosi con astuzia o prepotenza all’obbedienza al Vicario di Cristo e lavorando segretamente e perfidamente per la distruzione del papato e della Chiesa.

Nella storia sono esistiti ed esistono ancor oggi cattolici o sedicenti cattolici, i quali asseriscono di accettare il papato e quindi, in linea di principio, il Papa come Vicario di Cristo, ma non il Papa regnante, che considerano indegno o eretico, o invalidamente eletto, o considerando vacante il trono di Pietro («sedevacantisti») o contrapponendogli un altro Papa o altri Papi del passato. Oggi c’è chi considera vero Papa il Papa Emerito Benedetto XVI e falso Papa Francesco. Tutto ciò chiaramente non corrisponde al giusto atteggiamento del cattolico. 

Anzi, possiamo dire che, per quanto possano essere giuste alcune critiche a certi aspetti della pastorale e della condotta del Papa attuale, queste prese di posizione, soprattutto quelle che considerano eretico questo Papa, finiscono per negargli il titolo di Vicario di Cristo e, se non negano il papato in linea di principio come fece Lutero, tuttavia, negando questo titolo ad un Papa validamente eletto perchè riconosciuto dal Collegio cardinalizio che lo ha eletto, è come se negassero il titolo in se stesso, il che fa ricadere nell’eresia luterana.

Si potrebbe dire, allora, per quanto riguarda il momento presente, che il demonio, sapendo bene che il Papa, come Vicario di Cristo,  è il supremo maestro della fede sulla terra e perciò il supremo baluardo contro le eresie,  è contro il Papa che concentra tutte le forze della menzogna e dell’inganno nel tentativo  sempre ripetuto e sempre fallito nel corso dei secoli, di farlo cadere nell’errore e così trascinare la Chiesa nell’errore, nel peccato ed  alla perdizione. 

Credo che oggi come non mai il Papa, nella persona di Papa Francesco, sia stato così ferocemente sotto i colpi del demonio, mai sia stato maggiormente provato e tentato da Satana, mai come oggi il potere delle tenebre, col permesso della Provvidenza, abbia impiegato tante forze nel tentativo vano ma sempre ripetuto di abbattere il papato e con ciò la Chiesa, suscitando ogni genere di eresia, dalle più antiche alle più recenti ed inventandone anche di nuove. Sono gli eretici che sostengono che il Papa è stato vinto dal demonio, per avere il pretesto per fondare una contro-Chiesa, questa sì ispirata da Satana. 

Il Santo Padre sembra accorgersi di questo attacco contro la Chiesa e contro la sua persona di Vicario di Cristo. Lo possiamo ricavare, credo,  dai suoi frequenti accenni al demonio, che sono una novità rispetto agli insegnamenti dei Papi precedenti. Da come si esprime Papa Francesco, si direbbe che egli si riferisca ad attacchi ricevuti personalmente.

Ma vale sempre la promessa di Cristo: «le potenze dell’inferno non prevarranno» (Mt16,18). Ma ciò vale solo per la vera Chiesa guidata dal Papa e non per le false Chiese inventate dagli eretici, che sono piuttosto  «sinagoghe di Satana» (Ap 2,9). O bene che vada, come si esprime il Concilio Vaticano II nell’Unitatis Redintegratio (n.3), non sono in piena comunione con la Chiesa Cattolica. 

Papa Francesco sembra più preoccupato di rinnovare che di conservare. Era questa l’intenzione del Concilio Vaticano II e in tal senso il Papa continua l’opera riformatrice del Concilio. Fa dunque bene ad opporsi ad un certo conservatorismo, che ancora a tutt’oggi rifiuta le dottrine del Concilio e lo accusa di «modernismo» e di essere all’origine di tutti i mali della Chiesa da cinquant’anni a questa parte. 

Credo, tuttavia, che Papa Francesco debba guardarsi dall’azione subdola di un effettivo rinato modernismo, mascherato da «progressismo», che ha male interpretato il Concilio e che sta arrecando grave danno alla Chiesa. Nel contempo, dovrebbe, a mio giudizio, insistere di più sul recupero di alcuni valori tradizionali e perenni, che fanno parte del deposito rivelato o sono con essi connessi, e che furono richiamati, per esempio, dal Servo di Dio Padre Tomas Tyn.

P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 29 aprile 2019

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