La vera essenza della filosofia moderna - Prima Parte (1/4)

La vera essenza della filosofia moderna

Prima Parte (1/4)

                                                                          Aliud est esse rei in seipsa et aliud esse rei in anima

                                                                                                       Sum. Theol., I, Q.14, a.1, ad 2m

 

Chi si esalta sarà abbassato

               e chi si umilia, sarà esaltato

Lc 4,11

 

Che cosa si deve intendere per «filosofia moderna»

I cartesiani e i loro epigoni idealisti, con un’abilissima operazione pubblicitaria, diffusa per tutto l’Occidente da quattro secoli, sono riusciti a persuadere tutti coloro che credono di sapere che cosa è la filosofia e gli ingenui privi di acume critico, ma che vogliono piccarsi di essere critici, nonchè gli storici della filosofia, spesso raccoglitori del «si dice», limitati in fatto di sapienza filosofica e ripetitori di quello che dice la cultura dominante, che Cartesio sarebbe il fondatore della filosofia moderna, la quale, dopo i secoli medioevali o i millenni dell’ingenuità, dell’incertezza o addirittura del buio, avrebbe rivoluzionato il modo di far filosofia e scoperto per l’eternità la vera filosofia o quanto meno il vero metodo di far filosofia e quindi di trovare la verità. Cartesio lo presenta come metodo facile alla portata di tutti e della semplice ragione naturale.

Ma il prezzo da pagare è che Cartesio riduce tutto il sapere al sapere fisico-matematico, in modo tale che la metafisica e la teologia non sono più un campo di indagine speculativa, ma si abbassano al livello di alcune poche idee apriori, le cosiddette «idee innate», chiare e distinte, ordinate esclusivamente alla prassi e al dominio della natura.

Ciò non impedirà il sorgere nei secoli seguenti delle intricatissime elucubrazioni degli idealisti trascendentali, riservate però ai «filosofi», infinitamente al di sopra del volgare realismo comune e del livello banale del sapere fisico-matematico.

Da allora i filosofi vittime di questo pregiudizio infondato non si contano. Portare degli esempi non è necessario, tanto lunga ed interminabile sarebbe la lista. Basta qui dire che il concetto cartesiano di filosofia moderna sta alla base del sorgere del modernismo, quello dei tempi di San Pio X e quello risorto dopo il Concilio Vaticano II. Come si sa, il Concilio si è largamente confrontato di proposito con la modernità, esortandoci caldamente a mettere in luce con attento discernimento e senso critico, i suoi valori. Il criterio conciliare però è l’inverso di quello dei modernisti: mentre questi pretendono di giudicare il Vangelo alla luce della modernità, il Concilio ordina di giudicare la modernità alla luce del Vangelo. Si capisce allora perché mentre per il Concilio S.Tommaso sta sopra a Cartesio, per i modernisti Cartesio sta sopra a Tommaso.

Ora sul significato del termine «moderno» c’è un grosso equivoco, del quale approfittano cartesiani e idealisti. Con questa parola infatti si possono intendere due cose: o «ciò che c’è oggi», oppure «ciò che è avanzato, progredito, migliore di prima».

A ciò si associa la questione del «nuovo». Il moderno è anche il nuovo. Ma il nuovo può non essere buono. In tal caso è meglio tornare all’antico, supposto che sia buono. Il nuovo o moderno non è con ciò stesso buono. Bisogna fare un discernimento, perché in realtà nella modernità c’è del buono e del cattivo.

Bisogna evitare il vizio dei modernisti di fare della modernità un idolo, anche se bisogna evitare l’errore dei passatisti di risolvere la modernità in un cumulo di errori. Da qui il loro caratteristico rifiuto globale del pensiero moderno. Certi tradizionalisti, però, per «pensiero moderno» intendono il pensiero cartesiano. In tal senso hanno ragione a respingere il pensiero moderno.

Bisogna d’altra parte ricordare che nella vita ciò che è importante è il buono. Che sia nuovo o antico è di secondaria importanza. Si suppone comunque che, grazie al progresso del sapere e della virtù, il nuovo sia migliore dell’antico. Ora la filosofia cartesiana si spaccia per nuova, ma in realtà, come notò Heidegger, riprende la sofistica di Protagora[1].

Come è noto, il modernismo dei tempi di San Pio X fu un gravissimo fenomeno di tipo ereticale (la «somma di tutte le eresie»)[2], risorto ed aggravatosi con l’immediato postconcilio. Il che spinse il Maritain, che certo non è un lefevriano ed è noto per la moderazione ed equilibrio dei suoi giudizi, ad affermare nel 1966 che il modernismo dei tempi di Pio X è un «raffreddore da fieno a confronto della polmonite di oggi»[3]. E da allora non è che la situazione sia migliorata, anzi è peggiorata.

Detto questo, è essenziale ricordare per dovere di giustizia, qual è stata l’istanza dei modernisti, perché essa fu più che giusta. Fu infatti quella svecchiare e ammodernare il pensiero cristiano e la vita della Chiesa, assumendo tutti i progressi che filosofia e teologia avevano fatto dai tempi di San Tommaso all’oggi. Questa istanza è stata raccolta e soddisfatta dal Concilio Vaticano II.

In modo speciale i modernisti avevano capito che una delle più grandi conquiste del pensiero moderno a partire dalla mistica riflessa fiamminga del sec. XV e di quella spagnola del sec. XVI, nonché da Lutero e da Cartesio, era l’approfondimento del significato e del valore della coscienza.

Ciò aveva consentito di chiarire la differenza tra il soggettivo e l’oggettivo, ossia tra ciò che uno in coscienza ritiene vero e ciò che è oggettivamente ed effettivamente vero, due cose che non sempre coincidono. Da ciò viene la conseguenza che se io in buona fede credo esser vera una data cosa, indipendentemente da come è la cosa è in sé, ciò che io penso (ecco Cartesio) diventa la regola del mio pensare al posto della cosa in sé, che io non conosco. E ognuno a questo punto sente la presenza di Kant.

 Tuttavia c’è qui una cautela da seguire, della quale invece idealisti e modernisti non tengono conto: che, per essere nella verità senza sbagliarsi, occorre comunque e sempre anzitutto ricordare che non si deve prendere a pretesto la funzione della coscienza per rifiutare di regolarla sulla cosa in sé, la quale non è inconoscibile essenzialmente ma solo accidentalmente. Per questo resta sempre vero il principio realista medioevale del primato della verità sulla coscienza e dell’essere sul pensiero.  

Quale fu dunque lo sbaglio dei modernisti? Lo riassume San Pio X con una sola espressione: una concezione evoluzionistica della verità. Oggi è vero ciò che ieri era falso ed oggi è falso ciò che ieri era vero: lo storicismo. Da qui la mutabilità del dogma. Lo storicismo nasce dal soggettivismo idealista: se il vero non è dato da ciò che è, ma dalla mente di ciascun pensante, allora il fatto che io oggi abbia un’idea di Dio diversa da quella che aveva San Tommaso, vuol dire che l’idea di Dio non è immutabile, ma muta nel corso della storia. Il progresso dogmatico per il modernista non è il fatto di conoscere sempre meglio le medesime verità, ma il fatto che il pensiero nel corso del tempo muta continuamente i suoi contenuti.

È interessante il giudizio che Michele Federico Sciacca dà della filosofia moderna in relazione all’opera del Beato Antonio Rosmini. Egli dice:

«Rosmini è il più moderno dei moderni, nel senso che della filosofia moderna ha compreso il merito e il demerito, consistente, il merito, nell’aver sviluppato il concetto agostiniano dell’interiorità della verità e la concezione della filosofia come approfondimento della vita spirituale, il demerito, invece, nell’aver soppresso, contro le esigenze più profonde dell’uomo, il transcende et teipsum»[4].

Concordo col giudizio sulla filosofia moderna. Sciacca invece non tiene conto del fatto che Rosmini ha assunto la forma apriori kantiana dell’intelletto senza accorgersi che essa suppone il principio kantiano per il quale non è il soggetto che si regola sull’oggetto, ma è l’oggetto ad essere regolato dal soggetto.

L’Enciclica Pascendi, a proposito della gnoseologia modernista, non parla di idealismo, ma usa cinque categorie: agnosticismo, fenomenismo, immanentismo, sentimento e subconscio. Non è difficile comunque riconoscere l’idealismo dietro a quelle categorie: l’idealismo è un fenomenismo a livello della scienza, vedi Kant; è un immanentismo, in quanto Dio è immanente e non trascendente, vedi ancora Kant; parte dal sentimento, e non dal contatto con la realtà esterna, vedi Schleiermacher; è un agnosticismo, in quanto la cosa in sé è inconoscibile, vedi Kant; ma nel contempo è uno gnosticismo, in quanto, come dice Hegel, il reale è il razionale; si basa sul subconscio, nel senso che il cogito precede la concettualizzazione delle cose e quindi la coscienza di conoscerle.

Il sentimento e il subconscio riappariranno nell’«esperienza trascendentale» preconcettuale di Karl Rahner. Essa è conscia, anzi autocoscienza, in quanto è il cogito; ma è inconscia, in quanto nel cogito (apriori) non c’è ancora la coscienza concettuale e categoriale delle cose (aposteriori).

Tipico esempio di fanatismo modernista cartesiano è quello del Bontadini, che arriva a dire:

«L’affermazione che la filosofia fa per proprio conto è appunto della soggettività e dell’incremento. Cogito ergo sum: indubitabile, il primo innegabile, io come pensiero, io individuo per il pensiero; … il vero io-pensiero il criterio della certezza e della verità, quel criterio che è posto come assoluto è il principio dell’immanentismo, è quello per cui l’io cartesiano ed il suo non-io sono tutti indubitabili, è il pensiero e l’esperienza in quanto tale: la mentalità, l’autocoscienza pura. ... Allora si può veramente dire che prima di Cartesio il pensiero era nulla, nulla come pensiero, cioè come novità, perché tutto il suo contenuto era già nell’oggetto in sé, individuato in un certo modo, il modo del rispecchiamento. Tanto si riconobbe, quando, partiti da esso come dal primo indubitabile, si vide entrare nel suo concetto, come suo essenziale contenuto, quei fatti e quei modi che prima stavano insieme con esso, prima e sopra di esso, ora sotto: così il pensiero nella sua novità, nel suo valore diventa tutto da nulla»[5].

Bontadini vuol dire che con Cartesio tutta la realtà che prima era considerata esterna, prima o sopra il pensiero, se la è inglobata il pensiero, è entrata nel pensiero, soggetta al pensiero. Non esiste più una res extra animam, creata da Dio, ma ogni res è in anima, creata da me. Con Cartesio l’umanità ha cominciato a pensare.

Un esempio interessantissimo, che potrebbe valere per tutti e che mostra l’influsso di questo pregiudizio modernista in menti di teologi cattolici anche di alto livello, è quello del famoso Gesuita Joseph Maréchal, fondatore del cosiddetto «tomismo trascendentale», un finissimo escamotage col quale il dottissimo Gesuita è riuscito a far entrare di soppiatto l’idealismo kantiano nella filosofia cattolica, senza apparentemente evadere al severo monito di Pio X, la famosa Pascendi, precedente di 15 anni alla sua opera principale che è del 1926[6], a seguire San Tommaso, contro gli errori dei modernisti.

Il Maréchal infatti dà per cosa scontata la distinzione fra «Antichi e Moderni»[7], tipica dei cartesiani, intendendo per Antichi la filosofia aristotelico-tomista e per Moderni quella cartesiano-kantiana, come se fossero semplicemente due modi diversi di filosofare oppure il secondo fosse più avanzato del primo.

In realtà il primo tipo di filosofare, realista, è quello giusto, mentre il secondo, idealista, è sbagliato. E ciò i realisti lo stanno dimostrando da quando il cartesianesimo è sorto. Ma certe idee incisive, seducenti e coinvolgenti, che toccano l’intimo dell’animo, si radicano talmente nella storia, e nonostante ne venga confutata la verità, restano attaccate nella mente degli uomini per secoli e millenni.

Si pensi agli errori di Maometto o di Lutero o dell’induismo. Così è per il cartesianismo. Ciò è tipico degli errori filosofici, religiosi e spirituali. È la potenza dello spirito, sia buono che cattivo: una volta che ha conquistato le mente di un uomo, è difficilissimo che ne venga svelta, per quanto quest’uomo abbia occasione di conoscere la verità, niente da fare: essa anzi viene trasmessa di padre in figlio, e di generazione in generazione. Dall’impostazione cartesiana risulta che lo stesso Gesù Cristo appartiene ad un passato nel quale non era ancora apparsa la luce della verità.

Eppure, nonostante il pregiudizio contrario idealista e modernista, si deve dire e ripetere a chiare lettere – e i fatti stanno a dimostrarlo – che il passaggio dalla filosofia antica a quella moderna non è stato un passaggio dall’errore alla verità[8], ma un cammino nella verità, per il quale la conoscenza della verità si accresce passando dall’antico al moderno. E neppure vale la tesi di Maréchal, secondo la quale il realismo tomista si potrebbe «trasporre» in termini kantiani, perché non si tratta di due diversi linguaggi, ma di due contenuti contrari.

Il Maréchal, con un’opera colossale in cinque volumi, ha saputo aggirare la condanna del modernismo fingendosi tomista e fondando il cosiddetto tomismo «trascendentale», senza dare agli incauti, con l’esibizione di una colossale erudizione, il sospetto di tradire l’Aquinate. Eppure si tratta, ad uno sguardo attento, di una forma di falso tomismo inquinato di kantismo, che inaugurò una vera e propria scuola, in barba alla «scolastica», naturalmente con grande successo in Germania (la Maréchal-Schule), che ha prodotto una schiera di falsi tomisti, il cui epigono più famoso è Karl Rahner, tra altri meno audaci come Przywara, Lortz, Coreth e Lonergan.

Con l’avvento del Concilio Vaticano II, che esorta ad un’assunzione critica della modernità, ai criptomodernisti, che anche dopo Pio X avevano continuato a congiurare clandestinamente, non parve vero di poter finalmente approfittare di questa esortazione ufficiale della Chiesa, per la quale sembrava che essa stessa fosse diventata modernista[9] per ritornare sulla scena sin dall’immediato postconcilio in grande stile, con spavalderia e tono del tutto sicuro di sé, certi dell’impunità, nella certezza che questa volta sarebbero stati accettati. E così infatti è accaduto, tanto che oggi siamo invasi.

Così essi con astuzia sono riusciti a presentarsi come araldi, interpreti e protagonisti del Concilio, che in realtà hanno falsificato in senso modernista, e mentre purtroppo il papato e l’episcopato, colti contropiede, sono rimasti pressoché impotenti davanti a questo inarrestabile tsunami che oggi imperversa più che mai.

Tuttavia non si può negare che il Concilio ha svecchiato un certo realismo filosofico, che si era opposto in modo troppo polemico al pensiero moderno, non vedendovi altro che errori e eresie. Il Concilio ci ha insegnato a distinguere nella filosofia moderna il buono dal cattivo, nella fattispecie tutto il buono che si è aggiunto fino ad oggi dai tempi di San Tommaso, che comunque il Concilio continua a raccomandare come modello di filosofo e teologo.

Il Concilio pone quindi noi realisti tomisti davanti al problema dell’idealismo e del modernismo offrendoci un metodo nuovo, più evangelico, più attento ai lati buoni di queste dottrine o complessi dottrinali, senza per questo rinunciare alla condanna degli errori. 

In particolare si tratta di vagliare i tentativi fatti ormai da un secolo di trovare punti di contatto fra realismo ed idealismo, fra Tommaso, Cartesio e Kant, per non parlare di altri pensatori moderni. Si deve essere moderni, ma non modernisti. Questo è il succo dell’insegnamento del Concilio. Purtroppo invece si è oggi diffuso un falso tomismo, che invece di mettere in risalto i punti di contatto fra Tommaso e gli idealisti, deforma Tommaso in senso idealista o mescola tomismo e idealismo.

L’opera di Cartesio

Cartesio ha preteso di sostituire l’idealismo al realismo presentando la sua filosofia come un filosofare nuovo, inaudito, senza precedenti e definitivo, mentre in realtà essa trova precedenti nell’antica sofistica greca e nello scetticismo antico e nel parmenidismo, per non parlare delle antichissime filosofie indiane. Stupisce come tanti gli abbiano creduto da allora fino ad oggi si siano lasciati convincere da lui.

Stando a quanto Cartesio suppone e dichiara, ai suoi tempi c’erano in fatto di filosofia, un grande contrasto di opinioni, incertezza, dubbio, oscurità, questioni capziose ed inutili, scetticismo, astruserie, confusione, false evidenze, illusioni, vane dispute scolastiche, soggettivismi, dogmatismi, superstizioni, un cercare senza trovare, tesi che si annullavano a vicenda, procedimenti a tentoni, assenza di razionalità e serietà scientifica, acume critico e rigore logico, mancanza di fondamenti, presupposti ingiustificati, teorie non verificate, non la realtà ma l’apparenza della realtà.

Che Cartesio si sia trovato a vivere in un momento storico di diffuso scetticismo e scoraggiamento speculativo, è vero, e ciò a causa della terribile guerra dei trent’anni fra cattolici e protestanti. Ma è evidente che Cartesio esagera, perchè nel suo stesso tempo, seppure agitato da accese dispute teologiche, esistevano grandi scuole teologiche, come quelle dei Gesuiti e dei Domenicani.

Per i cartesiani, con Cartesio sono apparsi a tutta l’umanità la luce, la verità, il valore delle idee, la vera natura della conoscenza e della realtà, il giusto metodo e punto di partenza del filosofare, la chiarezza e la distinzione, la certezza prima e fondamentale, la ragione, la libertà, lo spirito, il vero pensare, l’autocoscienza, il vero concetto di Dio, la vera dimostrazione della sua esistenza, la vera dignità dell’uomo, la vera morale.

Il cartesiano è convinto che prima di Cartesio, negli insegnamenti di tutti i filosofi e teologi precedenti, e di tutte le religioni, compresa quella cristiana, non vi era alcuna certezza, alcuna evidenza, alcuna fondatezza, alcuna incontrovertibilità, ma tutto poteva essere discusso e contraddetto.

Cartesio ha preteso fondare un metodo sicuro e facile per il conseguimento della verità in tutte le scienze, al fine, come egli stesso afferma e promette, di «render l’uomo padrone e signore delle forze della natura».

Il cambiamento del filosofare introdotto da Cartesio è ben riassunto da Rahner con l’espressione «svolta al soggetto»; ossia la mente cessa di orientarsi verso la realtà, cioè verso l’oggetto naturale dell’intelletto, l’ente extramentale e quindi verso Dio che ne è il creatore, e si volge mediante l’autocoscienza verso se stessa, verso il soggetto conoscente, verso le proprie idee, mente interessata d’ora in avanti non più del reale esterno e quindi non più a Dio, ma solo a se stessa, che essa pone al posto di Dio, perché con l’idealismo tedesco, logico svolgimento del cogito cartesiano, la mente umana non attribuisce più a Dio ma a se stessa la posizione dell’esistenza di se stessa, del monde di Dio stesso, che d’ora in avanti non è più il creatore della ragione, ma solo la somma idea della ragione (Kant).

Per Cartesio il nostro intelletto non parte volgendosi verso le cose, dalle quali trae le idee, ma parte dalle idee per arrivare alle cose. Confonde il conoscibile (la cosa in sé) col conosciuto (la cosa in quanto conosciuta nell’idea della cosa) e suppone che il reale sia conosciuto prima di essere conoscibile, perché per Cartesio l’intelletto non passa dalla potenza all’atto, ma grazie al cogito, è già in atto per essenza. Noi abbiamo nell’autocoscienza l’idea delle cose prima di conoscerle mediante i sensi. Questo è il significato del cogito. Ma questo modo di conoscere appartiene solo a Dio, ideatore e creatore delle cose, non a noi, che impariamo a conoscere la realtà solo cominciando a contattarla con i nostri sensi.

Dobbiamo fare attenzione, però, che l’autocoscienza di Cartesio e degli idealisti, per esempio Schelling, non è esattamente la conoscenza di sé del realismo. L’idealista nega che il soggetto possa essere oggettivato, ossia conosciuto mediante un atto riflessivo che presupponga un contatto diretto con la realtà esterna. L’autocoscienza cartesiana non è il risultato di un ritorno dell’intelletto su se stesso dopo essere partito dalle cose, ma è un atto primario ed immediato che non presuppone una precedente partenza. Ma è esso stesso il punto di partenza del sapere.

Per l’idealista o il soggetto è identico all’oggetto o ne è così separato che non può essere oggettivato, non può diventare oggetto di conoscenza. È identico perché il pensare è l’essere. Ma nel contempo è separato perché soggetto e oggetto sono i due poli del conoscere. Il sé dell’idealista non è un sé che suppone un egli, ma è un o un io che fonda l’egli.

Non bisogna altresì confondere l’illuminismo agostiniano con l’idealismo cartesiano. Entrambi parlano di «idee». Senonchè le idee cartesiane sono semplicemente le idee umane, mentre le idee delle quali parla Agostino, sono le idee divine, delle quali parla Platone, modelli ed archetipi delle cose, criteri di giudizio e valutazione della condotta morale.

Ne viene che mentre per Agostino le idee divine illuminano la mente già istruita dai sensi elevandola oltre i sensi, in Cartesio Dio svolge la funzione di garante della veracità dei sensi, che altrimenti sarebbero dubbiosi, ciechi o bugiardi. La rivelazione divina è umiliata dalla manifestazione di misteri soprannaturali a quella di garantirci che la mela che noi percepiamo (percipere) come rossa, è (esse) effettivamente rossa.

Da qui noi comprendiamo dove va a finire tutta l’apparente interiorità della quale sembra fare sfoggio l’idealista. L’idealista che parte da se stesso, quando guarda in se stesso vede solo i prodotti del proprio io, ma l’io gli resta ignoto. Il realista, che parte dall’esperienza esterna, producendo i concetti, vede se stesso mediante la riflessione come realtà spirituale (l’anima) produttrice dei concetti.

Come dice Hegel, con l’idealismo il soggetto sostituisce la sostanza. Hegel intende respingere il concetto ontologico di sostanza, che egli scambia per sostanza materiale, mentre il «soggetto» sarebbe il cogito cartesiano. Tuttavia bisogna osservare che se la sostanza, nella verità delle cose, è l’anima e il soggetto è l’autocoscienza cartesiana, l’anima non può più conoscere se stessa, perché il soggetto conoscente perde la sua spiritualità e non è più un pensante reale, ma un pensante pensato.

Non manca a Cartesio la percezione dell’esistenza dell’io come individuo singolo, come persona. Per questo Cartesio ha dato alimento all’esistenzialismo del ‘900, e in particolare all’egologia fenomenologica di Husserl[10], la quale, però, pur con tutta la sua coscienziosa analisi e descrizione del «vissuto», resta vittima del pregiudizio idealista, che sostituisce l’esistenza pensata (cogitatum) all’esistenza reale messa «tra parentesi». L’«io puro» di Husserl ricorda tanto lo scrupolo platonico di liberare l’anima dall’impurità della materia.  

Alla fine c’è più interiorità nel realista con il suo «cognoscimento di sè», per dirla con Santa Caterina da Siena, che non nell’aprioristica autocoscienza idealista, nella quale l’io è sconosciuto perché oggetto del conoscere non è il soggetto, ma appunto l’oggetto costruito dal soggetto o il soggetto è già identico all’oggetto e quindi ancora una volta non può diventare oggetto, non può essere oggettivato.

Occorre distinguere l’idealismo cartesiano da quello platonico. L’idea in Cartesio è la mia idea, un’idea del soggetto, mentre in Platone l’idea è oggettiva e trascendente, indipendente da me, ed anzi è la mia idea che dipende dall’Idea, la quale è modello e regola della mia idea, che è semplice partecipazione e immagine dell’Idea. L’idea platonica non è altro che l’ente perfetto («to pantelòs on»).

Per questo l’idealismo platonico ammette il primato dell’essere sul pensiero, ossia della res extra animam, che è appunto l’Idea platonica, sulla res in anima, che è l’idea umana, per cui ha potuto essere utilizzato da Sant’Agostino e dai Padri della Chiesa[11], in quanto consente di ammettere che la res extra animam, ossia il mondo, è creato da Dio.

Invece nell’idealismo cartesiano, che è l’idealismo del quale sto parlando in questo articolo, l’esistenza della res extra animam non mi è data indipendentemente dalle mie idee, non è presupposta ad esse; è dedotta dalle mie idee, sicchè sembra ridursi alle mie stesse idee, come appunto espliciteranno Fichte e soprattutto Gentile.

Ma se non esiste una res extra animam (la «cosa in sè»), se non c’è un essere fuori del pensiero, è chiaro che non esisterà neanche il suo creatore e l’esistenza delle cose e del mio io empirico, che sono puri cogitata, come dice Husserl, si spiega semplicemente con l’attività logica «costitutrice» del mio io «trascendentale» o «io puro». Allora è evidente che questo tipo di idealismo è inutilizzabile dal pensiero cristiano, perché ne è la sua esatta negazione o falsificazione.

Certo è stupefacente come Cartesio abbia avuto tanto successo nella modernità occidentale. L’Oriente è un discorso a parte, ma che presenta alcuni temi panteistici, che si possono collegare all’idealismo cartesiano, soprattutto negli sviluppi tedeschi del sec. XIX. Da lui partono o lui presuppongono le correnti moderne più diverse ed anche opposte tra di loro. Cartesio ebbe subito un influsso sullo stesso cattolicesimo, come il Malebranche, influsso che continua con l’ontologismo ottocentesco fino agli spiritualisti francesi dell’’800, fino ai modernisti primi ‘900, fino a Rahner e i cosiddetti «tomisti trascendentali».

Oltre alla sua scuola, che maggiormente sviluppa il suo pensiero, come Leibnitz, Spinoza, Wolff, e poi tutto l’idealismo tedesco fino ad Hegel, non dimentichiamo che il cosiddetto realismo marxista e socialista proviene da Hegel. Cartesio influisce sull’empirismo inglese di Locke, Berkeley ed Hume, che sembrerebbe il quanto più lontano possibile dall’apriorismo cartesiano, ma in realtà partono dal cogito.

Il razionalismo massonico illuminista suppone il cogito. La stessa antropologia meccanicista settecentesca fino alla moderna antropologia informatica dei nostri giorni suppongono l’autocoscienza cartesiana. Il positivismo comtiano fino allo scientismo del circolo di Vienna primi ‘900 partono da cogito.

Gli ontologisti sono influenzati dall’idealismo. Rosmini è stato kantiano senza accorgersene, pur volendo confutare Hegel. Il metodo scientifico di Darwin e Teilhard de Chardin suppone il cogito. Gli esistenzialisti provengono da Cartesio, Nietzsche è figlio di Cartesio. Freud suppone un Cartesio sessualizzato. Bergson parte dall’intuizionismo cartesiano, Gentile, Heidegger, Husserl e Severino non ne parliamo. Bontadini è vittima di Parmenide. Gli unici a non aver piegato il capo all’idolo cartesiano sono i tomisti, insieme con l’impostazione dottrinale del Magistero della Chiesa.

Riguardo al metodo cartesiano bisogna tener presente la parte del volere nel pensare. Il pensare precede il volere, ma è anche effetto del volere. Il pensare originario, ossia la percezione delle cose esterne e dei primi princìpi della ragione speculativa non è effetto del volere, ma in esso l’intelletto è necessitato e specificato dalla verità. Invece l’esercizio del pensare, essendo volontario, è soggetto al dovere della limpidezza e dell’onestà.

Il Vangelo è molto esplicito: «il vostro parlare sia sì, sì, no, no» e «non potete servire a Dio e a mammona». Si tratta cioè della condanna dell’astuzia, della doppiezza e della menzogna. Nel pensare occorre essere sì prudenti come i serpenti, ma anche semplici come le colombe. Uomini fatti nel giudizio, ma anche fanciulli nella malizia (cf I Cor 14,20). L’acume critico toglie la dabbenaggine, ma non l’ingenuità. Il regno di Dio è per i fanciulli, non per i furbi.

Nel pensare e nel ragionare dobbiamo essere coerenti, rispettare le regole della logica e dobbiamo evitare di ingannarci volontariamente e nel parlare dobbiamo evitare di far apparire vero ciò che è falso e viceversa, e di ingannare gli altri con discorsi equivoci e a doppio senso. Già gli antichi Greci conoscevano lo scetticismo e la sofistica. A maggior ragione il filosofo cattolico dev’essere onesto nel pensare e nel parlare. Occorre certo evitare anche il dogmatismo di chi vuol dare per certo quello che non lo è.

Fine Prima Parte (1/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 6 settembre 2022

Mentre per Agostino le idee divine illuminano la mente già istruita dai sensi elevandola oltre i sensi, in Cartesio Dio svolge la funzione di garante della veracità dei sensi, che altrimenti sarebbero dubbiosi, ciechi o bugiardi. 

La rivelazione divina è umiliata dalla manifestazione di misteri soprannaturali a quella di garantirci che la mela che noi percepiamo (percipere) come rossa, è (esse) effettivamente rossa.

 


Riguardo al metodo cartesiano bisogna tener presente la parte del volere nel pensare. 

Il pensare precede il volere, ma è anche effetto del volere. 

Il pensare originario, ossia la percezione delle cose esterne e dei primi princìpi della ragione speculativa non è effetto del volere, ma in esso l’intelletto è necessitato e specificato dalla verità. Invece l’esercizio del pensare, essendo volontario, è soggetto al dovere della limpidezza e dell’onestà.


[1] Dice Heidegger: «La tesi di Descartes viene continuamente associata al detto di Protagora e in quest’ultimo è vista l’anticipazione della metafisica moderna di Descartes; infatti, in entrambi i casi viene espresso quasi tangibilmente il primato dell’uomo», Nietzsche, Adelphi Edizioni 1994, p.646.

[2] Claude Tresmontant, La crise moderniste, aux Éditions du Seuil, Paris 1979.

[3] Le paysan de la Garonne, Desclée de Brouwer, Paris 1966, p.16 (trad. mia).

[4]  Da Interpretazioni rosminiane, Milano, Marzorati 1957, pp.66-67, cit. da Franco Percivale, Da Tommaso a Rosmini, Marsilio, Venezia 2003, p.95.

[5] Studi sull’idealismo, Vita e Pensiero, Milano 1995, p.135.

[6]  Le point de départ de la Métaphysique, Museunm Lessianum-Alcan, Paris 1926.

[7] Un po’ come oggi distinguiamo la medicina antica e quella moderna o la fisica antica e quella moderna.

[8] Heidegger, con fine modestia simile a quella di Cartesio, ebbe a dire che la storia della filosofia occidentale, dopo Parmenide scopritore dell’essere, è stata una «storia dell’errore», fino a che egli non ebbe riscoperto in Parmenide la verità dell’essere sepolta da 2600 anni. Severino con la stessa modestia dice la stessa cosa e accusa il cristianesimo di «nichilismo». Vedi il suo libro Essenza del nichilismo, Adelphi Edizioni, Milano 1995.

[9] Il modernista Ernesto Buonaiuti, dei tempi di Pio X, dichiarò che compito dei modernisti era quello di persuadere Roma stessa a farsi modernista e quando avvenne il Concilio, pensarono che il momento fosse giunto. Da qui la sfrontatezza con la quale hanno cominciato a diffondere le proprie idee.

[10] Logica formale e trascendentale, Editori Laterza, Bari 1966.

[11] Jean Daniélou, Messaggio evangelico e cultura ellenistica, Il Mulino, Bologna 1975; Endre Von Ivanka, Platonismo cristiano, Vita e Pensiero, Milano 1992.

4 commenti:

  1. Padre Cavalcoli: "...il Concilio continua a raccomandare come modello di filosofo e teologo"
    Sono totalmente d'accordo con lei, ma...
    ...sembra che per alcuni membri dell'XI Congresso Tomista Internazionale (all'Angelicum, dal 19 al 24 settembre 2022), "sebbene i principi non siano cambiati, la dottrina elaborata da Tommaso d'Aquino abbia mutato il suo statuto nella Chiesa cattolica nella ultimi decenni [...] Ad esempio, il tomismo non è più l'insegnamento teologico preferito nella Chiesa come lo era prima del Concilio Vaticano II. Né è ancora lo 'strumento di repressione contro i modernisti', come lo era nella prima metà del XX secolo", ammette padre Serge-Thomas Bonino, domenicano francese, decano di filosofia all'Angelicum. "Siamo andati da un tempo in cui tutti dovevano essere tomisti perché fosse un'opzione teologica che si sceglie liberamente [...] Dopo il Concilio, il tomismo ha perso il suo carattere quasi ufficiale nella Chiesa cattolica", dice Bonino.

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    1. Caro Liberio,
      bisogna innanzitutto distinguere il tomismo così come è raccomandato dal Concilio Vaticano II, dal tomismo che si segue negli Istituti della Chiesa.
      Il Concilio nomina espressamente San Tommaso come modello di teologo, cosa che nessun altro Concilio non aveva mai fatto, e con ciò conferma due cose, che alcuni Papi precedenti avevano detto di San Tommaso: Benedetto XV nell’Enciclica Fausto Appetente Die del 1921 dice che la Chiesa “ha fatto propria la dottrina di San Tommaso”; Pio XI nell’Enciclica Studiorum Ducem del 1923 nomina San Tommaso “Dottore Comune della Chiesa”.
      Detto questo, non c’è dubbio che il tomismo promosso dal Concilio è un tomismo che ha maggiori qualità di quello precedente: 1) promuove maggiormente il dialogo col pensiero moderno; 2) è un tomismo che promuove il progresso teologico; 3) è un tomismo che modera i toni della polemica; 4) è un tomismo aperto alle altre culture e alle altre religioni.
      Per quanto riguarda la situazione di fatto, purtroppo si deve constatare, come lei stesso si è accorto, che i tomisti oggi sono molto pochi e si è diffusa una teologia influenzata dal modernismo.
      Il problema oggi è allora quello di realizzare su questo punto il Concilio, perché su questo punto è stato frainteso, come se il Concilio promovesse una teologia modernista. E’ tuttavia vero che il Concilio ha accolto l’istanza che fu propria dei modernisti di fare avanzare la teologia cattolica, mettendola a confronto col pensiero moderno.
      Oltre a ciò c’è purtroppo da notare la tendenza in alcuni tomisti a mescolare il pensiero di San Tommaso con certi errori del pensiero moderno e nel contempo la pretesa di rappresentare loro il vero volto di San Tommaso.

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    2. Grazie, Padre Cavalcoli, per questa bella spiegazione.
      A proposito, papa Francesco si è appena rivolto ai membri dell'XI Congresso Tomista Internazionale, e ha parlato meravigliosamente di San Tommaso, e del ruolo che il suo pensiero deve svolgere nella Chiesa. Inoltre ha improvvisato ampiamente sull'argomento, dando consigli che trovo estremamente utili!

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    3. Caro Liberio, sono molto contento per i due discorsi del Papa, soprattutto per il secondo. Ciò che maggiormente mi ha colpito e mi ha fatto piacere è la raccomandazione di San Tommaso come modello di teologo in piena linea con quanto insegna il Concilio Vaticano II. Questi discorsi danno un grande incoraggiamento a noi tomisti, i quali, per la verità, in questi ultimi decenni si sono sentiti una piccola minoranza in una atmosfera di tendenza modernistica, dominata dai rahneriani.
      Queste parole del Papa ci fanno capire che egli non approva il tentativo dei rahneriani di sostituire Rahner a San Tommaso nella guida degli studi teologici e nella promozione della teologia, ma conferma il primato di San Tommaso, contrariamente a quanto sostengono i rahneriani, i quali si spacciano per interpreti del messaggio conciliare, invece i veri interpreti siamo noi tomisti, che accogliamo l’interpretazione che del Concilio viene fatta dal Magistero pontificio e dal Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC).
      Prossimamente pubblicherò sul mio blog un commento ai due discorsi del Papa.

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