Sessolatria e sessofobia - Seconda Parte (2/4)

 Sessolatria e sessofobia

Seconda Parte (2/4)

Il matrimonio 

In ogni caso, dopo il peccato originale resta il dovere della riproduzione della specie per sostituire gli individui che vengono meno a causa della morte. Ma prima di Cristo le anime, che sono immortali, al momento della morte, sono da Dio trasferite in un luogo umbratile provvisorio extraterreno, che la Bibbia chiama sceòl, e che traduciamo con «inferi».

La riconciliazione dello spirito col sesso dev’essere operata da una duplice attività morale: da un’opera educativa tesa ad istruire la coscienza e a rettificare la volontà circa l’ideale cristiano della temperanza sessuale, che trova la sua più alta realizzazione nel matrimonio e la pratica del voto di castità, che è il modo col quale nella vita religiosa è vissuta la dimensione della sessualità; e da una pratica ascetica, che ha lo scopo di vincere la concupiscenza col soccorso dei mezzi della grazia, così da mortificare l’uomo vecchio (cf Rm 6,6) e da far crescere gradualmente l’uomo nuovo (Ef 4,24).

Il matrimonio ha il suo modello originario nell’Eden. Nella natura decaduta esso è andato soggetto ad un progressivo recupero dell’ideale edenico fino ad assurgere alla dignità di sacramento con l’avvento del cristianesimo, che ha ritrovato la stabilità e l’esclusività del vincolo coniugale, secondo l’originario piano divino, dopo che il regime dell’Antico Testamento ha tollerato la pratica del divorzio e la poligamia.

L’essenza del matrimonio non è mutata dopo la caduta del peccato originale. Tale essenza, come si esprime San Tommaso, «consiste in una certa indivisibile congiunzione degli animi, per la quale l’uno è tenuto a mantenersi indivisibilmente fedele all’altro»[1].

Tommaso non fa questione di superiorità del marito sulla moglie. Ma è evidentemente sottintesa la pari dignità nella reciproca complementarità, che è appunto il piano genesiaco originario, mentre il dominio dell’uomo sulla donna è castigo del peccato originale (Gen 2,16). Eppure tutte le civiltà antiche, compreso l’Israele dell’Antico Testamento fino a San Paolo, sostengono la tesi dell’’uomo capo della donna.

E San Pietro loda Sara, che chiamava Abramo suo «signore» (I Pt 3,6). Il paragone del Cantico dell’amore fra due pastorelli all’amore di Israele per Dio e il paragone paolino del rapporto sposo-sposa con l’amore di Cristo per la Chiesa suppongono questo quadro semantico di riferimento. Ma è chiaro che venendo esso meno a partire dal secolo scorso, questi paragoni sembrano superati ed anche umilianti per la donna.

La svolta nel Magistero della Chiesa al riguardo è avvenuta con Pio XII e da allora il Magistero della Chiesa si è mantenuto su questa linea a manifestare chiaramente che non è stata una svolta pastorale eventualmente rivedibile, ma una vera e propria chiarificazione dottrinale circa l’insegnamento biblico riguardante il rapporto uomo-donna.

La comunità composta da padre, madre e figli da loro generati o adottivi forma la famiglia. Per questo la convivenza di due omosessuali con figli adottivi non si può chiamare «famiglia», ma la si può chiamare comunità omosessuale. Per quanto riguarda l’educazione dei figli essa si svolge normalmente quando i figli sono formati ad un tempo da una figura maschile e da una figura femminile in reciproca collaborazione, non necessariamente il padre e la madre. I figli invece che vengono educati dalla coppia omosessuale, mancano di una delle due figure formatrici, per cui occorrerà che in qualche modo si sopperisca alla figura mancante.

Il paradigma dell’amore uomo-donna è altresì affiancato nel cristianesimo dal paradigma figlio-padre, che rappresenta la figliolanza del cristiano rispetto a Dio Padre. Il primo paradigma rappresenta l’amore di maggior unità ed intimità fra due persone umane. Il secondo paragone rappresenta l’intimità dell’amore fra l’uomo e Dio.

C’è inoltre da osservare che la vittoria sulla concupiscenza è la prospettiva dell’etica sessuale, che si propone, mediante l’opera educativa e la pratica ascetica della temperanza sessuale, la graduale mitigazione dell’impulso sessuale eccessivo proprio della concupiscenza, così da renderlo progressivamente sottomesso all’ordine della ragione, la quale prescrive l’uso o il non uso del sesso a seconda delle finalità pratiche che la persona si propone, sia essa rispettivamente quella del matrimonio o sia quella della vita religiosa.

Il rimedio alla concupiscenza proviene sia dalla pratica del matrimonio che da quella della vita religiosa. Il primo la trasforma in un desiderio moderato dalle finalità del matrimonio. Qui il rimedio non consiste, come taluni credono, in una tolleranza legalizzata della concupiscenza, che sarebbe un’ipocrisia, ma nel fatto che l’esercizio ascetico sorretto dalla grazia, opera una reale trasformazione della concupiscenza in una sana emotività sessuale, mentre l’astinenza sessuale propria del voto di castità  opera un’ulteriore diminuzione della concupiscenza riducendo l’emotività sessuale soltanto a quegli stati psichici spontanei e naturali che appartengono a una normale sensibilità sessuale non accompagnata dall’esercizio della attività sessuale.

Il detto di Gesù «saranno come angeli» (Mc 12,25), riferito a uomo e donna in cielo, non vuol dire che uomo e donna perderanno il loro sesso per diventare puri spiriti, come credeva Origene, ma che il loro spirito avrà pieno dominio sul loro sesso, ossia uomo e donna raggiungeranno la perfezione della loro vita spirituale, a somiglianza del modo col quale l’angelo valorizza la spiritualità.

La castità consacrata

Nell’Eden non è previsto il voto di castità, perché esso è misura di emergenza per togliere gli ostacoli a una superiore spiritualità, ostacoli che caratterizzano la condizione propria alla natura decaduta, nella quale il sesso non favorisce ma ostacola la vita dello spirito.

Come l’occhio è fatto per vedere, così l’unione sessuale, al di là del procreare, è fatta per esprimere l’amore. Tuttavia nello stato di natura decaduta sia il vedere che l’atto sessuale può recarci scandalo. Per questo giustamente Gesù consiglia a coloro che sentono un’eminente attrattiva per lo spirito: «se il tuo occhio ti scandalizza, toglilo» Mc 9,47).

Altrettanto bene avrebbe potuto dire: «se il rapporto sessuale ti scandalizza, astieniti». Il voto di castità suppone l’esistenza della concupiscenza nella vita terrena; ma nell’Eden un consiglio del genere non avrebbe avuto senso. Sarebbe stato il non uso di un apparato vitale che Dio ha creato per usarne e goderne.

Naturalmente il voto di castità corrisponde alla scelta fatta soltanto da quei pochi che avvertono un maggior bisogno di spiritualità, perché, rimanendo sempre e più che mai la necessità della conservazione della specie a causa del fenomeno della morte, è necessario rimpiazzare chi viene meno e che quindi vi siano alcuni, che avvertono di meno i bisogni dello spirito ma sono più attenti a quelli della specie, i quali si dedichino a questo ufficio mediante il matrimonio.

L’amore fra uomo e donna, sebbene di per sé si esprima nell’unione sessuale, nello stato di natura decaduta, per quelle coppie che avvertono un superiore richiamo della spiritualità, conduce al contrario all’astinenza sessuale, come canta il poeta provenzale medioevale Guglielmo di Montañagol: «Amor men castitatz»: l’amore porta con sé la castità.

C’è da notare inoltre che il modello della verginità consacrata non è la vita angelica. È sbagliato quindi chiamare «virtù angelica» la castità. Infatti l’angelo non ha affatto bisogno di praticare la castità per il semplice fatto che non ha corpo. La castità non è un poter vivere senza sesso, ma è un poter vivere spirituale in armonia col sesso.

Modelli di castità sono i Santi. Non però Gesù e Maria, la cui verginità non ha scopo ascetico, perché essi non hanno dovuto vincere la concupiscenza, ma la loro verginità ha un valore inimitabile, puramente teologico, per la loro unione con Dio puro spirito: la verginità di Gesù dipende dalla sua unione ipostatica e quella di Maria dipende dalla sua immacolatezza, condizione della sua maternità divina.

Inoltre nella storia sacra l’ideale della verginità compare solo con Giovanni Battista, ossia col Nuovo Testamento, mentre sappiamo come Abramo e Mosè erano sposati. Con Giovanni, invece, inizia l’era dello Spirito Santo, che scende nel seno di Maria per fecondarlo del Verbo Incarnato, sul quale scende lo Spirito Santo, Che Gesù invia alla Chiesa a Pentecoste.

Con la venuta del Battista Israele s’innalza ad un superiore bisogno di spiritualità, attestato anche dalla Comunità di Qumran[2], che era una comunità monastica, del cui influsso probabilmente risentì il Battista. Anch’essa battezzava con acqua, ma in attesa dello Spirito.

Il voto di castità, per essere valido, fruttuoso e meritorio dev’essere motivato dall’esigenza di una più alta spiritualità, che tolga gli ostacoli psichici che ad essa si oppongono a causa dell’attività sessuale. Tale voto è invece privo delle suddette qualità se viene emesso perché il soggetto è sessualmente frigido o psicologicamente inadatto a contrarre matrimonio.

Pertanto la rinuncia votiva all’esercizio della sessualità dev’essere attuata mediante uno sforzo permanente della volontà col soccorso della grazia e non perché il soggetto sente ripugnanza per il sesso. Infatti il soggetto nella vita religiosa è chiamato a illustrare e a motivare la dignità dell’uso del sesso nel matrimonio, cosa che egli non è in grado di fare, se non ha sufficiente stima della sessualità, come è il caso, se egli condivide una visione rigorista o dualista come per esempio quella origeniana.

La pratica della castità religiosa deve favorire la riconciliazione dell’uomo con la donna, che avrà la sua pienezza finale nella resurrezione, che non è il semplice ritorno allo stato edenico del c.1 del Genesi, che comporta il matrimonio, ma è la piena realizzazione dell’amore escatologico fra uomo e donna previsto dal c.2 del Genesi.

Il sesso che conosciamo nella vita presente è fisicamente funzionale alla procreazione. Per questo non possiamo immaginare come fisicamente potrà essere configurato il sesso escatologico, che avrà cessato da procreare. Ad ogni modo, l’unione sessuale fra coniugi anziani può comunque essere la pregustazione dell’unione sessuale escatologica.

Nulla ci impedisce di immaginare l’amore escatologico tra uomo e donna in quella sola forma fisica della quale per adesso soltanto disponiamo, senza per questo cedere alla grossolana e sensuale immaginazione del paradiso coranico. Similmente infatti la Scrittura non si perita di descrivere la felicità escatologica sotto l’immagine del banchetto (Is 25, 6-7), benché sappiamo che un corpo immortale non ha bisogno di essere mantenuto in vita dal cibo.

Uomo e donna nella vita religiosa possono realizzare assieme opere a favore della Chiesa, in particolare opere sociali, educative, caritative, culturali o di diffusione del Vangelo, realizzando così una generazione spirituale più preziosa della generazione biologica, della quale sono capaci anche gli animali.

La sessolatria porta alla disobbedienza alla legge morale

ed alla schiavitù della concupiscenza 

L’ostilità alla legge morale in nome della carità e della grazia, è un fraintendimento luterano della polemica paolina contro la legge, che rende noto il peccato e contro la pretesa farisaica di ottenere la salvezza con la semplice pratica della legge senza che occorra la grazia e la fede in Cristo.  Ma se c’è nella Scrittura, dopo Gesù Cristo, un Maestro di giustizia che sottolinea l’importanza della osservanza della legge divina per salvarsi, questi è proprio S.Paolo. Sappiamo quanto Paolo è severo contro i peccati sessuali e quanto raccomanda la castità e il valore del matrimonio.

La sessolatria dipende sostanzialmente da un fraintendimento materialista e gnostico del valore spirituale unitivo dell’unione sessuale, scambiata per una creazione della libera volontà della persona, la quale decide del proprio essere esistenziale a prescindere da una legge naturale creata da Dio e quindi da una reciprocità naturale fra uomo e donna voluti da Dio.

La differenza dei sessi, quindi, in questa mentalità, non è naturale e non struttura l’identità della persona maschile e femminile, ma è determinata artificialmente o dalla convenzione o dalla cultura, tanto che l’uomo è libero di inventare nuove forme di sessualità artificiale diverse dalle più usuali e tradizionali maschio-femmina. È il cosiddetto «gender».

La sessolatria è la conseguenza della lussuria, la quale è quel vizio morale per il quale il piacere sessuale appare assolutizzato e preferibile al diletto spirituale, per cui il soggetto, ponendo il piacere sessuale al vertice dei suoi desideri, considerato come sommo bene, per ottenere questo piacere sacrifica ad esso il diletto dello spirito, procurato dalla obbedienza ai doveri morali.

Il dio del lussurioso non è il Dio Spirito, elevato al di sopra del sesso, ma è lo stesso sesso cercato e goduto come fosse il fine ultimo e il sommo bene. Il sesso non è più funzionale allo spirito, ma è fine a sé stesso. Non è più relativo allo spirito, ma sostituisce lo spirito apparendo come l’assoluto.

Il lussurioso disprezza e rinuncia al diletto spirituale, optando per quello sessuale. E si noti bene che al lussurioso interessa il piacere sessuale come tale, indipendentemente dalla fonte di tale piacere, che può essere estranea alla sessualità sana e normale.

La sessolatria suppone in chi la pratica la confusione dell’intelletto col senso, del pensiero con l’immaginazione, della volontà con la passione e del sentimento con la sensualità e la sostituzione del ragionamento con l’impulso dell’istinto, dell’emozione e della passione.

Il lussurioso è quell’uomo carnale, animale o psichico, del quale parla San Paolo, che «non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito» (I Cor 2,14). Il lussurioso usa dello spirito per soffocare lo spirito, usa ragionamenti capziosi per dar parvenza di bene e a ciò che è male, per tacitare una coscienza che lo rimprovera e della quale non vuole ascoltare la voce.

Egli suppone una concezione della persona per la quale la sostanza della persona non è realmente distinta dal suo agire, sicchè sia possibile il libero arbitrio, ossia l’agire o non agire, lo sceglier questo o quello, il bene o il male, ma invece l’essere della persona viene ad identificarsi col suo relazionarsi all’altro, sicchè questo relazionarsi, questo essere funzionale all’altro non è più effetto di libera scelta, ma è effetto deterministico dell’attrattiva irresistibile esercitata su di lui dall’oggetto della sua concupiscenza. Il lussurioso non può fare a meno dell’oggetto della sua passione perché perde la libertà di rifiutarlo, schiavo com’è della passione.

Il personalismo relazionista può favorire la lussuria

Infatti il lussurioso non distingue più il suo essere sostanziale personale dall’impulso che lo spinge a cercar di godere sessualmente dell’altro. Il suo essere si riduce nell’essere per l’altro, non però nel senso del servizio dell’altro, ma nel senso meschino e abbietto di relativizzarsi all’altro come se questo altro fosse l’assoluto, abbassando la propria dignità a quella di una pezza da piedi. Qui vale l’avvertimento kantiano che la persona va considerata come fine e non come mezzo. Qui non c’è Cristo che lava i piedi agli apostoli, ma lo spasimante ai piedi della donna fatale.

Ora, la persona così intesa perde miseramente la sua libertà nei confronti dell’altro e ne diventa lo schiavo. Non è quel mettersi al servizio dell’altro che è dettato dalla verità o dalla misericordia. Ma al contrario, benché il lussurioso possa illudersi di agire in questo modo, in realtà questa funzionalità all’altro è dettata nel lussurioso alla sua brama irresistibile di godere sessualmente. È schiavo del sesso.

La relazione come tale non dice necessariamente esser-per o agire-per o dipendenza-da o mezzo-per-un-fine, ma dice essere-verso (esse ad, pros ti). Se nella Santissima Trinità la Persona divina è una Relazione sussistente, non vuol dire che sia funzionale all’altra Persona o dipenda dall’altra Persona come l’effetto dipende da una causa o come mezzo a fine.

Ma significa semplicemente che una Persona è un essere-verso (esse ad) l’altra. Tanto più alla persona umana non si può prendere a modello del suo essere la Persona divina intesa come esse ad, perché solo in Dio l’essere coincide con l’agire mentre il relazionarsi di Dio col mondo non è essenziale alla natura divina, ma è suo atto libero che mette in gioco una relazione di ragione, non una relazione reale, perché è vero che il mondo è realmente distinto da Dio, ma Dio non dipende dal mondo, né l’essenza divina si risolve in un esse ad, ma è sostanza.

Il relazionarsi di una persona ad un’altra si suppone effetto di una libera scelta, che suppone nella persona la sua inseità (esse in se), proprio della sostanza, distinto dall’agire-per. Infatti l’entrare in relazione con quella data persona non è effetto dell’essenza della persona, ma di una sua libera scelta. Paolo resta Paolo anche se non entra in rapporto a Francesco.

Il lussurioso, invece, accecato dalla passione, concepisce il suo essere personale non come essere in sé sostanziale distinto dal suo desiderare la donna amata, perché il suo non è un desiderare libero, ma un attaccamento assoluto, per cui riduce il suo essere alla sua idea fissa di quella donna, come se il suo essere fosse funzionale a quella donna, come la maniglia di una porta è funzionale alla porta, per cui egli si mette in testa che senza quella donna la sua vita non avrebbe senso e nessuno glie lo cava dalla testa.

Per questo il lussurioso non è capace di staccarsi dal suo idolo sessuale e se non dovesse trovare soddisfazione o non dovesse essere corrisposto, può giungere fino al suicidio o a uccidere la donna per punirla. Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo non sono un commovente esempio di amore non corrisposto, ma descrivono la fine tragica di un giovane schiavo della passione.

Al riguardo possiamo considerare due forme di idolatria del sesso: quella aperta e smaccata di Freud e quella di Rahner, celata sotto una falsa mistica. 

Fine Seconda Parte (2/4)

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 21 maggio 2021

L’essenza del matrimonio non è mutata dopo la caduta del peccato originale. Tale essenza, come si esprime San Tommaso, «consiste in una certa indivisibile congiunzione degli animi, per la quale l’uno è tenuto a mantenersi indivisibilmente fedele all’altro».

Tommaso non fa questione di superiorità del marito sulla moglie. Ma è evidentemente sottintesa la pari dignità nella reciproca complementarità, che è appunto il piano genesiaco originario, mentre il dominio dell’uomo sulla donna è castigo del peccato originale (Gen 2,16).

La sessolatria dipende sostanzialmente da un fraintendimento materialista e gnostico del valore spirituale unitivo dell’unione sessuale, scambiata per una creazione della libera volontà della persona, la quale decide del proprio essere esistenziale a prescindere da una legge naturale creata da Dio e quindi da una reciprocità naturale fra uomo e donna voluti da Dio.

Alla persona umana non si può prendere a modello del suo essere la Persona divina intesa come esse ad, perché solo in Dio l’essere coincide con l’agire mentre il relazionarsi di Dio col mondo non è essenziale alla natura divina, ma è suo atto libero che mette in gioco una relazione di ragione, non una relazione reale, perché è vero che il mondo è realmente distinto da Dio, ma Dio non dipende dal mondo, né l’essenza divina si risolve in un esse ad, ma è sostanza.

Immagini da internet


[1] Summa Theologiae, III, q.29, a.2.

[2] Cf I manoscritti di Qumran,a cura di Luigi Moraldi, Edizioni TEA, Milano 1986.

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