Il progetto del demonio - Seconda Parte (2/4)

Il progetto del demonio

Seconda Parte (2/4)

Satana ci propone di essere come Dio

 e propone sé stesso all’uomo come alternativa a Dio 

La proposta originaria del demonio all’umanità è narrata dalla Bibbia nella vicenda del peccato originale. I due suddetti orientamenti non sono che un’applicazione di tale proposta originaria adattata al fatto che l’uomo è composto di anima e corpo, per cui il demonio ci seduce attraverso queste due vie: o facendo leva sul corpo o facendo leva sull’anima.

L’angelo decaduto, da parte sua, come narra la Scrittura, dopo essersi opposto a Dio ed essersi per sempre fissato in uno stato di ribellione a Lui, ha potuto entrare, per divina permissione, nel paradiso terrestre ed ha istigato l’uomo a ribellarsi a Dio e così l’uomo, nella coppia primitiva, ha commesso il peccato originale, la cui colpa si è propagata a tutta l’umanità.

È evidente, dalla narrazione biblica, che il demonio si presenta ai progenitori come alternativa a Dio, come una persona più autorevole e degna di fiducia e più credibile. Si presenta come fosse il vero Dio, che vuol divinizzare l’uomo, mostrargli la verità e liberarlo dal giogo di un Dio bugiardo, invidioso e dispotico, come se il Creatore e il benefattore non fosse Dio, ma fosse lui, il demonio.

Qual è stata la proposta originaria? È stata quella di disobbedire al comando divino di «non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male» (Gen 2,17), perché mangiandone, la coppia sarebbe morta e avrebbe trascinato nella morte l’intera umanità che da essa sarebbe discesa. Il demonio ha ingannato i progenitori con una falsa promessa: «non morirete affatto! Anzi, Dio sa che, quando ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio conoscendo il bene e il male» (Gen 3, 4-5). I due si convincono che disobbedendo a Dio non solo avrebbero conservato l’immortalità, ma avrebbero acquistato la stessa sapienza divina, che Dio voleva gelosamente tenere per sé, impedendo a loro di acquistarla.

Ma, come sappiamo dal racconto biblico, all’atto della disobbedienza, gli occhi della coppia non si sono affatto aperti al vero, ma, al contrario, si sono accecati e la morte è conseguita al peccato, come aveva avvertito Dio. Ecco perché la Scrittura dice che «la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo» (Sap 2,24).

Come insegna la Bibbia, il peccato degli angeli ribelli a Dio, agli inizi della storia del mondo, è l’origine e la causa prima di tutto il male esistente nel mondo, sia male di colpa che male di pena. Il che ovviamente sia detto senza escludere la responsabilità diretta di tutti gli uomini malvagi della storia.

Di questi angeli, che poi sono i demòni, parla San Giuda in questi termini: «gli angeli che non conservarono la loro dignità, ma lasciarono la propria dimora, Dio li tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del gran giorno» (v.6). E San Pietro: «Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma li precipitò negli abissi tenebrosi dell’inferno, serbandoli per il giudizio» (II Pt 2, 4).

Questo vuol dire che l’intenzione di fondo del demonio è sì di spingerci a disobbedire a Dio e illuderci di poter essere come Lui, ma tutto ciò perché ci odia e vuole la nostra morte. Per questo, il Signore dice che Satana «è stato omicida fin dal principio» (Gv 8,44). E se Satana è «menzognero e padre della menzogna» (ibid.), lo è perché ci odia e vuole che noi siamo ingannati circa il nostro vero bene, perché vuole istillare tra di noi quello stesso odio che lui ha per noi.

Per questo Satana, stimolando quell’inclinazione all’odio che già possediamo a seguito del peccato originale, è sempre impegnato a suscitare fra noi mutue incomprensioni, invidie, gelosie, calunnie, dissidi, conflitti, discordie, litigi, guerre, violenze, vendette, crudeltà, omicidi e delitti di ogni genere contro la vita.

Questo è il motivo di fondo per il quale il demonio si presenta come il veritiero e il vero amante dell’uomo, contro un Dio a lui dire bugiardo: tenere l’uomo soggetto a sé per condurlo alla morte illudendolo con false speranze e ingannandolo con false promesse, esattamente come ha fatto con Adamo ed Eva. Ma, benché sia stato sbugiardato infinte volte nel corso della storia, ripete sempre la stessa proposta, con qualche piccola modifica e incontra sempre dei gonzi che gli credono e non ascoltano gli avvertimenti dei buoni o ascoltano i malvagi che vogliono collaborare alle sue opere.

Il demonio si presenta spavaldamente ed astutamente come un esaltatore e promotore inaudito della grandezza e della libertà umana e come liberatore dal giogo divino. Così regolarmente nel corso del tempo si presentano personaggi bizzarri che assicurano di aver trovato finalmente, dopo millenni di tenebra o di incertezza, la verità definitivamente liberatrice per tutta l’umanità, come se il cristianesimo esistente da 2000 anni, preceduto dai profeti biblici e dalle più antiche sapienze dell’umanità, non contasse nulla ed anzi fosse una pericolosa illusione o fonte di oscurantismo e schiavitù.

Occorre allora dire che, se l’ateismo è l’uomo che nega il vero Dio per sostituirsi a Dio, le lusinghe del demonio, del quale questi imbonitori sono i portavoce, sono la prima istigazione all’ateismo. Se panteismo è l’uomo che si fa Dio, le parole del demonio sono la prima istigazione al panteismo.

Notiamo altresì che non che alla coppia primitiva fosse proibito di sapere in generale e in particolare che cosa è bene e che cosa è male. Lo sapeva benissimo. È interessante, al riguardo, che Dio dopo aver creato l’uomo, gli comanda di fare il bene e gli proibisce di fare il male. Dunque la coppia era sì innocente e santa, ma avrebbe potuto peccare, come poi di fatto purtroppo è successo.

Ciò vuol dire che l’opposizione concettuale bene-male è necessaria. E in  ciò Hegel aveva ragione. Dove ha avuto torto è stato il credere, a causa del suo idealismo che confonde l’essere col pensiero, che sia necessaria anche l’opposizione reale, mentre invece l’esistenza del male non è affatto necessaria, e il male, se l’angelo non avesse peccato, non sarebbe esistito.

Ma ciò che Dio aveva riservato a Sé era il criterio o la legge per giudicare o decidere ciò che è bene e ciò che è male. In altre parole, Dio, in quanto creatore dell’uomo, aveva logicamente stabilito Lui la legge morale, come regola della condotta umana, sicché l’uomo si sarebbe comportato bene obbedendole e si sarebbe comportato male disobbedendole.

La simbologia del racconto genesiaco

Che cosa significava «mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male»? Intromettersi in ciò che riguarda esclusivamente Dio, usurpare a Dio un potere riservato esclusivamente a Lui: volere, come Dio o al posto di Dio o meglio di Dio, sapere e decidere originariamente, e quindi in un modo che spetta esclusivamente a Dio, circa l’origine, il principio e il perché del bene e del male.

È evidente che questo voler intromettersi in ciò che riguarda esclusivamente Dio, questo voler sapere ciò che Dio solo sa, questo voler decidere ciò che Dio solo può decidere, è peccato di presunzione, di superbia, di sfiducia in Dio, di disobbedienza a Lui; è peccato di somma stoltezza, perché è da stolti pensare di poter sapere e decidere ciò che Do solo può sapere e decidere. Questa pretesa di possedere una scienza («gnosi») o sapienza superiori a quella divina o tale da poterla smentire sarà poi sempre nella storia la pretesa delirante benché fascinosa dello gnosticismo, recentemente condannata da Papa Francesco.

Ma allora come è potuto accadere? Come mai dare ascolto al demonio piuttosto che a Dio? E non è qui certo il caso dell’ignoranza invincibile o della concupiscenza, perché la coppia sapeva benissimo che non c’era da fidarsi del demonio e che invece Dio solo meritava piena fiducia? Come ha potuto preferire di credere al diavolo piuttosto che a Dio?

Che cosa è e che cosa rappresenta questo albero? L’albero è un vivente che procura e contiene frutti. Il frutto è il meglio dell’albero, è ciò che l’albero tende a produrre come compimento e fine della sua esistenza, per riprodursi e come nutrimento dell’uomo. Che cosa significava il «mangiare del frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male»?

Che c’entra la conoscenza con un albero? È evidente che questo «albero» sarà stato anche un albero in senso fisico, ma era soprattutto un albero simbolico: l’albero è principio di vita soprattutto con i suoi frutti. Quindi «albero» qui vuol dire principio o criterio divino della distinzione fra il bene e il male.

Questo misterioso «albero» è chiaramente una creazione poetica; è un misto di simbologia e di realtà: «l’albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare sapienza» (Gen 3,6). È ad un tempo sensibile, per cui sembra un vero albero; ma nel contempo è «desiderabile per acquistare sapienza» e sotto questo aspetto chiaramente è un simbolo: quale albero può essere desiderabile per acquistare sapienza?

Si tratta dunque di un qualcosa che contiene un elemento di sensibilità, gradevolezza al gusto e agli occhi, quindi dotato di un valore estetico, ed inoltre di intellegibilità, se è sorgente di sapienza. Come mai questa complessità di elementi che sembrerebbero proporzionati agli interessi umani? Come dunque si tratterebbe di un segreto riservato a Dio? Se è un segreto, come mai è così abbordabile? Allora il demonio aveva ragione a dire che era qualcosa che conduceva alla conoscenza della verità?

Pare che Eva, verificando le assicurazioni del demonio, si senta spinta ad andare avanti e a consumare la trasgressione. Ma ecco l’amara sorpresa, il risultato predetto da Dio: «Si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi» (v.7): ben lungi dall’acquistare chissaquale conoscenza, si trovano ad essere dei miserabili, sulla via di quella corruzione che si concluderà con la morte. I loro occhi si sono effettivamente aperti, ma per vedere una desolazione; altro che conoscenza del bene e del male!

Tragica esperienza del male e tragica perdita del bene! Nascerà bensì nella mente dell’umanità peccatrice e ribelle, in tutta la sua storia successiva fino alla fine del mondo, la voglia di essere lei stessa, al posto di Dio, la legge del bene e del male; ma con quante e quali tragedie a non finire! E fino alla fine del mondo Satana ripeterà ad ognuno di noi la stessa falsa promessa fatta i progenitori e sempre di nuovo ci saranno degli stolti che gli credono.

Adamo ed Eva si accorgono di essere ingannati. Ma non sembrano pentirsi. Giocano a scaricabarile con meschini pretesti: Adamo accusa Eva ed Eva accusa il serpente. Non chiedono perdono a Dio e Dio per il momento non li perdona, ma li castiga, un castigo che colpirà tutta l’umanità, misteriosamente coinvolta nella colpa dei due fino alla fine del mondo.

È interessante come nell’eden, dove tutto è bene, tutto è buono, la coppia originaria è innocente e santa, appare l’opposizione bene-male e la possibilità dell’esistenza del male. Infatti la stessa proibizione divina suppone la possibilità del male. Sarebbe infatti come se Dio avesse detto: se disobbedirete, fareste male. Cosa che purtroppo è avvenuta, benché il male esistesse già a causa del peccato dell’angelo.

Si trattava di fuggire il male obbedendo, ma purtroppo la coppia non l’ha fatto. E quindi il male ha cominciato ad esistere anche nell’uomo. Ma quando diciamo «il male», diciamo la morte, come conseguenza del peccato, che è stato un male, in quanto atto volontario privato del suo ordine voluto da Dio. Qui vediamo il legame del bene con la vita e del male con la morte, per cui qui appare il principio dell’etica biblica: è bene ciò che procura la vita; è male ciò che procura la morte. Così si spiega perché il mangiare dell’albero avrebbe procurato la morte a tutta l’umanità.

Il significato storico-teoretico del racconto genesiaco

Considerando il peso per la nostra fede e i problemi interpretativi del racconto genesiaco, viene spontaneo chiedersi: come ha fatto l’agiografo a sapere quanto è avvenuto all’origine dell’umanità? Indubbiamente ha utilizzato antichissime tradizioni; tuttavia la risposta, per noi credenti, in fondo è semplice: l’agiografo ha ricevuto una rivelazione divina, perché ci narra cose che diversamente con la nostra ragione e con la nostra indagine storica sul passato dell’uomo non potremmo mai sapere.

Certamente, come tutti noi, l’agiografo si è interrogato sull’origine del male nel mondo. Quello che egli ha di originale, segno di una divina rivelazione, è la risposta, la cui luce illumina l’umanità più e meglio di qualunque altra risposta data dalla filosofia e dalle religioni nella storia dell’umanità.

Tutti noi infatti notiamo l’esistenza del male e consideriamo che esso non dovrebbe esistere e che avrebbe potuto non esistere. Il problema è quello di sapere come mai esiste e da dove trae origine, considerando l’esistenza incontrovertibile di un Dio buono, onnipotente e provvidente, un Dio che, buono  onnipotente, se avesse voluto, avrebbe potuto impedirne l’esistenza? 

Se dovessimo essere posti davanti alla scelta: o esiste Dio o esiste il male, non dovremmo esitare, per salvare l’esistenza di Dio, a negare l’esistenza del male. Non mi addentro adesso in questa tremenda questione, che ho già trattato di recente in un altro articolo. 

L’ateo fa il contrario: per non negare l’esistenza del male, crede che sia necessario negare l’esistenza di Dio. Ma cade in un concetto sbagliato del male, come se il male potesse sussistere da sé, indipendentemente dal bene, il che è falso, perché l’esistenza del male suppone quella del bene, del quale è carenza. Quindi l’esistenza di Dio, sommo bene, è la condizione di possibilità dell’esistenza del male. Invece il bene potrebbe esistere senza il male. 

Mi limito qui a dire che ritengo che l’agiografo, sotto ispirazione divina, abbia costruito una spiegazione di tipo teoretico, ma fondata su di un fatto realmente accaduto alle origini dell’umanità. È chiaro che non possiamo pretendere che egli abbia riferito le precise parole di Dio, del demonio e della coppia primitiva.

Tuttavia, a prescindere dalle precise parole, immagini o simboli, che interessano relativamente, i concetti che ci vengono proposti sono chiari ed estremamente importanti ed illuminanti. Essi sono espressi evidentemente col linguaggio di una cultura primitiva, probabilmente una «cultura dell’albero»[1], che considera gli alberi come segni o manifestazioni simboliche o messaggeri o elargitori della sapienza divina. Ma ciò non deve farci difficoltà, perché noi sappiamo riconoscere il valore simbolico dell’immagine dell’albero.

I molti derivano dall’uno e non viceversa

Da notare altresì come la narrazione genesiaca faccia risalire l’origine dell’umanità da una sola coppia e non da più coppie, perché, come ha osservato Pio XII nell’enciclica Humani Generis del 1950, il poligenismo non potrebbe spiegare il fatto che la colpa originale si è trasmessa per generazione e d’altra parte l’atto del peccato è atto della singola persona.

Da un punto di vista metafisico Dio avrebbe potuto, se avesse voluto, far sorgere una pluralità di coppie in luoghi e tempi diversi e avrebbe potuto permettere anche che ciascuna coppia avesse commesso il proprio peccato originale per conto suo.

Ma ciò che fa da ostacolo insuperabile a questa ipotesi è il dogma della trasmissione della colpa per generazione da una sola coppia. Del resto è normale che per la riproduzione di una specie basti una coppia originaria. L’esperienza ci dice che una specie si diffonde per propagazione o diffusione nel territorio, e non che essa abbia avuto origine da più coppie generatrici sorte in passato in luoghi e tempi diversi. Se il grano nasce simultaneamente d’estate in Italia e Ucraina, resta sempre vero che i semi di grano sono specificamente gli stessi nei due paesi e quindi vengono da una sola coppia generatrice del grano.

Senza questa condizione dell’origine monogenetica non potremmo avere garanzia che si tratti della stessa specie ontologica, ma può venire il dubbio o la convinzione che si tratti di specie empiriche diverse e che per esempio l’uomo di Neanderthal, l’ebreo, l’ariano, il congolese, il pigmeo e l’australiano appartengano a specie diverse. Ed ecco il razzismo.

È vero che, per evitarlo, si può e si deve riconoscere la medesima umanità o la medesima specie umana al di là del variare delle razze. Ma allora siamo daccapo: per ammettere l’unità ontologica della specie, dobbiamo ammettere il monogenismo. Se le razze possono mescolarsi tra di loro, vuol dire che proveniamo da un unico ceppo ed apparteniamo alla stessa specie umana. Come direbbe Papa Francesco: siamo tutti fratelli, per quanto diversi tra noi.

Viceversa, il voler trovare la «razza pura», superiore alle altre, divide gli uomini tra loro e genera disprezzo per le razze cosiddette «inferiori», idea sciagurata propria del razzismo, fondata sul poligenismo, che innominabili ingiustizie e crudeltà ha prodotto soprattutto nel secolo scorso con l’ideologia nietzschiana del nazismo. 

Se fosse vero il poligenismo, non si capirebbe come fa una pluralità di origini a dar luogo a una medesima specie, oltre al fatto che ciò non è per nulla dimostrato. Certo è possibile constatare la comparsa dell’uomo in luoghi anche molto distanti fra di loro, quasi simultaneamente; ma nulla ci garantisce o dimostra un fenomeno poligenistico, e non piuttosto il comprensibile e naturale espandersi dell’uomo sul territorio, mediante l’emigrazione o il popolamento magari nel corso di secoli e millenni, con l’aumentare delle popolazioni.

Semmai l’esperienza dimostra che la varietà sorge dalla generazione di  diverse linee genetiche, a partire da un unico ceppo, forme primarie, che si diramano in una molteplicità di diverse forme derivate. Esempio tipico è la formazione dei rami degli alberi.  Questa è la legge della vita: non dai molti all’uno, ma dall’uno ai molti, perché è un principio metafisico e quindi anche biologico che la molteplicità da sè non si raccoglie in unità, ma è dall’unità già precostituita che sorge la molteplicità.

Il fondamento ultimo, quindi, del sorgere dell’intera umanità da una sola coppia, è di carattere metafisico, anche se Dio avrebbe potuto fare eccezione stabilendo di sua autorità un’origine poligenistica, che però non va d’accordo col fatto rivelato del peccato originale, come osserva Pio XII.

Satana non si limita alle proposte,

ma a volte ci aggredisce con violenza. 

L’odio e l’invidia di Satana nei nostri confronti, si manifestano anche, benchè molto più raramente, nelle cosiddette «possessioni diaboliche», che sono stati psichici temporanei, di varia durata, durante i quali una persona, anche di buoni costumi, avendo perduto il controllo cosciente e volontario di se stessa, è governata dal demonio, il quale si sostituisce alle potenze spirituali della persona nel governo della sua dimensione psichica, la quale è così alla mercè del demonio, che si serve di lei per disturbare o tormentare le persone dell’ambiente umano nel quale l’indemoniato vive.

Sappiamo tutti dalle narrazioni evangeliche quanto intensa è stata l’attività di Gesù dedicata alla liberazione degli ossessi. Di tale potere Gesù ha voluto render partecipi gli Apostoli col ministero dell’esorcistato[2], virtualmente contenuto nel sacramento dell’Ordine (Mt 10,8) e con un esorcistato carismatico proprio anche dei laici (Mc 16,17).

L’esistenza della possessione diabolica ci rende edotti per esperienza della possibilità di una separazione fra la sfera psichica e quella spirituale della persona, anche se resta molto difficile capire come ciò possa avvenire, come, cioè, il demonio possa sostituirsi alla volontà dell’ossesso nel governo delle sue potenze psichiche, per costringere il soggetto a fare e dire cose di cui è inconsapevole.

La possessione può dar sintomi simili alla demenza totale, perché nell’uno come nell’altro caso il soggetto agisce senza coscienza di quello che fa. Ma la differenza tra i due stati è data dal fatto che mentre nella demenza il soggetto mostra una patologia, la cui dinamica e cui leggi sono note e catalogate dalla comune letteratura medica e provocano disturbi di comportamento nei limiti delle comuni forze psicofisiche umane, senza l’emissione di messaggi verbali sensati, nel caso della possessione il soggetto mostra energie psicofisiche preternaturali ed emette messaggi sensati con contenuti pseudoprofetici o blasfemi.

Le vessazioni e le infestazioni diaboliche

L’uomo può essere sotto l’influsso del demonio in tre modi:

 

-Volontariamente, è questo è il modo più comune, per il quale l’uomo volontariamente accetta la proposta del demonio o cede alla tentazione;

-Involontariamente perdendola coscienza, e queste sono le possessioni, delle quali abbiamo parlato;

-Involontariamente mantenendo la coscienza, e queste sino le vessazioni.

 

Chiunque in questa vita è soggetto alla tentazione diabolica. Invece le possessioni e le vessazioni sono molto rare. Le possessioni colpiscono persone di medio livello di virtù e svolgono una funzione di disturbo dell’ambiente sociale. Sono spesso associate a varie forme di infestazione dei luoghi e delle cose, per cui avvengono fenomeni fisici motori, auditivi od olfattivi abnormi ed impressionanti.

 

Le vessazioni invece sono dure aggressioni fisiche patite dai Santi per provarne la pazienza o come vendetta per le buone azioni compiute o al fine di spaventarli o di farli desistere dal loro cammino di perfezione.

 

Fine Seconda Parte

 

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 26 febbraio 2021


 

 

Occorre allora dire che, se l’ateismo è l’uomo che nega il vero Dio per sostituirsi a Dio, le lusinghe del demonio sono la prima istigazione all’ateismo. 

Se panteismo è l’uomo che si fa Dio, le parole del demonio sono la prima istigazione al panteismo.

 

Il diavolo bara, eppure non vince; non vince mai, nemmeno con l’inganno.

Il capitello della “psicostasi” a Chauvigny -  Spoleto (immagini da internet)


[1] Pensiamo quanto importante è l’albero nei climi caldi per riparare dalla calura del sole.

[2] Cf Conferenza Episcopale Italiana, Rito degli esorcismi e preghiere per circostanze particolari, secondo il Rituale Romano, Libreria Editrice Vaticana, 2001. Cf per esempio le esperienze di esorcista narrate dal famoso Padre Gabriele Amorth in Marco Tosatti incontra Padre Amorth. Inchiesta sul demonio, Piemme, Milano2012.

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