Le radici ideologiche del genderismo - Prima Parte (1/4)

  Le radici ideologiche del genderismo 

Prima Parte (1/4)

Insegnerò agli erranti le tue vie

e i peccatori a te ritorneranno

Sal 50,15

 

Che cosa è il genderismo 

Il genderismo è oggi una concezione del sesso che si va diffondendo dappertutto esercitando un fascino contagioso e presentandosi come una scelta di vita felice (gay) indiscutibile ed inconfutabile. Chi tenta di farlo, viene facilmente messo alla berlina o perseguitato. Eppure, a guardare bene le cose, non è troppo difficile scoprire l’errore e rimediare, come vedremo, con la verità.

Il genderismo è quella concezione di etica sessuale, la quale sostiene che la distinzione-congiunzione maschio-femmina non è naturale, ma artificiale e convenzionale, semplice fenomeno di libertà, e pertanto non è un obbligo morale universale. La distinzione uomo-donna non esaurisce, per il genderismo, le possibilità di attuazione della sessualità umana, ma esisterebbero altre possibilità, come per esempio l’unione omosessuale.

Il genderismo parte da una concezione del sesso avente valore in se stessa a prescindere dal suo orientamento alla procreazione. Non si tratta di un semplice esercizio non procreativo del sesso, ma di una data concezione del sesso, per la quale l’unione sessuale è l’unione tra due individui dello stesso sesso. L’altro sesso non interessa, non attira; interessa il medesimo sesso. L’omosessuale trova piacere in questa unione e non in quella in cui ci si unisce col sesso opposto.

All’omosessuale la procreazione non interessa; gl’interessa quel piacere che prova nell’unirsi con un altro dello stesso sesso. È chiaro che questa unione può avere anche un aspetto spirituale. Ma ciò che decide per l’unione è la reciproca attrazione omosessuale. In queste unioni non esiste una vera reciprocità, un completarsi a vicenda, alla pari, come nell’unione eterosessuale.

Nella realtà delle cose il sesso è un tutto biologico di tipo duale, nel quale le due parti sono inscindibili perché l’una non può stare senza l’altra, come i due poli della pila elettrica o della sfera terrestre, come la chiave e la serratura, come la destra e la sinistra, il caldo e il freddo. Che senso ha una chiave senza la serratura? Un polo positivo senza il negativo? Il polo sud senza il polo nord? Ha senso la destra senza riferimento alla sinistra e viceversa? Esiste il caldo senza il freddo e viceversa? Eppure nell’omosessualità avviene proprio questo. Ma ciò non basta a far ragionare l’omosessuale. Non gl’importa dell’altro sesso. A lui piace uno dello stesso sesso. È chiaro che si tratta di un’attrattiva puramente sensibile, priva di qualunque razionalità.

La ragione dell’omosessuale, chiamata ad elevarsi alle altezze dei cieli, si abbassa ad un livello percettivo e appetitivo inferiore. Il che ovviamente sia detto tenendo presente la dignità di persona propria dell’omosessuale, non come tale, ma in quanto creato ad immagine di Dio e destinato ad una vita soprannaturale di grazia aperta alla vita eterna. Non è quindi la sua natura umana che si degrada, cosa impossibile, ma è la sua condotta morale che fa cattivo uso della ragione e si lascia vincere dalla passione.

Nel genderismo il sesso non è una qualità biologica specifica di tipo duale (maschio-femmina), ma una qualità generica (da cui il termine genderismo), che può comportare più di due differenze specifiche (maschio-femmina) a seconda delle decisioni o determinazioni della libera creatività della persona, per la quale il sesso non è componente essenziale immodificabile della persona, ma è materiale estrinseco plasmabile tecnologicamente a disposizione e a discrezione della singola persona.

Per il genderista non esistono due sessi, diversi e reciprocamente complementari. Egli distingue bensì il sesso maschile da quello femminile, non però come le due metà di un tutto, ma come due soggetti diversi autosufficienti, orientati verso se stessi. Per il genderista il rapporto uomo-donna non rappresenta un completarsi a vicenda, ma semplicemente un fatto psicologico e morale, dove il sesso non ha alcuna parte o alcuna incidenza, non gioca per nulla.

In fin dei conti il genderismo finisce per assomigliare paradossalmente alla concezione origenista del rapporto uomo-donna assimilato al rapporto fra due spiriti disincarnati, come se fossero degli angeli, un rapporto nel quale ogni riferimento al sesso o alla condizione sessuale dei due soggetti dovrebbe essere escluso.

Ma si capisce quanto è ingannevole e innaturale una pretesa del genere, che è il terreno di coltura proprio della «rimozione» freudiana, per la quale il sesso, impedito a manifestarsi apertamente, trova comunque la via traversa per soddisfarsi sotto mentite spoglie. Almeno il genderista ha la franchezza di riconoscere apertamente il suo desiderio di soddisfazione sessuale e non ricorre all’ipocrisia di soddisfarsi nascostamente, in modo clandestino, facendo la figura del casto.

Tirando le somme, il sesso per i genderisti è un semplice materiale biologico, che, sebbene dotato di una sua struttura oggettiva e funzionamento spontaneo, tuttavia attende dalla volontà umana di ricevere la sua piena determinazione e finalizzazione, grazie al potere che l’uomo ha oggi, con i moderni mezzi della tecnica, di operare su se stesso modificando il dato oggettivo corporeo con l’inventiva creatrice del suo spirito.

Si noti bene che per il genderista non si tratta tanto di prendere atto che l’istinto sessuale umano, a differenza di quello animale, che è sufficiente a guidare l’animale nella sua condotta, l’istinto umano da solo non è sufficiente, ma attende di essere regolato e moderato dalla retta ragione. Il genderista assegna alla volontà ed all’iniziativa umane un potere ed un diritto che vanno ben oltre la semplice attuazione dell’istinto secondo le sue finalità naturali ordinate al bene spirituale della persona a sua volta finalizzata alla comunione con Dio, creatore e legislatore della sessualità umana.

Come vedremo meglio più avanti, è vero che esiste un’unione sessuale lecita senza la procreazione o senza l’apertura alla procreazione. Pensiamo per esempio all’unione nelle coppie anziane o sterili o nei periodi infecondi della donna. Per questo l’obiezione di fondo al genderismo non sta nel rimproverargli di impedire la procreazione. L’accusa in sé è giusta; ma non tocca il fondo della questione e quanto vi è di peculiare nel peccato di sodomia. Infatti anche gli antifecondativi impediscono la procreazione.

Anche la masturbazione e l’onanismo impediscono la procreazione. Similmente la sodomia impedisce o guasta le stesse condizioni biologiche presupposte alla riproduzione della specie. Corrompere i princìpi è peccato più grave che colpire ciò che da quei princìpi deriva.

Argomento forte dei genderisti è la tematica dell’amore. Ricordo che molti anni fa, parlando con uno di loro, mi disse: «quel che importa è amare; che tu ami una donna o che tu ami un uomo, è accidentale. Sei libero di fare come vuoi». Questo è il punto di frizione del genderismo con l’etica sessuale biblica. Infatti per la Bibbia il criterio dell’etica sessuale non è l’amore, ma la promozione della vita.

Viceversa il genderista, come Freud, identifica l’amore con l’amore sessuale, perché non concepisce un amore spirituale. Invece per la Scrittura l’amore non è necessariamente l’amore fisico, ma innanzitutto è l’amore spirituale: l’accordo delle volontà nella ricerca e nella pratica del bene intellegibile ed onesto, che è anzitutto la vita spirituale della persona, da perseguire anche se non è piacevole al senso. Per questo al genderista non interessa se l’amore è sterile o procura la morte o impedisce la vita: gli basta che sia sessualmente piacevole.

La condotta morale della coppia gay

Il genderista non crede affatto di essere vincolato nella sua condotta sessuale da leggi morali che si possano dedurre dalla considerazione della natura e del fine dell’attività sessuale, perché egli, benchè riconosca l’esistenza evidente di questo fine, ossia la procreazione, vede nel sesso semplicemente una res extensa soggetta alla libera azione della res cogitans, ossia del soggetto spirituale, che è il suo io autocosciente, secondo lo schema cartesiano. 

Nello stesso tempo il genderista, nella sua condotta sessuale, benché conscio della libertà e quindi della spiritualità del suo volere, non si propone finalità spirituali; a lui non interessano le gioie dello spirito, ma il fine che si propone è uno stare e un vivere assieme, un aiutarsi reciproco, tuttavia essenzialmente connesso al piacere omosessuale. Ciò quindi non esclude che ci possa essere anche un aspetto spirituale.

Per questo, se il genderismo può dare l’impressione di riconoscere e praticare il dominio dello spirito sul corpo, in realtà, anche se si tratta di un agire spirituale, ossia volontario, non si tratta di un dominio ragionevole, e quindi non si tratta di un vero ed onesto agire spirituale, perché non si giustifica e non si basa su vere considerazioni ed interessi spirituali, quali sarebbero il rispetto e l’amore del valore umano, unitivo e procreativo della sessualità, che si esprime nella reciprocità uomo-donna in vista non solo della procreazione e della famiglia, ma anche del comune progresso e perfezionamento morale e spirituale.

Il genderista, salvo casi eccezionali nei quali non si vergogna di sostenere apertamente che lo scopo del sesso è semplicemente il piacere, dato che in fondo lo sa anche lui che un’aperta idolatria del piacere sessuale sarebbe cosa vergognosa e comunemente ripugnante anche ad un edonista, affetta per questo motivo solitamente un moralismo di facciata, al fine di ottenere un consenso sociale e non urtare eccessivamente il comune senso morale.

Eppure, in fin dei conti, anche lui di fatto, forse a volte inconsapevolmente, lo riconosca o non lo riconosca, pone in realtà l’attaccamento al piacere sessuale al di sopra della stima per il piacere spirituale. Ciò appare evidente nel fatto che la coppia omosessuale, ben conscia che la sua unione non è voluta da Dio, anche se il loro vivere assieme non è privo di un certo valore, non si propone affatto con la sua unione – salvo che non abbia una falsa idea di Dio - di realizzare un piano divino sulla loro vita e di camminare in unità verso Dio. Se Dio proibisce la sodomia, potranno forse credere che è Dio che li ha fatti incontrare?

Potranno applicare a se stessi il famoso comando del Signore: «non divida l’uomo ciò che Dio ha unito» (Mt 19,6)? Se dunque la comunità ecclesiale li accoglie, è evidente che non li può accogliere con lo stesso grado di stima ed ammirazione con le quali accoglie una coppia eterosessuale di integri costumi morali, nata dalla comune esperienza e consapevolezza d’aver percepito nel loro incontrarsi e piacersi una vocazione divina.

Possiamo anche chiederci che significato può avere e se può avere significato per il genderista l’astinenza sessuale. Come si regola in questo campo? Qual è il criterio della sua azione? Anche il genderista certamente sente il bisogno di un controllo dei suoi impulsi sessuali, rispetta le convenzioni sociali, sa che la dissolutezza abbrutisce l’uomo. Tuttavia gli manca il criterio fondamentale e sicuro che giustifica l’astinenza sessuale: la necessità di rispettare la finalità procreativa del sesso. Mancando questo riferimento, al genderista che tenga alla dignità umana non resta che il mantenimento di un certo ritegno, per non offendere il buon costume nella visibilità sociale; ma è chiaro che egli non si sente vincolato in modo assoluto da regole morali inderogabili, soprattutto in privato, perché se così facesse, dovrebbe rinunciare alle sue abitudini di omosessuale.

Il genderista, come non riconosce che uomo e donna sono creati da Dio, così non riconosce che nella vita presente noi soffriamo delle conseguenze del peccato originale, per le quali la comunione spirituale uomo-donna è ostacolata dal fatto che l’attrattiva del senso prevale sul giudizio della ragione e la volontà è frenata o sviata dalla violenza del desiderio sessuale.  

L’assenza di queste considerazioni genera nel genderista una mentalità lassista, edonista e liberale, per la quale l’interesse omosessuale occupa uno spazio considerevole delle sue giornate, seppure è ben conscio anche lui della necessità di una limitazione per dar spazio ad attività lavorative, culturali, associative, educative, ricreative o amicali e anche, per gli omosessuali cattolici, attività religiose ed ecclesiali.

Al genderista non interessa la comunione fisica e spirituale tra uomo e donna, il che non vuol dire che non abbia a volte una concezione spiritualistica della persona. Sappiamo come, soprattutto nella storia della letteratura e anche della filosofia siano esistiti soggetti omosessuali non privi di spiritualità, acutezza di pensiero e doti artistiche, capacità di amicizia e linguaggio fortemente comunicativo.

Il genderista è particolarmente esposto all’influsso dell’antropologia freudiana, che risolve l’energia dello spirito umano nell’impulso della sessualità, per cui tutte le attività umane sono una sublimazione di un’originaria energia vitale egoica (ego), inconscia (id), mossa dal principio del piacere (istinto di morte), un io autotrascendente (superego) materiale deterministico e libidico.

Una sopravvalutazione della virtù di castità

ha favorito una reazione orientata alla lussuria

La castità, secondo una certa tradizione ascetica, è chiamata «virtù angelica», come se il modello della castità non fosse un soggetto composto di anima e corpo, ma un puro spirito. L’importanza della castità viene enfatizzata oltre misura e diventa la «bella virtù», la virtù per eccellenza e per conseguenza il peccato sessuale appare il più orribile di tutti.

In questa visuale angelistica la purezza morale è per antonomasia la castità, dimenticando che per gli angeli l’esser casti non è neppure un problema, dato che non hanno corpo.  Essi non sentono alcun piacere sessuale semplicemente perché non hanno sesso.

Ma la castità non è non sentire niente; la castità non è una forma di anestesia sessuale: non è un vivere o un agire come se non fossimo sessuati; non è un accantonare o ignorare il sesso come mettiamo in soffitta un arnese che non ci serve più. Il nostro pensare, intuire, concepire, sentire, immaginare, volere, agire sono sempre inevitabilmente colorati di sessualità maschile o femminile, lo vogliamo o non lo vogliamo. E questo vale anche per gli omosessuali, perché essi nella radice e nel fondo originario della loro natura, creata da Dio restano sempre maschi o femmine. La tendenza omosessuale non è per nulla innata o eventualmente può trattarsi di un difetto congenito, che, con un’opportuna educazione, anche se non può essere tolto del tutto, può certamente diminuire.

La realizzazione sessuale, pertanto, non può neppure ammettere un vero e proprio cambiamento di sesso, come alcuni oggi affermano. Ma il problema può essere quello che il soggetto tendenzialmente omosessuale, trovi il suo vero sesso innato, maschile o femminile, eliminando quelle sovrapposizioni o menomazioni o malformazioni psicofisiche accidentali e patologiche con le quali è venuto al mondo.

Meraviglia l’ingenuità del Catechismo della Chiesa cattolica, il quale, condannando ovviamente il peccato di sodomia e spiegandone il perché, afferma che la «genesi psichica dell’omosessualità rimane in gran parte inspiegabile» (n.2357). Ma che ci stanno a fare la scienza medica e la psichiatria? 

Questo circondare le cause dell’omosessualità di un alone di mistero non favorisce certamente l’opera educativa, nonchè quella della medicina e della psichiatria. Sembra essere la traccia di quella mentalità del passato, che faceva dell’omosessuale un peccatore speciale e misterioso, sui generis, un peccatore per antonomasia, al di fuori degli schemi comuni, diverso da tutti gli altri, la pecora nera della società e della Chiesa, gettandolo in un’enorme umiliazione e penosa emarginazione, se non era un personaggio di spicco, che per altri versi poteva presentarsi in società a testa alta. Come si fa a curare una malattia, se non si conoscono le cause? L’omosessualità, nel suo aspetto patologico, non è una specie di morbo trascendentale impenetrabile alla medicina: è una malattia come le altre e va curata come tutte le altre.

D’altra parte, la vera castità comporta un’operazione diuturna e metodica di armonizzazione del sesso con lo spirito, a volte certo crocifiggente, ma sempre serena e fruttuosa, per la quale lo spirito assoggetta a sé il sesso, lo rende base dello spirito (mens sana in corpore sano) ed espressione dei pensieri, dei sentimenti e della volontà.

La castità è la moderazione ragionevole del piacere sessuale, che di per sé è buono e creato da Dio come concorrente, al suo posto e sotto lo spirito, alla creazione della nostra felicità, che non sta nell’anima separata, ma nella sua congiunzione finale col suo corpo al momento della resurrezione dei morti.  

Quando si parla di purezza, nel linguaggio tradizionale, s’intende la castità. I «puri di cuore» delle beatitudini evangeliche sarebbero i casti. È questa la tradizione che risale ad Origene ed Evagrio Pontico nei primi secoli del cristianesimo. Ma in realtà, la purezza del cuore è una purezza, che, prima di toccare il corpo, tocca appunto il cuore, ossia l’intimo del nostro pensare e volere, l’intimo della nostra coscienza, laddove veramente decidiamo di noi stessi e del nostro destino davanti a Dio.

Esistono bensì anche casi di frigidità sessuale, nei quali la sensibilità sessuale è quasi assente ed appare addirittura ripugnante. La ragione non riesce ad accordare il sesso con la vita spirituale, sicchè lo vede come un nemico, cosicchè, anziché venire utilizzato e moderato al servizio della virtù, viene senz’altro respinto e represso come nemico della virtù, che viene pertanto separata dal sesso e concepita non come moderazione della passione, ma come rifiuto della passione ed esercizio della sola volontà, come avviene negli angeli.

Le tentazioni più sottili e pericolose, come ci insegna Cristo, non vengono dal di fuori, non tanto dal corpo e dal sesso, ma dal di dentro, dal «cuore», come dice Gesù, dallo stesso nostro spirito pervertito dal peccato originale. La castità può certo consistere a volte nella rinuncia e nel distogliere lo sguardo, ma soprattutto nel saperlo usare e godere castamente, nel saper guardare, nel saper vedere nel corpo femminile il segno della sapienza e della bellezza divina. La sopravvalutazione delle tentazioni che ci vengono dalla carne rispetto a quelle che vengono dallo spirito può nascondere un sottile materialismo al di là di uno spiritualismo magari benintenzionato, ma poco illuminato. 

Pertanto, alla luce di quelle idee rigoriste alle quali ho accennato sopra, possiamo comprendere l’orrore estremo per la sodomia e la grande severità contro gli omosessuali presenti nella stessa Scrittura e fino ad oggi in un ambiente che conserva questa severità. È spesso accaduto che il disprezzo per il peccato sfociasse in un disprezzo per la persona, col risultato di ignorare in lei l’immagine di Dio e quindi di offendere Dio.

Ancora nel Catechismo di San Pio X la sodomia, chiamata «peccato impuro contro natura», figura tra i «quattro peccati che gridano vendetta al cospetto di Dio», tutti peccati contro il prossimo. E non si capisce perché non ha citato anche i peccati contro Dio, che sono i più gravi, come l’eresia, l’empietà, l’agnosticismo, il sacrilegio, l’idolatria, il politeismo, l’ateismo, il panteismo, lo scisma, l’apostasia.

Paradossalmente questa concezione rigorista s’incontra col genderismo nel separare la volontà della persona dalla sessualità, come se questa non facesse parte della persona, ma fosse un oggetto estrinseco indifferente alla vita della persona come soggetto libero, con la differenza che mentre nel rigorismo il sesso è respinto, nel genderismo è manipolato. Ma è chiaro che nell’uno e nell’altro caso il sesso non è considerato come fu creato da Dio e parte integrante della persona.

Questa impostazione rigorista ha suscitato la reazione contraria alla quale assistiamo oggi. La Scrittura cita più volte Sodoma come esempio di città castigata per la sua corruzione morale. Eppure oggi c’è chi vorrebbe sostenere che essa non è stata castigata per la presenza dei sodomiti, ma per non aver accolto gli immigrati; oppure c’è chi sostiene che Sodoma non sarebbe stata realmente castigata, ma solo minacciata di castigo.

Fine Prima Parte (1/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 7 luglio 2022


La Scrittura cita più volte Sodoma come esempio di città castigata per la sua corruzione morale. Eppure oggi c’è chi vorrebbe sostenere che essa non è stata castigata per la presenza dei sodomiti, ma per non aver accolto gli immigrati; oppure c’è chi sostiene che Sodoma non sarebbe stata realmente castigata, ma solo minacciata di castigo.


Immagine da Internet:
- Lot fugge da Sodoma in fiamme, Mosaico nella cattedrale di Monreale a Palermo (secolo XII)

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