Il moto del libero arbitrio nella giustificazione Un testo di Tomas Tyn Mia introduzione: la liberazione della libertà.


Il moto del libero arbitrio nella giustificazione
Un testo di Tomas Tyn
Mia introduzione: la liberazione della libertà

Chiunque commette il peccato è schiavo del peccato
Gv 3,34

Libero arbitrio e libertà

Nella secolare discussione con i luterani non sempre si è messa in luce una distinzione fondamentale fra il libero arbitrio, come proprietà della volontà e la libertà dal male, che viene donata alla stessa volontà da Cristo nello Spirito Santo, e che ci costituisce figli di Dio.

Certamente Lutero non si è espresso bene nel proclamare inesistente il libero arbitrio, tanto da meritare la condanna del Concilio di Trento. Tuttavia, quello che a lui stava a cuore non era tanto affermare o negare l’esistenza del libero arbitrio come facoltà del volere, quanto piuttosto ricordare come nello stato di natura decaduta l’uomo è schiavo della concupiscenza e del peccato, per cui, se non agisce mosso dalla grazia, tutto il suo libero arbitrio non gli serve a nulla.

 Non è quindi che Lutero volesse sostenere che l’uomo peccatore è privo del libero arbitrio come le bestie. Bisognerà attendere la dottrina di Freud per sentire una bestialità del genere. A Lutero preme asserire che l’uomo schiavo del peccato avrà pure il libero arbitrio, ma non possiede quella somma e divina libertà, che invece ci è assicurata dalla grazia di Cristo. L’arbitrio umano è libero psicologicamente, perché così è creato da Dio, ma è servo moralmente, in quanto si trova nel peccato, privo della grazia.

Tuttavia, Lutero nel De servo arbitrio è troppo rigido nell’affermare lo stato di schiavitù del libero arbitrio,  come se esso non potesse volgersi al bene per tutta la vita presente. Per converso, esagera la libertà del cristiano nel suo libro che porta questo titolo, come se fin da adesso il cristiano potesse godere in pienezza di quella libertà dal male, che Cristo ci dona col suo sacrificio. Invece, in realtà, di questa libertà dal peccato, dalla legge, dall’ascetica, dalla penitenza e dalla disciplina della Chiesa potremo fruire solo nella vita futura.

Lutero ha questi scompensi perchè sbaglia nel comprendere il rapporto fra libero arbitrio, nella vita presente schiavo del peccato, e liberazione cristiana, pregustazione della vita futura. Non capisce che la liberazione sana e libera il libero arbitrio, mentre questo, per la sua peccaminosità, frena la liberazione cristiana. E ciò a sua volta dipende dal fatto che egli non ha chiaro come avviene il passaggio, che pur Paolo spiega abbondantemente, dallo stato presente di miseria a quello finale, glorioso della resurrezione.

S.Paolo infatti spiega che nella vita presente noi siamo bensì oppressi dalla concupiscenza, la carne si ribella allo spirito, dobbiamo lottare contro le potenze del male, dobbiamo sforzarci e faticare nell’obbedire ai comandamenti e ai legittimi pastori, dobbiamo far penitenza, dobbiamo rinunciare a molte cose, cadiamo sempre nel peccato.

Tuttavia, già da adesso inizia il processo di liberazione inaugurato dal battesimo, per il quale abbiamo sepolto l’uomo vecchio per assumere l’uomo nuovo, cominciamo a risorgere dalla morte e dal peccato, siamo nuova creatura, obbediamo spontaneamente e gioiosamente alla legge,  gustiamo le primizie e la caparra dello Spirito, lo spirito si riconcilia con la carne, siamo mossi dallo Spirito Santo, godiamo della libertà dei figli di Dio, ma per adesso solo allo stato iniziale e non ancora in pienezza.

Invece Lutero, da una parte esagera l’attuale stato di schiavitù, come se il libero arbitrio non potesse fare nulla di buono, mentre dall’altra esagera lo stato di figli di Dio e dell’«uomo nuovo», come se ci fosse concesso adesso di fare tutto quello che vorremmo, sotto pretesto che siamo liberi dalla legge e mossi dallo Spirito.

 Ricordiamo peraltro che lo schiavo non perde il libero arbitrio, perché esso emana dalla natura umana, che non può perdere le sue proprietà essenziali. Per questo, anche un dannato dell’inferno possiede il libero arbitrio. Altra cosa invece è la libertà dei figli di Dio, che ci viene dalla grazia. E questa certamente è perduta col peccato, benchè il peccatore conservi il libero arbitrio.

Lutero dice che abbiamo perso il libero arbitrio perché lo confonde con la libertà. Ma l’uomo  schiavo del peccato non perde il suo libero arbitrio, ma gli manca la libertà di figlio di Dio. Esistono dunque due livelli di libertà: uno che proviene dalla forza umana, ed è il libero arbitrio; ed una libertà che viene dall’alto, che è dono della grazia. Dio libera l’uomo rendendo veramente libero il libero arbitrio, ossia elevato alla vita della grazia e libero dal male.

Tuttavia, il Concilio di Trento riconosce che il libero arbitrio dopo il peccato originale non è estinto, ma indebolito, per cui l’uomo, senza la grazia non riesce a liberarsi dal peccato e a cercare Dio, e anche con la grazia l’uomo stenta a dominare le passioni, a correggere la  volontà nella sua tendenza al peccato, non è mai del tutto padrone di se stesso, deve lottare continuamente contro la concupiscenza, deve continuamente purificarsi dal peccato e praticare una vita ascetica e penitente. Resta sempre tuttavia che la volontà è libera per sua natura, ossia è sempre capace di mutare da cattiva a buona,  di scegliere e padroneggiare i suoi atti, e non può essere fisicamente necessitata o subire violenza o costrizione.

Come mostra bene Padre Tyn, solo Dio, creatore del volere umano, può muovere il volere umano, lasciandolo libero, anzi proprio costituendolo nella sua libertà. Se diciamo che una persona è costretta da qualcuno a fare o non fare qualcosa, vuol dire che la fa o non fa malvolentieri, perchè minacciata, impaurita, oppressa o sedotta da qualcuno, ma se la fa o non la fa, la fa sempre o non la fa, usando il libero arbitrio.

In questo caso sarà scusata se compie del male, dato che non ha agito con piena libertà. Una volontà debole può cedere a una passione forte, per esempio il piacere, l’ira o la paura, fino al punto che il soggetto del tutto accecato o dominato dalla passione, può compiere atti dei quali non è responsabile, perché non liberamente voluti, ma causati dalla passione.

In questi casi, anche se il soggetto obbiettivamente pecca, la colpa cala e può calare fino al punto che il soggetto, non conscio o non padrone di quello che fa, resta innocente. Il demente, il neonato  o il dormiente  non hanno l’uso del libero arbitrio, ma lo posseggono inevitabilmente come potenza della volontà. Anche lo schiavo mantiene l’esercizio, seppur limitato, del libero arbitrio, benché sia limitato o impedito dall’esterno nei suoi movimenti e non possa fare ciò che vorrebbe. La volontà interiore resta libera, anche se il soggetto è esternamente bloccato da tutte le parti.

Un fraintendimento circa la Confessione

Una cosa che ci fa capire l’idea luterana del libero arbitrio è un dato della sua vita morale. Egli, da giovane monaco,  nelle sue scelte non si sentiva mai sicuro di aver fatto bene e di essere gradito a Dio. Gli sembrava che il ritenersi a posto davanti a Dio fosse una presunzione, una mancanza di sincerità e di umiltà. Non riusciva a sperimentare la pace della coscienza fondata sulla certezza di essere stato perdonato da Dio e di averGli obbedito con le buone opere.

Anche la pratica della Confessione non gli dava pace. Si sentiva sempre tormentato dal dubbio di essere in colpa, di non aver fatto tutto quello che avrebbe dovuto o potuto  fare e di non essere gradito a Dio. Da qui nasce la sua convinzione che il libero arbitrio opera sempre il male. Gli sfuggiva, forse sotto l’influsso della gnoseologia di Ockham, la vera natura del libero arbitrio, che invece comporta, come spiega bene Padre Tyn, il dominio della volontà sui propri atti, basato sulla universalità del sapere razionale, si tratti di agire bene o agire male, di agire o non agire o di fare questo o quello. Invece sappiamo come il concetto occamista della ragione sia infetto di volontarismo e individualismo.

L’incertezza del sapere razionale portò Lutero all’incertezza della volontà. Non avendo egli coscienza del fatto che la volontà è padrona dei suoi atti, egli non riflettè sul fatto che, se io voglio quel dato bene, che son certo esser bene, nessuno può impedirmi di volerlo e sono certo di volerlo. Il che dimostra semplicemente che il libero arbitrio, nonostante il peso del peccato, è capace di volere il bene.

Certamente, alla fine anche per Lutero il libero arbitrio può volere il bene: non da sé, però, ma in quanto sanato dalla grazia. Così similmente Lutero fa bene a trovare la certezza conoscitiva nella fede. Ma non tiene conto che se questa è possibile, è perchè preliminarmente esiste la certezza della ragione. E così pure, se il libero arbitrio è sanato dalla grazia, è perché esso già da sè, benché imperfettamente, può compiere qualche bene.

Si aggiunga che Lutero non seppe apprezzare il sacramento della Penitenza. In linea di principio, la pratica del sacramento della Penitenza, per l’anima umile, pia, religiosa e assetata di perfezione, è sorgente di pace, forza e consolazione, dà il piacere di sentirsi all’ombra di un padre, assistiti e curati da un buon medico, stimolati dal suo buon esempio, illuminati da un saggio maestro, che ci ispira fiducia, valutati da un giudice giusto e misericordioso, consigliati e confortati da un amico, custode dei nostri segreti, sopportati da una persona paziente. È possibile che Lutero non sia stato fortunato nel trovare il Confessore giusto. In ogni caso a me pare che l’origine del luteranesimo la si potrebbe trovare in un malinteso relativo alla Confessione.

Bisogna comunque dire, e qui andiamo incontro a Lutero, che è vero che in fin dei conti dobbiamo metterci a tu per tu davanti a Dio. E qui S.Agostino insegna. Dobbiamo metterci in ascolto della sua Parola nella Sacra Scrittura e trattare direttamente con Lui, che ci parla nella nostra coscienza. Infatti Dio può suggerirci idee, azioni, scelte o missioni fatte apposta per noi o anche novità inaudite, eppure ricavate dalla Scrittura, che però finora nessuno aveva  compreso e che altri, anche santi, per la loro novità, che può sembrare scandalosa, non capirebbero.

Lutero sarebbe stato un caso del genere, se a un certo punto, sotto pretesto di essere ispirato dallo Spirito Santo, e preso da insensata presunzione e rancore contro il Papa, non avesse preteso di correggere il Magistero della Chiesa, laddove esso si era già espresso nell’interpretazione della Scrittura, come per esempio circa l’esistenza del libero arbitrio.

Occorre altresì ricordare che Lutero, ancora monaco, fraintese completamente il valore della Confessione, arrivando ad affermare che la «tirannia papale, con falsi timori tormenta le anime e le uccide e sottopone il corpo a varie macerazioni». In tal modo il Papa «non sottomette i cuori, anzi li eccita ancora di più all’odio di Dio e degli uomini. Ed è invano che impone ai corpi crudeli mortificazioni: non riesce ad altro che a fare degli ipocriti»[1].

Lutero non riuscì a riconoscere il sacramento della Penitenza nella sua preziosa funzione formativa alla santità, come fattore di guarigione, purificazione, progresso morale e spirituale e come incentivo al libero arbitrio a liberarsi progressivamente, con l’aiuto della grazia, dalla tendenza a peccare, per aumentare progressivamente, sotto l’influsso della grazia,  le forze buone che gli sono rimaste dopo il peccato originale, così da dedicarsi costantemente alla correzione delle tendenze viziose ed all’acquisto delle virtù naturali e soprannaturali, recuperando l’innocenza genesiaca ed anticipando l’uomo della resurrezione. Padre Tyn nella sua tesi mostra bene questa parte indispensabile che il libero arbitrio è chiamata a fare nel cammino della salvezza in collaborazione con la grazia.

Possiamo pensare che la reazione abnorme di Lutero nei confronti della Confessione, dove trova tormento anzichè trovare pace, possa avere una sua causa teoretica nel fatto che egli nella formazione occamistica che aveva ricevuto non aveva risolto il problema della certezza. Come in Ockham, manca infatti in Lutero una gnoseologia della certezza razionale e metafisica. E per conseguenza, manca la certezza morale.

Il bisogno di certezza, allora, non è soddisfatto dall’intelletto, ma dalla volontà. Il senso di colpa provato da Lutero, quindi, non è dato da un ponderato giudizio dell’intelletto, ma da un’emotiva inquietudine del volere, che Lutero prende per dato di fede – la concupiscenza conseguente al peccato originale - , male interpretando S.Paolo. Ecco la dottrina del servo arbitrio: la volontà è sempre in peccato.

Occorre ricordare a questo punto che Lutero ancora monaco, come egli stesso racconta, non si accontentava della certezza della buona coscienza e pretendeva una certezza suprema ed assoluta, di fede, che venisse da Dio, per rivelazione divina. Ma in questo campo della propria situazione soggettiva davanti a Dio, come precisò il Concilio di Trento (Denz.1540), una certezza assoluta non ci è consentita e bisogna accontentarsi di una probabilità o congettura per mezzo di segni.

Invece, per avere questa certezza di innocenza e speranza di salvezza, Lutero, nella famosa «esperienza della torre» del 1515, si convinse fermissimamente che Cristo gli avesse promesso di salvarlo, ordinandogli di confidare unicamente e comunque nella sua misericordia, indipendentemente dalle opere del suo libero arbitrio, che secondo lui erano tutte malvagie.

Si convinse che c’era un’unica scelta da fare, un’opzione fondamentale e decisiva: quella di credere fermissimamente nella propria salvezza ad opera di Cristo. Per cui si convinse che per tutto il resto – i comandamenti della legge naturale ed evangelica e le leggi della Chiesa – si poteva regolare come meglio credeva, senza la pretesa di certezze e di essere comunque nel giusto, al che doveva bastare la promessa di Cristo di salvarlo.

Lutero ha così buon gioco contro Erasmo, che voleva convincerlo dell’esistenza del libero arbitrio, ponendosi solo sul piano naturale e psicologico. Lutero non discute su questo, tanto è vero che egli non ha difficoltà a riconoscerne la necessità per il buon andamento degli affari e degli obblighi terreni.

Se quindi Lutero parla di «servo arbitrio» è solo in relazione al problema della salvezza, e si riferisce alla schiavitù del peccato, della quale parlano Cristo e S.Paolo al suo seguito (Rm 7,14). Il problema di Lutero non è se esiste o non esiste il libero arbitrio, ma è il problema squisitamente cristiano della liberazione del libero arbitrio dal peccato ad opera della grazia di Cristo in vista della vita eterna.

L’errore di Lutero, però, che gli verrà contestato dal Concilio di Trento, è il credere che il libero arbitrio nella vita presente resti comunque sempre in stato di peccato mortale, nonostante la presenza della grazia, il che è un’evidente assurdità, come sottolinea e dimostra Padre Tyn con tutti i critici di Lutero da cinque secoli a questa parte.

Ma la cosa può avere forse una spiegazione. Purtroppo Lutero, col termine «peccato», confonde due cose, che invece, come preciserà il Concilio di Trento (Denz.1515), vanno ben distinte: un conto è il peccato nel senso di  peccato in atto o stato di peccato, peccato che è tolto o cancellato dalla grazia; e un conto è la tendenza o inclinazione a peccare, cioè la concupiscenza, la quale effettivamente perdura per tutta la vita presente, anche nei più santi, esclusa la Madonna, la quale concupiscenza in questo senso resta anche quando il soggetto non pecca ed è in grazia e – precisa il Concilio (Denz.1537) -, se la grazia non può coesistere col peccato mortale, non è tolta dal peccato veniale.

Lutero comprende bene d’altra parte che la libertà cristiana non è conquista del libero arbitrio, ma dono di Dio mediante la fede. La libertà cristiana non è un liberarsi prometeico, come sostengono gli umanesimi atei, panteisti e liberali di oggi, ma è un esser liberati da Cristo per diventare  figli di Dio mossi dallo Spirito Santo.

Tuttavia Lutero è talmente preso dalla sua visione del libero arbitrio come schiavo del peccato, che non riesce a comprendere come il libero arbitrio, creato da Dio nell’uomo, affinchè operi nell’obbedienza alla legge divina in vista del conseguimento di Dio, sia in se stesso per natura inclinato al bene; e se opera il male, ciò avviene accidentalmente, perché sa alternare azioni buone ad azioni cattive.

Lutero ha indubbiamente ragione, quando dice che, nella natura decaduta conseguente al peccato originale, il libero arbitrio, avendo perduto la grazia ed essendo inclinato al peccato, non riesce da sè a sollevarsi dalla sua miseria e, senza la grazia, non può pentirsi, obbedire alla legge divina e andare efficacemente a Dio.

La questione del merito

Quello che Lutero non comprende è che il libero arbitrio, mosso dalla grazia, può operare il bene meritando il premio celeste. Egli, infatti, come è noto, respinge la nozione del merito, che invece è una nozione fondamentale della morale sia naturale che cristiana, inteso come il diritto al premio per il compimento di una buona azione. Merito naturale nell’etica naturale e merito soprannaturale nella condotta cristiana. Padre Tyn si sofferma a lungo sul concetto del merito come effetto del libero arbitrio.

Naturalmente qui si tratta di un merito soprannaturale, dono di Dio, giacchè sarebbe assurdo ipotizzare che un merito naturale possa avere per oggetto un premio soprannaturale. Dispiace peraltro l’atteggiamento di disprezzo del merito contenuto nel documento sulla Giustificazione del Consiglio per l’unità dei cristiani del 1999, dove si respingono in un’unica condanna i due livelli del merito, mentre sarebbe secondo me auspicabile, dopo 500 anni dall’inizio della Riforma luterana e 60 anni di ecumenismo, che i cattolici, invece di cedere all’errore,  ottenessero una buona volta dai fratelli separati il riconoscimento che l’andare in paradiso dobbiamo meritarcelo con le buone opere fatte in grazia. Presentarsi a Dio  «a mani vuote» per la Scrittura (Es 23,15) non è umiltà o fiducia nella misericordia divina, ma è fare gli scrocconi e credere di farla franca con Dio.

Lutero male interpreta S.Paolo quando dice che «tutti sono giustificati gratuitamente» (Rm 3,24) per escludere la necessità dell’acquisto di meriti ottenuti con la pratica delle buone opere mediante l’esercizio del libero arbitrio. Egli gioca sul fatto che un bene non può essere simultaneamente ricevuto per grazia ed acquistato per meriti, trascurando il fatto che al fine del raggiungimento del regno dei cieli agiscono precisamente due fattori: il fattore umano, ossia l’esercizio del libero arbitrio come messa in pratica dei comandi del Signore; per cui sotto questa angolatura il regno appare come oggetto di nostra conquista e compenso per le nostre fatiche; e il fattore divino, che concerne il regno in ciò che non può essere oggetto di nostra conquista, ma per la sua trascendenza, è puro dono gratuito del suo amore, che sostiene le nostre fatiche e le fa giungere a buon fine.

Dice infatti Lutero: «che cosa significa “gratuitamente”? Che cosa vuol dire “per la sua grazia”? Come possono andar d’accordo sforzo e merito con il dono gratuito?  ... Infatti ciò che si vuole dal libero arbitrio è che permetta di riconoscere un posto al merito. Ed è proprio questo che Erasmo non ha cessato di chiedere: se non ci fosse libero arbitrio, come potrebbero esserci ricompense? E dove andrebbe a finire la ricompensa se si può essere giustificati senza meriti?».

Lutero risponde  appellandosi  a Paolo, ma invano, perchè lo fraintende. Dice infatti:  «Paolo risponde dicendo che non c’è merito, ma che tutti quelli che sono giustificati lo sono gratuitamente e che ciò dev’essere attribuito alla sola grazia di Dio». Secondo Lutero,  quando Paolo afferma che i peccatori «sono giustificati gratuitamente , senza le opere della legge», intenderebbe dire che «tutte le opere sono condannate».

Lutero non considera che dal contesto dell’insegnamento paolino emerge con chiarezza che a Paolo non passa minimamente per la mente di esaltare la gratuità della giustificazione e sottolineare l’insufficienza della legge  per negare il libero arbitrio e la necessità delle opere e dei meriti, ma per opporsi a quei Giudei che ritenevano che per salvarsi non c’è bisogno della grazia di Cristo, ma basta obbedire alla legge di Mosè.

Basta infatti scorrere le sue Lettere per accorgersi del fatto che Paolo sostiene che noi siamo «collaboratori» dell’opera della grazia. Da qui 1. le frequenti esortazioni, ordini, richiami, avvertimenti, lodi e rimproveri, elenchi di virtù e vizi; l’impostazione ascetica ed agonistica della morale cristiana; 2. la prospettiva, l’attesa e la tensione  verso il premio celeste, la «corona di giustizia» sono chiarissime.

Tutto ciò evidentemente suppone la chiara coscienza dell’esistenza del libero arbitrio, nonché della necessità delle opere e del merito, tutte cose sulle quali appunto Paolo fa leva per incitare i discepoli alla ricerca della perfezione ed all’acquisto della salvezza.[2]


Il moto del libero arbitrio nella giustificazione
Testo di Tomas Tyn[3]

A.    Il ruolo generale del libero arbitrio nel moto verso la giustizia.

1.     La necessità del moto del libero arbitrio nella giustificazione.

San Paolo descrive le cause della giustificazione nella sua lettera ai Galati (5,5): “Noi infatti per virtù dello Spirito, attendiamo dalla fede la giustificazione che speriamo”. Vi sono quindi due agenti che operano in noi la giustificazione - lo Spirito (Pneuma) e la fede (ek pisteos). “Lo Spirito” indica tutto ciò che Dio fa in noi e la “fede” indica quello che deve fare l’uomo per conseguire la giustificiazione.[4]  Queste due realtà si richiamano a vicenda, ma non sono sullo stesso piano, in quanto l’azione e la “virtù” dello Spirito causa lo stesso atto di fede, il quale però a sua volta, pur essendo causato da Dio, è un atto veramente e propriamente umano.
La Sacra Scrittura ci insegna che nella giustificazione avviene qualcosa da parte di Dio e qualcosa da parte dell’uomo e ciò che l’uomo fa è a sua volta pienamente coinvolto nell’azione divina. 
 La fede è un passo indispensabile che l’uomo deve fare per andare incontro a Dio nella giustizia. Dio infonde la grazia, ma infondendola muove il libero arbitrio dal peccato alla giustizia  e questo movimento deve corrispondere alla natura del libero arbitrio ed essere per conseguenza libero. Il moto del libero arbitrio dalla parte dell’uomo fa perciò parte dell’essenza stessa della giustificazione. Questo atto propriamente umano premosso da Dio e sostenuto dalla sua grazia, risulta necessario affinchè l’uomo possa passare dallo stato del peccato allo stato della giustizia e della grazia abituale. Senza il moto del libero arbitrio da parte dell’uomo, non vi può essere giustificazione.
Presto però sorge nella discussione teologica la questione se Dio si serve del moto del libero arbitrio solo nell’economia presente, cioè de potentia ordinata, secondo il suo progetto attuale, per il quale Egli governa tutte le cose con forza, ma anche con soavità, oppure se il moto del libero arbitrio è necessario anche de potentia Dei absoluta, cioè in un modo tale che la sua assenza implicherebbe contraddizione. L’opinione dei tomisti a questo proposito non è unanime. S.Tommaso stesso infatti metteva in risalto la stretta necessità della virtù della penitenza nel processo della conversione dell’anima a Dio.[5]
La maggior parte però con lo stesso GAETANO sostiene la possibilità de potentia absoluta che Dio converta l’uomo senza che egli eliciti degli atti liberi di conversione. BAÑEZ afferma la necessità del moto libero de potentia ordinata come conclusione certa e di fede definita (con riferimento al Concilio di Trento); ammette però anche un altro modo di giustificazione possibile de potentia absoluta criticando la posizione del Gaetano, secondo il quale la devozione attuale sarebbe richiesta anche nella recezione del sacramento.[6] 
Secondo la sua teoria, il sacramento supplisce ex opere operato all’indisposizione del soggetto, mentre nella giustificazione extra-sacramentale o vi è disposizione sufficiente e allora vi è giustificazione o non vi è disposizione sufficiente e allora anche la giustificazione non si realizza. MEDINA[7]  si dichiara d’accordo con la tesi del Gaetano secondo cui Dio de potentia absoluta può giustificare l’uomo anche  senza un moto attuale della libertà umana.
Il motivo della sua tesi è che Dio può supplire a tutti i tipi di causalità (dispositiva, meritoria, efficiente), che potrebbero essere esercitati dal libero arbitrio nel momento della giustificazione. Il KOELLIN[8] invece è piuttosto portato ad affermare la stretta necessità del moto attuale del libero arbitrio in un adulto che ne è capace. Nei bambini la grazia subentra senza una precedente disposizione nel soggetto, che non ne è capace, né la esige. Il moto del libero arbitrio non è necessario all’essere della grazia, ma alla disposizione del soggetto per riceverla.
Si potrebbe anche pensare ad un caso straordinario della giustificazione, quando questa avviene in un modo miracoloso come in S. Paolo. Normalmente il soggetto conosce secondo il tempo una preparazione remota che precede la giustificazione vera e propria. La giustificazione straordinaria invece non comporta dei moti liberi precedenti la giustificazione stessa, ma con l’infusione della grazia si muove il libero arbitrio e si consegue la remissione dei peccati.[9]  Il moto del libero arbitrio apparterrebbe così all’essenza stessa della giustificazione e quindi sarebbe indispensabile, ma la preparazione remota, nell’ipotesi di una conversione straordinaria, potrebbe talvolta essere tralasciata.
Entrambe le opinioni hanno qualcosa di vero. Bisogna infatti distinguere tra l’essere assoluto della grazia e il suo essere in un tale soggetto come risultato della giustificazione. E’ indubbio che Dio può de potentia absoluta creare la grazia e mantenerla nell’essere anche al di fuori di qualsiasi soggetto e per conseguenza può a fortiori mantenerla in essere in un soggetto indisposto. Assolutamente parlando quindi, l’abito della grazia santificante potrebbe essere creato e conservato da Dio anche in un soggetto non preparato, cioè in un soggetto che non ha elicitato gli atti richiesti del libero arbitrio sia precedentemente (preparazione remota), sia simultaneamente (preparazione prossima ed adeguata).
Un tale soggetto, però, pur essendo miracolosamente dotato della grazia santificante, non potrebbe dirsi giustificato nel senso pieno di questo termine, perchè la giustificazione non richiede solo la presenza assoluta  della grazia santificante e della giustizia soprannaturale, ma richiede che la grazia muova, disponga ed informi questo determinato soggetto in un modo tale che la giustificazione per essenza sua dev’essere definita come un vero e proprio moto verso la giustizia.     
In questo moto, la successione secondo il tempo, per la giustificazione strettamente detta, non è necessaria, anzi è esclusa, ma si richiede un vero e proprio passaggio da uno stato all’altro e questo passaggio a sua volta implica necessariamente un soggetto. In questo senso la giustificazione racchiude nella sua stessa natura il moto del libero arbitrio e se non vi fosse questo, non si potrebbe parlare della giustificazione senza contraddizione e ai contradittori non si estende la potenza di Dio come ai non-fattibili.
Questo sembra corrispondere all’opinione di S.Tommaso, quando afferma che la virtù della penitenza, come vero e proprio mutamnto della volontà, secondo cui l’uomo detesta la sua conversione disordinata al peccato e riordina la sua mente in Dio, è strettamente richiesta per la remissione del peccato mortale attuale.[10] Può però avvenire che Dio infonda immediatamente la grazia e simultaneamente, con la stessa infusione, disponga il soggetto umano. Questa sembra essere la tesi di S.Tommaso, quando afferma che l’uomo potrebbe conseguire la vita eterna senza alcun atto precedente da parte sua, se Dio volesse concedergliela disponendolo ad essa nello stesso momento della donazione.[11]  Quello che vale per la vita eterna vale evidentemente a fortiori per la consecuzione della grazia abituale quale “semen gloriae”. E’ da notare però che Dio, quando infonde la grazia o la gloria, muta il soggetto disponendolo e questo non può avvenire senza agire sul soggetto stesso.
A questo punto potrebbe sorgere la domanda se l’azione immediata di disporre il soggetto potrebbe essere attivamente solo da Dio con la passività del soggetto, oppure se è necessario che il soggetto si comporti attivamente nei confronti della sua propria disposizione. Evidentemente de potentia ordinata il soggetto è mosso da Dio alla sua propria mozione; invece de potentia absoluta nulla vieta che Dio si sostituisca alla mozione del soggetto, sempre postulando che agisca effettivamente su di esso e in un modo conforme alla sua  natura (così si deve escludere ad es. che Dio possa costringere la volontà libera in quanto “libertà costretta” è una contraddizione in terminis e perciò una cosa non fattibile).
Dio potrebbe produrre il calore in un fuoco che non riscalda attualmente, ma deve produrre il calore secondo la sua stessa natura e il suo modo di procedere dal fuoco. Così può produrre un atto libero senza l’attività del libero arbitrio, ma deve produrlo in esso secondo la sua stessa natura e il suo modo di agire. Siccome poi l’essenza stessa dell’atto libero è la sua attualità intenzionale, ne segue che de potentia absoluta Dio potrebbe sostituirsi all’attività “fisica” del libero arbitrio, ma nondimeno si richiederebbe che esso sia attivo sul piano intenzionale, altrimenti l’atto libero prodotto in esso non sarebbe suo. Il libero arbitrio deve essere quindi attivo sul piano intenzionale per necessità assoluta, e secondo l’ordine normale delle cose dev’essere attivo anche sul piano fisico in quanto, premosso fisicamente da Dio, muove se stesso ad agire.
            La necessità della determinazione libera nella giustificazione fonda la responsabilità umana. Dio coinvolge tutta la nostra vita in un insieme mirabile di aiuti soprannaturali misteriosi, ma questo non ci può disimpegnare moralmente, in quanto la grazia può essere veramente nostra solo se noi, mossi ed aiutati dalla stessa grazia, corrispondiamo alla chiamata divina e ai suoi doni. Ognuno riceve abbondantemente la grazia sufficiente, ma c’è da temere che sia “accolta invano” (II Cor 6,1), cioé senza produrre effetti salvifici. Ciascuno deve “occuparsi della sua salvezza” e deve farlo “con timore e tremore” (Fil. 2,12), perchè il peccato continua ad insidiare la nostra vita cristiana.[12] 
            L’indisposizione del libero arbitrio potrebbe porre un  ostacolo alla grazia e impedire così la giustificazione. Dio non costringe nessuno e per conseguenza anche la sua azione sul libero arbitrio non è violenta e coattiva, ma forte e soave allo stesso tempo. Ciò significa che l’azione divina nell’uomo non può avvenire solo dal di fuori senza toccarlo intimamente, nè può realizzarsi senza un contributo da parte del soggetto puramente passivo, anzi, resistente all’azione salvifica.
La preparazione a ricevere la grazia è strettamente richiesta da parte del libero arbitrio, anche se non necessariamente precede la giustificazione secondo il tempo. La forma può infatti essere tanto intensa da disporre immediatamente il soggetto e informarlo. Anche negli agenti naturali l’informazione può essere tanto intensa da preparare il soggetto alla ricezione della stessa forma, ma siccome gli agenti naturali ricevono le loro forme per espulsione successiva della forma contraria, la loro disposizione non è istantanea, anche se può avvenire simultaneamente all’informazione, la quale però a sua volta sarà successiva e non simultanea.  La volontà invece è un soggetto mobile che di per sè, cioè per la sua stessa natura, si muove senza successione di tempo in un unico istante. Per conseguenza, nell’ipotesi che la preparazione avvenga simultaneamente con l’introduzione della forma, e la disposizione del soggetto e la sua informazione si realizzeranno in un unico istante senza successione temporale.[13]
Una tale preparazione simultanea all’infusione attuale della grazia avviene sempre nella giustificazione della quale fa parte. Si tratta appunto della preparazione adeguata, detta anche “ultima”, perchè precede  immediatamente la consecuzione della giustizia e della grazia santificante e a sua volta è preceduta, almeno ordinariamente, da preparazioni remote non adeguate, ma già ispirate da un aiuto soprannaturale attuale, anche se insufficiente per trasformarsi in abito, infondendo così la grazia santificante e informandone il soggetto.
Straordinariamente la preparazione remota precedente la giustificazione può essere tralasciata, quando la grazia attuale infonde nella sua stessa mozione l’abito della grazia santificante disponendo simultaneamente il soggetto e informandolo con la grazia abituale, previa la distruzione dello stato di peccato ad essa opposto.
Anche S. BONAVENTURA[14]afferma che il moto del libero arbitrio (in particolare quello di fede e di contrizione) appartiene all’essenza stessa della giustificazione, così che la grazia deve trovare il libero arbitrio già in moto oppure sommamente preparato a muoversi e questa sarebbe la preparazione remota, mentre il moto del libero arbitrio nella giustificazione stessa corrisponde alla preparazione ultima ed adeguata.
Si può per conseguenza dire con SOTO[15] che la sentenza comune dei cattolici opposta a quella dei protestanti è la tesi secondo cui nessuno capace di usare il suo libero arbitrio si può riconciliare con Dio, se non è preparato a questo per mezzo del libero arbitrio. La forza con cui Dio agisce nell’uomo dandogli la sua salvezza non si esprime mai sotto la forma della violenza.
            Dio non rifiuta la sua grazia a nessuno di coloro che fanno ciò che è necessario per prepararsi a riceverla e questa preparazione avviene per mezzo del libero arbitrio. Siccome poi il libero arbitrio rimane mutevole durante questa vita, l’uomo, durante la sua esistenza terrena, può sempre tornare a Dio facendo penitenza dei suoi peccati e credendo con amore alla parola del Signore.[16] 
La preparazione è opera del libero arbitrio, ma non di esso solo, bensì del libero arbitrio mosso dalla grazia attuale. Gli atti di fede e di contrizione sono infatti degli atti salvifici e come tali devono essere degli effetti della predestinazione e della grazia.[17] S.Tommaso accentua esplicitamente questo aspetto nelle sue opere posteriori, facendo vedere come la preparazione è e rimane un atto della libertà umana, la quale però, per poter prepararsi ad un dono soprannaturale, oltre ad essere naturalmente premossa da Dio, ha bisogno anche della sua grazia attuale, che la muove e la sostiene. Così avviene evidentemente anche nella preparazione “ultima”, che fa parte della stessa giustificazione.  La grazia infusa infatti muove come grazia attuale la libertà e questa si prepara a ricevere il dono della grazia abituale che rimette il peccato e  informa l’anima di una qualità soprannaturale.
Siccome poi la consecuzione della grazia abituale avviene simultaneamente alla mozione della grazia attuale e del libero arbitrio, è ovvio che i due moti della libertà saranno a loro volta informati dalla grazia e dalla carità e per conseguenza meritori di vita eterna.[18] Così la preparazione dell’uomo alla grazia è un’opera del libero arbitrio umano, in quanto è mosso dalla grazia attuale e formato dalla grazia abituale.
I moti del libero arbitrio seguono pertanto l’infusione attuale della grazia,  che causa il moto della libertà e precedono la consecuzione dell’abito soprannaturale, al quale preparano e dispongono il soggetto. Nella giustificazione si possono perciò distinguere diverse parti ordinate secondo un ordine naturale, anche se tutte formano un unico moto istantaneo senza possibilità di distinguere le parti secondo priorità o posteriorità temporale.
            Il Concilio di Trento[19] afferma esplicitamente la necessità della preparazione alla grazia per mezzo del moto attuale del libero arbitrio in tutti coloro che ne sono capaci. Il libero arbitrio,  precedentemente al suo moto, è chiamato da Dio e stimolato dalla sua grazia preveniente ed è anche aiutato nel suo stesso moto dalla mozione soprannaturale della grazia attuale. Quando però Dio tocca il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, l’uomo stesso riceve attivamente l’ispirazione soprannaturale, cooperando con essa e mantenendo sempre la capacità di rifiutarla.
            La libertà umana è causa sufficiente del rifiuto della grazia e anche in vista della consecuzione della grazia, se non è causa sufficiente, è sicuramente causa necessaria. Il libero arbitrio non è in grado di conseguire con le sue sole forze la salvezza soprannaturale, ma nella consecuzione della salvezza si richiede il suo moto attuale di disposizione, di accettazione e di collaborazione.
Il Magistero della Chiesa riassume in questo insegnamento ciò che era da sempre l’opinione comune dei teologi cattolici. Lo stesso S.AGOSTINO, pur avendo una coscienza molto viva del peccato originale e della miseria dell’uomo nello stato di natura decaduta, mantiene sempre con fermezza l’esistenza del libero arbitrio e la sua capacità di volere e di fare qualche bene parziale. Tra gli esseri irragionevoli e l’uomo creato ad immagine di Dio per mezzo della ragione e della libera volontà, vi è una notevole differenza. Gli esseri inferiori infatti non sono capaci della salvezza; l’uomo invece, a causa della sua somiglianza formale con Dio, può essere elevato all’ordine soprannaturale.
Quando Dio converte l’uomo a sé, lo muove efficacemente, ma lo muove in un modo differente dalla mozione degli oggetti inanimati o degli esseri privi di ragione. Dio opera in noi la salvezza, così che anche noi diamo un contributo attivo a quell’aiuto che il Signore mette alla nostra disposizione. L’esistenza, l’intensità e la modalità di questo aiuto non dipendono però dalla preparazione del libero arbitrio, bensì dall’occulto disegno di Dio.[20] 
S. BONAVENTURA[21] sostiene una distinzione, fatta già dallo stesso S.Agostino e ripresa dalla teologia scolastica, tra la produzione effettiva della giustizia e della grazia e la sua ricezione in un soggetto ben disposto.
Dio causa in noi efficacemente la grazia e le virtù senza il nostro contributo alla loro produzione effettiva, ma non senza il nostro consenso e la nostra disposizione soggettiva. Questo avviene non perché Dio manchi di potenza attiva, ma a causa della convenienza dell’azione. Dio non fa quel che può, ma quel che conviene ed è conveniente che la forma sia impressa nella materia in un modo congruo alla natura della forma imprimente e della materia ricevente. La forma è la giustizia ed il suo soggetto è la libertà; la materia è la volontà libera nell’agire e nel ricevere. Pertanto la grazia non viene data se non con l’atto di quella potenza con la quale essa agisce secondo la sua stessa natura. La grazia giustificante per natura sua richiede l’atto del libero arbitrio.
            S. Tommaso descrive nelle sue opere giovanili il rapporto tra grazia giustificante e libero arbitrio come quello tra forma imprimente e materia disposta ricevente, ma nelle sue opere posteriori, pur mantenendo lo schema precedente con tutta la sua ricchezza concettuale, lo completa ripensando il rapporto tra la grazia giustificante ed il soggetto libero giustificato in termini di motore e mobile, cioè insistendo piuttosto sulla causalità efficiente finale.
            In tal modo la grazia infusa non è solo la forma, ma anche il motore e il libero arbitrio mosso non è solo la materia disposta, ma anche il mobile coinvolto nell’azione del movente superiore. In questa prospettiva la causalità del libero arbitrio non si limita più alla funzione strettamente materiale  dispositiva, ma si estende ad una vera e propria causalità efficiente anche se puramente strumentale e subordinata, efficiente però non della grazia, ma  della disposizione del soggetto necessaria per la consecuzione effettiva della grazia abituale.
            La grazia conseguita da questo soggetto sarà poi causa formale rispetto al soggetto stesso e causa finale prossima rispetto alla causalità efficiente della grazia attuale, che consiste nell’atto stesso (inteso come mozione efficace) dell’infusione. In tal modo il Santo Dottore mantiene pienamente le conclusioni dei suoi predecessori sia dell’epoca patristica (S.Agostino), sia, tra i suoi stessi contemporanei, dell’epoca scolastica (S.Bonaventura), ma le ripensa in una maniera nuova e più completa.
Il libero arbitrio non solo sarà attivo in vista della sua salvezza, ma la sua attività sarà coinvolta nella stessa attività divina sull’uomo, nella stessa linea di causalità (cioè quella efficiente), anche se ad un livello diverso, subordinato e strumentale, imperfetto nella sua stessa strumentalità, in quanto incapace di agire sulla forma dell’effetto, ma agente efficacemente sulla disposizione della sua materia.
            Secondo lo schema motore/mobile, il moto del libero arbitrio è richiesto in virtù della natura stessa del soggetto mosso dalla grazia divina. Ogni cosa infatti è mossa da Dio secondo la sua natura e la natura dell’uomo è quella di essere dotato del libero arbitrio. Per conseguenza Dio muovendo l’uomo lo muove in un modo tale, che l’uomo a sua volta si muova liberamente. Nello stesso atto di infondere la grazia santificante, Dio muove il libero arbitrio all’atto libero dell’accettazione.[22] 
            Questo vale evidentemente solo per coloro che sono capaci di una mozione simile. Così ad es. i bambini hanno la libertà virtualmente in virtù della loro partecipazione alla natura umana, ma non ne hanno l’atto, perchè individualmente non sono ancora capaci di servirsene. La loro giustificazione però non richiede un cambiamento di volontà perchè la loro colpa non è personale, ma naturale. Basta allora che dalla loro appartenenza al vecchio Adamo siano fatti partecipi di Cristo nuovo Adamo[23] e le opere di Cristo sostituiscono la mancanza delle loro opere personali.
Rimane però il problema di uomini adulti con peccati personali impediti attualmente nell’uso del libero arbitrio. La loro giustificazione sacramentale è possibile solo se in precedenza hanno dimostrato in qualche modo la volontà di pentirsi, anche se non si trattava di una contrizione sufficiente per rimettere i peccati.  Il sacramento trova così un soggetto disposto e agisce in lui con la sua virtù santificante intrinseca supplendo la mancanza della mozione libera attuale.
 Nella giustificazione sacramentale di un uomo adulto attualmente capace di moto libero, si richiede invece la contrizione attuale, sia precedente al sacramento stesso (e in tal caso il sacramento sigilla in un modo specificamente sacramentale la giustificazione già avvenuta), sia nel sacramento stesso come  suo effetto (contrizione elicita nel momento stesso dell’assoluzione), sia dopo il sacramento in virtù della grazia sacramentale, quando sopravviene il moto attuale del libero arbitrio.[24] Come si vede, S.Tommaso d’Aquino è piuttosto conseguente nell’esigere il moto del libero arbitrio in vista della giustificazione tanto extra-sacramentale quanto sacramentale. 

2.     Dio muove il libero arbitrio internamente.

Le potenze dell’anima spirituale, l’intelletto e la volontà, hanno due principi di mozione: uno oggettivo di specificazione e un altro soggettivo di esercizio dell’atto. L’oggetto della volontà è il bene che la attrae come un fine, ma nessun bene finito è in grado di muovere la volontà sufficientemente. L’unico oggetto capace di soddisfare le aspirazioni della volontà umana è un bene concreto infinito, Dio. Questo fatto deriva immediatamente dall’apertura infinita dell’intelletto e della volontà: l’uomo conosce e desidera non solo questo o quell’altro bene, ma il bene secondo la sua ragione formale universale.
Questa universalità dell’oggetto proprio della conoscenza e della volontà umana fonda l’apertura infinita dello spirito. Lo spirito umano finito secondo la sua natura è intenzionalmente relazionato ad un oggetto di natura infinita. Dall’infinità del bene desiderato dalla volontà umana si può dedurre la natura della causa efficiente estrinseca del moto stesso di volizione. Il bene infinito che è l’oggetto proprio dell’appetito intellettivo ha sul piano causale ragione di fine ultimo. Ora, nell’interazione tra le diverse cause, la causalità finale è in diretta correlazione con la causalità efficiente, in un modo tale che all’ordine dei fini corrisponde l’ordine delle cause (efficienti). E’ ovvio che al fine ultimo corrisponde la causa prima e per conseguenza l’unico motore estrinseco capace di influire efficacemente sul moto della volontà umana è Dio.[25]
 Un’altra prova possibile è quella fondata sull’analogia con il moto naturale. Le forme naturali agiscono in virtù della mozione estrinseca di colui che le ha causate. In genere, può causare il moto di una forma operativa solo colui che ne causa la stessa natura e questo può essere soltanto Dio. Così, estendendo questo principio anche al moto volontario, solo Dio che ha causato la stessa natura della volontà ponendola nell’essere, può causare il suo moto. Non si escludono evidentemente altre cause estrinseche, che possono influire dal di fuori sul moto della volontà, come vi possono essere diverse cause naturali particolari, che possono cambiare il moto naturale di una pietra, ma allora si tratta di cause che non causano, ma al massimo modificano il moto di una determinata forma operativa e per di più si tratta di modificazioni esterne di natura violenta.[26]
Il libero arbitrio non è mutevole di per sè, ma è mutevole il libero arbitrio umano a causa della natura mutevole in cui si trova (vi è per conseguenza un libero arbitrio “immobile” in Dio; per “immobile” si intende non attuabile sul piano fisico, perchè già pienamente in atto) e perciò passa da un atto all’altro, sia mosso da cause interne di ordine conoscitivo (acquisto di nuove conoscenze pratiche), sia di ordine volitivo, sia sotto la mozione di una causa esterna capace di mutare il suo moto e una tale causa può essere solo Dio.[27] 
Questo argomento di S. Tommaso si fonda su di un ragionamento metafisico. Una natura infatti acquista il suo essere nella creazione, ma anche l’operazione di una natura finita è acquisto dell’essere accidentale. Per conseguenza la causa dell’operazione dev’ essere la stessa causa dell’essere della natura, che ne è il soggetto e solo Dio è la causa dell’essere. 
Se Dio è l’unica causa capace di mutare interiormente il moto volitivo, è altrettanto vero che la mozione divina si esige per ogni atto della volontà. Dio crea le cose e conferisce a loro delle capacità operative, in un modo tale però, che nessuna cosa finita può agire se non in virtù della mozione divina. Oltre a causare la facoltà di agire, Dio causa anche il suo stesso atto. Ogni mozione dipende dal primo motore e quello che vale in genere nelle azioni dei corpi, vale a fortiori nelle azioni spirituali, dove vi è un ordine ancora più perfetto tra gli agenti. L’azione di uno spirito finito non può essere causata da esso stesso come da causa assolutamente prima e perciò bisogna ricorrere ad una causa esterna, che però dev’essere più perfetta dello spirito finito e questo può essere solo lo spirito infinito, cioè Dio.[28]
Tutte le cose si volgono a Dio come fine ultimo, mosse da Dio stesso come primo motore; nell’uomo però questa interazione tra Dio causa prima e Dio causa finale ultima assume delle caratteristiche nuove e specifiche. Dio infatti converte a sé gli uomini giusti come ad un fine ultimo speciale e soprannaturale e per conseguenza li ama di un amore speciale e superiore all’amore con cui ama generalmente tutto il creato e li muove con un’azione speciale e soprannaturale anche nell’ordine di causalità efficiente.
La grazia attuale poi non si limita all’atto di infusione della grazia abituale, ma si estende anche all’uso di quest’ultima, come nelle forme naturali Dio con un atto crea la stessa forma, ma continua a causarne con altri singoli atti le singole operazioni. Tanto nell’ordine naturale, quanto nell’ordine soprannaturale vale il detto del profeta Isaia (26,12): “Omnia opera nostra operatus es in nobis Domine”.[29] 
La volontà e le potenze mosse da essa con i rispettivi abiti possono elicitare i loro atti solo se Dio muove tutto questo apparato operativo di potenze e di abiti all’esercizio e all’uso attuale del loro atto. Questo avviene anche a livello soprannaturale, così che ogni uso attuale della grazia abituale richiama una mozione soprannaturale della grazia attuale. La volontà formata dalla grazia e dalle virtù infuse può agire solo se Dio la premuove, tanto nell’ordine naturale (premozione fisica), quanto in quello soprannaturale  (grazia attuale).


B. I due moti specifici del libero arbitrio nella giustificazione.

1. La fede.

a. Necessità della fede nella giustificazione.

            Nella giustificazione Dio muove il libero arbitrio convertendolo a Sè e perciò dalla parte del libero arbitrio si tratta di un avvicinarsi a Dio. Siccome poi “senza la fede è impossibile essere graditi a Dio” (Eb 11,6), è certo che per la conversione dell’anima a Dio che si chiama “giustificazione” si richiede il moto della fede.[30]  La giustificazione è una strada verso la salvezza e il primo passo su questa strada è appunto l’atto di fede.
La fede detiene un primato incontestabile tra gli atti umani nel processo della giustificazione, così che si dice perfino “grazia preveniente” e si attribuisce ad essa il “merito” della giustificazione, non perchè la giustificazione sia oggetto possibile di un merito, ma perchè nella stessa giustificazione la fede costituisce il primo atto meritorio.[31]
            Il termine specificante della giustificazione è la grazia che ci mette in comunione con Dio e per conseguenza il moto della fede che porta la mente umana verso questo termine, dovrà precedere secondo l’ordine di natura tutti gli altri atti umani (in questo modo la fede è prima della contrizione come sua “ragione e causa” in quanto il distacco dal peccato è motivato dall’accesso a Dio.
La mente umana si muove verso Dio e secondo l’intelletto e secondo la volontà, ma la mozione dell’intelletto precede quella della volontà e perciò la fede precede le altre virtù teologali. La fede come “primo contatto salvifico dell’uomo con Dio” non si limita evidentemente alla sola accettazione concettuale, ma coinvolge tutte le componenti della tendenza personale dell’uomo verso Dio.
In questo senso si può parlare della fede come di un effetto immediato della grazia giustificante e a questo titolo la “fede” nel senso pieno della parola rientra nel costitutivo formale della giustificazione insieme con la stessa grazia. Quest’ultima si presenta piuttosto sotto l’aspetto entitativo; la fede invece si -presenta maggiormente sotto l’aspetto operativo.[32]
La dimensione “personale” della fede e la sua ricchezza affettiva non ne possono sminuire la natura conoscitiva e intellettiva. La fede fiduciale, personale, “esistenziale” non è mai priva di contenuti storici e concettuali ben precisi. L’avvicinarsi dell’uomo a Dio non può avvenire senza l’atto di ciò che vi è di più alto e di più specifico nell’uomo, non può avvenire cioè senza l’atto della fede come di una virtù dell’intelletto speculativo.[33]
La fede come atto dell’intelletto mosso dalla volontà e dalla grazia e formato dalla carità, rientra nella stessa essenza della giustificazione come una sua parte. Sarebbe pelagiano pensare che la fede sia un atto umano meritorio della giustificazione, ma nella giustificazione la fede formata è il primo effetto nell’uomo della grazia giustificante infusa. Essendo poi un effetto della grazia giustificante, la fede è formata dalla carità e ci inserisce in Cristo; non vi è pertanto solo l’ascolto della fede, ma la fede piena opera già gli effetti della salvezza realizzata in Cristo.[34]
La fede piena, formata ed operante per mezzo della carità, derivante dalla grazia santificante, è la fede di un uomo già giustificato e perciò rientra nella stessa giustificazione come una delle sue parti e non la precede come preparazione remota.
La fede della giustificazione è “principio di vita spirituale”[35] proprio come il primo effetto della grazia nell’anima dei giusti. L’anima vive spiritualmente e soprannaturalmente    per   mezzo    della    grazia    santificante,   ma   la   vita             si denomina dal suo primo effetto e quindi come i primi indizi di vita appaiono nell’anima vegetativa sul piano naturale, così a livello soprannaturale i primi indizi di “vita” appaiono nella fede. In questo senso bisogna intendere l’affermazione secondo cui la fede è il principio della vita spirituale e secondo cui “il giusto vive per mezzo della fede”.
La fede si riferisce poi agli atti della volontà nei confronti del fine, li precede e li accompagna tutti.[36]  Così l’uomo credendo ama Dio, credendo si muove verso Dio, credendo aderisce a Dio e credendo entra in possesso della partecipazione alla vita divina come un membro incorporato in Cristo. La giustificazione come conversione dell’uomo verso Dio e moto verso la giustizia soprannaturale e la grazia santificante, richiede la fede e la carità, ma la fede precede la carità come l’atto dell’intelletto precede l’atto della     volontà.
Nel tentativo di avvicinare la tesi luterana a quella tomista certi autori recenti sono arrivati fino ad affermare che secondo lo stesso S.Tommaso l’atto di fede non sarebbe veramente dell’uomo, ma di Dio nell’uomo. L’uomo rimarrebbe così perfettamente passivo sottomettendosi soltanto all’azione giustificante di Dio e ricevendone gli effetti.[37] Questo contraddice evidentemente tutto l’insegnamento di S.Tommaso sull’atto di fede, che è un atto di virtù, un atto addirittura meritevole nella giustificazione e quindi sicuramente un atto pienamente umano, attivamente elicito dall’uomo, dalla sua libertà mossa da Dio.
Un’altra rilettura “ecumenica”[38] di S.Tommaso cerca di dimostrare che l’atto di fede giustificante non è quello di fede formata, ma di una fede “personale”, “piena”, in cui non si potrebbe distinguere tra la fede stessa e la forma della carità.[39] Anche qui si tratta di una affermazione particolare di S.Tommaso contrapposta artificialmente a tutto il resto del suo insegnamento. La fede è sempre personale proprio come atto umano. Gli atti infatti sono suppositi individuali e quindi, in questo caso, della persona umana. L’atto di fede inoltre è pieno nel suo ordine quando l’uomo aderisce con assenso alle verità rivelate e riceve una pienezza aggiunta, gratuita, ma non opposta o separata, che è quella della carità quale forma virtutum.
S.Tommaso non ha affatto due concezioni della fede: una essenzialistica e una personalistica, una statica e una dinamica, una cosmocentrica e l’altra antropocentrica, ma una sola concezione espressa in termini precisi, scientifici, inequivocabili, che fa piena giustizia a tutte le dimensioni di questo primo atto dell’uomo che si avvicina al suo Dio. 

b. Fede e legge.

Gesù ha detto “se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23), insegnando così il legame strettissimo che vi è tra la carità e l’osservanza della legge. La fede giustificante converte il cuore umano a Dio in quanto la sua forma che è la carità ordina l’uomo al suo fine ultimo soprannaturale. La fede giustificante non solo non si oppone alla legge, ma ne richiede la più fedele e la più perfetta osservanza.[40] 
S.Tommaso infatti si chiede esplicitamente in che modo i precetti della legge possono giustificare e distingue diversi modi in cui la legge      può essere in rapporto con la giustificazione per mezzo della fede. Sopratutto la legge dispone alla ricezione della grazia di Cristo e la significa. Se poi si considera la giustizia già realizzata nell’uomo giusto, ancora si può distinguere l’abito della giustizia e il suo atto. La giustizia abituale intesa come virtù particolare, può essere acquisita o infusa: come virtù acquisita proviene dall’osservanza della legge; come virtù infusa invece non può essere causata dalla legge, ma soltanto dall’infusione gratuita da parte di Dio.
Questo vale poi anche per la giustizia soprannaturale, che racchiude in sé tutte le virtù ed è il termine proprio della giustificazione. La giustizia poi trova la sua applicazione pratica nelle opere concrete della giustizia e in questo senso praticare la giustizia vuol dire osservare i precetti della legge. I precetti cerimoniali contenevano la giustizia solo in genere, in quanto esigevano l’onore dovuto a Dio, ma le loro determinazioni speciali erano di legge positiva divina.
I precetti giudiziali e morali invece contenevano la giustizia genericamente e anche specificamente, ma i primi si riferivano solo alla giustizia come virtù speciale, mentre questi ultimi si riferivano alla giustizia in quanto comprende in sè tutte le virtù.[41]  E’ ovvio che la giustizia, che è l’insieme di tutte le virtù, costituisce il termine proprio della giustificazione ed esige pertanto l’osservanza di tutti i precetti morali, i quali appunto determinano la giustizia genericamente e specificamente non solo in quanto è una virtù speciale, ma in quanto comprende in sé tutti gli atti di tutte le virtù.
L’uomo giusto è colui che osserva tutti i precetti morali della legge e la trasgressione voluta e deliberata di uno di essi in materia grave costituirebbe senza dubbio un peccato grave e per conseguenza comporterebbe l’immediata perdita della grazia abituale e della giustizia soprannaturale. La giustizia ex fide è così strettamente connessa con l’osservanza della legge, che una trasgressione grave di essa potrebbe far ricadere l’uomo giusto nello stato di ingiustizia e di empietà.
La finalità della legge umana civile è differente da quella della legge divina. La legge umana infatti intende come suo fine principale la pace della società civile e pertanto non reprime tutti i peccati, ma solo quelli che in qualche modo potrebbero turbare la convivenza pacifica dei cittadini. La legge divina invece intende portare l’uomo a Dio come suo fine ultimo soprannaturale e pertanto si oppone a tutti i peccati, perchè tutti i peccati allontanano l’uomo dal suo fine ultimo. La legge da sola però non basta a trasferire l’uomo dal peccato alla giustizia facendolo entrare in una comunione di vita soprannaturale con Dio. Un tale effetto infatti può produrlo solo la grazia dello Spirito Santo, che “diffonde la carità nei nostri cuori” ed è pegno “di vita eterna”.
La Legge antica era soltanto legge, mentre la Legge nuova, oltre ad essere norma di legge, contiene anche la realizzazione della medesima in virtù della grazia. La grazia non distrugge la legge, la norma, l’obbligo, ma la perfeziona realizzandola. La legge infatti fornisce la conoscenza del peccato e della virtù, ma una tale conoscenza rimane troppo speculativa e rende solo più infelice e più cattivo, perchè più consciamente peccatore, l’uomo dotato della conoscenza del bene e del male senza la minima capacità pratica di fuggire completamente il male e di realizzare perfettamente il suo bene connaturale e soprannaturale.[42]
La grazia come pienezza della legge aggiunge alla conoscenza della norma morale la possibilità pratica di soddisfare alle sue esigenze, non solo sotto un aspetto particolare, ma completamente e non solo sul piano naturale, ma anche su quello soprannaturale. L’uomo giustificato e rinnovato in Cristo per mezzo della grazia dello Spirito Santo esegue spontaneamente, liberamente, gioiosamente gli obblighi della legge, non perchè vi è costretto per paura o per violenza, ma perchè è dolcemente attratto dal Padre, che lo chiama.
In questo senso la legge non si presenta all’uomo giusto sotto l’aspetto di un obbligo gravoso, ma piuttosto sotto l’aspetto di una esigenza intima; oggettivamente però la legge non perde nulla della sua normatività ed obbligatorietà.[43] Anzi, si può addirittura dire che la legge nuova sottolinea l’obbligo oggettivo della norma morale, perchè l’uomo non rivestito della grazia di Cristo, non solo trasgredisce la legge, ma distrugge in sé l’immagine di Dio ricostruita in lui dalla grazia di Cristo, una grazia che Cristo gli meritò con la sua passione, morte e risurrezione.
Inoltre, a parità di altre condizioni, pecca più gravamente l’uomo che più facilmente potrebbe evitare il peccato, ma questo è proprio il caso dell’uomo inserito in Cristo, rinato dall’acqua e dallo Spirito. Infine sarebbe illusorio pensare che l’uomo nuovo, redento da Cristo, non possa più sperimentare la tentazione, la seduzione del male e talvolta perfino la caduta nel peccato.
Infatti, lo stato di natura decaduta e rinnovata non è uno stato di impeccabilità come è quello dei beati nella vita eterna, ma è uno stato di cammino aperto verso il paradiso e sostenuto dall’aiuto divino, ma sempre soltanto un cammino, che non esclude né la fatica, né la tragica possibilità di un nuovo smarrimento. E sotto questo aspetto l’uomo della nuova economia della salvezza conosce anche lui la legge come obbligo esterno, anche se questo aspetto non è predominante né specifico di questo stato dell’economia salvifica.
Sarebbe pertanto del tutto sbagliato pensare che tra l’antica e la nuova legge non vi sia altro che rottura e discontinuità. E’ vero che la grazia efficacemente presente tra noi costituisce una novità radicale del Nuovo Testamento, ma questa stessa grazia, pur eliminando degli elementi puramente dispositivi dell’Antica Legge, sancisce, conferma e realizza le esigenze della legge morale ribadita da Dio nella rivelazione dell’Antico Testamento. La struttura della giustificazione rimane sempre la stessa, presentandosi in ogni economia della salvezza come un risultato mirabile della condiscendenza divina e di un appello severo alla volontà umana.[44]
Ovviamente la presenza divina tra gli uomini era differente e lo era per conseguenza anche la norma della legge proposta alla volontà umana. La legge antica è imperfetta perchè non contiene la grazia, ma i fedeli potevano essere giustificati per mezzo della loro fede in Cristo, che aspettavano come il Messia futuro e in quanto le cerimonie antiche significavano esteriormente questa fede, disponevano gli uomini alla fede in Cristo e alla giustificazione.
La legge dell’Antico Testamento non conteneva un obbligo di fede, ma di opere, anche se evidentemente annunciava anche dei contenuti di fede. La legge nuova invece trae la sua virtù non dalle opere, ma dalla fede formata ed operante. Ogni legge dipende dalla fede (s’intende ogni legge divina), ma la legge antica non conteneva ancora la virtù della fede; la legge nuova invece possiede in sé la potenza della fede giustificante.
S.Tommaso illustra questo stato di cose con un esempio: come le cose naturali agiscono secondo un intelletto che ne ordina dal di fuori le azioni, senza però avere la conoscenza intellettiva in sé, così la legge antica dipendeva dalla fede in Cristo, ma non la conteneva. La legge nuova invece contiene la fede di Cristo come l’agente intelligente non solo dipende nel suo agire dall’intelletto, ma ha in se stesso la conoscenza intellettiva che guida le sue azioni.[45]  Mentre la legge antica desiderava la fede, la legge nuova la possiede.
La giustizia della legge nuova non esclude in nessun modo l’osservanza della legge morale, anzi coincide in qualche modo con essa trovando in essa la sua propria espressione. La legge morale fedelmente osservata dà una impronta di verità e di autenticità alla carità e Cristo stesso, a cui i cristiani sono conformati, è il Verbo di Dio e in questo senso è un’espressione della volontà divina, un modello della vita nuova e perciò una vera e propria “legge” della condotta degli uomini che veramente gli appartengono.[46]
 S. Paolo dice esplicitamente che la legge è per natura sua buona, ma il peccato può servirsene per distorcerla ed accrescere così il suo potere sull’uomo. La legge, come espressione della volontà divina, non può essere cattiva, ma rimane imperfetta, in quanto non contiene la sua realizzazione, il suo adempimento, la sua pienezza.
Solo la fede e la promessa data ai credenti può completare questa insufficienza della legge. Il credente non si sente dispensato dall’osservanza dei precetti della legge, ma si accorge nella fede della loro imperfezione e della novità della fede giustificante rispetto alla sola lettera della legge. L’esteriorità della legge dà la conoscenza del peccato senza dare il potere effettivo di eliminarlo e in questo senso aumenta la responsabilità del pecccatore e dà alla concupiscenza l’occasione di “svegliare il peccato” per mezzo del suo stesso divieto.[47] 
Il concetto neotestamentario della legge non può assolutamente essere scambiato con una specie di antinomismo. La grazia anima la legge nuova, ma non ne sopprime la normatività. Così la stessa legge nuova si presenta sotto due aspetti: quello della grazia interiore (lex indita), che giustifica per mezzo della fede ed è la parte principale della legge nuova e anche quello dei precetti, consigli, obblighi esterni (documenta novae legis) e questo aspetto è secondario (ma sempre presente!) nella legge nuova, mentre era primo e principale nella legge antica.
Ogni uomo giustificato riceve la grazia per mezzo della sua fede implicita o esplicita in Cristo e secondo questa fede appartiene già al Nuovo Testamento. La legge nuova poi giustifica in quanto contiene la grazia. Se invece contenesse soltanto i documenti esterni, non avrebbe il potere di salvare.[48]  Solo la grazia dello Spirito Santo è in grado di giustificare l’uomo, ma nessuno si può giustificare se non osserva la legge morale dettata da Dio. Così solo la grazia è la condizione sufficiente della giustificazione; la legge nondimeno rimane la sua condizione strettamente necessaria, anche se non sufficiente. La stessa grazia poi si traduce in un’ operazione moralmente retta, rispettosa della norma legale.
La fede soprannaturale e la legge morale sono perciò in una stretta connessione tra di loro e la presenza dell’una e dell’altra è richiesta proprio nella giustificazione. Sarebbe però un errore gravissimo voler confondere la legge naturale con la fede soprannaturale. S.Tommaso fa rientrare talvolta i contenuti e le esigenze della fede soprannaturale nella legge morale naturale, ma non per questo si può affermare che la sua concezione di legge morale sia ambigua e valga a pari titolo indistintamente per i valori naturali e quelli soprannaturali. La legge naturale perderebbe così la sua autonomia e sarebbe tutta fondata sulla rivelazione soprannaturale.[49]
Ora, già S. Paolo conosce una legge morale naturale al di fuori di ogni rivelazione soprannaturale, secondo la quale gli stessi pagani sono in grado di volere il bene e di realizzarne dei contenuti particolari. La legge naturale infatti era perfettamente nota ai filosofi e agli scrittori dell’antichità pagana.[50]  La legge naturale ha perciò una sua consistenza propria e si situa sul piano strettamente naturale; il che però non vieta, anzi, postula che essa serva come base per le esigenze soprannaturali della legge divina rivelata.
Giustamente afferma il GAETANO[51] che i precetti “della prima tavola” riguardano di per sè la virtù naturale della religione, ma riguarderanno anche la fede e la carità dal momento stesso dell’infusione della grazia santificante. Lo stesso S. Tommaso afferma che la fede trova un appoggio naturale nella verità naturalmente conoscibile dell’esistenza di Dio: “quia in fide continentur ordinata ad fidem qua credimus Deum esse, quod est primum et principale inter omnia credibilia … ideo, praesupposita fide de Deo, per quam mens humana Deo subiiciatur, possunt dari praecepta de aliis credendis”.[52] 
Così anche la carità soprannaturale trova la sua corrispondenza naturale nella dilezione naturale che si porta a Dio, in quanto è l’autore della bontà naturale del creato.[53] S.Tommaso distingue sempre bene i due ordini, anche se non li separa mai l’uno dall’altro. L’ordine naturale è in potenza obbedienziale rispetto a quello soprannaturale e l’ordine soprannaturale perfeziona la natura supponendola come suo soggetto.
La legge naturale ha perciò un’autonomia propria e a sua volta la legge divina rivelata conosce diversi gradi di perfezione secondo le singole tappe dell’economia della salvezza. La legge raggiunge poi la sua perfezione, quando è intimamente unita alla grazia. In questo stato la legge giustifica. Ad ogni modo la grazia giustificante esige la piena osservanza della legge morale naturale e, se se ne ha una conoscenza esplicita, anche della legge positiva divina e umana.  
S. Tomnaso distingue tra la legge e l’uso legittimo della medesima. Questa distinzione non riguarda solo i precetti cerimoniali, ma anche quelli morali. Vi può essere quindi un abuso della legge morale secondo S.Tommaso? Sembra di sì, ma si tratta di una concezione ben diversa da quella luterana. La legge è data per far conoscere il peccato, ma nella sua esteriorità, nella sua “lettera” non contiene mai la salvezza (nemmeno la legge nuova) e l’abuso della legge consisterebbe quindi nell’attribuirle un potere salvifico che essa non ha nè può avere.[54]
Questo però non significa affatto che si possa opporre la fede giustificante alle opere della legge. I loro compiti sono diversi, ma complementari e ognuna di queste due realtà è buona nel suo proprio ordine. In questo modo S.Tommaso assicura con la sua dottrina lucida e inequivocabile che la grazia non solo non distrugge, ma stabilisce ed adempie alla legge, facendone vedere chiaramente i limiti e aiutando così l’uomo a usarne legittimamente, a osservarne i precetti, attribuendo però lo stesso fatto di osservarli non alla legge, ma alla grazia divina, che, nell’economia nuova della salvezza, la accompagna come la sua parte più alta e più importante (“potissimum”).

c.      Fede e carità.

Già S.Paolo parla di una fede viva, operante per mezzo della carità (Gal 5,6). Questa espressione si può intendere sia nel senso di una fede animata (passivamente) dalla carità, sia di una fede che dispiega la sua forza operante per mezzo della carità (attivamente). In ogni caso la fede salvifica, la fede che giustifica, è sempre legata alla carità, animata e formata da essa, attiva ed operosa per mezzo di essa.[55]  La fede da sola, senza la carità e le sue opere, non salva. Si potrebbe obiettare che la fede per natura sua è legata alla carità, in un modo tale che credendo l’uomo riceve la grazia e con essa anche la carità e le buone opere e questa appunto è la dottrina protestante.
La teologia cattolica invece non può ammettere la fede come una apprensione soltanto intellettuale, personale ed esistenziale, ma esige che la fede giustificante nella prima giustificazione, nel momento stesso di ricevere la grazia, sia già formata dalla carità e contenga quindi l’insieme di tutte le virtù infuse, raggiungendo la pienezza delle opere della legge.[56] Molti esegeti sostengono che l’espressione “sola fide” non altera il senso paolino della giustificazione ed oggettivamente possono aver ragione, ma sicuramente costituisce una grave corruzione del pensiero dell’Apostolo il senso soggettivo che Lutero dà a queste sue famose parole.[57] 
Il concetto di fede di M. Lutero è infatti diametralmente opposto a quello cattolico, in quanto la fede per lui è una adesione apprensiva, fiduciale, personale, in cui non si possono distinguere bene gli atti dell’intelletto e della volontà (come è noto il Riformatore non amava molto simili distinzioni) e così la fede non è né conoscenza, né amore e non può essere considerata nemmeno un atto umano vero e proprio[58]. Il concetto cattolico della fede invece esige un’adesione intellettiva ad un contenuto preciso sotto la mozione della volontà e della grazia.
Alla fede così intesa si aggiunge la carità come una virtù ben distinta dalla fede, che nondimeno la informa e la rende operosa. La fede formata dalla carità giustifica rientrando nel processo della giustificazione come il primo atto umano con cui l’uomo si converte al suo Dio, un atto d’altronde che segue l’infusione della grazia come suo primo effetto nell’anima del giusto, come primo segno della sua vita spirituale e soprannaturale.
Il libero arbitrio dell’uomo sarebbe in grado di adempiere a tutta la legge naturale amando Dio come fine ultimo dell’ordine naturale sopra ogni cosa ed aderendo a lui con un atto naturalmente perfetto di dilezione naturale. Questo però sarebbe possibile nello stato di un libero arbitrio perfettamente sano, non nello stato presente della natura decaduta. Nella giustificazione dell’empio si richiede pertanto la grazia e la carità soprannaturali, anche per ordinare la volontà umana nel suo proprio ordine naturale[59] 159) e tanto più sarà necessario il loro intervento per elevarla a livello soprannaturale di una adesione a Dio, oggetto della beatitudine eterna. -559-        
La giustificazione dell’empio trasferisce l’uomo dallo stato di peccato allo stato di adesione a Dio, fine ultimo soprannaturale della vita umana. Per conseguenza, la giustificazione non può mai realizzarsi senza la carità, tanto per ordinare la volontà umana al suo bene connaturale, quanto soprattutto per elevarla al suo bene proprio soprannaturale.
 Il moto della fede nella giustificazione dev’essere perfetto per congiungere l’uomo con Dio e questa sua perfezione deriva appunto dalla carità. La fede non giustifica senza la carità.[60] 
            Con la fede vi sono ovviamente anche altre virtù che accompagnano con i loro atti l’atto della fede viva ed operante per mezzo della carità       e S.Tommaso nomina esplicitamente l’umiltà e il timore filiale, virtù che sottomettono la mente umana all’influsso della grazia divina. La misericordia precede la giustificazione a modo di preparazione o la segue a modo di soddisfazione per i peccati, ma l’atto della misericordia rientra nell’essenza stessa della giustificazione in quanto la misericordia è inclusa nell’amore del prossimo e deriva perciò dalla carità.
A questo punto ci si può chiedere perchè allora si parla nella conversione a Dio del moto della fede e non anche degli altri moti, che pure la accompagnano. S. Tommaso risponde fondandosi sull’antropologia e sull’analisi psicologica (nel senso aristotelico del termine) dell’anima umana. Nei moti della mente umana il moto dell’intelletto precede sempre il moto della volontà e dell’affetto, e pertanto la fede deve precedere tutte le altre virtù che si trovano nella parte appetitiva dell’anima umana.
Per questo si dice che la conversione a Dio nella giustificazione avviene per mezzo della fede, ma la fede da sola non basta, perchè la stessa accettazione della grazia non avviene a livello dell’intelletto, ma a livello della volontà[61]. Nella volontà poi il primo moto è quello dell’amore e perciò la fede è immediatamente seguita dalla carità. L’amore a sua volta suscita il desiderio della realtà amata e così segue ancora il moto della speranza teologale. La conversione a Dio implica quindi tutte le virtù teologali, ma si denomina dalla fede che è la prima tra di loro.[62]
La fede precede le altre virtù teologali causandone in qualche modo l’atto e le contiene virtualmente in un modo tale che esse si presentano come la spiegazione della fede viva dell’uomo giusto e allo stesso tempo la fede è contenuta nelle altre virtù dell’appetito intellettivo, in quanto quest’ultimo non si muove se non presupponendo il moto previo della fede come virtù dell’intelletto. L’uomo si converte a Dio (fede) amandolo (carità) e sperando di conseguire il perdono dei peccati (speranza).[63]  La giustificazione come moto della mente umana verso Dio causato dall’infusione della grazia, comprende da parte dell’uomo stesso nell’atto della sua conversione a Dio la fede insieme con le altre virtù teologali.
A sua volta la carità come la più perfetta tra le virtù teologali e la forma di tutte le virtù in genere, non può essere senza la fede e la speranza. La carità infatti è una amicizia[64] con Dio implicante non solo l’amore, ma l’amore mutuo. L’uomo come amico di Dio inizia una comunione di vita con lui per mezzo della grazia ed entra nella perfetta adesione a lui per mezzo della gloria.
La grazia e la gloria, l’amicizia con Dio in genere, è poi oggetto di fede e di speranza, in quanto un amico crede al suo amico e spera nel suo aiuto. Così l’uomo, amico di Dio, deve credere nella comunione di grazia e di gloria degli uomini con il Signore e deve sperare di condividere questa comunione.[65]  Questo non può sorprendere perchè la carità è la forma e la perfezione di tutte le virtù e la ragione della loro connessione sul piano soprannaturale.
L’atto di fede è un atto del libero arbitrio in ordine a Dio. Prima che subentri la forma della carità la fede non può agire in virtù di essa, ma una volta ricevuta la grazia e la carità, l’atto di fede ne è informato e agisce in sua virtù. La fede formata è essenziale alla giustificazione, mentre la fede informe la precede preparando e disponendo ad essa. Ora l’atto della fede giustificante, essendo un atto umano buono procedente dalla grazia e dalla carità, dev’essere un atto meritorio.[66] 
La fede giustificante infatti procede dalla mozione della grazia attuale, ma questa stessa mozione infonde già la grazia santificante e quindi non solo muove la volontà all’atto, ma le conferisce anche gli abiti di tutte le virtù derivanti dalla grazia, in primo luogo quello della carità, e informa i loro rispettivi atti rendendoli meritori.
In tal modo nell’atto dell’infusione si ha già la grazia santificante come principio del merito, ma si ha titolo però ad un atto destinato a diventare un abito, il che avviene nella consecuzione della grazia, alla quale termina il processo della giustificazione. In tal modo si spiega come la grazia santificante possa agire “prima” ancora di essere conseguita come un abito. L’atto di fede nella giustificazione risulta così un atto meritorio e salvifico, un atto procedente dalla grazia santificante.
            Nel tentativo di avvicinare la tesi luterana a quella tomista, certi autori recenti sono arrivati fino ad affermare che secondo lo stesso S. Tommaso l’atto di fede non sarebbe veramente dell’uomo, ma di Dio nell’uomo. L’uomo rimarrebbe così perfettamente passivo sottomettendosi soltanto all’azione giustificante di Dio e ricevendone gli effetti[67]. Questo contraddice evidentemente tutto l’insegnamento di S.Tommaso sull’atto di fede, che è un atto di virtù, un atto addirittura meritevole e quindi sicuramente un atto pienamente umano, attivamente prodotto dall’uomo, dalla sua libertà mossa da Dio.

d.     Fede e opere

            La grazia e la carità sono la vita delle opere buone, sono il principio del merito e il loro effetto proprio è quello di condurre alla vita eterna. Anche le opere annientate e distrutte dal peccato riacquistano “vita” nella penitenza, quando subentra la grazia e la carità.[68] La grazia raggiunge l’opera umana per mezzo della carità e la carità a sua volta è per natura sua operosa.
Se perciò la fede giustificante in quanto giustificante si riveste sempre della carità, ne segue che la fede intesa come parte della giustificazione è una fede operosa, anzi lo stesso atto di fede è già un’opera buona e meritoria. Non si può quindi dire che la fede si limiti ad una semplice apprensione fiduciale dei benefici di Cristo e diventi operante solo in un secondo tempo. L’operosità a livello soprannaturale (cioè a livello del merito de condigno della vita eterna) rientra a far parte della stessa struttura della fede giustificante. L’atto di fede nella giustificazione ha infatti tutti i requisiti di un merito, essendo un atto veramente umano, virtuoso, formato dalla carità e proveniente dalla grazia santificante.
Non vi è evidentemente un merito alla giustificazione (se non de congruo nella preparazione remota), ma vi è un merito de condigno alla vita eterna nella giustificazione stessa. Dopo l’infusione della grazia e prima ancora di conseguirla come un abito, il libero arbitrio si muove mosso da Dio per mezzo della grazia attuale all’accettazione della grazia santificante, la quale però agisce già a modo di atto nell’infusione informando gli atti del libero arbitrio e rendendoli così meritori (il “prima” e il “dopo” in questo processo non devono essere intesi nel senso temporale bensì secondo l’ordine naturale delle parti).
Tra l’infusione attuale della grazia abituale e la sua consecuzione da parte del soggetto, vi sono gli atti del libero arbitrio, i quali agiscono in un modo strumentale-dispositivo alla consecuzione della grazia abituale, in quanto sono mossi dalla grazia attuale nell’atto dell’infusione e sono già meritori della vita eterna, in quanto informati dalla grazia santificante, già infusa a modo di primo atto, prima ancora di conseguirla come un abito, nei confronti del quale si comportano in un modo materiale-dispositivo.[69] 
S. Tommaso nelle sue opere posteriori (soprattutto nella Summa Theologiae) sembra infatti considerare l’infusione della grazia come una mozione attuale, con la quale però subentra la forma soprannaturale abituale. L’infusione della grazia è poi distinta dalla sua consecuzione da parte del soggetto a modo di un abito vero e proprio e gli atti del libero arbitrio che si trovano tra questi due momenti di infusione e di consecuzione della grazia, possono essere considerati sia come strumenti in linea di causalità efficiente (grazia attuale come motore), sia come materia disposta in linea di causalità formale (grazia abituale come forma soprannaturale).
La vita e la morte spirituale si distinguono secondo la presenza o l’assenza della carità. Le opere morte per loro natura sono le opere che distruggono la carità, i peccati. Le opere buone mortificate dal peccato sono quelle opere che sono state compiute nella carità, ma rimangono vuote e prive di vita in un soggetto che ha perso la carità, che prima aveva. Le opere buone, ma morte, sono quelle opere che l’uomo fa in stato di peccato mortale senza la grazia e senza la carità. Anche l’atto di fede è vuoto, informe e “morto” senza la carità operosa. 
Le opere mortificate possono riassumere la loro vita quando torna la carità,  ma  le  opere  morte  che  non  procedono  dalla  carità,   non possono procedere da essa quando il soggetto ne è nuovamente rivestito. La vita delle opere buone è il loro principio, cioè la carità.[70]
La fede costituisce un vero e proprio abito di virtù e il suo atto, essendo un atto del libero arbitrio, è un atto pienamente umano. Se questo atto umano buono procede dalla carità, allora si tratta di un’opera viva, di un merito de condigno della vita eterna. La giustificazione di un adulto capace della mozione attuale del libero arbitrio non avviene mai senza un’opera buona (anzi, senza più opere buone, in quanto l’atto di fede è accompagnato da atti di altre virtù), un’opera viva di vita spirituale soprannaturale, un’opera meritoria della beatitudine eterna.
Nella considerazione del merito stesso bisogna distinguere due aspetti: la grazia e la carità, da cui da una parte l’opera procede e dall’altra procede la quantità dell’opera stessa. Tra questi due aspetti il primo prevale nettamente sull’altro e gli è dovuto il premio essenziale, cioè la stessa fruizione di Dio, mentre all’altro è dovuto il premio accidentale, consistente nella fruizione delle creature. La carità infatti come principio e radice del merito è più importante della quantità sia assoluta sia proporzionale dell’opera buona, perchè la carità ordina tutto a Dio come fine ultimo soprannaturale e rende tutti gli atti più spontanei e più volontari.[71]
Questo però non significa che la quantità del merito dipenda principalmente dall’intenzione di volere o di operare il bene, perchè l’intenzione può rimanere puramente velleitaria o realizzare solo una parte del bene intento.[72]  Per l’atto meritorio si richiede un vero e proprio atto umano sia interiore sia esteriore procedente dalla grazia santificante e dalla carità. Questo poi è proprio il caso della fede giustificante, il cui atto è un vero atto umano formato dalla carità e procedente dalla grazia. Anche se la giustificazione non può essere oggetto del merito, essa comprende sempre in sé delle opere meritorie ordinate all’acquisto della vita eterna.

e.     La certezza della fede.

La fede esclude l’esitazione e il dubbio; essa deve essere sicura, decisa, certa. La certezza però è comune alla fede e alla scienza, ma l’origine della certezza è diversa nell’uno e nell’altro caso. La fede deriva la sua certezza dalla verità suprema di Dio che si rivela, di Dio che non può essere ingannato[73], né può ingannare.
La scienza invece trae la sua certezza dai principi naturali della ragione umana. Per quanto riguarda la causa oggettiva della certezza, si può dire senza dubbio che la fede è più certa della scienza; se invece si considera il dominio soggettivo dell’intelletto sul suo oggetto, allora la scienza che riguarda delle verità proporzionate all’intelletto umano risulta più certa, ma di per sé e semplicemente è più certa la fede.[74] La fede è certa perchè si fonda sulla rivelazione infallibile di Dio. Siccome poi la fede della giustificazione è un fede piena, l’uomo giustificato dovrà sicuramente avere la certezza della fede.
Occorre però distinguere bene tra la certezza oggettiva e quella soggettiva: la prima riguarda l’oggetto della fede, che sono i misteri rivelati; la seconda invece riguarda il vero e proprio atto di fede giustificante. Ora, se si deve essere certi dell’oggetto della fede, non è detto che si debba essere certi anche della propria fede soggettiva e tanto meno si può essere certi della pienezza e “vita” della propria fede, della sua forza giustificante e santificante.
L’atto di fede preso in se stesso come l’atto di una virtù intellettuale è in una maniera intelligibile nel soggetto e quindi si può avere la certezza morale della propria fede, ma non si può avere la stessa certezza per quanto riguarda la carità e la grazia santificante, senza le quali la fede rimane informe, vuota, “morta” ed incapace di giustificare. La questione non è allora se qualcuno può conoscere il suo atto di fede, ma se si può avere la certezza del proprio stato di grazia e di carità, che informano la fede rendendola giustificante.
Lo stesso poi si deve dire a proposito della certezza della speranza, che deriva la sua certezza da quella della fede.[75]  La speranza  aderisce con certezza al suo oggetto, ma l’oggetto della speranza non è il possesso attuale della grazia, bensi la possibilità di ottenere dalla misericordia divina il dono della sua grazia e di poter arrivare così alla vita eterna.
La fede e la speranza hanno una adesione certa al loro oggetto e anche soggettivamente si possono conoscere i loro abiti dagli atti[76] , ma la carità non rientra nell’oggetto certo della fede, nè si può essere certi di possederla a causa della somiglianza estrema tra atti di dilezione naturale e di carità soprannaturale. Il possesso soggettivo della carità e della             grazia santificante è e rimane incerto nonostante la certezza della fede e della speranza.
Non è giusto perciò confondere la certezza della speranza e della fede con quella della grazia e della carità. La salvezza individuale come possesso attuale della grazia santificante non fa parte né dell’oggetto della fede nè dell’oggetto della speranza. L’uomo può credere e sperare con certezza di salvarsi se possiede la grazia, ma non può essere certo di possederla effettivamente.[77] 
S. Tommaso non contraddice se stesso quando afferma con chiarezza che la conoscenza del proprio stato di grazia può derivare da una rivelazione privata, ma se deriva da un giudizio naturale, proprio allora non può essere mai certa; al massimo può avere una validità congetturale ricavata da alcuni segni (assenza di un rimorso in coscienza, compiacenza nelle cose divine, ecc.). La rivelazione divina dà una certezza, ma allora si tratta di un dono particolare, che Dio fa eccezionalmente a certi uomini scelti per la loro utilità o per qualche altro motivo a Lui solo conosciuto.[78] 
L’incertezza in cui siamo a proposito del nostro stato di grazia e di giustizia è d’altronde molto proficua per la vita morale, in quanto permette di evitare lo scoraggiamento e la disperazione da una parte[79], nonchè la superbia e la temerarietà dall’altra. Per quanto riguarda la fede giustificante si può dire che non se ne ha generalmente la certezza, in quanto è formalmente giustificante (procedente dalla grazia e dalla carità), anche se se ne conosce l’atto in quanto è atto di fede. (Termine brano di P.Tomas Tyn)





[1] Cf Erasmo, Il libero arbitrio – Lutero, Il servo arbitrio, a cura di R.Jouvenal, Claudiana Editrice,Torino 1984, p.169.
[2] Sviluppo queste considerazioni nel mio libro La liberazione della libertà. Il messaggio di P.Tomas Tyn ai giovani, dove riporto e commento alcuni brani del pensiero di Tomas Tyn, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2008.
[3] Testo tratto dalla Bozza originale della Tesi di Dottorato "L'azione divina e la libertà umana nel processo della giustificazione secondo la dottrina di San Tommaso d'Aquino", testo rivisto con note da P. Giovanni Cavalcoli O.P. (http://www.arpato.org/).
[4]  Cfr. Franz MUSSNER, Der Galaterbrief, in Herders theologischer Kommentar zum Neuen Testament, Herder, Freiburg i. Br.,1974, p.350.
[5]  Cfr. Summa Theologiae III, q.86, a.2 c.a.
[6]  Cfr. D. BAÑEZ, OP, Comentarios inéditos, ed. Heredia, Salmanticae, 1948, III, pp.291 e 293.
[7] Cfr. B. MEDINA, OP, Expositio in I-II, Ventura, Bergomi,1586, (q.113, a.3), p.639 a.
[8]  Cfr. Conradus KOELLIN, OP, Expositio commentaria in I-II, Franciscius, Venetiis, 1589, p.952a e 953a.
[9]  Cfr. Ioannes a Meldula NICOLUCCIO, OP, Tractatus theol. etc., Bononiae, 1695, p.42.
[10] Cfr. Summa Theologiae III, q.86, a.2 c.a. Per quanto riguarda il giudizio sul possibile e l’impossibile cfr. De Pot., q.1, a.4 c.a., dove afferma che rispetto alla natura dell’oggetto sottoposto al giudizio, l'effetto dev’essere giudicato possibile o meno secondo le cause prossime che determinano l'azione della causa remota. Dio può supplire la causalità seconda, ma non può fare che l'effetto della causa seconda le appartenga e allo stesso tempo non le appartenga. Così può creare il calore senza il fuoco, ma non può fare che questo calore prodotto senza il fuoco sia allo stesso tempo prodotto di questo determinato fuoco.
[11] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.5, a.7 c.a.
[12]  Cfr. F. AMIOT, Les idées maîtresses de Saint Paul, in Lectio divina n.24, Cerf, Paris, 1959, p.135.
[13] Cfr. IV Sent. d.17, q.1, a.2, q.la 1 sol.
[14] Cfr. S. BONAVENTURA, Exp. in lib. IV Sent., dist.17, pars 1, art.2, q.3, concl.; In: Opera Omnia, Borde-Arnaud, Lugduni, 1668, t.V, p.217b: “quia praeparatio debet esse secundum convenientiam ad iustificationem, in qua est motus liberi arbitrii et contritio, necesse est quod homo se praeparet motu fidei, et doloris, ita quod gratia inveniat liberum arbitrium in utroque istorum actuum, vel etiam summe paratum ad utrumque, ita quod in eodem instanti paratum sit moveri, in quo gratia advenit”.
[15] Cfr. D. SOTO, OP, De Natura et Gratia, Floravans a Prato, Venetiis, 1584, lib.II, c.1; p.102 a.
[16] IV Sent. d.20, q.1, a.1, q.la 1 sol.
[17] Cfr. I.GONZALEZ DE ALBEIDA, OP, Comment. et disputationum etc., disp.72, sect.4, q.23, a.2; p.229 ab: “actus fidei ea ratione qua est consensus noster liber, conducit ad salutem aeternam: ergo sub ea ratione formali spectatus, est effectus gratiae, et praedestinationis. Patet consequentia : nam, quidquid conducit ad vitam aeternam, datur nobis a Deo gratuito per Iesum Christum”.
[18]  Cfr. Contra Gentes IV, 72, nn.4069-4070.
[19] Cfr. Decr. de iustificatione, c.5, DS 1525.
[20] Cfr. S. AUGUSTINUS, De pecc. merit. et rem. II, 5; MPL 44/154-155: “Adiutor enim noster Deus dicitur (Psal. 61,9), nec adiuvari potest, nisi qui etiam aliquid sponte conetur. Quia non sicut in lapidibus insensatis, aut sicut in eis in quorum natura rationem voluntatemque non condidit, salutem nostram Deus operatur in nobis. Cur autem illum adiuvet, illum non adiuvet; illum tantum, illum autem non tantum ; istum illo, illum isto modo; penes ipsum est et aequitatis tam secretae ratio, et excellentia potestatis”. Per S.Agostino come difensore del libero arbitrio, cfr. O. BARDENHEWER,  Geschichte der altkirchlichen Literatur, Herder, Freiburg i.Br., 19242, Bd.IV, p.507.
[21] Cfr. S.BONAVENTURA, In IV Sent., d.17, p.1, a.1, q.2 ad 1 e ad 3, ed. cit., p.213 a.
[22]  Cfr. Summa Theologiae I-II, q.113, a.3 c.a.: “Deus … movet omnia secundum modum uniuscuiusque: sicut in naturalibus videmus quod aliter moventur ab ipso gravia et aliter levia, propter diversam naturam utriusque. Unde et homines ad iustitiam movet secundum conditionem naturae humanae. Homo autem secundum propriam naturam habet quod sit liberi arbitrii. Et ideo in eo qui habet usum liberi arbitrii, non fit motio a Deo ad iustitiam absque motu liberi arbitrii; sed ita infundit donum gratiae iustificantis, quod etiam simul cum hoc movet liberum arbitrium ad donum gratiae acceptandum, in his qui sunt huiusmodi motionis capaces”. Cfr. Ibid. aa. 6 e 8, IV Sent. d.17, q.1, a.4, q.la 3 sol.; lo schema motore/mobile vi è anche in ALEXANDER HALENSIS, Summa Theologiae, l.3, p.3, i.1, t.1, q.2, c.3, resp.; ed. Quaracchi IV, 1001-2.
[23] Cfr. M. FLICK, L’attimo etc., pp.46-47.
[24] Cfr. a questo proposito l'ottimo lavoro di P. De VOOGHT, La justification dans le sacrament de pénitence d’après S. Thomas d’Aquin, in: Ephemerides theologicae Lovanienses, 1928, pp. 225 ss.
[25] Cfr. Summa Theologiae I, q.105, a.4 c.a.; Summa Theologiae I-II, q.80, a.1 c.a.
[26]  Cfr. Summa Theologiae I, q.106, a.2 c.a.; I-II, q.9, a.6 c.a.
[27] Cfr. De Malo, q.16, a.5 c.a.
[28]  Cfr. Contra Gentes III, 89, nn.2648-2651.
[29] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.109, a.6 c.a., a.9 c.a. (necessità della grazia attuale oltre a quella abituale) e In Rm. IX, lect.3, n.772, per la necessità della grazia attuale per essere protetti dalle tentazioni conseguendo così il dono della perseveranza finale, cfr. Summa Theologiae I-II, q.109, a.10 c.a. Per il ruolo della grazia attuale nella preparazione remota alla giustificazione cfr. R. SCHULTES, OP, Circa doctrinam S.Thomae de iustificatione, p.345 con riferimento in n.1 a IV Sent., d.17, q.1, a.1, q.la 2 sol.
[30] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.113, a.4 c.a.
[31]  Cfr. II Sent., d.26, q.1, a.4 ad 4; d.27, q.1, a.4 ad 1; IV Sent., d.17, q.1, a.3, q.la 3 sol.
[32]  J.M. DE CEA, La fe, causa formal de la justificación; in: Naturaleza y gracia, XXIII, 1976, 1, p.30 / cfr. Anche n.1 / e idem, Fe y justificación en Santo Tomás de Aquino, Madrid, ICCE, 1976, pp.84-85. Cfr. A. DEISSMANN, Paulus, Mohr,Tübingen, 1911, p.98. Secondo il Deissmann per S.Paolo la fede non è un atto dell'uomo, ma di Dio nell'uomo, cosicchè la giustificazione non avviene per mezzo della fede, ma nella fede; la fede è l'esperienza della giustificazione. Evidentemente bisogna aggiungere che se la fede è infusa da Dio ciò non toglie che sia anche un atto veramente umano" .
[33] Cfr. F. MUSSNER, Der Galaterbrief, p.170. La fede giustificante secondo S.Paolo è anche “fides historica”, “credere in”, “sapere”. Nella letteratura patristica la somiglianza a Dio avviene con la “gnosis”, cfr. S. BASILIUS, Liber de Spiritu sancto,1,2; MPG 32, 69 B.
[34] Cfr. S.Tommaso, In Rm. III, lect. 3, n.302; In Hebr. III, lect.3.
[35] Cfr. Summa Theologiae II-II, q.16, a.1 ad 1; In Gal. III, lect. 4, n.142.
[36] Cfr. III Sent. d.23, q.2, a.2, q.la 2 ad 5: “Illa quatuor pertinent ad fidem secundum ordinem ad voluntatem … voluntas autem est finis; et ideo ista quatuor distinguuntur secundum ea quae exiguntur ad consecutionem finis”.
[37] (Cfr. H. KÜNG, Rechtfertigung, p.246 con riferimento a S.Tommaso, in Rm. 4,5: “Ex eo enim, quod credit in Deum iustificantem, iustificationi eius subiicit se, et sic recipit eius effectum”.
[38] Ovviamente è un falso ecumenismo. Nota mia
[39] Cfr. O.-H. PESCH, Die Theol. d. Rechtf. etc., pp.723, 728, 733-734, 736 con particolare riferimento a S.Tommaso, In Rm. 8,30 dove la fede viene descritta come “mentis esse instinctum, quo cor movetur a Deo”.
[40] Cfr. CONCILIUM TRIDENTINUM, DS 1536, cfr. anche 1570, 1571 e 1976, 2001. Il Concilio insegna: “Nemo autem, quantumvis iustificatus, liberum se esse ab observatione mandatorum putare debet … Qui enim sunt filii Dei Christum diligunt: qui autem diligunt eum (ut ipsemet testatur) servant sermones eius / Io. 14,23 /, quod utique cum divino auxilio praestare possunt”.
[41] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.100, a.12 c.a.: “Si vero accipiatur iustificatio pro executione iustitiae, sic omnia praecepta legis iustificabant”.
[42]  Cfr. Summa Theologiae I-II, q.98, a.1 c.a.; In Rm. III, lect.2, n.298.
[43] Cfr. E. KACZYNSKI, OP, La legge nuova, pp.107-108.
[44] Cfr. H.von REVENTLOW, Rechtfertigung im Horizont des AT, p.33: “Ein Miteinander von Zuwendung Gottes und strenger Willinsforderung, das ist der Hintergrund der Frage nach der Rechtfertigung im AT”.
[45] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.103, a.2 c.a.; In Gal. III, lect.4, n.145: “Lex tamen est quoddam effigiatum et effectum ex fide, et ideo comparatur lex vetus ad legem novam sicut opera naturae ad opera intellectus, non quod res naturales intelligant, sed quia aguntur et ordinantur ab intellectu ut fidem consequantur”.
[46]  Cfr. Mc KENZIE, Dictionary, p.742: “Paul … knows that righteousness is observance of the law, morally right conduct (Ro 2,13; 10,5)” e cfr. p.501 con riferimento a Gc 2,8-11; 4,11 ss. e Gv 1,17, dove fondandosi sull’analogia con Es 24,8, dimostra come logos e ?? hanno anche il significato di norma legale.
[47] Cfr. E. KÄSEMANN, An die Römer, Mohr, Tubingen, 19743, p.190; K. KERTELGE, “Rechtfertigung” bei Paulus, Aschendorff, Münster, 1967, pp.202-206 e R. LEMONNYER voce “justification”, DThC VIII/2, col. 2054.
[48] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.106, a.1 ad 3 e q.107, a.1 ad 3; I-II, q.106, a.2 c.a.: “ad legem Evangelii duo pertinent. Unum quidem principaliter: scilicet ipsa gratia Spiritus Sancti interius data. Et quantum ad hoc, nova lex iustificat. … Aliud pertinet ad legem Evangelii secundario: scilicet documenta fidei, et praecepta ordinantia affectum humanum et humanos actus. Et quantum ad hoc, lex nova non iustificat… . Unde etiam littera Evangelii occideret, nisi adesset interius gratia fidei sanans”.
[49]Tale è la tesi di U. KÜHN, Via Caritatis, Vand. &Rup, Göttingen, 1965, p.154 e passim con riferimento a Summa Theologiae I-II, q.100, a.1 c.a.; a.3 ad 1; a.4 ad 1; q.104, a.1 ad 3. Le sue affermazioni sono state riprese da O.-H. PESCH,  Die Theol. d. Rechtfertigung etc., pp.418-424, nn.33-35 e 39-40, in quanto favoriscono il punto di vista protestante.
[50] Cfr J.HUBY, S. Paul, Epître aux Romains, Beauchesne Paris, , 19572, pp.114-115 con ricca documentazione di testi antichi.
[51] Cfr. Thomas De Vio CAIETANUS, OP, Com., t.VII, p.210 e t.VIII, p.122.
[52] Summa Theologiae II-II, q.16, a.1 c.a.
[53] Cfr. A.GOUDIN, OP, Tract. theol. etc., Peeters, Lovanii, 1874; t.II, p.61 con riferimento a Summa Theologiae I, q.109, a.3 ad 1.
[54] Cfr. S. Tommaso, in 1 Tim.1,8 cit. da H. KÜNG, Rechtfertigung, pp.244-245.
[55] Cfr. C. SPICQ, OP, Agapé dans le NT, Gabalda, Paris, 1959 ; II, pp.169-171.
[56]  Cfr. D. SOTO, OP, De natura et Gratia, p.122: “Nos autem … defendimus quod apprehendere est actus credendi, sperandi et diligendi per detestationem peccatorum, praeveniente afflatu et ope divina disponi, parari, trahi, venire et converti ad suscipiendum gratificantem gratiam. Ita ut fides non solum post gratiam, sed in receptione ipsius gratiae per actum dilectionis operetur”.
[57] Cfr. R. LEMONNYER, voce “justification”, DThC VIII/2, col.2066: “Inacceptable, la formule per fidem solam ne l'est proprement qu’au sens luthérien”.
[58] Non c’è dubbio che per Lutero l’atto di fede è un atto umano. Il problema è come egli concepisce l’atto umano di fede, che per lui è un volere che non suppone un intendere, ma che – secondo il modello occamistico – la produce. Nota mia.
[59] Cfr. A. GOUDIN, OP, Tract. theol.etc., II, p.181 con riferimento a Summa Theologiae I-II, q.109, a.3.
[60] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.113, a.4 ad 1: “motus fidei non est perfectus nisi sit caritate informatus: unde simul in iustificatione impii cum motu fidei est etiam motus caritatis”.
[61] Per Lutero la fede basta, perché per lui non è un semplice atto dell’intelletto,ma è occamisticamente un volere produttivo del vero. Nota mia.
[62] Cfr. De Verit., q.28, a.4 c.a. dove S.Tommaso conclude così: “Sic ergo liberum arbitrium in iustificatione impii movetur in Deum motu fidei, caritatis et spei: oportet enim iustificatum in Deum converti amando ipsum cum spe veniae. Et haec tria computantur pro uno motu completo, in quantum unum includitur in alio, denominatur tamen iste motus a fide, eo quod virtute continet in se illos motus et in eis includitur”.
[63]  Cfr. Contra Gentes III, 153, nn.3250-3251 e De Verit. q.28, a.4.
[64]  Comunione. Nota mia.
[65]  Cfr. Summa Theologiae I-II, q.65, a.5 c.a.
[66]  Cfr.  Summa Theologiae II-II, q.2, a.9 c.a. e ad 1.
[67] Cfr. KÜNG H., Rechtfertigung,  p.246 con riferimento. a In Rm. 4,5 : “Ex eo enim, quod credit in Deum iustificantem, iustificationi eius subiicit se, et sic recipit eius effectum”.
[68] Summa Theologiae III, q.89, a.4 c.a.: “Effectus … operum virtuosorum quae in caritate fiunt, est perducere ad vitam aeternam”. Per la reviviscenza delle opere “morte” cfr. ibid., a.5 c.a.
[69] Cfr. a questo proposito BAÑEZ comm. II-II, q.24, a.6 e B. MEDINA, OP, comm. I-II, q.63, a.4, cit. da DUMMERMUTH, S.Thomas et doctr. Praemotionis phys., p.294; cfr. anche VAN DER MEERSCH in DThC VI/2, col.1629 ss.. Il GAETANO, in I-II, q.111, a.2; VII, p.319 (IV) dice che il merito della fede nella prima accettazione della grazia santificante proviene dalla grazia abituale operante attualmente, introdotta con la grazia attuale. In un secondo momento l’atto della fede sarà imperato dalla grazia già conseguita come abito e pertanto procederà da essa come dalla grazia cooperante.
[70]  Cfr. Summa Theologiae III, q.89, a.6 c.a.
[71] Cfr. Summa Theologiae I, q.95, a.4 c.a. e I-II, q.114, a.4 c.a.
[72] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.19, a.8 c.a.
[73] Non si inganna. Nota mia.
[74]  Cfr. In Ioan. IV, lect.5, n.662; Summa Theologiae II-II, q.4, a.8 c.a.
[75] Cfr. Summa Theologiae II-II, q.18, a.4 c.a.; ad 2 e ad 3; III Sent. d.26, q.2, a.4 c.a. e ad 5; a.5, q.la 4 sol.; Summa Theologiae I-II, q.40, a.2 ad 2 dove S.Tommaso definisce la fiducia come l'atteggiamento dell’appetito procedente dalla conoscenza che si può conseguire il bene desiderato e dalla convinzione di conseguirlo di fatto (S.Tommaso dice “credit se adepturum”, ma dal contesto appare che questo “credere” deve essere inteso di una “fede” o convinzione puramente umana. Si tratta di una analisi “psicologica” della “fiducia”).
[76] Cfr. CAIETANUS, in I-II, q.112, a.5; VII, p.327 (II): “ex actibus gratiae, quamvis homo putet se esse in gratia, stat tamen cum formidine partis oppositae; ex actibus vero fidei homo credit absque formidine alterius partis, se habere fidem, sicut etiam credit alia credita”.
[77] Questa precisazione è doverosa davanti a certi tentativi troppo affrettati di avvicinamento tra S.Tommaso e Lutero, nei quali non poteva mancare la volontà di attribuire a S,Tommaso la “fiducia” luterana identificandola con la sua certezza della fede e della speranza. Cfr. S. PFÜRTNER, Angoisse et certitude de notre salut, Centurion, Paris, trad. dal tedesco, 1967, passim e sopratutto p.77; PESCH, Die Theol. Der Rechtf. etc., p.755.
[78] 174) Cfr. Summa Theologiae I-II, q.112, a.5 c.a.; I Sent. d.16, q.1, a.1 ad 5.
[79] Perché si confida nella divina misericordia. Nota mia

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