La consostanzialità col Padre - Tomas Tyn - Prima Parte (1/3)

 La consostanzialità col Padre

Prima Parte (1/3)

P.Tomas Tyn, OP

Bologna, 8 gennaio 1987 (data incerta)
Conferenza Presso Istituto Tincani o altrove (n.18) 

Audio:   http://youtu.be/1WOifc-NSmI

Cf. n. 2:  http://www.arpato.org/testi/lezioni_tincani/2_La_con.pdf

Registrazione e/o custodia degli audio a cura di Amelia Monesi e/o Altre

    Ecco, miei cari, continuiamo a riflettere sulla Trinità Santissima. E vi dissi già l’altra volta, precisando, cosa importantissima questa, che non c’è una continuità tra il discorso razionale e quello sovrarazionale, tra il naturale e soprannaturale su Dio. Ossia, Dio, essendo la pienezza dell’essere, si presenta sotto un certo aspetto alla nostra intelligenza, ma quel poco che la nostra intelligenza può conoscere di Lui non esaurisce affatto quel mistero che da secoli eterni, come dice San Paolo, è nascosto in Dio.

Infatti il Concilio Vaticano I, nella Costituzione “Dei Filius”, la cui pia lettura sempre raccomando, essendo un gioiello di sacra teologia, distingue questo duplice aspetto della conoscenza di Dio: è sempre lo stesso unico Dio che si conosce, ma, come direbbe San Tommaso, sotto aspetti formali diversi. Con la luce della ragione possiamo conoscere la sua esistenza, possiamo sapere che Dio è buono e perfetto, che è uno solo; possiamo sapere alcune altre sue caratteristiche o proprietà, ma non possiamo affatto conoscere la Trinità delle divine Persone.

 Ci sono stati alcuni che hanno voluto un po’ dire che insomma anche gli Antichi ci sono già arrivati, e non solo al Dio Uno. Infatti la grande filosofia greca, in particolare già Socrate e poi anche Platone, è elaborata più metafisicamente, per cui essi giungono ovviamente al Dio Uno, al di là di quegli dèi inferiori che poi giustamente si chiamano demòni, e per i cristiani poi nel senso negativo dalla parola. Insomma tendenzialmente la grande filosofia greca è già monoteistica, arriva all’unità di Dio.

Quindi vedete che la ragione umana, senza l’aiuto della rivelazione, arriva all’unità di Dio, ma non arriva alla Trinità delle Persone. Alcuni hanno bensì voluto un po’ identificare nel neoplatonismo, in questa triade dell’Uno, dello Spirito e dell’anima, en, nus e psychè,la Triade divina. Ebbene Sant’Agostino stesso si premura di precisare che si tratta sì di intuizioni profonde e in qualche modo archetipiche; non sorprende questo, perché non c’è dubbio che la Trinità che ci ha creati a sua immagine, ha impresso l’archetipo di sé nella nostra anima.

Tuttavia si tratta tutt’al più di intuizioni, non si tratta ancora di una vera e propria fede nella Trinità, e tanto meno di una teologia trinitaria. Quindi non c’è la possibilità per l’intelligenza umana, senza l’aiuto della grazia, di accedere al mistero della Trinità. Nella fede invece, ma bisogna crederci, cioè il punto è lì, c’è veramente, diciamo così, questa soluzione di continuità. Bisogna però aver fede nel Dio vivente, nel Dio Uno e Trino: solo nella fede si coglie la Trinità delle divine Persone, mentre l’unità divina si coglie anche con la sola ragione.

Invece, credere appunto al dogma rivelato di fede non è credere nei miti. San Paolo si preoccupa proprio di distinguere questi mythoi, cioè i miti, e il contenuto della fede. Scusate non voglio sempre fare il drammatico, un po’ come si esprime il profeta Geremia nelle lamentationes Ieremiae prophetae, tuttavia penso che questo mio atteggiamento sia appropriato, ma notate che al giorno d’oggi si può vedere come la nostra fede sia fortemente minacciata da una recrudescenza di quella che si può chiamare senza esagerazione una neognosi. In sostanza, c’è una nuova gnosi, che vorrebbe in qualche modo convincerci che ciò che noi crediamo sono dei miti, in sostanza dei simboli psicologici, che hanno un’apparenza simbolica, ma nulla di più.

Pensate anche all’insidia di quel discorso, che non è del tutto sbagliato, perché d’altra parte la falsità non può mai essere totale, se no nessuno ci crederebbe; mi riferisco al discorso della cosiddetta “inculturazione” della fede, che è una cosa giustissima, nel senso che la fede deve assoggettare a sé le culture, questo va bene, ma quando si dice che la fede deve adattarsi a tutte le culture, allora non va più bene.

Qui faccio resistenza, passiva e talvolta anche attiva, nel senso che qui la fede si ribella. E qui si ribella non solo l’uomo, quel povero uomo che è, ma anche lo Spirito Santo che ci è stato dato in dono e che difende la nostra fede proprio nel vedere la fede trasformata così modernisticamente. Infatti, come dice San Pio X, l’eresia del modernismo è la somma di tutte le eresie. Se riduciamo infatti la fede alla storia dei popoli, allora la Trinità è la stessa cosa che la Trimurti degli Indù! No, non è affatto la stessa cosa.

Né si può dire che noi abbiamo un simbolismo e loro un altro. Per cui si dice: rispettiamoli nella loro identità religiosa. Eh no, capite, bisogna certo aver rispetto per quello che è il contesto culturale, però il nostro rispetto non deve essere tale da non dire la parola della verità che va bene per tutti, in tutti i tempi e in tutti i luoghi.

Guardate, più si contempla la verità, più ci si accorge che è qualche cosa di sovraumano e proprio perché sovrumano, è tanto umana. Fa tanto bene all’intelligenza umana, proprio perchè al di là e al disopra dell’intelligenza stessa[1]. Ecco, ciò faccia da premessa al nostro discorso sulla Trinità. Vedete infatti che io mi agito tanto, miei cari, perché della Trinità poco si parla al giorno di oggi. Si parla di tante cose, sì, cose anche importanti, ma sembra quasi che tutto sia ridotto semplicemente all’agire e in particolare all’agire sociale. Non va bene questa continua agitazione. Invece ogni beneficio pratico ci sarà dato in sovrappiù, pur che ci sia l’essenziale, ossia la contemplazione delle cose di Dio.

È quello che ci renderà beati per tutta l’eternità: perché dover renderci infelici su questa terra, se il Signore ci promette una certa felicità già quaggiù, ‘voi che mi avete seguito riceverete cento volte tanto’, già quaggiù sulla terra, capite, anche se assieme alle persecuzioni e poi la vita eterna. È chiaro?

Ebbene, questo “cento volte tanto” è un anticipo della beatitudine eterna. Guardate che noi siamo chiamati ad essere veramente felici e beati già quaggiù. Il cristianesimo non è pessimismo.

La Costituzione americana dice che ciascuno ha il diritto di essere felice; ebbene, il cristianesimo dice che ciascuno ha il dovere di essere felice: questa è la differenza, vedete, e quindi bisogna già da quaggiù su questa terra cercare di essere felici anticipando quella felicità di cui saremo beati per tutta l’eternità.

Il che vuol dire cominciare a contemplare la Trinità. All’inizio è una cosa un pochino difficile, anzi molto difficile. La nostra intelligenza stenta ad elevarsi così in alto, per cui spesso, non da voi che siete dei cari cristiani, ma da alcuni anche fedeli un pochino tiepidi, devo dirlo, nella loro fede, sento dire: ‘Ma insomma queste cose del passato erano buone al tempo di Sant’Atanasio, ma ai nostri giorni abbiamo ben altri problemi’.

Invece no, miei cari, quell’unum necessarium, quel bene supremo dell’anima nostra nel tempo e nell’eternità è sempre la Trinità delle Persone divine. Quindi, in sostanza, bisogna praticare quello che dice san Paolo, elevare i cuori e le menti a Dio, pensare alle cose di lassù. Vedete, al giorno d’oggi tutto è concentrato sulla terra[2], e sulle sue meschinità; è per questo che siamo così tristi, miei cari, quindi concediamoci ogni tanto un po’ di festa nel nostro cuore elevando la mente a Dio.

Vedete, è sempre una cosa molto delicata, questa, perché, quando ci si sforza con il pensiero di elevarsi a queste cose divine, si prova all’inizio un po’ di amarezza[3], ma poi giunge una grande gioia; mentre, al contrario, le cose di questo mondo sono tali da darci all’inizio un’apparente gioia, per poi lasciarci una grande tristezza.

Quindi è proprio necessario non temere questo primo momento, questo primo approccio; bisogna far penitenza in tutti i sensi anche nel senso intellettuale. È difficile, lo so, però è una difficoltà largamente ricompensata da una grande intima gioia. Vedete allora che in tal senso noi adesso cerchiamo di riproporci questo fondamentale dogma cristiano della Trinità. Non vorrei che la cristianità di oggi diventasse settaria nel senso dei testimoni di Geova. Noi giustamente diciamo che è una setta aberrante, però io temo molto che si tratti di una setta antitrinitaria. Quello che riempie di tristezza, al di là di questa loro lettura proprio veramente ottusa della Scrittura, è spaventoso. Tolgono l’anima alla Scrittura.

Qui ogni anima cristiana si ribella. Essa dice: per favore, lascia vivere la Parola del Dio vivente. Ma al di là di questo, c’è soprattutto la caratteristica antitrinitaria di questa setta. Direi che veramente uno dei beni anzi il bene più prezioso in assoluto che noi abbiamo dalla nostra fede cattolica, è la rivelazione della Trinità. Essa è strettamente connessa con quell’altra rivelazione, quella dell’Incarnazione del Verbo. 

Fine Prima Parte (1/3)

 Servo di Dio Padre Tomas Tyn, OP

Trascrizione da registrazione di Sr. M. Colombo, OP, e Sr. M. Nicoletti, OP – Bologna, 2007
Testo rivisto con note da Padre Giovanni Cavalcoli, OP – Bologna, 2008 e Fontanellato novembre 2021

Non c’è la possibilità per l’intelligenza umana, senza l’aiuto della grazia, di accedere al mistero della Trinità.

Solo nella fede si coglie la Trinità delle divine Persone, mentre l’unità divina si coglie anche con la sola ragione.

 
La fede non è credere alle favole. 
 
C’è una grande differenza tra i dogmi di fede e la favola di Cappuccetto Rosso, e tante altre.

Al giorno d’oggi si può vedere come la nostra fede sia fortemente minacciata da una recrudescenza di quella che si può chiamare senza esagerazione una neognosi. In sostanza, c’è una nuova gnosi, che vorrebbe in qualche modo convincerci che ciò che noi crediamo sono dei miti, in sostanza dei simboli psicologici, che hanno un’apparenza simbolica, ma nulla di più.

La contemplazione delle cose di Dio ci renderà beati per tutta l’eternità

Guardate che noi siamo chiamati ad essere veramente felici e beati già quaggiù. 

Il cristianesimo non è pessimismo.

La Costituzione americana dice che ciascuno ha il diritto di essere felice; ebbene, il cristianesimo dice che ciascuno ha il dovere di essere felice: questa è la differenza, vedete, e quindi bisogna già da quaggiù su questa terra cercare di essere felici anticipando quella felicità di cui saremo beati per tutta l’eternità.

Immagini da internet


[1] Così come quando da una quantità di cibo sovrabbondante si attinge quanto basta per nutrirsi, ciò non compromette una giusta alimentazione, ma anzi la consente in pienezza. Il fatto che avanzi del cibo non ci impedisce di saziarci, ma anzi lo consente.

[2] Si obbedisce al noto precetto di Nietzsche di guardare non al cielo ma alla terra.

[3] Forse un certo disgusto, una certa delusione, una ripugnanza, una ribellione.

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