Il messaggio di Caterina oggi



Conferenza tenuta a Varazze il giorno 11.04.2019 :  Il messaggio di Caterina oggi“: conferenza della dott.ssa Marina Delfino preparata da Padre Giovanni Cavalcoli (O.P.).

Il messaggio di Caterina oggi

La riforma della Chiesa

Dopo sette secoli il messaggio di Caterina, nella sua sostanza, è più che mai attuale. Non c’è qui lo spazio per mostrare questa attualità di tutti i molteplici aspetti della spiritualità cateriniana. Mi limiterò a prenderne in considerazione uno solo: la questione, sempre dibattuta, della riforma e del governo della Chiesa, per immaginare che cosa Caterina potrebbe dire a Papa Francesco per incoraggiarlo a mandare avanti la riforma della Chiesa promossa dal Concilio Vaticano II.
Caterina muove i suoi pensieri e le sue azioni ecclesiali, vive la sua eroica donazione di sè per la Chiesa nell’ambito del drammatico Scisma d’Occidente. Oggi esiste uno scisma ufficialmente dichiarato dal Papa solo per quanto riguarda i lefevriani, ma per quanto riguarda i modernisti, che si coprono sotto il nome onorevole di «progressisti», per usurpare un diritto di cittadinanza cattolica, essi non sono stati ufficialmente dichiarati tali ed anzi hanno acquistato nella Chiesa ormai da cinquant’anni[1] un notevole potere.
Sia i lefevriani che i modernisti non si ritengono affatto fuori della Chiesa o contro il Papato, tutt’altro: i primi infatti ritengono di conservare intatta la Tradizione contro l’infedeltà e le malsane innovazioni del Papato postconciliare; i secondi, piuttosto critici verso i Papi che hanno preceduto Francesco, si considerano gli amici entusiasti o «fans» di Papa Francesco e la punta avanzata della Chiesa nella realizzazione del Concilio.
Oggi pertanto il duplice scisma ufficiale-clandestino è all’interno della Chiesa stessa: sono i modernisti e i lefevriani. Oggi peraltro non si tratta di proporre una riforma, come ai tempi di Caterina, ma di attuare quella che è stata promossa dal Concilio. Occorre operare per l’unità della Chiesa sotto il Papa e per la pace tra i due partiti avversi. Non si tratta tanto di tornare ad un tradizionale  antico modello  fisso, quanto piuttosto di rinnovare e far avanzare la Chiesa nel senso giusto, sia pur sempre sulla base dei valori immutabili.
Tuttavia, siccome si è realizzato un progresso sbagliato, occorre anche recuperare i valori dimenticati. Bisogna dunque conciliare conservazione e progresso. Caterina intende la riforma come ritorno e recupero, non come novità e mutamento. L’ideale per lei non è quello dell’inventività, ma dell’osservanza. Non c’è la prospettiva del pluralismo teologico, dell’evangelizzazione, della libertà religiosa, del dialogo ecumenico, interreligioso e con i non-credenti.
Tuttavia, in Caterina troviamo una maestra eccezionale ed attualissima della trattativa di pace, della difesa della fede, della parresia verso i potenti, della comunione ecclesiale, dell’apologetica, della persuasione, dell’esortazione, del garbato rimprovero, della giusta minaccia, della correzione fraterna e dei Superiori, della pietà per i deboli, della compassione per i sofferenti, dell’istruzione catechetica, dell’edificazione dell’unità, della carità, della concordia, della libertà, della mutua comprensione, sopportazione ed accettazione, dell’aiuto reciproco, della riconciliazione, della penitenza, della conversione, della giustizia e della misericordia, della pedagogia e della guida spirituale alla santità, all’amore per la Croce, al culto divino, alla contemplazione mistica ed alla preghiera. 

Caterina a Papa Gregorio XI e a Papa Urbano VI

Caterina ci è maestra di come dobbiamo atteggiarci nei confronti del Papa in generale e nei casi specifici. Certo, lei ebbe il dono speciale di entrare nelle grazie di due Papi, Gregorio XI e Urbano VI, tanto che essi tenevano in modo speciale al suo giudizio e ai suoi consigli ed ascoltavano persino i suoi rimproveri.
Gregorio XI nell’accentuare la misericordia, dimenticava la giustizia. E Caterina lo richiama parlando in generale, ma facendo ben capire al Papa che si riferisce a lui:
«Se si tratta di un Superiore religioso, questi fa male per il suo  amor proprio. Cioè per non scontentare gli altri con i quali è legato per simpatia e amor proprio, in lui è morta la santa giustizia. Sapendo infatti che le persone a lui affidate commettono peccati e vizi, sembra tuttavia che faccia finta di non vedere e non lo corregge o, anche se lo corregge, lo fa con tanto disinteresse e tiepidezza di cuore, da non far nulla, se non spalmare il loro vizio, avendo sempre timore di scontentarle e di giungere ai ferri corti»[2].
E ancora, sullo stesso tono, nella medesima lettera:
«Miseria umana! Cieco è quel malato, che non conosce ciò di cui ha bisogno! E cieco è quel pastore, che dovrebbe essere anche medico, il quale non vede, né prende in considerazione alcuna cosa se non la propria tranquillità e il proprio interesse; infatti, per non perderla, non impiega né il coltello della giustizia, né il fuoco dell’ardentissima carità»[3].
Caterina esorta Papa Gregorio a liberarsi dei cattivi collaboratori e a sceglierne dei buoni:
«Dal giardino della santa Chiesa tu togli via i fiori che puzzano, pieni di immondizia e di cupidigia, gonfi di superbia: sono i cattivi pastori e i superiori ecclesiastici che avvelenano e fanno imputridire questo giardino. Povera me! Tu che hai ricevuto l’incarico di governarci, impiega la tua autorità per sradicare questi fiori.
Gettali fuori, così che non abbiano il modo di esercitare il potere su altri. Ordina loro di impegnarsi ad esercitare il potere su se stessi, vivendo una vita buona e santa. Pianta in questo giardino fiori profumati, pastori e superiori ecclesiastici, che siano veri servi di Gesù Cristo: non si dedichino ad altro, se non alla gloria di Dio nella salvezza di ogni uomo e siano padri dei poveri»[4].
Urbano VI era molto diverso da Papa Francesco; ma è possibile trovare punti in comune. Urbano VI voleva riformare la Chiesa ed aveva anche un buon programma, soprattutto di tipo economico, che comprendeva l’indipendenza del Papato dalla monarchia francese; ma, come sappiamo bene dalla storia, fu troppo irruente e impaziente nella realizzazione della riforma, sì da attirarsi l’odio dei sussiegosi e permalosi Cardinali francesi, che costituivano la grande maggioranza del Collegio Cardinalizio. Da qui nacque lo scisma, con l’elezione dell’Antipapa Clemente VII.
Caterina ha molto chiaro il dovere che il pastore ha di alternare la misericordia alla giustizia a seconda delle necessità delle anime. Papa Urbano difettava nella misericordia. Penso che se Caterina vivesse oggi, farebbe notare a Papa Francesco di difettare nella giustizia. Dice Caterina che il buon pastore
 «né attenua il fuoco del desiderio di Dio, e non si priva della perla della giustizia, che porta nel suo petto, splendente e unita alla misericordia. Perché, se la giustizia fosse esercitata senza la misericordia, sarebbe allora legata alle tenebre della durezza, e quindi sarebbe piuttosto ingiustizia che giustizia; e la misericordia senza la giustizia sarebbe, nei riguardi delle persone affidategli, come la pomata applicata su una piaga, che invece dev’essere incisa con il fuoco: soltanto spalmando la pomata, senza ustionare la piaga, questa andrebbe in putrefazione piuttosto che guarire. Ma la giustizia e la misericordia, tra lo unite, danno vita al superiore religioso nel quale risplendono e salute alle perone a lui affidate, a meno che queste non siano già membra del demonio, tanto da non voler correggersi in nessun modo»[5].
Caterina esorta il Papa a far giustizia, ma con moderazione, dato che Urbano era troppo severo. Penso che  Caterina direbbe cose simili al Papa attuale, che non pare ascoltare gli appelli insistenti ed accorati, che salgono dal popolo di Dio, sofferente e sconcertato, che chiede giustizia per gli scandali che avvengono nella Chiesa anche a livello di vertice.
Così si esprime Caterina:
«Povera me! Babbo mio dolce! Poni rimedio e dai ristoro ai desideri, vivi e dolorosi, dei servi di Dio, i quali muoiono di dolore e non possono morire. E con gran desiderio attendono che tu, come vero pastore, inizi a correggere, non soltanto con la parola, ma anche con l’azione, risplendendo in te la perla della giustizia unita alla misericordia e senza alcun rispetto umano correggi in verità, quelli che, divenuti ministri del sangue, divorano il seno della dolce Sposa»[6].
Caterina ricorda con grande parresia all’irascibile Urbano che iI Papa dev’essere mosso da una grande carità, che le strappi dalle mani del demonio, e il grande suo dovere e quello di adoperarsi con tutte le forze per l’unità della Chiesa fondata sul’unica fede, per ottenere così la concordia interna tra le varie correnti,  per sedare e risolvere i conflitti nella pace e nel rispetto reciproco; parole, queste, che penso Caterina rivolgerebbe anche a Papa Francesco:
 «Spero per il dolce amore di Dio, che egli ti colmerà della sua ardente carità, per cui conoscerai il danno che le anime hanno subìto e quanto sei tenuto ad amarle. E così crescerà in te il desiderio, vivo come la fame e l’impegno di strapparle dalle mani del demonio e cercherà di provvedere alla Chiesa tutta, sia pastori che fedeli. E particolarmente a pacificare i tuoi figli, riconducendoli con benevolenza con la verga della giustizia, secondo la loro capacità di sostenerla, e non di più»[7].
Caterina riconosce con franchezza la presenza della corruzione nella stessa corte papale. Ella si riferisce in particolare ai Cardinali ribelli che hanno provocato lo scisma. Ma le parole della Santa si potrebbero in qualche modo applicare anche a certi collaboratori o cosiddetti «amici» del Papa attuale, che in realtà non riconoscono l’autorità dottrinale pastorale del Successore di Pietro, ma fingono un’adulatrice sottomissione ed un’interessata amicizia, che non è da meno, anzi per la sua perfidia è peggio della ribellione aperta. Dice Caterina:
«Se io mi volto a guardare là dove tu sei», ossia alla corte pontificia, «- dove c’è Gesù, dev’esserci  la vita eterna - io vedo che nel luogo dove sei tu, Padre Santo, tollerare che essi vivessero in tanta miseria. Tuttavia, non cedere»[8].
Il Papa deve avere uno speciale discernimento nella scelta dei collaboratori. Credo che Caterina rivolgerebbe anche a Papa Francesco questo avvertimento che ella indirizza a Papa Urbano:
 «È vero, tu non puoi con un solo colpo togliere via tutti i peccati degli uomini, quelli che vengono comunemente commessi dai cristiani, e soprattutto dai sacerdoti, sui quali devi più di tutti vigilare.
Ma puoi bene e ne hai il dovere, altrimenti lo avresti sulla coscienza, il fare quanto ti è possibile per pulire almeno il seno della santa Chiesa, provvedendo cioè a quelli che ti sono vicini e intorno a te, ripulendo la tua curia dal fradiciume e mettendovi uomini che si dedichino alla gloria di Dio e al tuo onore e al bene della santa Chiesa, i quali non si lascino corrompere né da seduzioni, né dal denaro. Se rinnoverai il seno della santa Chiesa, tua Sposa, tutto il corpo verrà rinnovato facilmente: così darai gloria a Dio e a te ne verrà onore e beneficio; con una buona e santa reputazione e il profumo delle tue virtù spegnerai l’errore e lo scisma»[9].
Qui al posto di «scisma» basterebbe mettere i due movimenti scismatici dei lefevriani e dei modernisti.
Anche il Papa attuale vuol compiere un’opera di riforma nella linea del Concilio Vaticano II. Questo Papa non arriva al punto di irascibilità di Urbano VI nei confronti dei Cardinali, e tuttavia, sbilanciato verso un’interpretazione esclusivamente progressista del Concilio, si mostra scarsamente sensibile e troppo duro nei confronti dei tradizionalisti e dei conservatori.
Caterina rimproverava Urbano VI di amor proprio nel voler imporre con tanta alterigia la propria volontà. Oggi ella probabilmente esorterebbe Papa Francesco a superare la sua faziosità, essa pure originata da orgoglio, e a fare opera di conciliatore e di pacificatore, egli che è il supremo giudice ed arbitro delle controversie, il supremo moderatore e custode dell’unità della Chiesa, al fine di essere veramente il padre di tutti, non solo dei progressisti, ma anche dei conservatori, salvo naturalmente che costoro non siano caduti in un conservatorismo scismatico, il quale del resto non ne riconosce neppure l’autorità.
Ai tempi di Caterina queste due correnti non esistevano, perché allora non si aveva il senso storico, che abbiamo noi oggi, per cui non si faceva attenzione al progresso storico della Chiesa. Esso avveniva certamente, ma in modo inconscio ed irriflesso. Non si facevano progetti storici di avanzamento facendo un confronto tra il futuro e il passato secondo una tabella di marcia prestabilita. Le riforme non erano concepite come il progettare un qualcosa di nuovo e di meglio, ma come un tornare a fare quel bene che si era smesso di fare. I conflitti intraecclesiali si riassumevano nella competizione fra guelfi, partigiani del Papa, e ghibellini, partigiani dell’Imperatore.
Papa Urbano era severo con tutti. IlPapa attuale sembra troppo severo con i lefevriani e invece troppo indulgente verso i modernisti. Qui Papa Francesco si mostra del tutto opposto a Papa Urbano. Mentre costui aggredisce l’avversario senza alcun riguardo, Papa Francesco si astiene dal redarguire o correggere gli eretici, perché, come sembra, ciò comprometterebbe la sua fama e quindi per il timore della loro reazione, avendo essi ormai acquistato nella Chiesa un enorme potere.
Non possiamo dubitare che Caterina, se vivesse oggi, si interporrebbe tra modernisti e lefevriani, sforzandosi di togliere i difetti degli uni e degli altri, e cercando di avvicinarli tra di loro col mettere in luce i comuni valori di fede, nonchè le qualità degli uni e degli altri, nel rispetto delle diversità, sollecitando  ed aiutando così Papa Francesco in questa urgente e sacrosanta opera di pace e di riconciliazione intraecclesiale.  

Il problema del governo della Chiesa

La riforma che propone Caterina non ha nulla a che vedere con un mutamento di dottrina, come fece Lutero, e non è neppure intesa secondo il modulo del Concilio Vaticano II, come proposta di avanzamento o sviluppo della Chiesa nella storia,  grazie ad una nuova evangelizzazione sulla base di un’assunzione critica dei valori del mondo moderno.
La riforma proposta da Caterina è innanzitutto una riforma della gerarchia della Chiesa: una riforma non tanto delle idee, - Caterina non è una teologa -, quanto piuttosto della condotta, dei costumi e del governo del Papa, dei Cardinali, dei Vescovi del clero e di religiosi, senza ovviamente escludere i laici, sul modello della teologia morale e pastorale e dell’ecclesiologia del suo tempo.
Quello che colpisce è che idea chiara Caterina avesse dell’ufficio pastorale e con quanta decisione ed autorevolezza e persuasività sapesse proporlo e correggerne i difetti, come se avesse studiato la teologia del sacerdozio, lei una povera giovane indotta popolana del’300, sapendo in quanto conto si tenesse allora la donna, sopratutto presso i dotti e gli ecclesiastici. Bisogna dire, però, che il ‘300 ha un’alta stima della profezia e della mistica femminili. E questo fatto certamente contribuì a costruire la fama di Caterina, del resto dotata di carismi eccezionali.
Lutero, che passa per essere presso ie suoi seguaci un grande riformatore, a confronto della sapienza con la quale Caterina parla dei sacerdoti, fa una figura barbina rispetto al modo barbarico col quale ne parla Lutero, lui che pure era dottore in teologia.
Tutta la dottrina pastorale di Caterina s’incentra sul dovere che il pastore ha di collegare, nella sua azione pastorale, la giustizia con la misericordia, usando ora questa ora quella, a seconda delle necessità e delle convenienze. I buoni pastori, dice Caterina[10],
«hanno seguito le vestigia sue» (di Cristo) «e però corressero e non lassarono imputridire i membri per non correggere, ma caritativamente con l’unguento della benignità e con l’asprezza del fuoco incendendo la piaga del difetto con la reprensione e penitenza, poco e assai secondo la gravezza del peccato. E per lo correggere e dire la verità non temevano la morte».
E se questa è la condotta del buon pastore, per converso ecco quella del cattivo:
 «Così il prelato o altri signori che hanno sudditi, se essi, vedendo il membro del suddito loro essere infracidato per la puzza del peccato mortale, vi pongono subito l’unguento della lusinga senza la reprensione, non guarisce mai. Ma guastarà le altre membra che gli sono da torno legate in uno medesimo corpo, cioè a uno medesimo pastore. Ma se egli sarà vero e buono medico di quelle anime, sì come erano questi gloriosi pastori, egli non darà unguento senza fuoco della reprensione, E se’l membro fusse pure ostinato nel suo malfare, el tagliarà dalla Congregazione, acciò che non gl’imputridisca con la colpa del peccato mortale.
Ma essi non fanno oggi così, anco fanno vista di non vedere. E sai tu perchè? Perchè la radice de l’amore proprio vive in loro, unde essi traggono il perverso timore servile; però che, per timore di non prdere lo stato e le cose temporali o prelazioni, non correggono; ma e’fanno come acciecati e però non cognoscono in che modo si conserva lo stato. Chè se essi vedessero come egli si conserva per la santa giustizia, la manterrebbero; ma perché essi sono privati del lume non il cognoscono.  Ma credendolo conservare con l’ingiustizia, non riprendono i difetti de’ sudditi loro; ma ingannati sono dalla propria passione sensitiva e da l’appetito della signoria o della prelazione.
E anco non correggono perché essi sono in quegli medesimi difetti o maggiori; sentendosi compresi nella colpa, e’ però perdono l’ardire e la sicurtà, e legati dal timore servile fanno vista di non vedere. E se pure se veggono, non correggono, anco si lassano legare con le parole lusinghevoli e con molti presenti, ed essi medesimi truovano le scuse per non punirli. In costoro si compie la parola che disse la mia Verità nel santo Evangelio dicendo: “costoro sono ciechi e guide di ciechi; e se un cieco guida l’altro, amdedue caggiono nella fossa” (Mt 15,14)»[11].
L’opera della riforma della Chiesa, per Caterina, può essere stimolata da profeti – e lei si sente certamente in questo numero e tale fu stimata dai Papi -; ma essa può avere un carattere di ufficialità solo se viene riconosciuta, approvata, fatta propria e promossa dal Papa. Nella storia della Chiesa, le grandi riforme sono state portate avanti dai Papi, anche se quasi sempre sollecitate da Santi e da profeti. E della stessa riforma avviata dal Concilio Vaticano II, occorre in fin dei conti riconoscere il merito a S.Giovanni XXIII e a S.Paolo VI. Ed anche in questo caso la riforma della Chiesa fu sollecitata e preparata da uomini illuminati come il Maritain e il Congar, anche se essi non avevano espressamente invocato un Concilio, come in passato quasi sempre era avvenuto.
Da ciò vediamo quanto falsa sia stata la «riforma» luterana, basata, anziché sulla fiducia nella saggezza e nell’autorità del Vicario di Cristo, addirittura sulla abolizione del Papato in nome della pretesa di Lutero di essere stato illuminato da Dio a riformare la Chiesa su criteri migliori di quelli offerti dal magistero pontificio, tali da smentirne l’autorità. A Caterina, come a tutti i cattolici rimasti  fedeli alla verità del Vangelo un’idea del genere sarebbe apparsa semplicemente blasfema e diabolica.
Le virtù e vizi dei pastori

Per questi motivi Caterina, al fine di promuovere la riforma della Chiesa, concentra la sua attenzione sulle virtù essenziali del buon pastore, pensando soprattutto al  Papa. E queste virtù sono sostanzialmente due: l’umiltà e la carità, secondo il principio fondamentale dell’etica cateriniana, che «l’umiltà è il buon terreno sul quale cresce l’albero della carità». Ma per ottenere l’umiltà, occorre distruggere il veleno dell’amor proprio o «amor proprio di sè»[12], concetto che non va inteso – e Caterina lo precisa con chiarezza – come cura dei propri sani interessi; ma si tratta di quell’amor sui, del quale parla S.Agostino, dell’assolutizzazione dell’io, di quell’egocentrismo o autoreferenzialità, che conduce, come avverte sempre Agostino, al contemptum Dei. Viceversa, l’amor Dei porta al contemptum sui, da intendersi ovviamente non come autodenigrazione o autofrustrazione o eutanasia, ma come quel disprezzo per i propri difetti e vizi, che conduce l’io alla vera affermazione di se stesso in Dio.
Per questo, Caterina, in tutte le sue lettere, siano indirizzate ad ecclesiastici o a sovrani o a politici, e al Papa stesso, batte sempre innanzitutto sull’umiltà e la carità, contro la superbia, l’orgoglio, l’egoismo, il narcisismo, l’esibizionismo e l’attaccamento al mondo. Non c’è dunque da dubitare che, se Caterina dovesse oggi rivolgersi a Papa Francesco, lo richiamerebbe al suo dovere di vincere l’amor proprio, il desiderio di successo e il rispetto umano, badando solo all’amor di Dio, alla salvezza delle anime e al premio celeste.
Invece, nel Dialogo della divina Provvidenza Caterina sviluppa ampiamente la dottrina dell’umiltà, e il distacco da se stessi, fondata sull’amore alla verità e  sul «cognoscimento di sè», il sapere non esser da sè, ma l’esser proprio aver ricevuto da Colui Che È. Dice Caterina:
 «Niuna virtù può avere in sé vita se non dalla carità; e l’umilità è balia e nutrice della carità. Nel cognoscimento di te ti umilierai, vedendo te per te non essere e l’essere tuo conoscerai da Me, che v’ò amati prima che il mondo fusse»[13].
L’umiltà porta Caterina a sapersi fragile e peccatrice, ma senza quella falsa, comoda e presuntuosa fiducia nel perdono divino, che troveremo in Lutero, priva dello sforzo ascetico, effetto della buona volontà, che così, sotto l’impulso della grazia, acquista il merito del proprio emendamento.
Qui troviamo il nesso fra amor proprio, umiltà e carità:
«L’amore proprio – dice Caterina[14] -  il quale tolle la carità e la dilezione del prossimo, è principio e fondamento d’ogni male. Tutti gli scandali, odio, crudeltà e ogni inconveniente procede da questa radice dell’amor proprio. Egli à avelenato tutto quanto il mondo e infermato il corpo mistico della santa Chiesa e l’universale corpo della cristiana religione, perché Io ti dissi che nel prossimo, cioè nella carità sua, si fondavano tutte le virtù e così è la verità. Io sì ti dissi che la carità dava vita a tutte le virtù, e così è che niuna virtù si può avere senza la carità, cioè che la virtù s’acquisti per puro amor di Me. Chè, poi che l’anima à conosciuto sé, à trovato umilità e odio della propria passione sensitiva, conoscendo la legge perversa che è legata nelle membra sue, che sempre impugna contro lo spirito».
L’umiltà procede dal «cognoscimento di sè»: «la radice della discrezione è un vero conoscimento di sè e della mia bontà», per cui
«subito l’anima rende a ciascuno il debito suo. E principalmente el rende a Me, rendendolo lode e gloria al Nome mio e retribuisce a Me le grazie e i doni che vede e conosce avere ricevuti da Me»[15].
E Caterina prosegue:
«Chè, se questa umilità non fosse nell’anima, sarebbe indiscreta; la quale indiscrezione sarebbe posta nella superbia, come la discrezione è posta nell’umiltà. E però indiscretamente, sì come ladro furerebbe l’onore a Me e darebbelo a sé per propria reputazione; e quello che è suo porrebbe a Me, lagnandosi e mormorando dei misteri miei, i quali Io adoperassi in lui o nell’altre mie creature»[16]. I superbi attribuiscono a sé ciò che appartiene a Dio e a Lui le loro miserie.
Frutto maturo dell’umiltà è la carità:
«Ogni perfezione e ogni virtù procede dalla carità, e la carità è nutricata da l’umilità e l’umilità esce dal conoscimento e odio santo di se medesimo, cioè della propria sensualità. Chi ci giogne, conviene che sia perseverante e stia nella cella del conoscimento di sé, nel quale conoscimento di sé conoscerà la misericordia mia nel sangue dell’Unigenito mio Figliolo, tirando a sé con l’affetto suo la divina mia carità, esercitandosi in stirpare ogni perversa volontà spirituale e temporale, nascondendosi nella casa sua»[17], ossia nel cognoscimento di sé.
L’amor proprio toglie la «santa discrezione», basata sulla ragione e sulla fede, la quale discrezione è quel lume intellettuale fortificato dalla carità, col quale l’intelletto discerne il vero bene:
«ogni male è fondato nell’amore proprio, il quale amore è una nuvola che tolle il lume della ragione, la quale ragione tiene in sé il lume della fede e non si perde l’uno se non si perda l’altro»[18] .
L‘amor proprio è causa di una falsa scienza, che è quella degli «ignoranti superbi scienziati», i quali
«acciecano nel lume, perché la superbia e la nuvila dell’amore proprio à ricuperta e tolta questa luce, e però intendono più la Scrittura litteralmente, che con intendimento, unde ne gustano solo la lettera rivollendo molti libri, e non gustano il mirollo della Scrittura perché ànno tolto il lume con che è dichiarata e formata la Scrittura»[19].
Per poter comprendere ciò che Caterina direbbe oggi a Papa Francesco, dobbiamo confrontare i suoi tempi con quelli di oggi. Sotto Urbano VI non si ha notizie del sorgere di particolari eresie. Il suo magistero è di scarso interesse e non presenta problemi. Tutto ciò che fa problema in Urbano VI si esaurisce nella sua condotta morale e  nel governo della Chiesa.
 Non ebbe mai a pronunciare importanti condanne dottrinali, data la situazione della Chiesa di allora, nella quale era generalmente diffusa la retta dottrina, salvo forse la diffusione del nominalismo di Guglielmo di Ockham, le dottrine stataliste antipapali di Marsilio di Padova e il misticismo pancristico di Meister Eckhart, dottrine del resto già condannate dai Papi precedenti.
Papa Urbano doveva confrontarsi addirittura con un Antipapa, Clemente VII, abile e prestigioso, che aveva sottratto a Roma mezza Europa. Prova durissima per un Papa, tradito dai suoi stessi Cardinali elettori. Non poteva del resto non sentire disagio di coscienza per l’eccessiva durezza con la quale li aveva trattati.
Invece il Papa attuale, non pare più di tanto preoccupato dei suoi oppositori, che egli considera sbrigativamente dei farisei. Certamente alcuni di questi oppositori, piuttosto livorosi e saccenti, non meritano attenzione. Ma altri, mossi da sincero amore per la Sede di Pietro e per la Chiesa andrebbero ascoltati. Ma qui purtroppo Papa Francesco mostra una certa sordità, dettata, a mio avviso, da orgoglio.
 Egli, infatti, oltre a presentare aspetti criticabili riguardanti la sua condotta morale e il governo della Chiesa, anche nel suo magistero dottrinale e morale non sempre chiaro, suscita perplessità, fa sorgere dubbi, si presta ad essere equivocato, strumentalizzato e frainteso. Ed inoltre vive in una situazione ecclesiale, come abbiamo accennato, caratterizzata da gravi conflitti interni, causati da atteggiamenti scismatici inconfessati e dall’influsso di eresie contrapposte.
Così possiamo essere certi che, se Caterina non aveva nulla da eccepire negli insegnamenti dottrinali di Papa Urbano, attaccata com’era, da buona Domenicana, alla sana dottrina, se avesse notato qualche difetto di esposizione o di linguaggio negli insegnamenti del Papa, non avrebbe mancato di farglielo notare e di suggergli come correggersi, ovviamente non nei contenuti di fede o di morale, dove il Papa non può ingannarsi né ingannare, ma appunto nel modo di parlare, di esprimersi o di comunicare.
Immaginiamo quali esortazioni Caterina potrebbe fare a Papa Francesco
Immaginiamo che Caterina, con la sua solita parresia, anche oggi scriverebbe al  Papa ed lo esorterebbe e supplicherebbe ad avere coraggio, ad avere un cuore largo e sincero, un linguaggio leale, limpido e chiaro, mettendo al bando ambiguità ed equivoci, a chiarire le sue posizioni quando viene frainteso, ad annunciare il Vangelo nella sua integralità e non solo ciò che di esso piace al mondo, ad avvertire i peccatori superbi ed ostinati che nell’inferno ci sono dei dannati, e a far presente ai presuntosi che hanno una vana fiducia in Dio che non ci si salva senza meriti.
Caterina esorterebbe il Papa a parlare di meno e pensare di più, perché nel molto parlare non manca il peccato. E purtroppo al Papa non mancano frasi dette d’impulso, che a volte, se non fosse che si deve considerarle come semplici esternazioni improvvisate, potrebbero sfiorare la vera e propria eresia.
 Anche su questo punto Caterina avrebbe esortato il Papa a badare più alla qualità che alla quantità. Certamente, non aveva bisogno di rivolgere questa esortazione a Papa Urbano, dei cui insegnamenti non ci è rimasto quasi nulla, a confronto dell’oceanica produzione di parole di Papa Francesco, enormemente favorito in ciò dai potenti mass-media di adesso.
Caterina esorterebbe soprattutto il Papa all’umiltà, come fece con Urbano VI, benché oggi con ragioni molto diverse. Papa Urbano si sentiva ferito nell’orgoglio per i Cardinali che lo avevano ripudiato per eleggere un altro Papa.  Papa Francesco si ritiene il Papa della svolta epocale, ed ottiene in ciò molto successo, per cui non ascolta chi lo esorta a recuperare i valori rinnegati dal modernismo e a non trattare da farisei coloro che gli ricordano i valori universali, immutabili ed assoluti della fede e della morale.
Caterina ricorderebbe a Papa Francesco, come fece con Urbano, la malizia dello amor proprio, che centra la realtà sul proprio io, rendendoci schiavi del mondo e ribelli a Dio. Caterina, quindi, in questa ottica, esorterebbe Francesco a non dar retta ai falsi amici, agli adulatori astuti ed interessati, ma in realtà o illusi o nemici di Dio, del Papa e della Chiesa, che inneggiano a lui come a Papa «rivoluzionario», «trasformatore del mondo», Papa profetico mai visto in tutta la storia del Papato, iniziatore di una «svolta epocale» ed un «nuovo paradigma» e segua piuttosto il fulgido esempio dei Papi Santi che l’hanno preceduto, soprattutto Paolo VI e Giovanni Paolo II, ma anche Benedetto XVI, perché  sono loro ad avergli aperto il cammino della vera riforma conciliare, cammino sul quale egli deve proseguire e non cambiare per accontentare il mondo.
Caterina riconoscerebbe al Papa, nonostante l’età avanzata, un’attività prodigiosa, in continuo movimento per il mondo; ma lo inviterebbe a chiedersi se alla quantità di questa azione grandiosa corrisponde una vera qualità evangelica missionaria, consona al suo ufficio di Apostolo del Vangelo e Pastore universale della Chiesa.
Anche Caterina, certo, era in continuo movimento. Ma confrontando la sua azione con quella di Papa Francesco si nota una grande differenza, che Caterina persuade ed esorta i peccatori a pentirsi,  a convertirsi e a tornare in comunione col Papa e con la Chiesa, mentre minaccia agli ostinati la pena dell’inferno, a costo di ricevere attacchi ed insulti che arrivano a mettere in pericolo la sua stessa vita. Invece Francesco gira sempre tra bagni di folla osannante, dialoga di qua, dialoga di là; ma tutti i nemici della Chiesa che incontra, dopo i baci e gli abbracci,  e il  «dialogo fraterno» restano esattamente della loro idea e lo lodano per averli lasciati in pace.
Caterina esorterebbe Papa Francesco a far presente a tutto il mondo che la fratellanza umana trova la sua salvezza nella fratellanza cristiana; che il figlio dell’uomo è destinato a diventare figlio di Dio, a non avere rispetti umani, a ricordare il primato del cristianesimo sulle altre religioni; a invitare i fratelli separati ad entrare nella piena comunione con la Chiesa cattolica e col Papa.
 Caterina esorterebbe Papa Francesco a governare la Chiesa con saggezza e prudenza, a non confonderla col mondo, a farla salire in alto e non a mantenerla a terra, ad accompagnare la misericordia con la giustizia, favorendo l’unità nella pluralità, costruendo ponti verso chi cerca Dio ed alzando muri  contro i lupi, accogliente verso gli uomini di buona volontà, escludente verso i malintenzionati, in uscita a conquistare il mondo a Cristo, in entrata in se stessa, dove trova il suo Signore e Sposo, ospedale da campo per curare i malati, inizio del regno di Dio e pregustazione del paradiso per  coloro che vivono in grazia.
Gli prospetterebbe una Chiesa con una sola fede e quindi lo esorterebbe a far pulizia degli scandali e delle eresie, che imbrattano il volto della dolce Sposa di Cristo; a dare lui per primo un esempio di ravvedimento e di riforma dei costumi, facendo quella pulizia morale, che lo esorta a fare Mons.Viganò col suo memoriale, soprattutto a togliere dalla Chiesa l’orribile vizio della sodomia.  
Riguardo alla riforma della Chiesa, Caterina ricorderebbe al Papa che la Chiesa non è solo popolare, ma anche Chiesa gerarchica; che non dev’esser solo una Chiesa terrena, ma anche in comunione con quella celeste; che la Chiesa è signora del mondo e non dev’essere sottomessa al mondo; una Chiesa che è al di sopra dei partiti politici; una Chiesa religiosa e non una Chiesa politicante; una Chiesa sì aperta a tutti, ma chiusa a chi la vuol distruggere; una Chiesa della libertà, perchè Chiesa della verità; una Chiesa dell’amore, perché osserva i comandi di Cristo; una Chiesa diversificata ma unita in una sola fede, perché non ci sono molte «fedi», ma una sola, perché la verità è una sola; una Chiesa dello Spirito Santo, che si esprime nel diritto canonico; una Chiesa della santità, perché penitente e perdonata dei peccati; Chiesa della resurrezione perchè Chiesa della Croce. Non cambia la sua essenza, ma la realizza sempre meglio nel corso dei secoli.

Conclusione

Ho toccato uno solo degli aspetti dell’attualità del messaggio di Caterina. Molti altri potrebbero essere rilevati. Ho scelto questo atteggiamento di Caterina nei confronti della questione della riforma della Chiesa del suo tempo e in particolare nei confronti del Pastore universale della Chiesa, il Papa, perché mi sembra che anche oggi occorra una voce umile, sapiente, franca, coraggiosa, animata da un’ardentissima carità, una voce simile alla sua, che potrebbe essere una voce femminile.
Credo infatti che il bisogno più urgente della Chiesa di oggi sia quello di saper testimoniare la verità nella carità , con cuore leale e generoso, pronto al sacrificio, aperto alla speranza, artefice di riconciliazione, costruttore di pace e di concordia, che unisca la giustizia alla misericordia, un’anima orante, disponibile alle sorprese dello Spirito Santo, tutte doti grazie alle quali una donna di Dio può rimediare ai danni fatti dell’uomo.
P.Giovanni Cavalcoli,OP
Varazze 16 marzo 2019




[1] La ricomparsa del modernismo fu segnalata già cinquant’anni fa dal Maritain nel suo libro Le paysan de la Garonne, Desclée de Brouwer, Paris 1966, p.16.
[2] Lettera 185 a Gregorio XI.
[3] Ibid.
[4] Lettera 206 a Gregorio XI.
[5] Lettera 291 a Urbano VI.
[6] Ibid.
[7] Ibid.
[8] Lettera 305 a Urbano VI.
[9] Lettera 364 a Urbano VI.
[10] Dialogo della divina Provvidenza, c.119.
[11] Dialogo, ibid.
[12] LA VITTORIA SULL’“AMOR PROPRIO” IN S.CATERINA DA SIENA, I, Divinitas, 1, 2001, pp.3-16; II, Divinitas, 2, 2001, pp.115-140.
[13] Dialogo, c.3.
[14] Dialogo, c.6.
[15] Dialogo, c.9.
[16] Ibid.
[17] Dialogo, c.63.
[18] Dialogo, c.51.
[19] Dialogo, c.85.

Conferenza tenuta a Varazze il giorno 11.04.2019 :  Il messaggio di Caterina oggi“: conferenza della dott.ssa Marina Delfino preparata da Padre Giovanni Cavalcoli (O.P.).
http://www.ponentevarazzino.com/2019/04/11/104148/

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