Ha ancora senso parlare di luogo sacro? - Prima Parte (1/2)

 Ha ancora senso parlare di luogo sacro?

Prima Parte (1/2)

 La decadenza della religione in Occidente

Un fenomeno notoriamente diffuso soprattutto i Occidente, che è pur di radici cristiane, è la decadenza non solo della religione cristiana, ma della stessa religione come virtù naturale, con tutti quegli atti, quegli usi, quei riti, quei mezzi, quei simboli, quelle convinzioni e, quelle manifestazioni esterne, che la caratterizzano. E per conseguenza si sta perdendo coscienza dell’importanza del luogo sacro cime luogo o edificio specialmente adibito al culto religioso.

Può sorprendere il fatto che mentre in Occidente, vissuto per duemila anni nel cristianesimo, la più elevata di tutte le religioni, si registri una decadenza della religione e una diffusione dell’ateismo, la religione e quindi il tempio con relativi sacrifici vengono largamente mantenuti nelle classi popolari dell’Oriente. È in crisi la religione fondata dal Figlio di Dio, permangono ed anzi prosperano religioni inventate dall’uomo.

Questa situazione dipende in parte paradossalmente da una cattiva interpretazione del cristianesimo e precisamente del mistero dell’Incarnazione. Si è inteso che l’uomo possa divenire Dio e Dio mutarsi nell’uomo. Se l’uomo può divenire Dio, allora non può esistere un Dio al di sopra dell’uomo. Ed ecco l’ateismo. Se Dio può divenire uomo, vuol dire che Dio è uomo: ed ecco il panteismo.

L’ateismo marxista ha potuto diffondersi in Cina per l’affinità che ha col confucianesimo, una forma di antropocentrismo la cui vaga religiosità cede facilmente alla seduzione del prometeismo marxista, che un fondo è un’estremizzazione del fariseismo ebraico.

Accanto a questa crisi della pratica religiosa cristiana emerge chiaro il diffondersi della religione islamica. Qui, come in Oriente, non è tanto la religione naturale ad essere negata quanto quella cristiana in quanto cristiana.

La massoneria continua, come è nel suo stile, a denigrare e a distruggere i dogmi della fede, con la pretesa di salvare la sola religione naturale, come se essa bastasse alla salvezza, e diffondendo una mentalità pelagiana, per la quale l’uomo si considera in grado di elevarsi da sé al divino perché è egli stesso originariamente divino.

La massoneria riconosce il bisogno umano della ritualità e della simbologia, ma assegna a queste forme dello spirito dei contenuti e delle finalità magici, per i quali l’iniziato gradatamente passa dal sapere empirico alla scienza gnostica, che lo rende signore della natura, nonché maestro, guida e liberatore dell’umanità alla luce dell’ideale della ragione, rappresentato dal simbolo del Grande Architetto dell’Universo.

La massoneria assume il concetto del tempio dal tempio di Salomone, che essa però intende come spazio esteriore, la loggia massonica, nella quale la massoneria esercita quella ritualità simbolica, che rappresenta la costruzione del tempio interiore della ragione e della libertà.

Il decadere della religione è strettamente connesso col decadere della fede. Si osserva oggi come il calo della fede ha per corrispettivo l’aumento della vana credulità. Si manca di fede a ciò o a coloro ai quali sarebbe ragionevole credere; si crede ai maghi, ai sofisti, agli impostori e ai ciarlatani.

Si crede che la fede sia contro la ragione, quando ne è invece la purificazione e l’esaltazione.  Ci si rifiuta di credere a cose ragionevoli e si crede a cose assurde. Col pretesto del mistero si spegne la luce della ragione. Oppure si dà una ragione superba, che rifiuta dia assoggettarsi alla fede. Così si coltiva la stoltezza anziché la sapienza. A Cristo si preferisce il telegiornale, la fantascienza, Budda, Confucio, Maometto, Marx, Hegel, Darwin, Sai Baba, Sigmund Freud, Margherita Hack, Gianni Vattimo, Piero Angela, Pachamama. Le conseguenze morali non si fanno attendere. Magari ci si lamenta, ma non ci si vuol convertire a Cristo.

Sotto l’influsso di Lutero, si sottrae all’atto di fede il suo aspetto razionale riducendolo a una mera esperienza atematica. Si nega il motivo razionale del credere e lo si riduce a un’esperienza del divino. Ci si è dimenticati che nel credere la ragione è bensì illuminata da Dio, ma non senza che essa faccia luce su ciò che gli è richiesto di credere e sappia perché lo deve credere.

Allora si capisce che la religione, che dovrebbe essere la messa in pratica di ciò che la fede ragionevolmente crede, o scompare come alienazione o malattia mentale o vana immaginazione od oppio del popolo, oppure diventa fanatismo, fede negli extraterrestri, nei fantasmi, nella reincarnazione, nel corpo astrale, nell’io assoluto o nell’io trascendentale.

Noto a tutti, d’altra parte, è il fatto dell’enorme quantità in Europa di chiese sconsacrate, distrutte, convertite ad altri usi o trasformate per altri scopi in questi ultimi due secoli; nonché la diminuzione della loro produzione, nonostante l’aumento della popolazione, la diminuzione della loro bellezza e della cura con le quali sono state costruite.

In questi ultimi decenni si è inoltre diffuso l’uso di adibirle, sia pur occasionalmente, ad altri fini, come per esempio spettacoli musicali, mostre d’arte, convegni, fino ad organizzare negli anni più recenti, pranzi per poveri ed immigrati.

Ma la cosa sotto gli occhi di tutti è il calo delle presenze dei fedeli, la diminuzione delle vocazioni sacerdotali e religiose, e la diminuzione della pratica dei sacramenti. A ciò segue la diminuzione del numero dei membri e degli Istituti religiosi. Tutto ciò è indubbiamente il segno di un declino generalizzato della virtù di religione. Si sta diffondendo un umanesimo insensibile agli atti di culto esterno dovuti a Dio, cosa inaudita nella storia dell’umanità, nella quale il culto divino, sia pur politeistico, rozzo o idolatrico, è presente presso tutti i popoli sin dalla più remota antichità, tanto che i paleontologi, per distinguere la differenza di reperti umani da quelli di antropoidi, verificano la presenza o meno di segni o simboli religiosi. 

La nascita della riforma protestante ha causato un rallentamento alla costruzione di nuove chiese, dato che esse rappresentano una forma di culto divino non più riconosciuto dal culto protestante. Anzi, possiamo affermare che il protestantesimo, con la negazione del sacerdozio e del sacrificio della Messa, ha minato l’idea stessa di religione e, benché Lutero volesse presentarsi come un rivalutatore dell’interiorità cristiana, di fatto il protestantesimo, con la sua sostituzione del laico al sacerdote, ha provocato una progressiva decadenza della religione, i cui estremi risultati sono l’indifferentismo e l’ateismo.

In Oriente la conoscenza di Dio soggiace a due livelli: un livello comune, popolare, realistico, che intende l’uomo come vanità o apparenza empirica e temporanea, destinata a sciogliersi o dissolversi in Dio. E qui abbiamo la pratica della religione, che prepara a questa dissoluzione, che è liberazione del Sé dalla propria apparenza materiale e contingente. E un livello superiore e supremo, quello della gnosi, per il quale Dio si rivela come la radice dell’io ovvero l’Autocoscienza assoluta, esperienziale, atematica, sovraconcettuale e quindi al di à della religione, propria dei sapienti.

La reazione alla riforma protestante da parte dell’Europa rimasta cattolica, soprattutto nel corso della riforma tridentina, soprattutto un Italia, Francia e Spagna, fu, come tutti sanno, grandiosa fino al sec. XVIII. Un forte battuta d’arresto nell’aumento delle chiese si ebbe con la Rivoluzione francese. Una ripresa si ebbe con la Restaurazione. Ma ormai era sorta una società nella quale la presenza cattolica era divenuta minoritaria, con la conseguenza di una forte diminuzione della costruzione di chiese, anche se da allora fino ad oggi l’architettura sacra non ha mancato di progredire.

In questo sviluppo, tuttavia, accanto ad un aspetto positivo, che ha comportato un rinnovamento dei materiali e dei mezzi di costruzione, nonché un’evoluzione del gusto estetico, c’è da registrare il sorgere di forme architettoniche, che dimostrano una diminuzione del senso del sacro e l’incapacità di costruire ambienti veramente adatti alla preghiera e alla liturgia.

Si tratta di un orientamento dell’architettura sacra, che vorrebbe presentarsi come frutto della riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II, ispirato dal criterio ecumenico che ha dato l’origine al novus ordo Missae, ma che è una deviazione modernistica e filoprotestante, un orientamento che ha prodotto chiese e liturgie improntate ad uno squallido grigiore e alla banalità, prive di gusto estetico e di senso del sacro.

Non si tratta ovviamente, come vorrebbero i lefevriani, di cancellare la riforma liturgica conciliare e tornare di peso al vetus ordo, che resta comunque un rito pregevole e prezioso. Ma occorre attuare la riforma nel senso voluto dalla Chiesa postconciliare dando al vetus ordo una dignitosa collocazione accanto e in subordine al novus ordo.

Il suddetto insieme di fenomeni preoccupanti di enorme portata storica,che abbiamo passato un rassegna volo d’uccello, fa pensare ad una coalizione di forze sataniche, che sono concentrate non tanto contro religione come tale, ma precisante contro la religione cristiana, contro il suo aspetto umanistico e ad un tempo soprannaturale, contro il suo Dio trascendente ma ad un tempo promotore dell’uomo, contro l’associazione della ragione con la fede nel culto di Dio, contro una nozione di Dio che non è il vertice dell’uomo, ma gli è Padre, liberatore nello Spirito, Fratello in Cristo.

Occorre realizzare nel migliore dei modi la riforma liturgica conciliare nella certezza di vivere quella nuova Pentecoste, che aveva auspicato San Giovanni XXIII come frutto del Concilio. In tal modo la Chiesa, vivificata da una potente animazione dello Spirito Santo, libera dalle seduzioni del mondo, gusterà le «primizie dello Spirito» (Rm 8,23) e riceverà la «caparra dello Spirito» (II Cor 5,5), prima dell’apostasia generale (cf II Ts 2, 3-4), che preparerà la Parusia del Signore. In quella circostanza apparirà l’«iniquo, che siederà nel tempio del Signore additando se stesso come Dio» (cf v.4).

Il culto della Dea Ragione celebrato nella cattedrale parigina di Notre-Dame nel corso della Rivoluzione francese rappresentò un prodromo di questo culto idolatrico dell’uomo, che è profetizzato da Paolo nella II Lettera ai Tessalonicesi.

Quello che invece non cessa di stupirci oggi che viviamo in un clima sociale fortemente improntato al secolarismo, è il fervore religioso che animava i nostri padri dei secoli passati nella progettazione e costruzione dei templi, le quali erano evidentemente il frutto del concorso di forze ecclesiali, religiose, progettuali, spirituali, tecniche, artistiche, economiche, politiche e culturali, che oggi non ci sogniamo neanche, quando pensiamo alla facilità di allora degli ingenti contributi economici necessari alle imprese, alla buona disposizione delle forze politiche, al valore degli artisti e degli architetti, all’immenso lavoro degli operai, con mezzi estremamente arretrati rispetto a quelli dei quali possiamo disporre oggi.

Eppure allora costruivano opere mirabili, che noi oggi siamo ben lontani da fare, perché abbiamo perduto la fede di questi nostri padri e non siamo più capaci di affrontare in nome della fede, tutte le fatiche, il dispendio di danaro, l’impiego di forze di lavoro, i sacrifici necessari per la costruzione di quelle chiese, che essi costruivano per la gloria di Dio e la salvezza delle anime.  Immaginiamoci cosa non avrebbero fatti questi nostri padri, se avessero potuto disporre dei mezzi dei quali disponiamo noi oggi. Immaginiamoci cosa non potremmo fare con i mezzi di oggi, se solo avessimo un briciolo di quella fede che muoveva i nostri padri.

Il Concilio di Trento suscitò un’immensa produzione di chiese in Europa e nelle zone di missione. Il Concilio Vaticano II si è indubbiamente occupato di arte sacra e l’ha promossa con buone indicazioni e validi argomenti. Ma come è stato che i frutti di tali direttive a paragone di quelli prodotti dal Concilio di Trento sembrano una nullità?

E non è da dire che l’autorità ecclesiastica non abbia emanato in questi cinquant’anni una molteplicità di documenti. Eppure la riforma tridentina, con molte meno parole, ha prodotto molti più frutti, proporzionatamente alla popolazione di allora, assai inferiore a quella di oggi. Se oggi ci fosse la fede di allora, produrremmo cinque volte di più di quanto hanno fatto allora con la popolazione di allora.

Uno degli aspetti più preoccupanti dell’umanesimo di oggi è il dileguarsi della virtù di religione, spesso sostituita dal culto dell’uomo, perché l’uomo ha bisogno di adorare qualcuno, per cui se non adora Dio, adora se stesso. Se il cielo è vuoto, vuol dire che dobbiamo adorare la terra. Se dopo la morte, tutto è finito, vuol dire che dobbiamo cercare di godere il più possibile quaggiù con ogni mezzo e in ogni modo. Se noi stessi siamo l’Assoluto, allora non c’è bisogno di un Dio fuori di noi e norma della morale. Sappiamo già da soli quello che dobbiamo fare e ce la caviamo da soli. Resta la sofferenza? Ma anche Dio soffre! Come dice Severino, si deve essere beati nella sofferenza o, come diceva Nietzsche, si deve «danzare nell’inferno». Contento lui…

Ma il fatto è che se in una società manca la virtù di religione è come se in un organismo mancasse una sostanza necessaria alla sua vita normale o alla sua stessa sussistenza. Spesso l’uomo d’oggi pensa di poter fare a meno della religione o è indifferente alla religione. La religione non lo interessa. Crede di poter regolare la sua vita senza la religione ed essere felice (gay) senza la religione.

Il Dio del cielo

La religione è strettamente legata al simbolo del cielo. Il tempio rappresenta la futura Gerusalemme celeste. Dio reggitore, causa e governatore di tutto, è da sempre e per sempre dappertutto, e in tutto, nel cuore dell’uomo come nella natura, in cielo come in terra, ma si mostra in modo speciale e privilegiato solo in certi luoghi e in certi tempi, più nel cielo che in terra, più nel cuore dell’uomo che nella natura. Il cielo è un simbolo universale del sacro e del divino. La piazza Tien-An-Men a Pechino vuol dire êpiazza della pace celeste».

E perché tutto ciò? Perché Dio, similmente al cielo, è trascendente, è altissimo, è eccelso, è eterno, è perfettissimo, è sconfinato, è vastissimo, è profondissimo, è infinito, è puro spirito, è signore, è causa e quindi la causa trascende l’effetto, è superiore all’effetto, domina, signoreggia e regola l’effetto.

Ora, quale immagine migliore del cielo per rappresentare la trascendenza, la vastità, la saldezza, l’immutabilità, l’impassibilità, la bellezza, lo splendore, il mistero impenetrabile, l’ampiezza, la profondità, l’altezza, l’eternità, l’infinità, la spiritualità di Dio, rispetto alla materia, alla terra e all’uomo?

Per questo Cristo parla del Padre, che è «nei cieli», non che si trovi a qualche distanza da noi, collocato fra due galassie o tra le nuvole, ma appunto per esprimere simbolicamente e immaginativamente l’essenza di Dio.

Ora è vero che il mistero dell’Incarnazione unisce cielo e terra, consacra la terra e fa scendere il cielo in terra. Tuttavia, la differenza non è abolita e Cristo uomo-Dio non ha mescolato le sue due nature, ma consente un passaggio o una mediazione tra l’una e l’altra dopo la rottura e la separazione del peccato.

Anche nel culto cristiano, occorre quindi sempre guardare in alto, oltre la presente vita mortale,  ed elevarci da terra. Non è che tutto si risolve qui in terra sotto pretesto che il Figlio di Dio è venuto in terra. Ma Cristo è vento in terra per condurci al cielo. Resta quindi sempre la trascendenza del cielo sulla terra e il nostro destino finale non è su questa terra, ma in cielo. Resta sempre quindi la differenza fra la casa dell’uomo e la casa di Dio, che è il tempio, è la chiesa.

Per raggiungere Dio, bisogna salire o possibilmente volare. L’angelo ha le ali. Invece l’allontanarsi da Dio è espresso con l’immagine del discendere o addirittura del precipitare. Come dice il Salmo: «la mia voce sale a Dio e grido aiuto; la mia voce sale a Dio finché mi ascolti» (Sal 76,1).

L’edificio di culto cristiano è stato sin dagli inizi della libertà religiosa concessa da Costantino, oltre a luogo di convocazione della comunità per la celebrazione della liturgia, innanzitutto la chiesa «cattedrale», quella cioè dove risiedeva la cattedra del vescovo.

Siccome la liturgia è la fons et culmen totius vitae christianae, attorno alla cattedrale e alla sede del vescovo, cominciarono a fiorire sin dagli inizi tutte quelle opere che riguardano la vita cristiana: la scuola di catechesi, e le varie opere sociali ed assistenziali. La chiesa divenne centro di irradiazione di formazione cristiana, di cultura, di carità e di missionarietà. Ufficio simile cominciò ad essere svolto dalle chiese parrocchiali ed abbaziali, nonchè da quelle dei santuari.

La virtù di religione

L’uomo s’innalza a Dio con la religione e Dio si abbassa all’umano nella fede, secondo la legge dell’Incarnazione. L’incontro avviene nel tempio. Per questo spesso nelle religioni i templi sono costruiti in luoghi alti. Lutero ha ragione in questo punto, ma non nel primo. Occorre salire sul monte: questa è opera e dovere dell’uomo.  Ma sul monte ecco discendere Dio: questa è l’opera divina nel culto cristiano.

Nella religione il luogo sacro nasce per l’esigenza di ricordare quei luoghi dove Dio è manifestato e si manifesta in modo speciale, privilegiato ed eccellente, per non dire miracoloso. Questi luoghi diventano così luoghi d’elezione per incontrarLo, per invocarLo, per ricevere la sua grazia. Sono luoghi da Lui scelti, nei quali Egli ama preferenzialmente far scendere le sue grazie, rivelarsi, esaudire le preghiere, accogliere i voti e i sacrifici.

Il tempo è superiore allo spazio, come dice Papa Francesco. Infatti il tempo suppone lo spazio, vale a dire le dimensioni quantitative del corpo e la loro collocazione nello spazio. Ma la corporeità non è la pura e semplice corporeità estesa immaginaria, la res extensa di Cartesio, necessaria e sufficiente a costruire il corpo geometrico.

La vita umana è interessata alla corporeità reale, sensibile, fatta d materia e forma, come è la costituzione della nostra natura umana e del suo agire e di tutte le realtà del mondo fisico. Ora, queste sono realtà in movimento, in divenire, il che comporta la dimensione della temporalità, la quale quindi aggiunge un’ulteriore perfezione ontologica alla semplice estensione dei corpi nello spazio.

Lo spirito umano ha più a che fare con il tempo che con lo spazio. Si pensi al divenire dell’azione, al processo del ragionare, al mutare e allo scorrere della vita interiore, al succedersi degli atti umani e delle vicende della storia. Da qui la maggiore importanza della storia rispetto alla geografia, perché la storia suppone la geografia, ma non viceversa.

Da qui la dimensione non solo spaziale, ma anche e soprattutto temporale della religione e della liturgia, Da qui il legame del luogo di culto col tempo e quindi col calendario liturgico e il succedersi nel tempo delle cerimonie, degli anniversari, delle ricorrenze, delle commemorazioni.

Lo spazio e il tempo sono accidenti del corpo, sia esso il corpo umano o la realtà corporea di viventi e non viventi della natura. Lo spirito è indipendente dallo spazio-tempo e al di sopra di esso. Se esso è legato al luogo, è perché, come anima, è forma di quel dato corpo umano collocato nello spazio. Se esso è nel tempo, è perché la ragione e la volontà dell’uomo procedono con atti successivi nel tempo.

Spazio e tempo sono dunque condizioni normali della nostra vita fisica.  Assai difficile pertanto si presenta la questione di che ne sarà dello spazio-tempo nella futura resurrezione dei corpi e in che senso i profeti parlano di terra nuova e cieli nuovi, anche se l’Apocalisse prevede che il tempio non esisterà più, perché, in quanto luogo per i sacrifici, non sarà più necessario, dandosi un’umanità ormai perfettamente riconciliata con Dio.

Tuttavia non riusciamo ad immaginare come potrà essere quello spazio-tempo, nel quale peraltro dovranno pur vivere i già da adesso in cielo i corpi immortali di Gesù e di Maria. Non disponiamo qui di paragoni terreni che ci possano soccorrere, per cui, benchè quel fatto corrisponda a un profondo bisogno del nostro essere, dobbiamo rimetterci con pieno abbandono a ciò che Dio nella sua onnipotenza vorrà fare.

Occorre distinguere il culto esterno da quello interiore. Questo ha il primato su quello ed è il suo fine. Ma non si può dare culto interiore senza culto esterno, perché questo ne è l’espressione esterna, a meno che non si tratti di colui che in buona fede e senza colpa ignora il culto cristiano.

Il culto esterno non è quindi necessariamente ipocrisia, come credeva Lutero, ma in se stesso, se ben attuato, è buono, doveroso e santo. Ipocrisia è se uno pretende di praticare il culto interiore, senza voler praticare quello esteriore. È vero comunque che può esistere un culto esteriore che è finto, ossia al quale non corrisponde una convinzione interiore, ma che viene praticato solo per far bella figura davanti agli altri.

Ma se consideriamo la virtù di religione in senso stretto e preciso senza ricondurla alla semplice spiritualità o alla morale, come quella parte della giustizia che rende a Dio ritualmente il culto dovuto nell’offerta del sacrificio espiatorio, ebbene, c’è da rilevare che Lutero tende ad identificare la religione al farisaismo, confondendo l’autentico col falso.

La religione suppone la distinzione fra l’umano e il divino e la soggezione dell’uomo a Dio: l’uomo, che si sente cieco, impuro, deviato, fragile e peccatore cerca presso il divino luce, soccorso, correzione, conforto, perdono, grazia, protezione, guarigione, purificazione e benevolenza. Lo ringrazia, gli rende o maggio, gli obbedisce, gli offre sacrifici, lo adora, lo contempla desidera unirsi a lui, godere di lui.

Fine Prima Parte (1/2)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 8 luglio 2021


Il culto della Dea Ragione celebrato nella cattedrale parigina di Notre-Dame nel corso della Rivoluzione francese rappresentò un prodromo di questo culto idolatrico dell’uomo, che è profetizzato da Paolo nella II Lettera ai Tessalonicesi.


 

 

Il cielo è un simbolo universale del sacro e del divino. 

La piazza Tien-An-Men a Pechino vuol dire êpiazza della pace celeste».

 

Immagini da internet


3 commenti:

  1. Caro padre,
    Ho trovato interessante quello che dici sulla conoscenza di Dio nelle Chiese orientali, e suppongo che lei riferisci alle chiese separate da Roma dallo Scisma dell'XI secolo:

    "In Oriente la conoscenza di Dio soggiace a due livelli: un livello comune, popolare, realistico, che intende l’uomo come vanità o apparenza empirica e temporanea, destinata a sciogliersi o dissolversi in Dio. E qui abbiamo la pratica della religione, che prepara a questa dissoluzione, che è liberazione del Sé dalla propria apparenza materiale e contingente".

    Una precisazione che ritengo pertinente è la seguente, e vi chiedo di correggermi se quello che dico è una sciocchezza:
    Questo dualismo platonico che si riscontra nella religiosità orientale, "che prepara a questa dissoluzione, che è liberazione del Sé dalla propria apparenza materiale e contingente", ha a che fare con l'allontanamento dell'Oriente dalla guida del Magistero, che, assumendo la svolta epocale che ha significato il "battesimo di Aristotele" operato da san Tommaso d'Aquino, ha significato l'abbandono del dualismo platonico da parte della Chiesa, anche nei dogmi antropologici medievali?
    Se è così...
    Quindi questo mi fa pensare in che modo con il passare del tempo gli attuali scismi (modernisti, scismatici tradizionalisti) si allontaneranno sempre più dal dogma con il passare del tempo, non credi?

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    1. Caro Alessandro,
      le mie parole che tu riporti non si riferiscono alle Chiese orientali, ma all’induismo.
      È vero che le Chiese orientali, non avendo assunto Aristotele e quindi San Tommaso, sono legate ai Padri greci, i quali utilizzano Platone. E quindi soffrono di un certo dualismo antropologico, che non esiste nella nostra teologia cattolica tomista. Però ricordati bene che anche questi nostri Fratelli orientali, in quanto cristiani, accettano senza esitazione il dogma della resurrezione del corpo.
      Effettivamente una Comunità che si stacca dalla Chiesa Cattolica, col passar del tempo rischia fortemente di corrompere sempre di più quel resto di dottrina che ha conservato e di regredire o fermarsi nel procedere della dottrina e della vita cristiana.
      Il caso delle Chiese orientali, benché scismatiche da 9 secoli, sembrerebbe andare contro a questo fenomeno degenerativo, caratteristico delle Comunità scismatiche. Infatti esse, benché separate dal Romano Pontefice, mostrano a tutt’oggi una notevole vitalità e fedeltà ai dogmi e alle istituzioni essenziali della Chiesa, come i Sacramenti e la disciplina ecclesiastica.
      Questo non toglie che nella loro teologia e nella loro prassi ecclesiale vi siano notevoli difetti, come per esempio la presenza di alcune eresie e di una certa anarchia organizzativa a causa di una accentuazione eccessiva della autonomia delle Chiese nazionali, la cosiddetta autocefalia.
      È molto probabile che il mantenimento di questa complessiva e dignitosa compagine ecclesiale abbia il suo principio nella grande devozione che essi nutrono per lo Spirito Santo, per la Madonna, per gli Angeli e per i Santi.

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    2. Quanto male l'ho interpretato!
      Mi scusi, Padre, è stata una grande confusione da parte mia aver supposto che lei si riferisse alle Chiese orientali.
      Ad ogni modo, li ringrazio per i suoi riferimenti al mantenimento del dogma, in generale, nelle chiese scismatiche orientali.
      Grazie.

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