L’origine della conoscenza

 L’origine della conoscenza

Don Vincenzo Sarracino mi ha fatto giungere alcune sue considerazioni sul problema dell’origine psicologica della conoscenza umana.

Ho il piacere di pubblicare la lettera di Don Vincenzo, nella quale ho inserito tre mie osservazioni.

Fontanellato 4 Febbraio 2023

 

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Carissimo p. Giovanni, desidero sottoporle una questione riguardante l’origine della conoscenza umana.

Don Vincenzo Sarracino

30 Gennaio 2023

 

Partendo da una prospettiva metafisica realista, la realtà è la fonte della conoscenza e fondamento del processo conoscitivo.

La porta d’ingresso alla conoscenza consiste in un atto di obbedienza alla verità che permette all’uomo attraverso l’intelligenza e la volontà di giungere ad una conoscenza consapevole della realtà nella quale vive ed opera, perché l’oggetto della conoscenza è la realtà e le idee sono i mezzi e gli strumenti per conoscerla e formulare teorie. La via per giungere ad una conoscenza vera è l’apertura dell’intelletto al reale nella famosa formulazione di San Tommaso d’Aquino adaequatio intellectus et rei. È l’obbedienza alle cose che dà la certezza del sapere, che apre alla verità sull’io, sugli altri soggetti come me, sul mondo e su Dio. La verità del realismo è il conformarsi del soggetto alla realtà per cui l’oggetto di una metafisica realista non è l’io, il soggetto pensante, il pensiero, l’essere, ma è l’ente primum cognitum che sta davanti al soggetto conoscente per essere conosciuto e che mi permette di riconoscermi come un io che pensa e che conosce.

L’umana conoscenza, inizia con la percezione dell’intelletto, attraverso i sensi, degli enti in quanto essenze con il loro essere in atto. Questa è la verità originaria. La conoscenza ha quindi come punto di partenza, non l’essere in quanto tale, o l’idea di essere, ma soltanto l’essere delle cose.

Certamente l’essere in quanto tale è per noi inconoscibile perché appartiene a Dio, la cui essenza è lo stesso suo essere, mentre l’essere umano riceve da Dio l’essere per partecipazione.

 

Osservazione I. L’essere in quanto essere non è inconoscibile, ma è intuìto nel verbo essere, che è la copula del giudizio. Così usando il predicato dell’essere, tutti danno mostra di sapere che cosa è l’essere. L’essere è l’atto dell’ente, ciò per cui l’ente è o esiste. L’essere è l’atto dell’essenza come potenza di essere. Nell’ente creato l’essere è distinto dall’essenza: posso pensare all’essenza della Medusa, anche se la Medusa non esiste. Invece Dio è il suo essere, è Colui Che è, cioè è l’essere sussistente, l’essere che non può non essere, l’ente la cui essenza è quella di essere, perché è il creatore dell’essere delle cose. Certamente per noi l’essere è sovraintellegibile insondabile, perché è l’atto di ogni ente e, in quanto sussistente, è l’essenza di Dio stesso. 

 

Le chiedo se questo pensiero sia compatibile con il pensiero di A. Rosmini il quale sostiene che l'esercizio dell'intelligenza è possibile grazie alla «luce dell'essere», una luce discreta e non invadente, di cui noi facciamo uso senza nemmeno accorgercene, allo stesso modo in cui la luce fisica rende possibile la vista delle cose senza che normalmente si badi ad essa. «L'uomo non può pensare a nulla senza l'idea dell'essere [...]. Si può definire l'intelligenza nostra la facoltà di veder l'essere [...]. Toltaci la vista dell'essere, l'intelligenza nostra è pur tolta» (Nuovo saggio, II, n. 411 e 545, pp. 27,122).

 

Osservazione II. L’essere non è la luce nella quale e per la quale conosciamo le cose e Dio. Non è ciò per cui e grazie a cui vediamo e che ci consente di vedere, ma è oggetto del nostro vedere. Per questo si può e si deve dire che vediamo l’essere, ma come atto degli enti e come Atto puro di essere che è Dio. Il che ovviamente non vuol dire vedere Dio adesso, ma si tratta di un concetto, il più alto che abbiamo, che ci consente adesso di concepire Dio nell’attesa della beata visione in cielo.

Abbiamo certamente in noi una luce intellettuale e intellegibile, che ci consente di vedere, ma questa luce è il nostro stesso intelletto agente, che illumina le immagini tratte dai sensi è gli consente di astrarre da esse l’essenza universale concepita dall’intelletto ricevente.

L’idea dell’essere è tratta dall’esperienza sensibile, astraendo dall’essere concreto delle cose. Mediante questa astrazione concepiamo il concetto dell’essere, mediante il quale intendiamo l’essere usato come copula del giudizio. L’idea dell’essere non coincide, come credeva Rosmini, con l’essere ideale, ma ha per oggetto sia l’essere reale (ens reale) che quello ideale (ens rationis sive logicum).

 

Secondo Rosmini, noi in quanto esseri dotati di intelligenza, siamo in questa visione dell’essere, seppur limitata e non pienamente posseduta e questa dimensione è presente alla nostra mente ed è, usando una terminologia kantiana, la condizione di possibilità del conoscere, dell’uscire da noi stessi e pensare cose diverse da noi. Ci permette di affermare: res sunt ergo cogito, quel sunt, quell’essere, unisce noi e le cose, il nostro pensiero e la realtà permettendoci, appunto, di conoscere le cose.

Infatti per S. Tommaso ciò che è conosciuto in primo luogo dal nostro intelletto è l'essere intelligibile delle cose sensibili (ens intelligibile rerum sensibilium); ente significa ciò-che-è, l'ente infatti viene chiamato tale a causa dell'essere che ha, e quindi fin dall'inizio della nostra vita intellettiva concepiamo in modo confuso l'essere, ma subito dopo segue il giudizio di esistenza, dell'esistenza esercitata da questo oggetto sensibile e singolare.

 

Osservazione III. Il giudizio di esistenza consegue l’intellezione o intuizione dell’essere e la esprime nella copula del giudizio: est.

 

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 3 Febbraio 2023

 


 

L’umana conoscenza, inizia con la percezione dell’intelletto, attraverso i sensi, degli enti

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