La conoscenza dello spirito - Seconda Parte (2/3)

  La conoscenza dello spirito

Seconda Parte (2/3) 
 
 Aristotele congiunge lo spirito col corpo

Successivamente a Platone, Aristotele ha capito che l’idea platonica è tutto sommato un prodotto della mente, è una rappresentazione mentale, per cui, per quanto essa sia importante, non vale tanto quanto la realtà, ossia l’ente (on) che essa rappresenta. Per questo Aristotele ha capito che lo spirito è colto nell’idea, ma in se stesso è realtà, è ente, è sostanza.

Aristotele ha compreso che le idee platoniche erano oggetti interiori colti dallo spirito che riflette su se stesso, solo che ha sostituito l’idea col concetto (noema), perché ha voluto mettere in luce non tanto  dei modelli o paradigmi ideali come intese fare Platone, quanto piuttosto l’opera interiore e spirituale della ragione nella formazione del pensiero, ossia quella rappresentazione immateriale del reale esterno, che la ragione produce sulla base dell’esperienza sensibile del reale stesso.

Aristotele si è accorto dell’ordine interiore spirituale col quale la ragione dispone i concetti, i giudizi e i ragionamenti nel suo lavoro teso al conseguimento del sapere e della verità e pertanto ha aggiunto al sapere fisico e metafisico un’altra forma di sapere, questa volta riflesso, che studia questi prodotti dello spirito al fine di conseguire la verità del sapere. Questi prodotti immateriali e spirituali costituiscono l’oggetto della logica. Per questo, Aristotele è da considerarsi il fondatore della logica[1].

In secondo luogo Aristotele, ammette l’esistenza della sostanza spirituale (usìa coristè); ma è più prudente di Platone nel mostrare come il nostro intelletto arriva a coglierla. Platone crede che possiamo avere una visione immediata dello spirito, che egli identifica con l’idea.

Aristotele sa che le cose non sono così semplici; lo spirito esiste ed è l’oggetto principale del sapere, ma noi veniamo a scoprirne l’esistenza solo partendo dalla percezione delle cose sensibili ed andando per analogia con esse. Siccome sono queste e non lo spirito che si offrono immediatamente ed originariamente all’intelletto, il rischio del platonismo, al di là delle sue ottime intenzioni, è in fin dei conti quello di ridurre l’intellegibile al sensibile.

Aristotele inoltre prende spunto dall’idea platonica per elaborare la dottrina della forma (morfè); e come per Platone esistono pure idee, che sono gli spiriti, così per Aristotele esistono pure forme o forme separate (usìa coristé) dalla materia. Sono le sostanze spirituali. Tra di esse Aristotele distingue quelle separate per essenza, corrispondenti a quelle che per la Bibbia sono gli angeli e le sostanze separabili, che sono le anime umane.

La forma aristotelica però non è ideale ma reale. Non è un ente mentale, ma un ente reale. È vero che anche Platone distingueva l’idea dal concetto umano, imperfetta rappresentazione dell’idea. Ma sta di fatto che Platone non considera, come Aristotele, l’ente reale in se stesso per relazionarlo col pensiero, ossia col vero trascendentale o verità dell’ente (alethès), ma prende il vero, cioè l’idea come coincidente col reale. La verità dell’essere coincide in Platone con la verità del pensiero.

C’è così in Platone il germe di quell’idealismo che ricomparirà in Cartesio con l’aggravante che almeno per Platone l’idea è sussistente, divina, sovrumana, oggettiva, extramentale e trascendente, mentre Cartesio non fa che ipostatizzare l’idea umana innata innalzando il pensiero umano al livello del divino.

Per Aristotele la forma non è modello della materia, ma forma della materia. Aristotele ammette bensì forme trascendenti le cose materiali, gli spiriti, l’anima e Dio; ma per lui la forma sostanziale, che è forma della materia, appartiene alla stessa sostanza materiale, non la trascende.

D’altra parte, per Aristotele il corpo non è, come per Platone, semplice partecipazione o imitazione imperfetta dello spirito, cioè dell’idea, ma ha una sua propria perfezione ontologica, analoga a quella dello spirito, cioè la forma separata. È ente tanto il corpo che lo spirito. È ente lo stesso Dio, Pensiero del Pensiero, dunque purissimo Spirito e purissima Autocoscienza.

È curioso, quindi, come in Platone il corpo sia visto come nemico dello spirito, ma nel contempo come grado inferiore, imitazione, ombra dello spirito. Ciò fa sì che il platonismo, come è succeduto più volte nella storia della filosofia, possa ricevere anche un’interpretazione sensualista ed edonista, come nel neoplatonismo dell’umanesimo fiorentino del ‘400.

Quanto ad Aristotele, occorre dire, come è stato notato già tante volte, che gli è sfuggita l’importanza della dottrina platonica delle idee divine, che invece potrà essere utilizzata da Sant’Agostino per capire che Dio crea le cose mediante un modello della cosa presente nella sua mente, a somiglianza dell’artista, che produce dando forma a una materia. Ecco dunque la potenza dello spirito. Platone ed Aristotele non hanno difficoltà nel riconoscere l’esistenza di azioni e potenze fisiche. Solo che si accorsero che esse sono spiegate e causate dall’azione superiore dello spirito e di Dio stesso.

Tuttavia Aristotele ha il vantaggio su Platone che egli non vede come Platone opposizione fra il corpo e lo spirito, ma per Aristotele materia e forma possono formare un’unica sostanza (sinolo), come è per esempio il caso della persona umana.

Aristotele era interessato all’essenza (usìa) della realtà. È stato un grande sperimentatore senza per questo essere un empirista. Egli cercava lo spirito, la forma, l’usìa, il nus, il nòema, la nòesis, il noùmenon, l’eidos, l’on, ma non aveva fretta di spiccare il volo. Voleva costruire sul solido. Possedeva il vero concetto e metodo della scienza. Altro che Cartesio!

Egli tuttavia, non pare avesse come Platone la coscienza della fragilità e corruzione della volontà umana, nonché della ribellione delle passioni. L’etica di Aristotele dà l’impressione che tutto sommato l’uomo può con la sua semplice buona volontà dominare le passioni e acquistare la virtù, anche se pure Aristotele riconosce che è impossibile all’uomo raggiungere la felicità su questa terra. Ma non chiarisce se è possibile dopo la morte, laddove invece Platone crede nella beatitudine dell’anima dopo la morte, per cui sotto questo profilo Platone ha attirato i dottori cristiani più di Aristotele.

Aristotele inoltre non si accorse che Platone poneva l’idea (eidos) della realtà al di sopra della stessa realtà perché vedeva l’idea come modello divino della realtà. Aristotele non seppe apprezzare questa dottrina platonica della trascendenza dell’idea rispetto alla cosa e pensò che Platone avesse inventato un doppione dell’essenza della cosa, anziché indagare la cosa stessa per capire che l’essenza della cosa è immanente alla stessa cosa. Anche su questo punto Aristotele dimostrò di avere una vista più corta di quella di Platone e pertanto Platone fu apprezzato da Sant’Agostino, che, come è noto, utilizzò la dottrina platonica delle idee per fondare la dottrina delle idee divine creatrici.

Così Aristotele pose le idee, che per lui erano i concetti (nòema) al di sotto della cosa, cioè della realtà e non al di sopra. San Tommaso capì che Platone ed Aristotele avevano ragione tutti e due, ma da due punti di vista diversi: Aristotele si poneva da un punto di vista speculativo di indagine dell’essenza ed aveva ragione nell’affermare che l’essenza della cosa appartiene alla cosa e non la trascende. Platone aveva ragione di parlare di idee trascendenti come modelli delle cose e criteri di valutazione della loro perfezione. Era un punto di vista pratico e morale.

Tuttavia Aristotele ha scoperto i gradi della realtà mediante la dottrina metafisica dell’analogia dell’ente, che abbraccia tanto l’ente materiale quanto quello spirituale. Alla dottrina dell’analogia corrisponde quella platonica della partecipazione, per la quale l’intelletto distingue l’essere per essenza (perfetto) dall’essere per partecipazione (imperfetto). Il sensibile o materiale per Platone è essere per partecipazione; l’intellegibile, ossia lo spirituale, è essere per essenza.

San Tommaso, accostando la teoria platonica della partecipazione a quella aristotelica della causalità, comprese che il contingente partecipa del necessario e l’effetto partecipa della causa, ed ecco di nuovo la distinzione fra realtà materiali e realtà spirituali: le prime appartengono all’ordine degli effetti, le seconde all’ordine delle cause.

Aristotele ha offerto per primo alla filosofia il modo di distinguere i corpi dagli spiriti. Già Platone aveva tentato, ma sembra che in lui la vera realtà, il vero essere, to pantelòs on, come egli dice, sia solo lo spirito, l’idea. La materia la riduce al non-essere (me on), alla cora, ossia al vuoto, al carcere del’anima, sorgente della mera apparenza (doxa) e dell’illusione, un po’ come la maya dell’induismo.

No, per Aristotele la materia (yle) appartiene all’orizzonte dell’essere, è potenzialità di essere (dynamis), quindi è buona, anche se non può esistere ed agire da sola, ma solo in quanto formata dalla forma per formare il sinolo (synolon), il composto sostanziale di materia e forma, del quale la stessa natura umana, composta di anima e corpo è un esempio. Come fysis, natura sensibile, la materia formata, ol corpo vivente o non vivente è sorgente di verità, addirittura di scienza, la scienza fisica.

Aristotele nota che mentre gi spiriti sono sotto il segno della qualità e della formalità, i corpi sono sotto il segno della materia e della quantità. Essi posseggono qualità sensibili, sono generabili e corruttibili nel tempo e come tali sono oggetto dei sensi e della scienza fisica, mentre l’estensione dei corpi, immaginata in se stessa nello spazio, astraendo dall’esperienza sensibile, formano l’oggetto della matematica.

Se la quantità matematica è estranea alla sostanza spirituale, Aristotele non ha ignorato che esiste un più e un meno o una scala di valori anche nel mondo dello spirito, solo che non si misura come noi oggi facciamo col termometro o un dinamometro, ma badando agli effetti materiali dell’attività spirituale. Se la forza della spiritualità domenicana produce frutti a tutt’oggi dopo otto secoli vuol dire che la grandezza spirituale del Fondatore Domenico di Guzman non è stata di poco conto.

La stessa psicologia, per Aristotele, non è scienza del puro spirito come in Platone, ma, se anche Aristotele come Platone ammette la sussistenza separata del nus, l’usìa coristè, la psychè non è solo nus, come nell’uomo, ma è anche psychè delle piante e degli animali, sicchè è evidente che per Aristotele il corpo non è nemico dello spirito o dell’anima, ma è perfettamente conciliabile, tanto da ammettere corpi animati dalla psychè (piante ed animali) ed animati dal nus (uomo).

Inoltre Aristotele scopre che se lo spirito produce le sue opere da solo, il corpo produce le sue opere o per suddivisione – corpo inanimati della fisica – o per accoppiamento – corpi viventi della psicologia dalle piante all’uomo -. La mente, sia pur fecondata dalla specie (eidos) della cosa, concepisce una rappresentazione della cosa, immagine o concetto della cosa. Ciò avrà un riscontro nella dottrina trinitaria del cristianesimo, dove il Padre, da solo, senza concorso femminile, genera il Figlio; in parole semplici: Aristotele ha scoperto che se lo spirito è asessuato, il corpo vivente è sessuato.

Nello spirito i molti sono prodotti dall’uno: nei corpi sono prodotti dalla coppia. Plotino, poi, nel sec. III, capirà che l’uno, ossia lo spirito, può stare senza i molti; ma i molti, siano corpi o siano spiriti, non possono stare senza l’uno, dal quale traggono origine ed ordine.

Lo spirito nella Bibbia è di casa

L’autore biblico considera lo spirito come qualcosa di scontato e di comunemente noto. Per questo non si cura affatto di chiedersi se esiste o come lo si conosce o che cosa è o di dimostrarne l’esistenza. Egli parla dello spirito o degli spiriti come cosa nota a tutti. Per lui l’esistenza dell’anima spirituale, degli angeli e di Dio sono cose evidenti e scontate. I problemi sono altri: quali sono le azioni proprie delle anime, degli angeli e di Dio? Che rapporti hanno tra di loro? Quale è la loro storia? In che rapporto dobbiamo porci con loro?

Grande questione, nel Nuovo Testamento, sarà quella dello Spirito Santo, come Persona divina, procedente dal Padre e dal Figlio, operante nel mondo per la vita della Chiesa, la santificazione delle anime, la vittoria su di opposte forze spirituali, quelle al comando di Satana, altro spirito, ma questo inesorabilmente malvagio.

La filosofia greca di Platone ed Aristotele designa lo spirito col termine nus, che significa intelletto. Al loro tempo il termine pneuma, che farà fortuna con San Paolo, non designa lo spirito, ma semplicemente vento, soffio. Anche in latino il primo significato di spiritus è il soffio del vento, il respiro. Tuttavia corrisponde al significato immediato del termine ebraico rùach. E per questo indubbiamente Paolo ha assunto il termine pneuma per significare lo spirito.

E del resto la sostanza spirituale è la sostanza intellettuale; è quella sostanza, la cui essenza si esaurisce nell’esercizio dell’intelletto.  È quella sostanza vivente la cui potenza o facoltà è quella dell’intendere. La conoscenza implica immaterialità. Questa appare già nella conoscenza animale, la quale tuttavia non riesce ad astrarre del tutto dalla materia, perché resta sempre nel suo atto un riferimento all’immaginazione, che ha per oggetto un qualcosa di materiale.

Invece la conoscenza intellettuale sa cogliere il puramente intellegibile, ossia l’essere o l’essenza, per cui in essa non resta alcuna traccia di materia. La conoscenza intellettuale è la conoscenza spirituale, del tutto immateriale. Essa dunque è atto dello spirito, che conosce lo spirito. Essa comporta l’autocoscienza spirituale. Intelletto sussistente, poi, è solo la sostanza divina, dove non esiste distinzione fra l’essere e l’agire.

La scoperta dell’attività intellettuale ad opera di Platone ha condotto Aristotele a scoprire l’esistenza e la natura dello spirito come soggetto dell’attività intellettuale, ossia l’anima (psychè). Anche nella Scrittura si trova il concetto dell’anima (nefesh o neshamà). Anzi, come è noto, il tema dell’anima è uno dei temi fondamentali della Scrittura; l’interesse per la natura e il destino dell’anima è uno dei criteri che ha condotto alla formazione del canone biblico.

L’intera Bibbia si potrebbe definire come un trattato di psicologia, naturalmente non fine a se stessa come la psicologia filosofica, ma aperta al rapporto con Dio, quindi come una psicologia teologica. Anzi la questione fondamentale della Bibbia è la questione di Dio. Per questo la Bibbia è teologia.

Ma nel contempo, quale testo letterario dell’umanità è più interessato della Bibbia alla tematica dello spirito? La si potrebbe definire anche un trattato di pneumatologia. D’altra parte, stante lo stretto nesso fra anima e spirito, si capisce che la Bibbia possa essere ad un tempo psicologia e pneumatologia.  Essa è un grande trattato, una grande storia della vita dello spirito: degli uomini e degli angeli con Dio purissimo spirito. La psicologia si estende alla morale e la morale è soteriologica e santificante. La Bibbia ha dunque il suo centro nella cristologia, chiave della salvezza e il suo vertice, di nuovo, nella pneumatologia dello Spirito Santo, operatore della santità.

Per la Bibbia lo spirito umano, come si sa, è creato da Dio ad immagine e somiglianza dello spirito divino e anche degli spiriti angelici, di poco a lui superiori. Qui la dottrina aristotelica dell’analogia dell’essere risulta utilissima per interpretare questa somiglianza dello spirito umano a quello divino, perché l’uno e l’altro si pongono nell’orizzonte e sul piano dell’ente trascendentale ed analogo, che è l’oggetto della metafisica, aperta sia al corpo che allo spirito, sia allo spirito finito che a quello infinito. Solo chi possiede la nozione metafisica dell’ente può abbracciare con l’intelligenza senza confusioni e senza contrapposizioni queste somme realtà vitali per l’esistenza umana.

Per questo la Bibbia, benché non sia un trattato di filosofia o di metafisica, ma ben di più perchè è Parola di Dio, non dispensa affatto la filosofia, perfectum opus rationis, virtù della mente umana creata da Dio, per dirla con San Tommaso, dal cercare e determinare la natura dell’anima e dello spirito e come si organizza la scienza che li studia, perché la Bibbia, come ho detto, non si cura di dimostrare razionalmente l’esistenza di questi valori, ma dà per scontato che il lettore sappia già della loro esistenza e gl’interessi solo sapere come salvare l’anima e come vivere la più alta vita spirituale, la vita secondo lo Spirito, per dirla con San Paolo, essere quell’uomo spirituale che tutto giudica e da nessuno è giudicato, essere figlio di Dio, mosso dallo Spirito, diventare il corpo spirituale della futura resurrezione.

Come in Aristotele, il termine anima (psychè) di per sé è applicabile sia all’anima sensitiva dell’animale che all’anima intellettiva o spirituale dell’uomo. Se si tratta dell’anima intellettiva Aristotele usa il termine nus; invece la Bibbia usa il termine rùach.  Nel libro III del suo trattato sull’anima Aristotele s’impegna a dimostrare la maggiore e totale immaterialità della conoscenza intellettuale, rispetto alla non totale immaterialità della conoscenza sensibile, che ha bisogno dell’uso dell’organo di senso, che non riesce ad astrarre totalmente l’universale dal concreto ma resta sempre legata al concreto, e che comporta una passibilità che è ignota all’intelletto, il quale riceve immaterialmente la forma delle cose conosciute, senza essere affetto dalla loro materialità, perché passa semplicemente dalla potenza all’atto divenendo rappresentativamente tutte le cose, il che vuol dire che non ne ha per natura nessuna, com’è invece nei soggetti materiali,  altrimenti quella impedirebbe l’acquisto delle altre.

Queste constatazioni portano poi logicamente Aristotele a dimostrare la spiritualità  dell’anima umana, come pura forma immateriale sussistente e soggetto adeguato e proporzionato ad un simile livello di conoscenza, superiore a quello dell’animale, quell’anima che, come dice lo Stagirita, «viene dal di fuori» (thyrathen), dal di fuori, spiega San Tommaso, non del soggetto conoscente, come credeva Averroè, ma dal di fuori della materia, come spiega San Tommaso, ma sempre immanente al soggetto, e quindi dal di sopra della materia, cioè viene dallo stesso spirito umano. E per questo già con questa constatazione Aristotele si rese conto dell’immortalità dell’anima, perché l’anima non è forma composta; non risulta, come quella animale, da un’evoluzione della materia, ma è una forma semplice, un semplice atto d’essere, e se è semplice, non è dissolubile, non è corruttibile come le forme materiali e quindi è immortale.

La Scrittura conosce bene la difficoltà della nostra mente a concepire l’essenza e l’azione dello spirito. Non usa termini metafisici come fanno Platone ed Aristotele. Preferisce descrivere l’azione dello spirito, più che definirne l’essenza. Parla molto, certo, delle facoltà, delle aspirazioni, dei problemi, delle attività, delle virtù e degli interessi dell’anima. Vi sono le anime dei viventi e le anime dei defunti, anime beate, anime purganti (cf I Cor 3,15) ed anime dannate. Possiede una ricca dottrina sugli angeli, sui loro uffici, le loro mansioni, le loro opere. Distingue gli angeli in spiriti buoni e in spiriti malvagi, i demòni.

Si ferma alquanto sugli attributi di Dio, sommo e purissimo Spirito. Lo spirito è il principio della vita umana, angelica e divina. Certo anche le piante e gli animali sono esseri viventi, ma la Bibbia non attribuisce ad essi uno spirito (rùach), bensì un’anima (nefesh). Noi diremmo oggi una psiche.

La Scrittura rappresenta lo spirito, in particolare lo Spirito di Dio o mandato da Dio, quello Spirito che nel Nuovo Testamento apparirà come Persona divina, con alcune immagini: il vento o soffio,  impulso imprevedibile ed invisibile, ora trascinatore, ora brezza leggera, dall’ignota origine e direzione; il fuoco o la lingua di fuoco, forza che riscalda e brucia i rifiuti; l’acqua o la rugiada o la sorgente d’acqua, elemento fecondante, dissetante e purificante; la colomba, vivente alato dalla fama di essere semplice ed innocente, bianco a rappresentare la purezza o il candore della verità, fedele nell’amore.

Fine Seconda Parte (2/3)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 25 luglio 2022

La sostanza spirituale è la sostanza intellettuale; è quella sostanza, la cui essenza si esaurisce nell’esercizio dell’intelletto.  

E' quella sostanza vivente la cui potenza o facoltà è quella dell’intendere. 

La conoscenza implica immaterialità. 

Questa appare già nella conoscenza animale, la quale tuttavia non riesce ad astrarre del tutto dalla materia, perché resta sempre nel suo atto un riferimento all’immaginazione, che ha per oggetto un qualcosa di materiale.

Invece la conoscenza intellettuale sa cogliere il puramente intellegibile, ossia l’essere o l’essenza, per cui in essa non resta alcuna traccia di materia.

La conoscenza intellettuale è la conoscenza spirituale, del tutto immateriale. Essa dunque è atto dello spirito, che conosce lo spirito. 

Essa comporta l’autocoscienza spirituale. Intelletto sussistente, poi, è solo la sostanza divina, dove non esiste distinzione fra l’essere e l’agire.

La scoperta dell’attività intellettuale ad opera di Platone ha condotto Aristotele a scoprire l’esistenza e la natura dello spirito come soggetto dell’attività intellettuale, ossia l’anima (psychè). Anche nella Scrittura si trova il concetto dell’anima (nefesh o neshamà). Anzi, come è noto, il tema dell’anima è uno dei temi fondamentali della Scrittura.

Immagini da Internet


[1] Aristotele divide la logica formale, che studia le leggi della correttezza e coerenza del ragionamento a prescindere dl contenuto, dalla logica materiale, che considera il retto pensare sotto il profilo della materia e quindi della verità e fondatezza del ragionamento. Gli idealisti chiamano con sussiego e compatimento «logica formale» la logica realista aristotelica, fatta poi propria dalla teologia cattolica, giudicandola ingenua ed acritica, incapace di cogliere la sostanza del pensiero, che loro identificano con l’essere. L’idealista Husserl, per esempio, chiama “trascendentale” la sua logica, che per lui, come già per Hegel, coincide con la metafisica. Cf la sua Logica formale e trascendentale, Editori Laterza, Bari 1966.

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.