Vociare assassino - L’accusa lanciata dal Papa emerito ai suoi nemici tedeschi - Seconda Parte (2/4)

Vociare assassino

L’accusa lanciata dal Papa emerito ai suoi nemici tedeschi

Seconda Parte (2/4)

Il tradimento

Da quel momento partirono le ostilità fra Ratzinger e Rahner, i quali cominciarono a presentarsi sempre più, con le loro forti personalità e l’autorevolezza che si erano acquistati al Concilio, come simboli e capofila delle due interpretazioni progressiste del Concilio[1], che ancor oggi continuano a farsi guerra:  quella giusta, che sarà poi espressa dal Catechismo della Chiesa cattolica del 1992 e dall’insegnamento dei Papi del postconcilio e quella modernista, che troverà la sua prima importante espressione nel Catechismo olandese del1966 e nel rahneriano Corso fondamentale della Fede del 1978[2].

La prima sortita del modernismo in grande stile avvenne, come sappiamo, già nel 1966 col famoso Catechismo Olandese, approvato niente meno che dall’Episcopato olandese sotto la presidenza del Card. Alfrink. È sorprendente la tempestività con la quale uscì questo Catechismo, opera voluminosa e assai curata, la quale, per essere uscita appena un anno dopo la fine del Concilio, mostra con ogni evidenza che era stata preparata durante i lavori del Concilio, mentre il materiale era certamente dato da opere di prima del Concilio, legate a quel tentativo di far lo risuscitare il modernismo che fu il movimento francese della théologie nouvelle, colpita da Pio XII nell’enciclica Humani generis del 1950.

I modernisti mostrarono, con la repentina pubblicazione del loro Catechismo, di possedere una tempestività e quel senso delle opportunità favorevoli alla diffusione delle loro idee, che hanno sempre avuto. Un simile abile ed indefesso diffusore delle proprie idee fu Lutero. Già San Pio X nella Pascendi notava questo zelo ardente e l’abile organizzazione della loro propaganda. Si è tanto sbandierato il senso pastorale della Chiesa del Vaticano II, ma in realtà, sotto questo punto di vista, ne ha avuto di più il Concilio di Trento.

Similmente a Lutero gli Olandesi si accorsero dell’importanza del Catechismo e furono estremamente tempisti, perché capirono che se si fossero messi in vantaggio nel tempo rispetto alla Chiesa Romana prevenendola nel tempo, si sarebbero avvantaggiati nella conquista delle anime.

E di fatti così è stato. Quando finalmente, dopo 30 anni dalla fine del Concilio, uscì il Catechismo cattolico, quello olandese aveva ormai conquistato un numero di fedeli ormai perduti al vero cattolicesimo, cattolici di nome, ma modernisti o scillebexiani di fatto. Provvido fu invece il tanto bistrattato Concilio di Trento a pubblicare immediatamente il suo Catechismo, cosicchè le sue dottrine si diffusero immediatamente evitando le infinite discussioni e gli infiniti litigi della Chiesa post-Vaticano II. 

L’anima di questa formidabile impresa del Catechismo olandese fu lo Schillebeeckx, teologo tomista ma fortemente influenzato dall’esegesi protestante e da una visione filosofica che sposava la gnoseologia idealista di Kant, Habermas e Gadamer con l’etica edonista di Hume e quella buonista di Rousseau. La visione di Schillebeeckx si sposa bene con quella di Rahner, legato piuttosto ad Hegel ed Heidegger, anch’egli influenzato dall’esegesi protestante di Bultmann. Dietro Schillebeeckx e Rahner c’è l’ombra della cosiddetta «filosofia moderna» di Cartesio e della riforma luterana.

Secondo me, dietro ai progressisti olandesi c’erano i rahneriani, i quali, con un piano altamente organizzato, secondo lo stile dei modernisti già denunciato da San Pio X, organizzarono segretamente già durante i lavori del Concilio, l’attacco alla Chiesa (da loro chiamato «modernizzazione») in due tappe, secondo la tattica tradizionale delle azioni belliche: una prima fase, moderata, per sconcertare il nemico; ed una seconda, più aggressiva e decisiva, per abbatterlo del tutto.

Si può pensare che mediante accordi segreti i rahneriani tedeschi, durante i lavori del Concilio, abbiano affidato la prima fase ai modernisti olandesi, di antica tradizione protestante, apparentemente miti e dolci, mentre abbiano riservato a se stessi la seconda fase, che contavano che fosse quella definitiva, una specie di blitzkrieg: conquistare al modernismo la stessa Sede Romana, secondo il progetto già enunciato a suo tempo da Ernesto Buonaiuti.

La seconda fase l’ha promossa Rahner col suo Corso fondamentale sulla fede del 1978. Esso è il programma dell’odierno cristianesimo modernista, nel quale è superata l’impostazione kantiana, propria del modernismo dei tempi di San Pio X, ed è manifestamente fondato sull’idealismo hegeliano dell’identità del pensiero con l’essere già affermata nel libro programmatico Uditori della parola (ed.ted.1940, ed.it.1977).

Nel modernismo kantiano è in qualche modo salva la distinzione fra Dio e l’uomo, giacchè, sebbene per Kant Dio sia la suprema Idea della ragione, tuttavia non è la ragione. Invece per Rahner Dio è il «fondamento e orizzonte trascendentale di ogni esistente e di ogni conoscente»[3]; è il «compimento totale dell’uomo» e «l’elemento più intimo dell’uomo»[4]; è «il punto di partenza reale dell’autoattuazione e dell’autocompimento dell’uomo»[5]. Identifica fra di loro antropologia, cristologia e teologia[6].

Rahner fa esplicitamente professione di panteismo, definendolo esattamente come «esperienza trascendentale del fatto che Dio è la realtà assoluta, il fondamento originario, l’ultimo orizzonte della trascendenza»[7] (umana). Inoltre, riconoscendo che nel panteismo Dio può diventare qualcosa, fraintende l’espressione giovannea «Il Verbo è diventato carne», per cui non ha problemi ad accettare il panteismo[8].

Inoltre Rahner mantiene il concetto di Dio, già condannato nella Pascendi, come «Inconoscibile», affermando che è «senza volto»[9] e «senza nome»[10], affermazioni che non corrispondono affatto a quello che la Scrittura dice d Dio, nella quale l’aspirazione suprema dell’uomo è precisamente quella di vedere il volto di Dio e conoscere il suo nome. D’altra parte Dio, per la Scrittura, viene fra noi proprio per mostrarci il suo volto e dirci qual è il suo nome, ossia mostrarci la sua essenza. Se togliamo queste rivelazioni dalla Bibbia, la svuotiamo del suo significato e del suo scopo essenziali.

Ma il 1978 fu anche l’anno della morte di Paolo VI. Il nuovo Papa, dopo Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, accortosi delle trame presenti nella Compagnia di Gesù, aveva addirittura in mente di sopprimerla, se non fosse stato indotto a rinunciare dal Card. Casaroli Segretario di Stato[11].

Le due fasi dell’aggressione rispondono a due attacchi al cattolicesimo che hanno un’assonanza con quanto è successo nella stessa storia della filosofia tedesca: il primo colpo significativo, continuatore della riforma luterana, messa in filosofia da Cartesio, è stato quello di Kant, ispiratore del modernismo dei tempi dei San Pio X.

Invece la seconda fase dell’aggressione, che i modernisti tedeschi riservarono a sé, quella rahneriana, trasse ispirazione da Hegel, e costituì una escalation rispetto a Kant, perchè Hegel, come è noto, porta a compimento l’idealismo kantiano. Mentre infatti Kant lascia la porta aperta alla cosa in sé, che consente ancora l’ammissione di un Dio creatore della cosa in sé, l’immanentizzazione della cosa in sé nell’Idea hegeliana, frutto estremo del cogito cartesiano, blocca la via della mente umana verso Dio e sfocia ad un tempo nel panteismo e nell’ateismo.

Senonchè, come si suol dire, il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. Il tentativo di rahnerizzare il cattolicesimo, come vedremo, sarà fatto un’altra volta dalla Mafia di San Gallo, con la promozione di Bergoglio a Papa, ma di nuovo, come vedremo, senza successo. Il diavolo attacca perchè sempre si illude di poter averla vinta, ma – come diceva Santa Caterina da Siena – egli non ti vince se non sei volontariamente tu a permetterlo.

Il Catechismo olandese, come è noto, non certo privo di valore dottrinale e formale, fu comunque il primo grande exploit modernista, ben celato sotto una ortodossia di massima, ma che fu frenato dall’intervento di San Paolo VI, il quale, fattolo esaminare da un’apposita commissione cardinalizia, lo fece correggere in numerosi punti che si discostavano dall’autentica dottrina cattolica.

Interessante è lo stile letterario del Catechismo. Se il linguaggio del Concilio propende eccessivamente verso lo stile letterario accantonando quello giuridico-didascalico, il Catechismo olandese, anziché correggere questo difetto, lo accentua ancora di più, sicchè alla fine non si differenzia quasi più da una piacevole silloge di pensieri o aneddoti spirituali, religiosi o morali cattolici. Significativo è che il Catechismo sia corredato di molte composizioni poetiche. Esso ha ricevuto premi letterari. Ma, ahimè! Non ha ricevuto alcun premio dalla Chiesa, benché, come ho detto, Paolo VI, nella sua magnanimità, lo abbia lodato per quanto esso ha di valido.

L’aggressione

L’aggressione iniziale dei modernisti, nell’immediato postconcilio, avvenne a due livelli: da una parte un livello sul piano accademico della cultura civile ed ecclesiale, nonchè della teologia e della morale; e dall’altra un livello sul piano politico, educativo e delle istituzioni.

I rahneriani, che con le loro eresie erano l’anima della rivoluzione e della sovversione, apparivano agli ingenui come uomini del progresso e della moderazione, per cui molti non si accorsero che le radici ideologiche dei famosi disordini del 1968 erano da rintracciarsi proprio nelle eresie di Rahner e Schillebeeckx, i quali fingevano di disapprovare quei disordini, ma in realtà erano ben consapevoli d’aver provocato loro la contestazione studentesca, che ben presto si sarebbe congiunta con le classi operaie per avviare una serie di agitazioni sociali, in parte anche giuste, ma che, sobillate dalle idee sovversive provenienti dal rahnerismo sociale, avrebbero ben presto degenerato e avviato in Italia, in Europa e in America Latina in una serie di sanguinose agitazioni sovversive, che erano comprensibilmente viste di buon occhio dalla Russia sovietica e dai partiti comunisti, e si poterono collegare con una simultanea rivoluzione politico-culturale in Cina, dove trionfava il maoismo, tanto che il famoso Libretto Rosso di Mao divenne il Vangelo dei movimenti operai e studenteschi marxisti-leninisti.

Così sorse tutta la tematica e l’ideologia del ‘68: lo spirito hegeliano-marxista di contraddizione che si espresse nel famoso fenomeno della «contestazione», la negazione sistematica dei valori assoluti, gli sproloqui interminabili delle assemblee studentesche, il blocco o il dissesto delle attività accademiche e scolastiche, la ribellione all’autorità, il fanatismo ideologico, il pacifismo qualunquista e di comodo, il giovanilismo, il disprezzo dell’anzianità, la licenza sessuale, il permissivismo, la violenza verbale, fisica e rivoluzionaria, l’abolizione dei meriti e delle pene, la libertà sfrenata, l’empietà, l’odio per l’ascetica, il sacrificio e l’espiazione, nonché l’insieme dei famosi slogans:  «vietato vietare», «fate l’amore e non la guerra», «tutti promossi», il «voto politico»,  l’«immaginazione al potere».

È chiaro che dietro la rivoluzione del ’68 c’è il concetto rahneriano di realtà come quello-che-penso-io, di coscienza come autodeterminazione, di conoscenza come prassi, di libertà come affermazione di sé e assolutizzazione del sé, di natura umana come materiale plasmabile a disposizione e ad arbitrio della singola persona[12].

Il 1968 fu l’anno dell’enciclica Humanae vitae, il programma dell’etica sessuale rinnovata dal Concilio; ma Paolo VI non poteva scegliere il momento meno adatto per emanare questo splendido ed immortale documento, giacchè proprio allora si stava scatenando nel mondo l’apologia della lussuria, sicchè, come è noto, non solo Rahner, ma addirittura alcuni Episcopati espressero il loro dissenso, il che fa capire fino a che punto i rahneriani già allora si erano infiltrati nell’Episcopato internazionale.

Ma questo era solo l’inizio. Gli anni ’70, come sappiamo, sono segnati dallo irrompere della teologia della liberazione con i suoi sbocchi terroristici e guerriglieri, inaugurata nel 1970 dal peruviano Gustavo Gutiérrrez[13], che pretende di presentare questa teologia come un prodotto autoctono del Sudamerica, ma che in realtà è influenzata dalla cosiddetta «teologia politica» del tedesco Johann Baptist Metz[14], discepolo di Rahner.

Sempre gli anni ’70, come sappiamo, furono segnati in Italia e in altri paesi del mondo dal tentativo comunista, attizzato dalla Russia Sovietica e dalla Cina di Mao, di diffondere mediante il terrorismo e la guerriglia, movimenti rivoluzionari, tali da abbattere le democrazie per instaurare un regime comunista. Gli Stati Uniti ed altre democrazie europee allora mostrarono una forza di resistenza all’avanzata del comunismo.

Paolo VI, troppo fiducioso nel dialogo con i comunisti, fallì tragicamente nell’appoggiare il tentativo di Aldo Moro di avviare un governo di collaborazione fra cattolici e comunisti, in applicazione alla sua enciclica sul dialogo Ecclesiam suam del 1964, insufficientemente attenta al dovere del cattolico di opporsi agli errori del marxismo.

Questo tragico periodo di sangue, come è noto, che tenne in ansia per un decennio intere popolazioni a causa di piccoli gruppi di esaltati criminali, è stato designato con l’espressione efficace di «anni di piombo». Assistemmo in Italia, in Europa e specialmente in America Latina, allo scatenarsi della violenza rivoluzionaria ispirata sì a Marx, ma, come ho detto, con  vere radici in Hegel attraverso la Scuola sociologica hegeliana di Francoforte di Marcuse, Bloch ed Horkheimer. Persino all’Università Cattolica di Milano esplose la ribellione comunista.

La teologia della liberazione, però, propriamente, non trae spunto tanto da Marx, quanto piuttosto da Hegel. Infatti essa non si presenta affatto come atea, perché appunto vuol essere teologia, solo che il suo è un teismo fasullo, come appare nel pensiero di Metz, perché non è relativo al sapere, ma al fare, non alla teoria ma alla prassi. Cioè la fede, per Metz non appartiene all’ordine del sapere, ma del fare e la stessa verità non sta in un’adeguazione, ma in una produzione, in un’azione politica. Non l’azione deve basarsi sul vero ma il vero stesso sorge dall’azione ed è effetto dell’azione.

Ora tutto questo è Hegel nel suo aspetto fichtiano. Il teismo qui consiste nel fatto che Dio stesso è concepito hegelianamente come l’Assoluto che diviene storia e prassi nella coscienza e nell’agire sociale dell’uomo. Non si tratta quindi del vero Dio immutabile, creatore dell’uomo ma di Dio inteso come autodivinizzazione dell’uomo e umanizzazione di Dio.

Così il fulmineo attacco dei modernisti alla dottrina cattolica preconciliare e conciliare non avvenne sotto forma esplosiva come avvenne con Lutero, ma in forma dolce e mascherata, sotto una veste letteraria, quella del Catechismo olandese, avvenente e seducente per la bellezza dello stile, l’efficacia delle immagini, la piacevolezza dei paragoni, l’innegabile validità di molte sue tesi.

Si procedette con cautela, per non suscitare uno scandalo generale. Il Papa, grazie a Dio, si accorse dell’insidia, ma pochi tennero conto della famosa «Appendice», fatta da lui aggiungere al Catechismo, contenente le proposizioni ortodosse volute dal Papa. Senonchè, fu commesso, a mio avviso, un errore pastorale. L’Appendice, per essere veramente efficace, avrebbe dovuto puramente e semplicemente sostituire i testi errati. Invece, il Papa permise o volle che fosse posta lasciandola alla fine del testo, appunto come appendice.

In questo modo, pare che il Papa stesso si sia rassegnato a permettere di dar l’impressione che il testo romano e quello olandese non si escludono come il vero esclude il falso, ma stanno come due optional, dove in fin dei conti, si sceglie ciò che si preferisce. Le verità di fede diventavano degli optional: sei cattolico sia che le accetti che le rifiuti. Siamo uniti solo nel nome. Una bella forma di nominalismo applicata al più sacro dei valori: essere cattolico.

Ma Ratzinger si era accorto che il Catechismo olandese, per il suo anticoncettualismo, la sua teologia soggettivista e agnostica, la sua cristologia ariana, la sua ecclesiologia orizzontale, la sua antropologia secolaresca, la sua morale relativista, liberale e buonista, il suo indifferentismo religioso, la sua aridità spirituale, metteva in crisi il cristianesimo alle radici, per cui si accorse che era sorto il problema alle radici: che cosa è il cristianesimo?

Fu così che egli, resosi drammaticamente conto del pericolo per la fede che i modernisti, con la relativa reazione lefevriana, avevano fatto sorgere nella Chiesa, quasi a voler raccogliere le idee così aggredite dalla montante marea modernista insieme con l’opposta corrente lefevriana, pensò che si stesse perdendo l’idea di che cosa è il cristianesimo o che comunque fosse urgente chiarire al mondo d’oggi qual è l’essenza del cristianesimo. Si tratta in fondo dell’idea germinale di quel nuovo Catechismo che nel 1992, come primo collaboratore di S.Giovanni Paolo II avrebbe pubblicato sotto il nome di Catechismo della chiesa cattolica.   

Fine Seconda Parte (2/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 6 marzo 2023

Rahner col suo Corso fondamentale sulla fede del 1978. Esso è il programma dell’odierno cristianesimo modernista, nel quale è superata l’impostazione kantiana, propria del modernismo dei tempi di San Pio X, ed è manifestamente fondato sull’idealismo hegeliano dell’identità del pensiero con l’essere, già affermata nel libro programmatico Uditori della parola (ed.ted.1940, ed.it.1977).

Nel modernismo kantiano è in qualche modo salva la distinzione fra Dio e l’uomo, giacchè, sebbene per Kant Dio sia la suprema Idea della ragione, tuttavia non è la ragione. Invece per Rahner Dio è il «fondamento e orizzonte trascendentale di ogni esistente e di ogni conoscente»; è il «compimento totale dell’uomo» e «l’elemento più intimo dell’uomo»; è «il punto di partenza reale dell’autoattuazione e dell’autocompimento dell’uomo». Identifica fra di loro antropologia, cristologia e teologia. 

 

Il fulmineo attacco dei modernisti alla dottrina cattolica preconciliare e conciliare non avvenne sotto forma esplosiva come avvenne con Lutero, ma in forma dolce e mascherata, sotto una veste letteraria, quella del Catechismo olandese, avvenente e seducente per la bellezza dello stile, l’efficacia delle immagini, la piacevolezza dei paragoni, l’innegabile validità di molte sue tesi.

Si procedette con cautela, per non suscitare uno scandalo generale. Il Papa, grazie a Dio, si accorse dell’insidia, ma pochi tennero conto della famosa «Appendice», fatta da lui aggiungere al Catechismo, contenente le proposizioni ortodosse volute dal Papa. Senonchè, fu commesso, a mio avviso, un errore pastorale. L’Appendice, per essere veramente efficace, avrebbe dovuto puramente e semplicemente sostituire i testi errati. Invece, il Papa permise o volle che fosse posta lasciandola alla fine del testo, appunto come appendice.

Interessante è lo stile letterario del Catechismo. Se il linguaggio del Concilio propende eccessivamente verso lo stile letterario accantonando quello giuridico-didascalico, il Catechismo olandese, anziché correggere questo difetto, lo accentua ancora di più, sicchè alla fine non si differenzia quasi più da una piacevole silloge di pensieri o aneddoti spirituali, religiosi o morali cattolici. Significativo è che il Catechismo sia corredato di molte composizioni poetiche. Esso ha ricevuto premi letterari. Ma, ahimè! Non ha ricevuto alcun premio dalla Chiesa, benché, come ho detto, Paolo VI, nella sua magnanimità, lo abbia lodato per quanto esso ha di valido.




Immagini da Internet:
- Conferenza stampa del Presidente della Conferenza episcopale dei Paesi Bassi cardinale Bernard Jan Alfrink, 11 luglio 1969
- San Paolo VI


[1] La terza presa di posizione nei confronti del Concilio, come è noto, è quella dei lefevriani, i quali sono contro il Concilio, perché credono che sia stato ispirato dai rahneriani. Essi pertanto rifiutano anche il contributo positivo che Rahner ha dato al Concilio qualificandolo come modernista.

[2] Edizione italiana delle Paoline.

[3] Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, Roma 1978Ibid.,p.119.

[4]Ibid., p.171.

[5] Ibid.,p.166

[6] Ibid., pp.293-294.

[7] Ibid.,p.94.

[8] Ibid., pp.286-287.

[9] Ibid., p.74.

[10] Esercizi spirituali per il sacerdote, Queriniana, Brescia, Brescia 1974, p.10.

[11] La vicenda è raccontata da Malachi Martin, I Gesuiti. Il potere e la segreta missione della Compagnia di Gesù nel mondo in cui fede e politica scontrano (titolo originale: The Society of Jesus and the betrayal of the Roman Catholic Church), SugarCo Edizioni, Milano 1988.

[12] Cf il mio Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009, pp.149-163;315-334.

[13] Famoso tema della teologia di Gutierrez è la negazione della dottrina evangelica dei due mondi: l’al di qua e l’al di là. Gutierrez dice che il mondo è uno solo, questo nel quale viviamo, che però deve essere liberato dal male da Cristo. Ora questo èp vero. Tuttavia nasce una difficoltà, perché resta aperta la questione: dov’è allora il paradiso? Se il mondo è uno solo, che ne è di quell’altro mondo che è il mondo celeste?

[14] Ratzinger, dopo un primo incontro positivo cin Metz, si accorse che la sua teologia «non era più l’interpretazione della fede della Chiesa cattolica, ma stabiliva essa stessa come poteva e doveva essere». Non esiste definizione migliore del modo protestante modernista di far teologia.

8 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    lei ha scritto:

    “Rahner mantiene il concetto di Dio, già condannato nella Pascendi, come «Inconoscibile»”.
    Le chiedo: possiamo escludere che Rahner volesse intendere che una piena conoscibilità di Dio, da parte dell’uomo, non sia possibile in questa vita?
    In altre parole, sarebbe possibile interpretare questo pensiero di Rahner, almeno in parziale sintonia, con quanto affermato nel documento “La Teologia oggi” (https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_doc_20111129_teologia-oggi_it.html), pubblicato nel 2012 dalla Commissione Teologica Internazionale, in cui è scritto:

    “Il senso di mistero che caratterizza propriamente la teologia conduce ad un pronto riconoscimento dei limiti della conoscenza teologica, che contrasta con qualsiasi pretesa razionalista di esaurire il Mistero di Dio. L’insegnamento del Concilio Lateranense IV è fondamentale: «Perché tra il creatore e la creatura, per quanto la somiglianza sia grande, maggiore è la differenza». La ragione, illuminata dalla fede e guidata dalla Rivelazione, è sempre consapevole dei limiti intrinseci del proprio operato […]
    La teologia giustamente intende parlare veramente del Mistero di Dio, ma al tempo stesso sa che la sua conoscenza per quanto vera è inadeguata alla realtà di Dio, che non potrà mai «comprendere». Come ha detto sant’Agostino: «Se comprendi, non è Dio»”.

    Peraltro, nel comunicato stampa della Conferenza internazionale su "Teologia negativa per il XXI secolo" (https://press.vatican.va/content/salastampa/it/info/2021/05/31/comunicato-stampa-conferenza-internazionale--teologia-negativa-p.html), tenutasi nel 2021 per iniziativa della Pontificia Accademia di Teologia e della Pontificia Università della Santa Croce, si riportava:

    “Ebrei, cristiani e musulmani condividono la consapevolezza che Dio è inconoscibile e l'attività di Dio insondabile. Questo può aiutare a superare il fondamentalismo e a mantenere intatto il senso del mistero, favorendo il dialogo, la libertà religiosa, la tolleranza e il rispetto”.

    Anche in questo caso, quel “Dio è inconoscibile” deve essere inteso come “non può mai essere del tutto compreso”, oppure dobbiamo ravvisare, anche in questo testo, un deprecabile influsso rahneriano?

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    1. Caro Bruno,
      l’attributo che usa Rahner è “incomprensibile”.
      Questo attributo è stato usato da San Girolamo nel tradurre Romani 11,33, mentre la traduzione esatta sarebbe “inesplicabile”.
      L’attributo è stato usato anche da alcuni Papi e lo si trova anche nel Concilio Lateranense IV e nel Concilio Vaticano I.
      Il problema allora non è quello dell’uso del termine, ma è dato dal fatto che purtroppo Rahner respinge la possibilità di concettualizzare la natura divina e dice che Dio è il “senza nome”.
      Quindi purtroppo Rahner non esclude una comprensione totale, ma esclude il comprendere sic et simpliciter.
      Ciò comporta naturalmente una forma di agnosticismo, che potrebbe portare all’ateismo per il fatto che, se io dico che di Dio non so nulla, è come se dicessi che non esiste.
      In realtà Rahner ammette l’esistenza di Dio in una forma che potremmo dire anche esagerata, nel senso che per lui l’uomo possiede un’esperienza originaria di Dio preconcettuale e atematica. Egli non esclude la possibilità di concettualizzare la natura divina, però ha una dottrina relativistica del concetto, che lo fa cadere nel relativismo dogmatico.
      Per quanto riguarda il documento della CTI l’attributo “inconoscibile” non può essere accettato sia perché è contrario al linguaggio biblico, il quale parla chiaramente di conoscenza di Dio e sia perché è stato condannato da San Pio X nella Pascendi.
      Occorre comunque precisare che, quando la Scrittura parla di conoscenza di Dio, esclude una conoscenza esaustiva, la quale richiederebbe un potere conoscitivo infinito, che è proprio soltanto della mente divina, e anche quando la Chiesa parla di visione beatifica essa lascia intatto il mistero della natura divina.
      Se Dio non potesse essere conosciuto, noi falliremmo nel raggiungere il nostro fine ultimo, che consiste appunto in una conoscenza così perfetta che comporta la visione immediata, senza che peraltro questa conoscenza comprenda esaustivamente l’essenza divina, perché si tratta di una comprensione finita, mentre l’essenza divina è infinita.

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  2. Caro Padre Giovanni,
    sulla Teologia della liberazione e, in particolare su Gustavo Gutierrez, registro, in questi ultimi anni, un certo cambiamento di rotta, da parte della Chiesa, rispetto ai primi anni ’80 del secolo scorso.

    Nel 2013, l’Osservatore romano ha pubblicato una doppia pagina dedicata agli scritti di Gutierrez, con un estratto del libro “Dalla parte dei poveri. Teologia della liberazione, teologia della chiesa” scritto dal teologo peruviano assieme a Gerhard Ludwig Muller, all’epoca arcivescovo, prefetto della CDF (https://formiche.net/2013/09/teologia-della-liberazione/?_ga=2.158742072.381491505.1680126234-109744646.1680126234).

    E nel 2018, in occasione del novantesimo compleanno dello stesso Gutierrez, Papa Francesco gli ha inviato un messaggio di auguri, con parole di stima e apprezzamento per l’opera svolta (http://www.settimananews.it/profili/gustavo-gutierrez-90-anni/):

    «In occasione del tuo novantesimo compleanno, ti scrivo per felicitarmi con te e assicurarti la mia preghiera in questo momento significativo della tua vita. Mi unisco alla tua azione di grazie a Dio, e ti ringrazio anche per il tuo contributo alla Chiesa e all’umanità attraverso il tuo servizio teologico e il tuo amore preferenziale per i poveri e gli emarginati della società. Grazie per tutte le tue fatiche e per il tuo modo di interpellare la coscienza di ciascuno, perché nessuno resti indifferente di fronte al dramma della povertà e dell’esclusione. Con questi sentimenti, ti incoraggio a proseguire nella tua preghiera e nel tuo servizio agli altri offrendo la testimonianza della gioia del Vangelo».

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    1. Caro Bruno,
      i giudizi di Muller e del Papa su Gutierrez mi fanno piacere.
      Se non lo sa, si è fatto domenicano ed è stato nominato maestro in teologia, che è il titolo onorifico più alto che il mio Ordine dà ai benemeriti nel campo della teologia.
      Non ho seguito l’evoluzione del suo pensiero in questi ultimi decenni. Egli divenne famoso quando nel 1970 pubblicò la sua opera “Teologia della liberazione”, che dette il via alla teologia che porta lo stesso nome. Fin da allora dimostrò un forte interesse per l’azione politica cristiana finalizzata alla liberazione delle classi popolari sfruttate da regimi tirannici.
      L’errore che fu notato allora, dal quale io suppongo che si sia corretto, consisteva nel fatto che lui negava che il Vangelo ammettesse due mondi: uno dell’al di qua e l’altro dell’al di là, ossia dopo la morte. Egli cioè sosteneva che il mondo è uno solo ed è quello nel quale viviamo adesso.
      Diceva che la salvezza riguarda questo mondo, in se stesso buono in quanto creato da Dio, e che il lavoro cristiano da fare è di liberarlo dal peccato e dalla sofferenza. Fin qui, tutto va bene.
      Sennonché però, quando il Vangelo parla dell’altro mondo, non intende un doppione di questo mondo, ma quello che è il mondo di Dio ossia il paradiso. Sicchè nella visione autenticamente cristiana il mondo, come realtà materiale, è effettivamente uno solo, ma la pienezza della resurrezione comporta anche una vita soprannaturale, che è la vita della grazia dei figli di Dio, che costituisce un mondo spirituale superiore a quello presente e che inizia già da adesso con la Chiesa.

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  3. Caro Padre Cavalcoli,
    scrivi:
    "Il 1968 fu l’anno dell’enciclica Humanae vitae, il programma dell’etica sessuale rinnovata dal Concilio; ma Paolo VI non poteva scegliere il momento meno adatto per emanare questo splendido ed immortale documento...".
    Sì, ma... forse vedendo le cose in modo troppo umano.
    Al contrario, san Giovanni Paolo II, nel capitolo 27 di "Varcare la soglia della speranza" (a mio avviso, per molti versi, un vero documento magisteriale del Santo Padre), dice:
    "Con la sua enciclica Humanae vitae, ha messo in pratica l'esortazione dell'apostolo Paolo, che scriveva al suo discepolo Timoteo: 'Annuncia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e inopportuna... Verrà il giorno in cui la sana dottrina non sarà tollerata ' (2 Tim 4,2-3)".
    Forse lo Spirito Santo concede ai Papi un senso diverso di ciò che si deve fare secondo le "opportunità".

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    1. Caro Pierino,
      io non mi permetto assolutamente di giudicare l’intervento di Paolo VI, che è fuori di dubbio molto coraggioso, anzi secondo me è l’atto di maggior coraggio che ha fatto in tutto il suo pontificato.
      Parlando di inopportunità, faccio dell’ironia e mi metto per un momento dal punto di vista dei modernisti, ai quali, come si suol dire, ha rotto le uova nel paniere. Da qui si spiega la loro reazione feroce, capeggiata da Rahner e da Häring, accompagnata addirittura dalla resistenza sorda di alcuni episcopati del Nord Europa.
      Paolo VI ebbe un tale dolore per questa scandalosissima disobbedienza che non scrisse più encicliche fino alla morte.
      Ma aveva immaginato la reazione che avrebbe scatenato? È difficile dare una risposta. Probabilmente non si aspettava di trovare resistenza negli episcopati e si immaginava che essa sarebbe venuta solo dai modernisti.
      Era prudente fare a meno di questo intervento? Il clima era adatto per intervenire? Dato che si tratta di un santo, la cosa sarà stata senz’altro vagliata nel corso del processo di canonizzazione, e credo che si possa dire con certezza che gli attori del processo abbiano potuto appurare che è stato un atto di prudenza e forse di prudenza eroica.

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    2. Caro Padre Cavalcoli,
      totalmente d'accordo con lei.
      È stato un atto di eroica prudenza.
      È vero che non ha scritto più encicliche, ma l'esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi non vale più di un'enciclica? Infatti, Papa San Giovanni Paolo II, nel libro che ho citato nel mio commento precedente, "Varcare la soglia della speranza", dice che l'esortazione EN "vale dieci encicliche".
      Quella dichiarazione di Giovanni Paolo II mi ha fatto riflettere a lungo sui documenti pontifici. È semplice e facile giudicarli semplicemente in base alla loro qualificazione formale. Infatti, quando ho appreso la storia di quel testo (il modo e le circostanze in cui è stato scritto), scritto con la calligrafia dello stesso Giovanni Paolo, contenente affermazioni dottrinali di enorme importanza (non solo opinioni teologiche o pastorali), ho capito che quel testo, "Varcare la soglia della speranza", è chiaramente un documento magisteriale. L'ho riletto molte volte e l'ho come testo di riferimento permanente per molti argomenti.

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    3. Caro Pierino,
      sono d’accordo con lei quando distingue il livello formale delle pubblicazioni di un Papa dal contenuto delle medesime pubblicazioni, per cui è possibilissimo che un’enciclica contenga affermazioni di modesta portata, mentre un libro contenga affermazioni di tipo magisteriale, le quali però devono essere prese da precedenti affermazioni contenute in documenti il cui livello formale corrisponde alla portata di quelle affermazioni.

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