Il valore della religione cristiana

 Il valore della religione cristiana

Critica di alcune affermazioni di Luigino Bruni

Gli argomenti di Luigino

Luigino Bruni da tempo su Avvenire esalta il ruolo dei profeti biblici mettendo giustamente in luce il loro zelo coraggioso per le opere della giustizia e della misericordia, per la loro lotta contro i vizi, per il loro pressante richiamo ad Israele ad essere fedele all’Alleanza e la loro polemica contro l’idolatria, contro l’ipocrisia, l’avarizia, il falso culto e la sete di dominio dei sacerdoti.

Tuttavia egli fraintende il discorso dei profeti concernenti la religione, la polemica contro l’idolatria e l’empietà, il culto di Dio, l’offerta dei sacrifici e la necessità di pentirsi dei propri peccati e di espiarli con opere riparatrici, onde ottenere da Dio grazia, perdono e salvezza.

Un esempio recente di questo fraintendimento lo troviamo nel suo articolo L’altro nome della fraternità in Avvenire del 6 marzo scorso. In questo articolo Luigino sostiene che «noi non capiamo il discorso dei profeti se li leggiamo con le categorie della religione». «La religione – aggiunge – come insieme di culti, norme, sacrifici, liturgie che un popolo edifica per comunicare con la propria divinità e celebrarla non è l’ambiente del profeta».

Luigino non riesce a concepire un Dio Padre offeso che esige riparazione e che manda il Figlio fatto uomo nel mondo a dare la sua vita per noi, uomo innocente vittima per noi peccatori, per ottenerci gratuitamente la salvezza e la vita eterna con la potenza della sua divinità e con la sua passione, morte e resurrezione, morte liberamente voluta ed accettata, benché con umana comprensibile angoscia, in obbedienza amorosa alla volontà giusta e misericordiosa del Padre, che così ha voluto glorificare il Figlio, perché a sua volta Questi glorificasse il Padre e per la glorificazione dell’uomo elevato nella grazia allo stato di figlio di Dio, uomo chiamato ad unire la sua croce quotidiana alla croce di Cristo, collaborando così attivamente alla propria redenzione. Eppure il Vangelo, culmine della Bibbia, è proprio questo.

La rubrica di Luigino s’intitola «il segno e la carne». Ma Luigino lo sa di che cosa è segno la carne di Cristo crocifisso? Ed egli è pronto, come San Paolo, a portare nel suo corpo le piaghe di Cristo crocifisso? Badi che il cristianesimo è tutto qui.  Questo è l’articulus stantis et cadentis Ecclesiae. Queste cose le aveva capite anche Lutero. Luigino non ha preso l’idea del sacrificio dai profeti o dal Vangelo, ma si è lasciato influenzare da soggetti come Bultmann, Girard[1], Recalcati[2] e Rahner.

Osserva ancora Luigino:

 

«Il profeta considera la religione un ostacolo all’unica cosa che davvero gl’importa, che il popolo ascolti la voce di Dio e si converta anche dalla propria religione. Il profeta non è uomo religioso, è uomo e donna dello spirito, e sa per vocazione che il mezzo più normale che gli uomini e le donne religiose usano per non obbedire alla voce di Dio è proprio la religione, che diviene troppo spesso il luogo dove nascondersi a Jahvè, per non dover rispondere alla sua domanda tremenda: “uomo, dove sei?”».

E come il popolo ascolta la voce di Dio, se non obbedendo al comando divino: “Ascolta, Israele! Io sono il Signore Dio tuo. Non avere altri dèi di fronte a me. Osserva il giorno di sabato per santificarlo!” (Dt 5, 1.6-7.11). Quando mai i profeti hanno esortato il popolo a «convertirsi dalla propria religione»? Forse che essere religiosi è un peccato? Semmai lo hanno esortato a convertirsi da una falsa religione, ossia dal culto agli idoli, alla vera religione, che è quella d’Israele.

Dove è scritto che «il profeta non è uomo religioso»? Se c’è un uomo che esorta al culto del vero Dio, che insiste sugli attributi divini, che ricorda che il Signore è uno solo e non ce n’è altri e che Dio è un Dio geloso, che sia adira contro chi lo tradisce per altri dèi, un Dio che castiga fino alla quarta generazione, ma che ha pietà e perdona fino a mille generazioni, un Dio fedele all’Alleanza, ma che chiede fedeltà, un Dio pronto ad esaudire solo che lo s’invochi, un Dio che chiede non solo parole ma anche fatti, un Dio che chiede un culto sincero e non ipocrita, un Dio che chiede giustamente di essere adorato perché è Dio, un Dio che libera dai nemici, dal peccato, dalla sofferenza e dalla morte, un Dio che gradisce il sacrificio del giusto, ma ha in abominio quello dell’empio, un Dio che esalta gli umili ed abbatte i superbi, questo è proprio il Dio dei profeti.

I profeti denunciano l’ipocrisia e la finzione in fatto di religione non perché ce l’hanno con la religione, ma proprio perché vogliono che la religione sia come dev’essere, come Jahvè la vuole, così come se uno se la prende con un ladro non è perché sia contro il diritto di proprietà, ma perché si appella a questo diritto. Chi è contro il falso, lo fa evidentemente in nome di quella verità che il falso falsifica.

Luigino Bruni poi, nella sua polemica contro il sacrificio, si appella al detto di Osea (6,6), citato anche da Cristo (Mt 9,13); e commenta:

 

«è l’anima di tutto il rotolo, di tutti i libri dei profeti, è un’anima essenziale di tutta la Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, che completa e corregge anche le pagine bibliche sui sacrifici. La Bibbia, dalla Genesi all’Apocalisse, ha cercato sopra e prima di tutto di raccontarci un altro Dio, che superasse la materialità delle vittime e del sangue, che erano al centro delle religioni antiche e naturali, senza riuscirci del tutto.

 

Neanche il Nuovo Testamento è stato sempre capace di sviluppare l’anima profetica anti-sacrificale e in alcuni suoi testi ha letto la morte del Cristo come “sacrificio”, certamente diverso da quelli antichi, ma sempre dentro la logica sacrificale della vittima e del sangue, nonostante i Vangeli ci parlassero di un Gesù che ha fatto di tutto per evitare la croce, fino alla fine, rivelandoci un Dio-Padre amore-agape hesed totalmente al di fuori del registro sacrificale».

Ci vuole un bel coraggio per sostenere tesi del genere, quando a fronte dell’unico passo che sembrerebbe a suo favore, Luigino ignora le decine di passi ed interi capitoli della Scrittura dedicati alla giustificazione, descrizione, spiegazione, regolamentazione e lode dei sacrifici, fino al culmine di quel Sacrificio dei sacrifici, che è il Sacrificio della Croce, incruentemente perpetuato nel sacrificio della Messa. Osea, come del resto Cristo stesso, si riferisce a un modo insincero e esteriore di praticare i sacrifici, non animato dall’amore, dalla misericordia e da autentico zelo religioso, ma è le mille miglia lontano, come tutti gli agiografi e i personaggi pii e santi della Scrittura, dal non apprezzare anche lui il valore della religione e del sacrificio.

Quello che Osea esige giustamente è che il sacrificio nasca dal cuore dell’uomo sinceramente amante di Dio, senza interessi di potere, di denaro e di prestigio, un cuore pentito dei suoi peccati, desideroso di riparare, pronto a corrispondere alla bontà e misericordia divine e a fare misericordia.

In realtà tutta la Sacra Scrittura converge verso il mistero di Cristo, della sua passione, morte e resurrezione per la salvezza dell’umanità. È questa la vera anima della Scrittura. Chi non capisce questo, non afferra la peculiarità incomparabile del messaggio biblico e la sua insostituibile preziosità. Tutta la Scrittura è centrata sull’opera di Cristo, su ciò che Egli ha fatto e patito per la nostra salvezza.

E questo atto centrale e decisivo è il sacrificio della croce per amor nostro, in obbedienza al Padre, nella potenza dello Spirito Santo, per render gloria al Padre, soddisfare per noi alla sua giustizia, ottener misericordia e la remissione di peccati, e liberarci con la sua morte dalla morte e dal potere di Satana, come sommo sacerdote della Nuova Alleanza nel suo sangue, e vittima di espiazione del proprio sacrificio.

Risposta e Luigino 

Al contrario di quanto dice Luigino, si deve dire che noi comprendiamo veramente la parola dei profeti, se sappiamo ed apprezziamo veramente che cosa è la religione, in che consiste il suo esercizio, qual è il suo motivo e qual è il suo fine.  Infatti i profeti ci richiamano continuamente al vero culto del Dio vero ed unico, ricordandoci che non ci sono altri dèi, quindi ci richiamano alla fedeltà ed alla coerenza nell’adorare il Dio d’Israele, colui Che È, con purezza e sincerità di cuore, senza doppiezza, senza barcamenarci fra Lui e il mondo, disposti a soffrire per Lui, per la pratica dei suoi comandamenti e della santa Alleanza.

Il profeta non è affatto contro la religione, ma contro la sua deformazione, contro la falsa religione, contro una pietà affettata, puramente esteriore, legalistica, meccanica, rigoristica o viceversa trasandata ed abusiva, contro una pratica finta, eccessiva o viceversa insufficiente, una pratica motivata non dall’amore di Dio, ma da interessi di prestigio umano e di guadagni terreni. Il profeta è quindi contro la falsificazione, la menomazione o la profanazione o la strumentalizzazione terrena, nazionale, politica od economica della religione, in nome della vera religione, la religione d’Israele, che poi è destinata ad essere la religione di tutti i popoli, perché Jahvè non è solo il Dio d’Israele, ma di tutta l’umanità.

I profeti ci dicono che il culto divino è originato e motivato dal pentimento dei nostri peccati e dal desiderio di espiarli con opere buone ed offrire sacrifici. I profeti ci dicono che lo scopo del culto divino è quello di stornare l’ira divina giustamente meritata per i nostri peccati e di ottenere la nostra riconciliazione con Dio e con i fratelli, di riavere la sua benevolenza e la sua amicizia, per ottenere misericordia, grazia e perdono, per poter compiere la sua santa volontà, fuggire il male, esser liberati dalla sofferenza e dalla morte, ed accedere alla nostra intimità con Lui.

Indubbiamente esiste un falso concetto del sacrificio cristiano, che ha uno sfondo forse inconsciamente masochistico[3] e che nasconde un culto morboso del dolore e un disprezzo aprioristico del piacere, forse derivato da una concezione pessimistica del corpo come nemico dello spirito, e da un concetto di Dio come puntiglioso esattore delle tasse.

Esiste anche una concezione antropocentrica del sacrificio, presente in certe forme di etica razionalista, come quella massonica, le quali, se hanno un principio teistico, tuttavia manca il concetto della grazia, per cui l’uomo conta di raggiungere la felicità col semplice sforzo della sua volontà acquistando meriti presso Dio. Qui il sacrificio non è, come nel cristianesimo, la dedizione dolorosa dell’uomo a Dio, ma la semplice rinuncia a beni che possono ostacolare l’affermazione del proprio io. In ambito cristiano un fenomeno simile è quello del pelagianesimo, dove è presente la grazia, ma questa non previene l’opera umana, ma ne costituisce il premio finale.

Nel cristianesimo esiste anche un modo ipocrita di esortare gli altri al sacrificio per tenerli sottomessi ed impedir loro di ribellarsi all’ingiustizia patita. Esiste un modo ipocrita di appellarsi al sacrificio per imporre agli altri una volontà dispotica. Ma tutte queste storture, che comportano la contraffazione del vero sacrificio, non potranno mai, se non a prezzo di un’ulteriore ipocrisia, essere accampate per giustificare il rifiuto del sacrificio come tale, nella sua bontà, compreso quello cristiano.

Le difficoltà di Luigino

Luigino è turbato dall’immagine della vittima e dall’idea di sacrificio espiatorio, che gli fa orrore, come fosse sinonimo di crudeltà, sete di sangue ed autolesionismo. Ma basterebbe che egli si fermasse un momento sull’etimologia dell’espressione per trovare serenità ed apprezzare il valore e la bellezza del sacrificio. Infatti sacri-ficium non vuol dire altro che sacrum facio, compio un’azione sacra; sacer-dos non significa altro che sacrum dans, il donatore del sacro; sacramentum non significa altro che signum sacrum; mentre ex-piatio vuol dire compiere un atto di pietas, la virtù per la quale è uno è pius, religioso.

Ora il sacrum e la pietas non sono altro che l’orizzonte semantico del divino, di ciò che riguarda Dio nell’ambito del quale vige la virtù di religione. Dove dunque va a finire tutto questo scandalo e questo orrore? A meno che – Dio non voglia - non ci sia nell’animo di Luigino una specie di antipatia preconcetta nei confronti della croce di Cristo, cosa che sarebbe abominevole.

Grande peraltro è la differenza tra i sacrifici dell’Antica Alleanza e quello unico definitivo di Cristo della Nuova Alleanza, differenza che a Luigino sfugge in un’unica sommaria condanna. Il sacrificio mosaico è il sacrificio proprio della religione naturale monoteistica, ma presente in qualche modo anche nel politeismo: il sacerdote e comunque l’offerente, che può essere anche un semplice laico (vedi per esempio l’Islam), offre una vittima, preferibilmente un animale – per esempio un agnello - che viene uccisa, per significare che essa viene sottratta dal dominio dell’uomo ed appartiene solo a Dio.

Inoltre la sofferenza che procura all’offerente e a chi si associa al suo sacrificio per il privarsi della vittima, che si suppone preziosa, è computato come sconto del peccato e per ottenere la pace con Dio. Nel sacrificio mosaico la vittima è distinta dal sacerdote e l’effetto del sacrificio non è reale, ma solo simbolico, giacchè è chiaro che il sacrificio di un animale non è sufficiente alla remissione dei peccati, i quali costituiscono danni talmente grandi, che per ripararli, ben altro ci vuole che la morte di un animale.

Inoltre, affinchè avvenga una riparazione reale, occorrerebbe che la vittima acconsentisse volontariamente all’offerta sacrificale di se stessa, dato che qui giocano fattori volontari, essendo il peccato e la riparazione un atto della volontà. Ora evidentemente, dato che nel sacrificio mosaico la vittima è un animale, privo del libero arbitrio, è chiaro che la vittima viene uccisa per forza, senza che essa dia alcun consenso alla sua morte.

Inoltre, nel sacrificio mosaico il sacerdote offre semplicemente una vittima distinta da lui; il sacerdote non soffre nessuna morte; non è seriamente coinvolto nel sacrificio che offre; non gli costa nulla; ha la possibilità, se vuole, di offrirlo senza partecipazione interiore, in maniera puramente burocratica e ritualistica. Può sacrificare senza essere mosso dall’amore o dal pentimento, ma solo per dovere d’ufficio.

Ben diverso è il sacrificio di Cristo e per conseguenza il modo di sacrificare del sacerdote cristiano. Tale divino sacrificio è già adombrato e prefigurato dal profeta Isaia al c.53. Il profeta, infatti, prevede l’opera e la sofferenza di un futuro Servo di Dio, a Lui gradito – certamente il Messia -, il quale, prendendo su di sé il peccato di molti, li libererà offrendosi in sacrificio di espiazione al loro posto, apparendo peccatore castigato, mentre era innocente e salvatore di molti.

Le fonti scritturistiche e cattoliche del vero sacrificio cultuale

Dice Isaia:

 

«Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori, è stato trafitto per i nostri delitti. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui, per le sue piaghe siamo stati guariti. Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di tutti. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo e si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. Il giusto mio servo giustificherà molti, perciò io gli darò in premio le moltitudini, perché ha consegnato se stesso alla morte, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori».

Il Concilio di Trento, nel definire ciò che Cristo ha fatto per la nostra salvezza, non fa che esplicitare le parole di Isaia alla luce del Vangelo, affermando che Cristo «con la sua santissima passione sul legno della croce ci meritò la giustificazione e soddisfece al Padre per noi» (Denz.1529).

E il Catechismo della Chiesa Cattolica (nn.599-618) così si esprime sul sacrificio di Cristo:

 

 «“Noi siamo stati liberati non a prezzo di cose corruttibili, ma con il sangue prezioso di Cristo come di agnello senza difetti e senza macchia. Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma si è manifestato negli ultimi tempi per noi” I Pt 1,18-20.  

 

"Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi” (Rm 8,32). “In questo sta l’amore: Dio ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (I Gv 4,10). Egli afferma di “dare la vita per il nostro riscatto” (Mt 20,28). “Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo” (I Gv 2,2).

 

“Noi siamo santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre” (Eb 10, 5-10). Gesù afferma che il Padre lo ama perché offre la sua vita (Gv 10,17). Gesù sente come suo dovere bere il calice che Dio gli ha dato (cf Gv 18,11). Giovanni indica Gesù come l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo (cf Gv 1,29). Gesù intende il suo sacrificio come quell’amore del quale non ce n’è uno più grande: dare la propria vita per gli amici (Gv 15,3).

 

Gesù afferma che nessuno gli toglie la vita, ma la offre da se stesso (cf Gv 10,18). S.Paolo afferma che “Cristo è stato immolato” (I Cor 5,7). La libera offerta che Gesù fa di se stesso ha la sua più alta espressione nella Cena consumata con i Dodici Apostoli (Mt 26,20). Accettando nella sua volontà umana che sia fatta la volontà del Padre (Mt 26,42), Gesù accetta la sua morte in quanto redentrice.

 

Il sacrificio di Cristo è innanzitutto un dono dello stesso Padre che consegna il Figlio suo per riconciliare noi con Lui (I Gv 4,10). Nel medesimo tempo è offerta del Figlio di Dio fatto uomo, che liberamente e per amore offre la propria vita (Gv 10,17-18) al Padre suo nello Spirito Santo (Eb 9,14) per riparare alla nostra disobbedienza. È l’amore “sino alla fine” (Gv 13,1) che conferisce valore di redenzione, di espiazione e di soddisfazione al sacrificio di Cristo. “L’amore di Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti” (II Cor 5,15). “Egli patì per noi lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme” (I Pt 2,21)».

Il sacrificio di Cristo si differenzia dagli antichi sacrifici per diversi aspetti, che lo rendono sacrificio unico, eccellentissimo e perfettissimo, insuperabile, inimitabile e non reiterabile, sufficientissimo alla redenzione e salvezza di tutta l’umanità, secondo un sacerdozio non più genealogico, ma spirituale ed eterno, secondo l’ordine di Melchisedek, un sacrificio che quindi sostituisce quelli di animali dell’Antica Alleanza, e che rende superato ed inutile il sacerdozio di Levi e di Aronne.

Il fraintendimento di Lutero

In ciò Lutero aveva visto giusto. Tuttavia il superamento del sacerdozio levitico, non ha voluto dire superamento del sacerdozio tout court. È qui che Lutero ha errato. Lutero ha capito che Cristo ci ha salvati mediante il sacrificio della croce, ma non ha capito che è stato un sacrificio sacerdotale. Lutero non ha capito che Cristo ci ha salvati grazie a un nuovo sacerdozio. Egli quindi non ha visto in Cristo il sommo sacerdote della Nuova Alleanza. 

E per conseguenza Lutero non ha visto in Cristo al momento dell’ultima Cena lo istitutore del sacramento del sacerdozio cristiano, che consente al sacerdote di celebrare la Messa come rinnovazione ed attualizzazione incruente del sacrificio di Cristo.  Ogni Messa non è un nuovo sacrificio che si aggiunge a quello di Cristo, ma è semplicemente un nuovo attualizzarsi del sacrificio di Cristo nel tempo e nello spazio. Il sacerdote non celebra un suo sacrificio, ma il sacrificio eterno di Cristo qui ed ora.

Lutero si è fermato alla croce di Cristo, senza vedere in essa alcun sacrificio sacerdotale, ma semplicemente il sacrificio dell’uomo-Dio Gesù morto per la salvezza del mondo, senza affatto vedere nell’ultima Cena alcuna istituzione di un sacerdozio umano, come se Cristo avesse voluto aggiungere qualcosa al già perfettissimo ed unico sacrificio che avrebbe consumato il giorno dopo sulla croce. Lutero non capì che Cristo non volle affatto aggiungere un sacrificio  sacerdotale umano al suo, ma volle semplicemente rendere gli apostoli partecipi del suo sacrificio e del suo sacerdozio.

Sacrifici mosaici e sacrificio cristiano

Il sacrificio di Cristo si differenzia dai sacrifici mosaici per i seguenti caratteri:

1.Per il fatto che mentre in questi il sacerdote è distinto dalla vittima, nel caso di Cristo, è lo stesso sacerdote, ossia Cristo, uomo-Dio, che sacrifica se stesso come vittima del sacrificio che offre al Padre. Da ciò deriva uno stretto coinvolgimento del sacerdote nel sacrificio che compie. Egli è più al riparo da un atteggiamento di finzione, al quale poteva andar soggetto il vecchio sacrificio, ed è obbligato a coinvolgersi personalmente in quello che fa.

Siccome inoltre questo sacrificio è inteso da Gesù come un dare la vita per il prossimo, più difficilmente il sacerdote cristiano può separare l’atto liturgico dal concreto servizio al prossimo, che così non è un momento pratico che si aggiunge a quell’atto, che resta comunque valido, ma diventa la sua concreta e necessaria estensione nella vita quotidiana.

2. Il fatto di essere il sacrificio dell’uomo-Dio dà al sacrificio cristiano una potenza divina di intercessione presso il Padre e di annullare la colpa e la pena del peccato e di ripagare pienissimamente il Padre per l’offesa ricevuta dall’uomo peccatore. Cristo in quanto uomo merita infinitamente ed adeguatamente la salvezza per l’intera umanità. Il cristiano in grazia merita in modo congruo unendo le proprie sofferenze a quelle di Cristo.

3.  La vittima del sacrificio di Cristo è lo stesso Cristo ora vivente in cielo, quindi è una vittima viva, della quale possiamo nutrirci nell’Eucaristia. Gesù vivo e presente tra noi è così al contempo vittima ed effetto salutare e vivificante del suo sacrificio. Per questo la celebrazione della Messa è ad un tempo atto di liberazione dal peccato ed esperienza escatologica della vita futura. Nell’Eucaristia, come dice San Tommaso, «ci viene dato un pegno della vita futura».

4. Nel caso del sacrificio di Cristo la vittima non è costretta a fare da vittima, perché non è un animale privo del libero arbitrio, ma è una vittima umana, è lo stesso Cristo uomo, il quale ha acconsentito liberamente al piano del Padre, come ci mostra chiaramente la Lettera agli Ebrei, che fa parlare il Figlio con il Padre in questi termini:

 

«Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: ecco, io vengo poiché di me sta scritto nel rotolo del libro, per fare o Dio la tua volontà» (Eb 10, 6-7).

Ed è interessante il commento dell’Autore della Lettera, il quale osserva che il sacrificio di Cristo è stato essenzialmente il sacrificio della sua volontà: il suo atto di obbedienza al Padre, col quale Cristo ha sconfitto la disobbedienza di Adamo. Il sacrificio cristiano non è tanto l’offrire un qualcosa di esterno a noi, ma l’offerta della nostra volontà. È un atto di obbedienza per amore. Questo è il sacrum facere cristiano.

5. I sacrifici della religione mosaica sono stati voluti dall’uomo, seppure un uomo di Dio come Mosè. Essi certo sono graditi a Dio, ma solo per accondiscendenza, non perché abbiano una reale efficacia. Invece il sacrificio della Nuova Alleanza è stato voluto da Dio stesso, il Quale ha disposto quale doveva essere la vittima, quale doveva essere il sacerdote e come doveva essere eseguito questo sacrificio, con quali intenzioni e con quali risultati. Tutto ciò è stato rivelato e realizzato da Cristo, che appunto si è sacrificato per noi in questi termini e in queste modalità in perfetta esecuzione della volontà del Padre e ci ha insegnato nella Messa come eseguire il sacrificio di salvezza della Nuova ed eterna Alleanza nel sangue di Cristo.

Chi ha voluto il sacrificio di Cristo?

Il Nuovo Testamento ci dice infatti chiaramente che è stato il Padre a volere il sacrificio del Figlio e il Figlio ha obbedito, benchè umanamente gli sia duramente costato. Ma Padre e Figlio hanno agito per amore nostro. La morte di Cristo è stata voluta per malvagità dai suoi uccisori, ma il Padre, nella sua giustizia e misericordia, ha voluto che il Figlio la utilizzasse come sacrificio redentivo.

Il Padre nell’ideare il piano della salvezza, ha voluto tener conto della morte, come dato di fatto, conseguente al peccato originale, e che il Figlio facesse propria quella morte che l’umanità aveva meritato a casa del peccato. E con la sua divina potenza ha voluto che il Figlio, innocente da ogni peccato, morendo vincesse la morte.

Gli uccisori di Cristo hanno voluto la morte in odio a Cristo. Il Padre invece l'ha voluta per glorificare Cristo e per salvare l'umanità: quindi una nobilissima finalità di amore.  Gli uccisori di Cristo erano assetati di sangue. Il Padre ha voluto rendere prezioso il sangue di Cristo come prezzo del nostro riscatto e bevanda di salvezza. Gli uccisori di Cristo hanno voluto sopprimere la Vita. Il Padre per mezzo di Cristo ha ricavato la Vita dalla morte.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 9 febbraio 2022

 

Ascensione, Francisco Camilo

 




Tutta la Sacra Scrittura converge verso il mistero di Cristo, della sua passione, morte e resurrezione per la salvezza dell’umanità.  

È questa la vera anima della Scrittura. Tutta la Scrittura è centrata sull’opera di Cristo, su ciò che Egli ha fatto e patito per la nostra salvezza.

E questo atto centrale e decisivo è il sacrificio della croce per amor nostro, in obbedienza al Padre, nella potenza dello Spirito Santo, per render gloria al Padre, soddisfare per noi alla sua giustizia, ottener misericordia e la remissione di peccati, e liberarci con la sua morte dalla morte e dal potere di Satana, come sommo sacerdote della Nuova Alleanza nel suo sangue, e vittima di espiazione del proprio sacrificio.

 Immagine da Internet



[1] Réné Girard, Il sacrificio, Editore Cortina, Milano 2004

[2] Massimo Recalcati, Contro il sacrificio, Editore Cortina, Milano 2017.

[3] Il masochismo è originariamente una perversione dell’emotività sessuale, per la quale il soggetto trae un piacere sessuale dalla stessa frustrazione o repressione dell’istinto. Sembrerebbe avere qualche somiglianza con l’astinenza sessuale di carattere ascetico, ma non è così. Questa infatti non si basa sulla pura e semplice ripugnanza per il piacere, ma sulla sua moderazione ragionevole. In senso lato il masochismo o autolesionismo può essere definito come odio per il piacere o gusto per il soffrire come tale. C’è, come Nietzsche, chi ha creduto che questa fosse la caratteristica del sacrificio, dell’amore per la sofferenza e dell’ascetica propri del cristianesimo. Ma non è affatto così: il cristiano respinge naturalmente la sofferenza ed ama quella implicata nel sacrificio non per se stessa, ma in quanto vissuta in unione al sacrificio di Cristo.  La ripugnanza per il piacere come tale è di origine stoica. Infatti per gli stoici le passioni erano morbi dell’anima, che non dovevano essere moderati, ma semplicemente eliminati.

2 commenti:

  1. Si giusto, anche Padre Mauro Gagliardi sottolinea che tutta la Rivelazione é cristocentrica.

    Nel mio piccolo, ho scoperto con mia sorpresa che alcuni presbiteri ormai in pensione non pensano a Gesù come Dio, ma come una specie di profeta, come una persona comunque staccata da Dio e Gesù é al massimo visto come "figlio di Dio" nel senso di messaggero di Dio (che non é neppure risorto davvero, essendo, secondo loro, la Risurrezione, l'Ascensione, ad esempio, solo da leggersi in maniera simbolica)

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    1. Caro Alessandro,
      purtroppo sono bene al corrente anch’io di queste tendenze, che possiamo collegare con il cristologo neomodernista Edward Schillebeeckx.
      Questa situazione penosa è un appello per tutti i cattolici a riscuotersi da un cristianesimo degradato per tornare al cristianesimo genuino, che ci è indicato dal CCC.

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