Il moto del libero arbitrio nella giustificazione
Un testo di Tomas Tyn
Mia introduzione: la liberazione della libertà
Chiunque commette il peccato è
schiavo del peccato
Gv 3,34
Libero
arbitrio e libertà
Nella
secolare discussione con i luterani non sempre si è messa in luce una
distinzione fondamentale fra il libero arbitrio, come proprietà della volontà e
la libertà dal male, che viene donata alla stessa volontà da Cristo nello
Spirito Santo, e che ci costituisce figli di Dio.
Certamente
Lutero non si è espresso bene nel proclamare inesistente il libero arbitrio,
tanto da meritare la condanna del Concilio di Trento. Tuttavia, quello che a
lui stava a cuore non era tanto affermare o negare l’esistenza del libero arbitrio
come facoltà del volere, quanto piuttosto ricordare come nello stato di natura
decaduta l’uomo è schiavo della concupiscenza e del peccato, per cui, se non
agisce mosso dalla grazia, tutto il suo libero arbitrio non gli serve a nulla.
Non è quindi che Lutero volesse sostenere che
l’uomo peccatore è privo del libero arbitrio come le bestie. Bisognerà
attendere la dottrina di Freud per sentire una bestialità del genere. A Lutero
preme asserire che l’uomo schiavo del peccato avrà pure il libero arbitrio, ma
non possiede quella somma e divina libertà, che invece ci è assicurata dalla
grazia di Cristo. L’arbitrio umano è libero psicologicamente, perché così è
creato da Dio, ma è servo moralmente, in quanto si trova nel peccato, privo
della grazia.
Tuttavia,
Lutero nel De servo arbitrio è troppo
rigido nell’affermare lo stato di schiavitù del libero arbitrio, come se esso non potesse volgersi al bene per
tutta la vita presente. Per converso, esagera la libertà del cristiano nel suo
libro che porta questo titolo, come se fin da adesso il cristiano potesse
godere in pienezza di quella libertà dal male, che Cristo ci dona col suo
sacrificio. Invece, in realtà, di questa libertà dal peccato, dalla legge,
dall’ascetica, dalla penitenza e dalla disciplina della Chiesa potremo fruire solo
nella vita futura.
Lutero ha
questi scompensi perchè sbaglia nel comprendere il rapporto fra libero
arbitrio, nella vita presente schiavo del peccato, e liberazione cristiana,
pregustazione della vita futura. Non capisce che la liberazione sana e libera
il libero arbitrio, mentre questo, per la sua peccaminosità, frena la
liberazione cristiana. E ciò a sua volta dipende dal fatto che egli non ha
chiaro come avviene il passaggio, che pur Paolo spiega abbondantemente, dallo
stato presente di miseria a quello finale, glorioso della resurrezione.
S.Paolo infatti
spiega che nella vita presente noi siamo bensì oppressi dalla concupiscenza, la
carne si ribella allo spirito, dobbiamo lottare contro le potenze del male,
dobbiamo sforzarci e faticare nell’obbedire ai comandamenti e ai legittimi
pastori, dobbiamo far penitenza, dobbiamo rinunciare a molte cose, cadiamo
sempre nel peccato.
Tuttavia, già
da adesso inizia il processo di liberazione inaugurato dal battesimo, per il quale
abbiamo sepolto l’uomo vecchio per assumere l’uomo nuovo, cominciamo a risorgere
dalla morte e dal peccato, siamo nuova creatura, obbediamo spontaneamente e
gioiosamente alla legge, gustiamo le primizie
e la caparra dello Spirito, lo spirito si riconcilia con la carne, siamo mossi
dallo Spirito Santo, godiamo della libertà dei figli di Dio, ma per adesso solo
allo stato iniziale e non ancora in pienezza.
Invece
Lutero, da una parte esagera l’attuale stato di schiavitù, come se il libero arbitrio
non potesse fare nulla di buono, mentre dall’altra esagera lo stato di figli di
Dio e dell’«uomo nuovo», come se ci fosse concesso adesso di fare tutto quello che
vorremmo, sotto pretesto che siamo liberi dalla legge e mossi dallo Spirito.
Ricordiamo peraltro che lo schiavo non perde il
libero arbitrio, perché esso emana dalla natura umana, che non può perdere le
sue proprietà essenziali. Per questo, anche un dannato dell’inferno possiede il
libero arbitrio. Altra cosa invece è la libertà dei figli di Dio, che ci viene dalla
grazia. E questa certamente è perduta col peccato, benchè il peccatore conservi
il libero arbitrio.
Lutero dice
che abbiamo perso il libero arbitrio perché lo confonde con la libertà. Ma l’uomo schiavo del peccato non perde il suo libero arbitrio,
ma gli manca la libertà di figlio di Dio. Esistono dunque due livelli di libertà:
uno che proviene dalla forza umana, ed è il libero arbitrio; ed una libertà che
viene dall’alto, che è dono della grazia. Dio libera l’uomo rendendo veramente
libero il libero arbitrio, ossia elevato alla vita della grazia e libero dal
male.
Tuttavia, il
Concilio di Trento riconosce che il libero arbitrio dopo il peccato originale non
è estinto, ma indebolito, per cui l’uomo, senza la grazia non riesce a liberarsi
dal peccato e a cercare Dio, e anche con la grazia l’uomo stenta a dominare le passioni,
a correggere la volontà nella sua
tendenza al peccato, non è mai del tutto padrone di se stesso, deve lottare continuamente
contro la concupiscenza, deve continuamente purificarsi dal peccato e praticare
una vita ascetica e penitente. Resta sempre tuttavia che la volontà è libera per
sua natura, ossia è sempre capace di mutare da cattiva a buona, di scegliere e padroneggiare i suoi atti, e
non può essere fisicamente necessitata o subire violenza o costrizione.
Come mostra
bene Padre Tyn, solo Dio, creatore del volere umano, può muovere il volere umano,
lasciandolo libero, anzi proprio costituendolo nella sua libertà. Se diciamo
che una persona è costretta da qualcuno a fare o non fare qualcosa, vuol dire che
la fa o non fa malvolentieri, perchè minacciata, impaurita, oppressa o sedotta
da qualcuno, ma se la fa o non la fa, la fa sempre o non la fa, usando il libero
arbitrio.
In questo
caso sarà scusata se compie del male, dato che non ha agito con piena libertà. Una
volontà debole può cedere a una passione forte, per esempio il piacere, l’ira o
la paura, fino al punto che il soggetto del tutto accecato o dominato dalla
passione, può compiere atti dei quali non è responsabile, perché non liberamente
voluti, ma causati dalla passione.
In questi casi,
anche se il soggetto obbiettivamente pecca, la colpa cala e può calare fino al
punto che il soggetto, non conscio o non padrone di quello che fa, resta innocente.
Il demente, il neonato o il dormiente non hanno l’uso del libero arbitrio, ma lo
posseggono inevitabilmente come potenza della volontà. Anche lo schiavo mantiene
l’esercizio, seppur limitato, del libero arbitrio, benché sia limitato o
impedito dall’esterno nei suoi movimenti e non possa fare ciò che vorrebbe. La
volontà interiore resta libera, anche se il soggetto è esternamente bloccato da
tutte le parti.
Un
fraintendimento circa la Confessione
Una cosa che
ci fa capire l’idea luterana del libero arbitrio è un dato della sua vita
morale. Egli, da giovane monaco, nelle
sue scelte non si sentiva mai sicuro di aver fatto bene e di essere gradito a
Dio. Gli sembrava che il ritenersi a posto davanti a Dio fosse una presunzione,
una mancanza di sincerità e di umiltà. Non riusciva a sperimentare la pace
della coscienza fondata sulla certezza di essere stato perdonato da Dio e di
averGli obbedito con le buone opere.
Anche la
pratica della Confessione non gli dava pace. Si sentiva sempre tormentato dal
dubbio di essere in colpa, di non aver fatto tutto quello che avrebbe dovuto o
potuto fare e di non essere gradito a
Dio. Da qui nasce la sua convinzione che il libero arbitrio opera sempre il
male. Gli sfuggiva, forse sotto l’influsso della gnoseologia di Ockham, la vera
natura del libero arbitrio, che invece comporta, come spiega bene Padre Tyn, il
dominio della volontà sui propri atti, basato sulla universalità del sapere
razionale, si tratti di agire bene o agire male, di agire o non agire o di fare
questo o quello. Invece sappiamo come il concetto occamista della ragione sia
infetto di volontarismo e individualismo.
L’incertezza
del sapere razionale portò Lutero all’incertezza della volontà. Non avendo egli
coscienza del fatto che la volontà è padrona dei suoi atti, egli non riflettè sul
fatto che, se io voglio quel dato bene, che son certo esser bene, nessuno può impedirmi
di volerlo e sono certo di volerlo. Il che dimostra semplicemente che il libero
arbitrio, nonostante il peso del peccato, è capace di volere il bene.
Certamente, alla
fine anche per Lutero il libero arbitrio può volere il bene: non da sé, però, ma
in quanto sanato dalla grazia. Così similmente Lutero fa bene a trovare la certezza
conoscitiva nella fede. Ma non tiene conto che se questa è possibile, è perchè preliminarmente
esiste la certezza della ragione. E così pure, se il libero arbitrio è sanato dalla
grazia, è perché esso già da sè, benché imperfettamente, può compiere qualche bene.
Si aggiunga
che Lutero non seppe apprezzare il sacramento della Penitenza. In linea di
principio, la pratica del sacramento della Penitenza, per l’anima umile, pia,
religiosa e assetata di perfezione, è sorgente di pace, forza e consolazione,
dà il piacere di sentirsi all’ombra di un padre, assistiti e curati da un buon
medico, stimolati dal suo buon esempio, illuminati da un saggio maestro, che ci
ispira fiducia, valutati da un giudice giusto e misericordioso, consigliati e confortati
da un amico, custode dei nostri segreti, sopportati da una persona paziente. È
possibile che Lutero non sia stato fortunato nel trovare il Confessore giusto.
In ogni caso a me pare che l’origine del luteranesimo la si potrebbe trovare in
un malinteso relativo alla Confessione.
Bisogna
comunque dire, e qui andiamo incontro a Lutero, che è vero che in fin dei conti
dobbiamo metterci a tu per tu davanti a Dio. E qui S.Agostino insegna. Dobbiamo
metterci in ascolto della sua Parola nella Sacra Scrittura e trattare direttamente
con Lui, che ci parla nella nostra coscienza. Infatti Dio può suggerirci idee,
azioni, scelte o missioni fatte apposta per noi o anche novità inaudite, eppure
ricavate dalla Scrittura, che però finora nessuno aveva compreso e che altri, anche santi, per la loro
novità, che può sembrare scandalosa, non capirebbero.
Lutero
sarebbe stato un caso del genere, se a un certo punto, sotto pretesto di essere
ispirato dallo Spirito Santo, e preso da insensata presunzione e rancore contro
il Papa, non avesse preteso di correggere il Magistero della Chiesa, laddove
esso si era già espresso nell’interpretazione della Scrittura, come per esempio
circa l’esistenza del libero arbitrio.
Occorre
altresì ricordare che Lutero, ancora monaco, fraintese completamente il valore della
Confessione, arrivando ad affermare che la «tirannia papale, con falsi timori tormenta
le anime e le uccide e sottopone il corpo a varie macerazioni». In tal modo il
Papa «non sottomette i cuori, anzi li eccita ancora di più all’odio di Dio e
degli uomini. Ed è invano che impone ai corpi crudeli mortificazioni: non
riesce ad altro che a fare degli ipocriti»[1].
Lutero non
riuscì a riconoscere il sacramento della Penitenza nella sua preziosa funzione
formativa alla santità, come fattore di guarigione, purificazione, progresso
morale e spirituale e come incentivo al libero arbitrio a liberarsi progressivamente,
con l’aiuto della grazia, dalla tendenza a peccare, per aumentare progressivamente,
sotto l’influsso della grazia, le forze
buone che gli sono rimaste dopo il peccato originale, così da dedicarsi costantemente
alla correzione delle tendenze viziose ed all’acquisto delle virtù naturali e soprannaturali,
recuperando l’innocenza genesiaca ed anticipando l’uomo della resurrezione.
Padre Tyn nella sua tesi mostra bene questa parte indispensabile che il libero arbitrio
è chiamata a fare nel cammino della salvezza in collaborazione con la grazia.
Possiamo
pensare che la reazione abnorme di Lutero nei confronti della Confessione, dove
trova tormento anzichè trovare pace, possa avere una sua causa teoretica nel fatto
che egli nella formazione occamistica che aveva ricevuto non aveva risolto il problema della certezza. Come in Ockham, manca
infatti in Lutero una gnoseologia della certezza razionale e metafisica. E per
conseguenza, manca la certezza morale.
Il bisogno
di certezza, allora, non è soddisfatto dall’intelletto, ma dalla volontà. Il
senso di colpa provato da Lutero, quindi, non è dato da un ponderato giudizio
dell’intelletto, ma da un’emotiva inquietudine del volere, che Lutero prende
per dato di fede – la concupiscenza conseguente al peccato originale - , male
interpretando S.Paolo. Ecco la dottrina del servo arbitrio: la volontà è sempre
in peccato.
Occorre
ricordare a questo punto che Lutero ancora monaco, come egli stesso racconta, non
si accontentava della certezza della buona coscienza e pretendeva una certezza suprema
ed assoluta, di fede, che venisse da Dio, per rivelazione divina. Ma in questo campo
della propria situazione soggettiva davanti a Dio, come precisò il Concilio di Trento
(Denz.1540), una certezza assoluta non ci è consentita e bisogna accontentarsi
di una probabilità o congettura per mezzo di segni.
Invece, per
avere questa certezza di innocenza e speranza di salvezza, Lutero, nella famosa
«esperienza della torre» del 1515, si convinse fermissimamente che Cristo gli
avesse promesso di salvarlo, ordinandogli di confidare unicamente e comunque
nella sua misericordia, indipendentemente dalle opere del suo libero arbitrio,
che secondo lui erano tutte malvagie.
Si convinse
che c’era un’unica scelta da fare, un’opzione fondamentale e decisiva: quella
di credere fermissimamente nella propria salvezza ad opera di Cristo. Per cui si
convinse che per tutto il resto – i comandamenti della legge naturale ed
evangelica e le leggi della Chiesa – si poteva regolare come meglio credeva,
senza la pretesa di certezze e di essere comunque nel giusto, al che doveva
bastare la promessa di Cristo di salvarlo.
Lutero ha così
buon gioco contro Erasmo, che voleva convincerlo dell’esistenza del libero
arbitrio, ponendosi solo sul piano naturale e psicologico. Lutero non discute
su questo, tanto è vero che egli non ha difficoltà a riconoscerne la necessità
per il buon andamento degli affari e degli obblighi terreni.
Se quindi Lutero
parla di «servo arbitrio» è solo in relazione al problema della salvezza, e si riferisce
alla schiavitù del peccato, della quale parlano Cristo e S.Paolo al suo seguito
(Rm 7,14). Il problema di Lutero non è se esiste o non esiste il libero arbitrio,
ma è il problema squisitamente cristiano della
liberazione del libero arbitrio dal peccato ad opera della grazia di Cristo in vista
della vita eterna.
L’errore di
Lutero, però, che gli verrà contestato dal Concilio di Trento, è il credere che
il libero arbitrio nella vita presente resti comunque sempre in stato di peccato
mortale, nonostante la presenza della
grazia, il che è un’evidente assurdità, come sottolinea e dimostra Padre Tyn con
tutti i critici di Lutero da cinque secoli a questa parte.
Ma la cosa
può avere forse una spiegazione. Purtroppo Lutero, col termine «peccato», confonde
due cose, che invece, come preciserà il Concilio di Trento (Denz.1515), vanno
ben distinte: un conto è il peccato nel senso di peccato in
atto o stato di peccato, peccato che è tolto o cancellato dalla grazia; e
un conto è la tendenza o inclinazione a peccare,
cioè la concupiscenza, la quale effettivamente perdura per tutta la vita presente,
anche nei più santi, esclusa la Madonna, la quale concupiscenza in questo senso
resta anche quando il soggetto non pecca ed è in grazia e – precisa il Concilio
(Denz.1537) -, se la grazia non può coesistere col peccato mortale, non è tolta
dal peccato veniale.
Lutero
comprende bene d’altra parte che la libertà cristiana non è conquista del
libero arbitrio, ma dono di Dio mediante la fede. La libertà cristiana non è un
liberarsi prometeico, come sostengono gli umanesimi atei, panteisti e liberali di
oggi, ma è un esser liberati da Cristo per diventare figli di Dio mossi dallo Spirito Santo.
Tuttavia
Lutero è talmente preso dalla sua visione del libero arbitrio come schiavo del peccato,
che non riesce a comprendere come il libero arbitrio, creato da Dio nell’uomo,
affinchè operi nell’obbedienza alla legge divina in vista del conseguimento di
Dio, sia in se stesso per natura inclinato al bene; e se opera il male, ciò
avviene accidentalmente, perché sa alternare azioni buone ad azioni cattive.
Lutero ha
indubbiamente ragione, quando dice che, nella natura decaduta conseguente al
peccato originale, il libero arbitrio, avendo perduto la grazia ed essendo inclinato
al peccato, non riesce da sè a sollevarsi dalla sua miseria e, senza la grazia,
non può pentirsi, obbedire alla legge divina e andare efficacemente a Dio.
La
questione del merito
Quello che Lutero
non comprende è che il libero arbitrio, mosso dalla grazia, può operare il bene
meritando il premio celeste. Egli, infatti, come è noto, respinge la nozione
del merito, che invece è una nozione fondamentale della morale sia naturale che
cristiana, inteso come il diritto al premio per il compimento di una buona
azione. Merito naturale nell’etica naturale e merito soprannaturale nella
condotta cristiana. Padre Tyn si sofferma a lungo sul concetto del merito come
effetto del libero arbitrio.
Naturalmente
qui si tratta di un merito soprannaturale, dono di Dio, giacchè sarebbe assurdo
ipotizzare che un merito naturale possa avere per oggetto un premio
soprannaturale. Dispiace peraltro l’atteggiamento di disprezzo del merito contenuto
nel documento sulla Giustificazione del Consiglio per l’unità dei cristiani del
1999, dove si respingono in un’unica condanna i due livelli del merito, mentre sarebbe
secondo me auspicabile, dopo 500 anni dall’inizio della Riforma luterana e 60
anni di ecumenismo, che i cattolici, invece di cedere all’errore, ottenessero una buona volta dai fratelli separati
il riconoscimento che l’andare in paradiso dobbiamo meritarcelo con le buone
opere fatte in grazia. Presentarsi a Dio
«a mani vuote» per la Scrittura (Es 23,15) non è umiltà o fiducia nella misericordia
divina, ma è fare gli scrocconi e credere di farla franca con Dio.
Lutero male
interpreta S.Paolo quando dice che «tutti sono giustificati gratuitamente» (Rm
3,24) per escludere la necessità dell’acquisto di meriti ottenuti con la pratica
delle buone opere mediante l’esercizio del libero arbitrio. Egli gioca sul
fatto che un bene non può essere simultaneamente ricevuto per grazia ed
acquistato per meriti, trascurando il fatto che al fine del raggiungimento del
regno dei cieli agiscono precisamente due fattori: il fattore umano, ossia
l’esercizio del libero arbitrio come messa in pratica dei comandi del Signore;
per cui sotto questa angolatura il regno appare come oggetto di nostra
conquista e compenso per le nostre fatiche; e il fattore divino, che concerne
il regno in ciò che non può essere oggetto di nostra conquista, ma per la sua
trascendenza, è puro dono gratuito del suo amore, che sostiene le nostre
fatiche e le fa giungere a buon fine.
Dice infatti
Lutero: «che cosa significa “gratuitamente”? Che cosa vuol dire “per la sua grazia”?
Come possono andar d’accordo sforzo e merito con il dono gratuito? ... Infatti ciò che si vuole dal libero
arbitrio è che permetta di riconoscere un posto al merito. Ed è proprio questo che
Erasmo non ha cessato di chiedere: se non ci fosse libero arbitrio, come
potrebbero esserci ricompense? E dove andrebbe a finire la ricompensa se si può
essere giustificati senza meriti?».
Lutero
risponde appellandosi a Paolo, ma invano, perchè lo fraintende. Dice
infatti: «Paolo risponde dicendo che non
c’è merito, ma che tutti quelli che sono giustificati lo sono gratuitamente e che
ciò dev’essere attribuito alla sola grazia di Dio». Secondo Lutero, quando Paolo afferma che i peccatori «sono giustificati
gratuitamente , senza le opere della legge», intenderebbe dire che «tutte le
opere sono condannate».
Lutero non
considera che dal contesto dell’insegnamento paolino emerge con chiarezza che a
Paolo non passa minimamente per la mente di esaltare la gratuità della
giustificazione e sottolineare l’insufficienza della legge per negare il libero arbitrio e la necessità
delle opere e dei meriti, ma per opporsi a quei Giudei che ritenevano che per
salvarsi non c’è bisogno della grazia di Cristo, ma basta obbedire alla legge
di Mosè.
Basta infatti
scorrere le sue Lettere per accorgersi del fatto che Paolo sostiene che noi
siamo «collaboratori» dell’opera della grazia. Da qui 1. le frequenti
esortazioni, ordini, richiami, avvertimenti, lodi e rimproveri, elenchi di
virtù e vizi; l’impostazione ascetica ed agonistica della morale cristiana; 2.
la prospettiva, l’attesa e la tensione
verso il premio celeste, la «corona di giustizia» sono chiarissime.
Tutto ciò
evidentemente suppone la chiara coscienza dell’esistenza del libero arbitrio, nonché
della necessità delle opere e del merito, tutte cose sulle quali appunto Paolo
fa leva per incitare i discepoli alla ricerca della perfezione ed all’acquisto
della salvezza.[2]
Il moto del
libero arbitrio nella giustificazione
Testo di
Tomas Tyn[3]
A.
Il ruolo
generale del libero arbitrio nel moto verso la giustizia.
1. La necessità del moto del libero arbitrio nella giustificazione.
San Paolo
descrive le cause della giustificazione nella sua lettera ai Galati (5,5): “Noi
infatti per virtù dello Spirito, attendiamo dalla fede la giustificazione che
speriamo”. Vi sono quindi due agenti che operano in noi la giustificazione - lo
Spirito (Pneuma) e la fede (ek pisteos). “Lo Spirito” indica tutto
ciò che Dio fa in noi e la “fede” indica quello che deve fare l’uomo per
conseguire la giustificiazione.[4] Queste due realtà si richiamano a vicenda, ma
non sono sullo stesso piano, in quanto l’azione e la “virtù” dello Spirito
causa lo stesso atto di fede, il quale però a sua volta, pur essendo causato da
Dio, è un atto veramente e propriamente umano.
La Sacra
Scrittura ci insegna che nella giustificazione avviene qualcosa da parte di Dio
e qualcosa da parte dell’uomo e ciò che l’uomo fa è a sua volta pienamente
coinvolto nell’azione divina.
La fede è un passo indispensabile che l’uomo
deve fare per andare incontro a Dio nella giustizia. Dio infonde la grazia, ma
infondendola muove il libero arbitrio dal peccato alla giustizia e questo movimento deve corrispondere alla
natura del libero arbitrio ed essere per conseguenza libero. Il moto del libero
arbitrio dalla parte dell’uomo fa perciò parte dell’essenza stessa della
giustificazione. Questo atto propriamente umano premosso da Dio e sostenuto
dalla sua grazia, risulta necessario affinchè l’uomo possa passare dallo stato
del peccato allo stato della giustizia e della grazia abituale. Senza il moto
del libero arbitrio da parte dell’uomo, non vi può essere giustificazione.
Presto però
sorge nella discussione teologica la questione se Dio si serve del moto del
libero arbitrio solo nell’economia presente, cioè de potentia ordinata, secondo il suo progetto attuale, per il quale
Egli governa tutte le cose con forza, ma anche con soavità, oppure se il moto
del libero arbitrio è necessario anche de
potentia Dei absoluta, cioè in un modo tale che la sua assenza
implicherebbe contraddizione. L’opinione dei tomisti a questo proposito non è
unanime. S.Tommaso stesso infatti metteva in risalto la stretta necessità della
virtù della penitenza nel processo della conversione dell’anima a Dio.[5]
La maggior
parte però con lo stesso GAETANO sostiene la possibilità de potentia absoluta che Dio converta l’uomo senza che egli eliciti
degli atti liberi di conversione. BAÑEZ afferma la necessità del moto libero de potentia ordinata come conclusione
certa e di fede definita (con riferimento al Concilio di Trento); ammette però
anche un altro modo di giustificazione possibile de potentia absoluta criticando la posizione del Gaetano, secondo
il quale la devozione attuale sarebbe richiesta anche nella recezione del
sacramento.[6]
Secondo la
sua teoria, il sacramento supplisce ex
opere operato all’indisposizione del soggetto, mentre nella giustificazione
extra-sacramentale o vi è disposizione sufficiente e allora vi è
giustificazione o non vi è disposizione sufficiente e allora anche la
giustificazione non si realizza. MEDINA[7] si dichiara d’accordo con la tesi del Gaetano
secondo cui Dio de potentia absoluta
può giustificare l’uomo anche senza un
moto attuale della libertà umana.
Il motivo
della sua tesi è che Dio può supplire a tutti i tipi di causalità (dispositiva,
meritoria, efficiente), che potrebbero essere esercitati dal libero arbitrio
nel momento della giustificazione. Il KOELLIN[8]
invece è piuttosto portato ad affermare la stretta necessità del moto attuale
del libero arbitrio in un adulto che ne è capace. Nei bambini la grazia
subentra senza una precedente disposizione nel soggetto, che non ne è capace,
né la esige. Il moto del libero arbitrio non è necessario all’essere della
grazia, ma alla disposizione del soggetto per riceverla.
Si potrebbe
anche pensare ad un caso straordinario della giustificazione, quando questa
avviene in un modo miracoloso come in S. Paolo. Normalmente il soggetto conosce
secondo il tempo una preparazione remota che precede la giustificazione vera e
propria. La giustificazione straordinaria invece non comporta dei moti liberi
precedenti la giustificazione stessa, ma con l’infusione della grazia si muove
il libero arbitrio e si consegue la remissione dei peccati.[9] Il moto del libero arbitrio apparterrebbe
così all’essenza stessa della giustificazione e quindi sarebbe indispensabile,
ma la preparazione remota, nell’ipotesi di una conversione straordinaria,
potrebbe talvolta essere tralasciata.
Entrambe le
opinioni hanno qualcosa di vero. Bisogna infatti distinguere tra l’essere assoluto
della grazia e il suo essere in un tale soggetto come risultato della
giustificazione. E’ indubbio che Dio può de
potentia absoluta creare la grazia e mantenerla nell’essere anche al di
fuori di qualsiasi soggetto e per conseguenza può a fortiori mantenerla in essere in un soggetto indisposto.
Assolutamente parlando quindi, l’abito della grazia santificante potrebbe
essere creato e conservato da Dio anche in un soggetto non preparato, cioè in
un soggetto che non ha elicitato gli atti richiesti del libero arbitrio sia
precedentemente (preparazione remota), sia simultaneamente (preparazione
prossima ed adeguata).
Un tale
soggetto, però, pur essendo miracolosamente dotato della grazia santificante,
non potrebbe dirsi giustificato nel senso pieno di questo termine, perchè la
giustificazione non richiede solo la presenza assoluta della grazia santificante e della giustizia
soprannaturale, ma richiede che la grazia muova, disponga ed informi questo
determinato soggetto in un modo tale che la giustificazione per essenza sua
dev’essere definita come un vero e proprio moto verso la giustizia.
In questo
moto, la successione secondo il tempo, per la giustificazione strettamente
detta, non è necessaria, anzi è esclusa, ma si richiede un vero e proprio
passaggio da uno stato all’altro e questo passaggio a sua volta implica
necessariamente un soggetto. In questo senso la giustificazione racchiude nella
sua stessa natura il moto del libero arbitrio e se non vi fosse questo, non si
potrebbe parlare della giustificazione senza contraddizione e ai contradittori
non si estende la potenza di Dio come ai non-fattibili.
Questo
sembra corrispondere all’opinione di S.Tommaso, quando afferma che la virtù
della penitenza, come vero e proprio mutamnto della volontà, secondo cui l’uomo
detesta la sua conversione disordinata al peccato e riordina la sua mente in
Dio, è strettamente richiesta per la remissione del peccato mortale attuale.[10]
Può però avvenire che Dio infonda immediatamente la grazia e simultaneamente,
con la stessa infusione, disponga il soggetto umano. Questa sembra essere la
tesi di S.Tommaso, quando afferma che l’uomo potrebbe conseguire la vita eterna
senza alcun atto precedente da parte sua, se Dio volesse concedergliela
disponendolo ad essa nello stesso momento della donazione.[11] Quello che vale per la vita eterna vale
evidentemente a fortiori per la
consecuzione della grazia abituale quale “semen gloriae”. E’ da notare però che
Dio, quando infonde la grazia o la gloria, muta il soggetto disponendolo e
questo non può avvenire senza agire sul soggetto stesso.
A questo
punto potrebbe sorgere la domanda se l’azione immediata di disporre il soggetto
potrebbe essere attivamente solo da Dio con la passività del soggetto, oppure
se è necessario che il soggetto si comporti attivamente nei confronti della sua
propria disposizione. Evidentemente de
potentia ordinata il soggetto è mosso da Dio alla sua propria mozione;
invece de potentia absoluta nulla
vieta che Dio si sostituisca alla mozione del soggetto, sempre postulando che
agisca effettivamente su di esso e in un modo conforme alla sua natura (così si
deve escludere ad es. che Dio possa costringere la volontà libera in quanto
“libertà costretta” è una contraddizione in
terminis e perciò una cosa non fattibile).
Dio potrebbe
produrre il calore in un fuoco che non riscalda attualmente, ma deve produrre
il calore secondo la sua stessa natura e il suo modo di procedere dal fuoco.
Così può produrre un atto libero senza l’attività del libero arbitrio, ma deve
produrlo in esso secondo la sua stessa natura e il suo modo di agire. Siccome
poi l’essenza stessa dell’atto libero è la sua attualità intenzionale, ne segue
che de potentia absoluta Dio potrebbe
sostituirsi all’attività “fisica” del libero arbitrio, ma nondimeno si
richiederebbe che esso sia attivo sul piano intenzionale, altrimenti l’atto
libero prodotto in esso non sarebbe suo. Il libero arbitrio deve essere quindi
attivo sul piano intenzionale per necessità assoluta, e secondo l’ordine
normale delle cose dev’essere attivo anche sul piano fisico in quanto, premosso
fisicamente da Dio, muove se stesso ad agire.
La
necessità della determinazione libera nella giustificazione fonda la
responsabilità umana. Dio coinvolge tutta la nostra vita in un insieme mirabile
di aiuti soprannaturali misteriosi, ma questo non ci può disimpegnare
moralmente, in quanto la grazia può essere veramente nostra solo se noi, mossi
ed aiutati dalla stessa grazia, corrispondiamo alla chiamata divina e ai suoi
doni. Ognuno riceve abbondantemente la grazia sufficiente, ma c’è da temere che
sia “accolta invano” (II Cor 6,1), cioé senza produrre effetti salvifici.
Ciascuno deve “occuparsi della sua salvezza” e deve farlo “con timore e
tremore” (Fil. 2,12), perchè il peccato continua ad insidiare la nostra vita
cristiana.[12]
L’indisposizione
del libero arbitrio potrebbe porre un
ostacolo alla grazia e impedire così la giustificazione. Dio non
costringe nessuno e per conseguenza anche la sua azione sul libero arbitrio non
è violenta e coattiva, ma forte e soave allo stesso tempo. Ciò significa che
l’azione divina nell’uomo non può avvenire solo dal di fuori senza toccarlo
intimamente, nè può realizzarsi senza un contributo da parte del soggetto
puramente passivo, anzi, resistente all’azione salvifica.
La
preparazione a ricevere la grazia è strettamente richiesta da parte del libero
arbitrio, anche se non necessariamente precede la giustificazione secondo il
tempo. La forma può infatti essere tanto intensa da disporre immediatamente il
soggetto e informarlo. Anche negli agenti naturali l’informazione può essere
tanto intensa da preparare il soggetto alla ricezione della stessa forma, ma
siccome gli agenti naturali ricevono le loro forme per espulsione successiva
della forma contraria, la loro disposizione non è istantanea, anche se può
avvenire simultaneamente all’informazione, la quale però a sua volta sarà
successiva e non simultanea. La volontà
invece è un soggetto mobile che di per sè, cioè per la sua stessa natura, si
muove senza successione di tempo in un unico istante. Per conseguenza,
nell’ipotesi che la preparazione avvenga simultaneamente con l’introduzione
della forma, e la disposizione del soggetto e la sua informazione si
realizzeranno in un unico istante senza successione temporale.[13]
Una tale
preparazione simultanea all’infusione attuale della grazia avviene sempre nella
giustificazione della quale fa parte. Si tratta appunto della preparazione
adeguata, detta anche “ultima”, perchè precede
immediatamente la consecuzione della giustizia e della grazia
santificante e a sua volta è preceduta, almeno ordinariamente, da preparazioni
remote non adeguate, ma già ispirate da un aiuto soprannaturale attuale, anche
se insufficiente per trasformarsi in abito, infondendo così la grazia
santificante e informandone il soggetto.
Straordinariamente
la preparazione remota precedente la giustificazione può essere tralasciata,
quando la grazia attuale infonde nella sua stessa mozione l’abito della grazia
santificante disponendo simultaneamente il soggetto e informandolo con la
grazia abituale, previa la distruzione dello stato di peccato ad essa opposto.
Anche S.
BONAVENTURA[14]afferma
che il moto del libero arbitrio (in particolare quello di fede e di
contrizione) appartiene all’essenza stessa della giustificazione, così che la
grazia deve trovare il libero arbitrio già in moto oppure sommamente preparato
a muoversi e questa sarebbe la preparazione remota, mentre il moto del libero
arbitrio nella giustificazione stessa corrisponde alla preparazione ultima ed
adeguata.
Si può per
conseguenza dire con SOTO[15]
che la sentenza comune dei cattolici opposta a quella dei protestanti è la tesi
secondo cui nessuno capace di usare il suo libero arbitrio si può riconciliare
con Dio, se non è preparato a questo per mezzo del libero arbitrio. La forza
con cui Dio agisce nell’uomo dandogli la sua salvezza non si esprime mai sotto
la forma della violenza.
Dio
non rifiuta la sua grazia a nessuno di coloro che fanno ciò che è necessario
per prepararsi a riceverla e questa preparazione avviene per mezzo del libero
arbitrio. Siccome poi il libero arbitrio rimane mutevole durante questa vita,
l’uomo, durante la sua esistenza terrena, può sempre tornare a Dio facendo
penitenza dei suoi peccati e credendo con amore alla parola del Signore.[16]
La
preparazione è opera del libero arbitrio, ma non di esso solo, bensì del libero
arbitrio mosso dalla grazia attuale. Gli atti di fede e di contrizione sono
infatti degli atti salvifici e come tali devono essere degli effetti della
predestinazione e della grazia.[17]
S.Tommaso accentua esplicitamente questo aspetto nelle sue opere posteriori,
facendo vedere come la preparazione è e rimane un atto della libertà umana, la
quale però, per poter prepararsi ad un dono soprannaturale, oltre ad essere
naturalmente premossa da Dio, ha bisogno anche della sua grazia attuale, che la
muove e la sostiene. Così avviene evidentemente anche nella preparazione
“ultima”, che fa parte della stessa giustificazione. La grazia infusa infatti muove come grazia
attuale la libertà e questa si prepara a ricevere il dono della grazia abituale
che rimette il peccato e informa l’anima
di una qualità soprannaturale.
Siccome poi
la consecuzione della grazia abituale avviene simultaneamente alla mozione
della grazia attuale e del libero arbitrio, è ovvio che i due moti della
libertà saranno a loro volta informati dalla grazia e dalla carità e per
conseguenza meritori di vita eterna.[18]
Così la preparazione dell’uomo alla grazia è un’opera del libero arbitrio
umano, in quanto è mosso dalla grazia attuale e formato dalla grazia abituale.
I moti del
libero arbitrio seguono pertanto l’infusione attuale della grazia, che causa il moto della libertà e precedono
la consecuzione dell’abito soprannaturale, al quale preparano e dispongono il soggetto.
Nella giustificazione si possono perciò distinguere diverse parti ordinate
secondo un ordine naturale, anche se tutte formano un unico moto istantaneo
senza possibilità di distinguere le parti secondo priorità o posteriorità
temporale.
Il
Concilio di Trento[19]
afferma esplicitamente la necessità della preparazione alla grazia per mezzo
del moto attuale del libero arbitrio in tutti coloro che ne sono capaci. Il
libero arbitrio, precedentemente al suo
moto, è chiamato da Dio e stimolato dalla sua grazia preveniente ed è anche
aiutato nel suo stesso moto dalla mozione soprannaturale della grazia attuale.
Quando però Dio tocca il cuore dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito
Santo, l’uomo stesso riceve attivamente l’ispirazione soprannaturale, cooperando
con essa e mantenendo sempre la capacità di rifiutarla.
La
libertà umana è causa sufficiente del rifiuto della grazia e anche in vista
della consecuzione della grazia, se non è causa sufficiente, è sicuramente
causa necessaria. Il libero arbitrio non è in grado di conseguire con le sue
sole forze la salvezza soprannaturale, ma nella consecuzione della salvezza si
richiede il suo moto attuale di disposizione, di accettazione e di
collaborazione.
Il Magistero
della Chiesa riassume in questo insegnamento ciò che era da sempre l’opinione
comune dei teologi cattolici. Lo stesso S.AGOSTINO, pur avendo una coscienza
molto viva del peccato originale e della miseria dell’uomo nello stato di
natura decaduta, mantiene sempre con fermezza l’esistenza del libero arbitrio e
la sua capacità di volere e di fare qualche bene parziale. Tra gli esseri
irragionevoli e l’uomo creato ad immagine di Dio per mezzo della ragione e
della libera volontà, vi è una notevole differenza. Gli esseri inferiori
infatti non sono capaci della salvezza; l’uomo invece, a causa della sua
somiglianza formale con Dio, può essere elevato all’ordine soprannaturale.
Quando Dio
converte l’uomo a sé, lo muove efficacemente, ma lo muove in un modo differente
dalla mozione degli oggetti inanimati o degli esseri privi di ragione. Dio
opera in noi la salvezza, così che anche noi diamo un contributo attivo a
quell’aiuto che il Signore mette alla nostra disposizione. L’esistenza,
l’intensità e la modalità di questo aiuto non dipendono però dalla preparazione
del libero arbitrio, bensì dall’occulto disegno di Dio.[20]
S.
BONAVENTURA[21]
sostiene una distinzione, fatta già dallo stesso S.Agostino e ripresa dalla
teologia scolastica, tra la produzione effettiva della giustizia e della grazia
e la sua ricezione in un soggetto ben disposto.
Dio causa in
noi efficacemente la grazia e le virtù senza il nostro contributo alla loro
produzione effettiva, ma non senza il nostro consenso e la nostra disposizione
soggettiva. Questo avviene non perché Dio manchi di potenza attiva, ma a causa
della convenienza dell’azione. Dio non fa quel che può, ma quel che conviene ed
è conveniente che la forma sia impressa nella materia in un modo congruo alla
natura della forma imprimente e della materia ricevente. La forma è la giustizia
ed il suo soggetto è la libertà; la materia è la volontà libera nell’agire e
nel ricevere. Pertanto la grazia non viene data se non con l’atto di quella
potenza con la quale essa agisce secondo la sua stessa natura. La grazia
giustificante per natura sua richiede l’atto del libero arbitrio.
S.
Tommaso descrive nelle sue opere giovanili il rapporto tra grazia giustificante
e libero arbitrio come quello tra forma imprimente e materia disposta
ricevente, ma nelle sue opere posteriori, pur mantenendo lo schema precedente
con tutta la sua ricchezza concettuale, lo completa ripensando il rapporto tra
la grazia giustificante ed il soggetto libero giustificato in termini di motore
e mobile, cioè insistendo piuttosto sulla causalità efficiente finale.
In
tal modo la grazia infusa non è solo la forma, ma anche il motore e il libero
arbitrio mosso non è solo la materia disposta, ma anche il mobile coinvolto
nell’azione del movente superiore. In questa prospettiva la causalità del
libero arbitrio non si limita più alla funzione strettamente materiale dispositiva, ma si estende ad una vera e
propria causalità efficiente anche se puramente strumentale e subordinata,
efficiente però non della grazia, ma
della disposizione del soggetto necessaria per la consecuzione effettiva
della grazia abituale.
La
grazia conseguita da questo soggetto sarà poi causa formale rispetto al
soggetto stesso e causa finale prossima rispetto alla causalità efficiente
della grazia attuale, che consiste nell’atto stesso (inteso come mozione
efficace) dell’infusione. In tal modo il Santo Dottore mantiene pienamente le
conclusioni dei suoi predecessori sia dell’epoca patristica (S.Agostino), sia,
tra i suoi stessi contemporanei, dell’epoca scolastica (S.Bonaventura), ma le
ripensa in una maniera nuova e più completa.
Il libero
arbitrio non solo sarà attivo in vista della sua salvezza, ma la sua attività
sarà coinvolta nella stessa attività divina sull’uomo, nella stessa linea di
causalità (cioè quella efficiente), anche se ad un livello diverso, subordinato
e strumentale, imperfetto nella sua stessa strumentalità, in quanto incapace di
agire sulla forma dell’effetto, ma agente efficacemente sulla disposizione
della sua materia.
Secondo
lo schema motore/mobile, il moto del libero arbitrio è richiesto in virtù della
natura stessa del soggetto mosso dalla grazia divina. Ogni cosa infatti è mossa
da Dio secondo la sua natura e la natura dell’uomo è quella di essere dotato
del libero arbitrio. Per conseguenza Dio muovendo l’uomo lo muove in un modo
tale, che l’uomo a sua volta si muova liberamente. Nello stesso atto di
infondere la grazia santificante, Dio muove il libero arbitrio all’atto libero
dell’accettazione.[22]
Questo
vale evidentemente solo per coloro che sono capaci di una mozione simile. Così
ad es. i bambini hanno la libertà virtualmente in virtù della loro
partecipazione alla natura umana, ma non ne hanno l’atto, perchè
individualmente non sono ancora capaci di servirsene. La loro giustificazione
però non richiede un cambiamento di volontà perchè la loro colpa non è
personale, ma naturale. Basta allora che dalla loro appartenenza al vecchio
Adamo siano fatti partecipi di Cristo nuovo Adamo[23]
e le opere di Cristo sostituiscono la mancanza delle loro opere personali.
Rimane però
il problema di uomini adulti con peccati personali impediti attualmente
nell’uso del libero arbitrio. La loro giustificazione sacramentale è possibile
solo se in precedenza hanno dimostrato in qualche modo la volontà di pentirsi,
anche se non si trattava di una contrizione sufficiente per rimettere i
peccati. Il sacramento trova così un
soggetto disposto e agisce in lui con la sua virtù santificante intrinseca
supplendo la mancanza della mozione libera attuale.
Nella giustificazione sacramentale di un uomo
adulto attualmente capace di moto libero, si richiede invece la contrizione
attuale, sia precedente al sacramento stesso (e in tal caso il sacramento
sigilla in un modo specificamente sacramentale la giustificazione già
avvenuta), sia nel sacramento stesso come
suo effetto (contrizione elicita nel momento stesso dell’assoluzione),
sia dopo il sacramento in virtù della grazia sacramentale, quando sopravviene
il moto attuale del libero arbitrio.[24]
Come si vede, S.Tommaso d’Aquino è piuttosto conseguente nell’esigere il moto
del libero arbitrio in vista della giustificazione tanto extra-sacramentale
quanto sacramentale.
2.
Dio muove il
libero arbitrio internamente.
Le potenze
dell’anima spirituale, l’intelletto e la volontà, hanno due principi di
mozione: uno oggettivo di specificazione e un altro soggettivo di esercizio
dell’atto. L’oggetto della volontà è il bene che la attrae come un fine, ma
nessun bene finito è in grado di muovere la volontà sufficientemente. L’unico
oggetto capace di soddisfare le aspirazioni della volontà umana è un bene
concreto infinito, Dio. Questo fatto deriva immediatamente dall’apertura
infinita dell’intelletto e della volontà: l’uomo conosce e desidera non solo
questo o quell’altro bene, ma il bene secondo la sua ragione formale universale.
Questa
universalità dell’oggetto proprio della conoscenza e della volontà umana fonda
l’apertura infinita dello spirito. Lo spirito umano finito secondo la sua
natura è intenzionalmente relazionato ad un oggetto di natura infinita.
Dall’infinità del bene desiderato dalla volontà umana si può dedurre la natura
della causa efficiente estrinseca del moto stesso di volizione. Il bene
infinito che è l’oggetto proprio dell’appetito intellettivo ha sul piano
causale ragione di fine ultimo. Ora, nell’interazione tra le diverse cause, la
causalità finale è in diretta correlazione con la causalità efficiente, in un
modo tale che all’ordine dei fini corrisponde l’ordine delle cause
(efficienti). E’ ovvio che al fine ultimo corrisponde la causa prima e per
conseguenza l’unico motore estrinseco capace di influire efficacemente sul moto
della volontà umana è Dio.[25]
Un’altra prova possibile è quella fondata
sull’analogia con il moto naturale. Le forme naturali agiscono in virtù della
mozione estrinseca di colui che le ha causate. In genere, può causare il moto
di una forma operativa solo colui che ne causa la stessa natura e questo può
essere soltanto Dio. Così, estendendo questo principio anche al moto
volontario, solo Dio che ha causato la stessa natura della volontà ponendola
nell’essere, può causare il suo moto. Non si escludono evidentemente altre
cause estrinseche, che possono influire dal di fuori sul moto della volontà,
come vi possono essere diverse cause naturali particolari, che possono cambiare
il moto naturale di una pietra, ma allora si tratta di cause che non causano,
ma al massimo modificano il moto di una determinata forma operativa e per di
più si tratta di modificazioni esterne di natura violenta.[26]
Il libero
arbitrio non è mutevole di per sè, ma è mutevole il libero arbitrio umano a
causa della natura mutevole in cui si trova (vi è per conseguenza un libero
arbitrio “immobile” in Dio; per “immobile” si intende non attuabile sul piano
fisico, perchè già pienamente in atto) e perciò passa da un atto all’altro, sia
mosso da cause interne di ordine conoscitivo (acquisto di nuove conoscenze
pratiche), sia di ordine volitivo, sia sotto la mozione di una causa esterna
capace di mutare il suo moto e una tale causa può essere solo Dio.[27]
Questo
argomento di S. Tommaso si fonda su di un ragionamento metafisico. Una natura
infatti acquista il suo essere nella creazione, ma anche l’operazione di una
natura finita è acquisto dell’essere accidentale. Per conseguenza la causa
dell’operazione dev’ essere la stessa causa dell’essere della natura, che ne è
il soggetto e solo Dio è la causa dell’essere.
Se Dio è
l’unica causa capace di mutare interiormente il moto volitivo, è altrettanto
vero che la mozione divina si esige per ogni atto della volontà. Dio crea le
cose e conferisce a loro delle capacità operative, in un modo tale però, che
nessuna cosa finita può agire se non in virtù della mozione divina. Oltre a
causare la facoltà di agire, Dio causa anche il suo stesso atto. Ogni mozione
dipende dal primo motore e quello che vale in genere nelle azioni dei corpi,
vale a fortiori nelle azioni
spirituali, dove vi è un ordine ancora più perfetto tra gli agenti. L’azione di
uno spirito finito non può essere causata da esso stesso come da causa
assolutamente prima e perciò bisogna ricorrere ad una causa esterna, che però
dev’essere più perfetta dello spirito finito e questo può essere solo lo
spirito infinito, cioè Dio.[28]
Tutte le
cose si volgono a Dio come fine ultimo, mosse da Dio stesso come primo motore;
nell’uomo però questa interazione tra Dio causa prima e Dio causa finale ultima
assume delle caratteristiche nuove e specifiche. Dio infatti converte a sé gli
uomini giusti come ad un fine ultimo speciale e soprannaturale e per
conseguenza li ama di un amore speciale e superiore all’amore con cui ama
generalmente tutto il creato e li muove con un’azione speciale e soprannaturale
anche nell’ordine di causalità efficiente.
La grazia
attuale poi non si limita all’atto di infusione della grazia abituale, ma si
estende anche all’uso di quest’ultima, come nelle forme naturali Dio con un
atto crea la stessa forma, ma continua a causarne con altri singoli atti le
singole operazioni. Tanto nell’ordine naturale, quanto nell’ordine
soprannaturale vale il detto del profeta Isaia (26,12): “Omnia opera nostra
operatus es in nobis Domine”.[29]
La volontà e
le potenze mosse da essa con i rispettivi abiti possono elicitare i loro atti
solo se Dio muove tutto questo apparato operativo di potenze e di abiti
all’esercizio e all’uso attuale del loro atto. Questo avviene anche a livello
soprannaturale, così che ogni uso attuale della grazia abituale richiama una
mozione soprannaturale della grazia attuale. La volontà formata dalla grazia e
dalle virtù infuse può agire solo se Dio la premuove, tanto nell’ordine
naturale (premozione fisica), quanto in quello soprannaturale (grazia attuale).
B. I due moti specifici del libero arbitrio nella giustificazione.
1. La fede.
a. Necessità della fede nella giustificazione.
Nella giustificazione Dio muove il libero arbitrio convertendolo a Sè e perciò dalla parte del libero arbitrio si tratta di un avvicinarsi a Dio. Siccome poi “senza la fede è impossibile essere graditi a Dio” (Eb 11,6), è certo che per la conversione dell’anima a Dio che si chiama “giustificazione” si richiede il moto della fede.[30] La giustificazione è una strada verso la salvezza e il primo passo su questa strada è appunto l’atto di fede.
La fede
detiene un primato incontestabile tra gli atti umani nel processo della
giustificazione, così che si dice perfino “grazia preveniente” e si attribuisce
ad essa il “merito” della giustificazione, non perchè la giustificazione sia
oggetto possibile di un merito, ma perchè nella stessa giustificazione la fede
costituisce il primo atto meritorio.[31]
Il
termine specificante della giustificazione è la grazia che ci mette in
comunione con Dio e per conseguenza il moto della fede che porta la mente umana
verso questo termine, dovrà precedere secondo l’ordine di natura tutti gli
altri atti umani (in questo modo la fede è prima della contrizione come sua
“ragione e causa” in quanto il distacco dal peccato è motivato dall’accesso a
Dio.
La mente
umana si muove verso Dio e secondo l’intelletto e secondo la volontà, ma la
mozione dell’intelletto precede quella della volontà e perciò la fede precede
le altre virtù teologali. La fede come “primo contatto salvifico dell’uomo con
Dio” non si limita evidentemente alla sola accettazione concettuale, ma
coinvolge tutte le componenti della tendenza personale dell’uomo verso Dio.
In questo
senso si può parlare della fede come di un effetto immediato della grazia
giustificante e a questo titolo la “fede” nel senso pieno della parola rientra
nel costitutivo formale della giustificazione insieme con la stessa grazia.
Quest’ultima si presenta piuttosto sotto l’aspetto entitativo; la fede invece
si -presenta maggiormente sotto l’aspetto
operativo.[32]
La
dimensione “personale” della fede e la sua ricchezza affettiva non ne possono
sminuire la natura conoscitiva e intellettiva. La fede fiduciale, personale,
“esistenziale” non è mai priva di contenuti storici e concettuali ben precisi.
L’avvicinarsi dell’uomo a Dio non può avvenire senza l’atto di ciò che vi è di
più alto e di più specifico nell’uomo, non può avvenire cioè senza l’atto della
fede come di una virtù dell’intelletto speculativo.[33]
La fede come
atto dell’intelletto mosso dalla volontà e dalla grazia e formato dalla carità,
rientra nella stessa essenza della giustificazione come una sua parte. Sarebbe
pelagiano pensare che la fede sia un atto umano meritorio della
giustificazione, ma nella giustificazione la fede formata è il primo effetto
nell’uomo della grazia giustificante infusa. Essendo poi un effetto della
grazia giustificante, la fede è formata dalla carità e ci inserisce in Cristo;
non vi è pertanto solo l’ascolto della fede, ma la fede piena opera già gli
effetti della salvezza realizzata in Cristo.[34]
La fede
piena, formata ed operante per mezzo della carità, derivante dalla grazia
santificante, è la fede di un uomo già giustificato e perciò rientra nella
stessa giustificazione come una delle sue parti e non la precede come
preparazione remota.
La fede
della giustificazione è “principio di vita spirituale”[35]
proprio come il primo effetto della grazia nell’anima dei giusti. L’anima vive
spiritualmente e soprannaturalmente per
mezzo della grazia santificante,
ma la vita
si denomina dal suo primo effetto e quindi come i primi indizi di vita
appaiono nell’anima vegetativa sul piano naturale, così a livello
soprannaturale i primi indizi di “vita” appaiono nella fede. In questo senso
bisogna intendere l’affermazione secondo cui la fede è il principio della vita
spirituale e secondo cui “il giusto vive per mezzo della fede”.
La fede si
riferisce poi agli atti della volontà nei confronti del fine, li precede e li
accompagna tutti.[36] Così l’uomo credendo ama Dio, credendo si
muove verso Dio, credendo aderisce a Dio e credendo entra in possesso della
partecipazione alla vita divina come un membro incorporato in Cristo. La
giustificazione come conversione dell’uomo verso Dio e moto verso la giustizia
soprannaturale e la grazia santificante, richiede la fede e la carità, ma la
fede precede la carità come l’atto dell’intelletto precede l’atto della volontà.
Nel
tentativo di avvicinare la tesi luterana a quella tomista certi autori recenti
sono arrivati fino ad affermare che secondo lo stesso S.Tommaso l’atto di fede
non sarebbe veramente dell’uomo, ma di Dio nell’uomo. L’uomo rimarrebbe così
perfettamente passivo sottomettendosi soltanto all’azione giustificante di Dio
e ricevendone gli effetti.[37]
Questo contraddice evidentemente tutto l’insegnamento di S.Tommaso sull’atto di
fede, che è un atto di virtù, un atto addirittura meritevole nella
giustificazione e quindi sicuramente un atto pienamente umano, attivamente
elicito dall’uomo, dalla sua libertà mossa da Dio.
Un’altra
rilettura “ecumenica”[38]
di S.Tommaso cerca di dimostrare che l’atto di fede giustificante non è quello
di fede formata, ma di una fede “personale”, “piena”, in cui non si potrebbe
distinguere tra la fede stessa e la forma della carità.[39]
Anche qui si tratta di una affermazione particolare di S.Tommaso contrapposta
artificialmente a tutto il resto del suo insegnamento. La fede è sempre
personale proprio come atto umano. Gli atti infatti sono suppositi individuali
e quindi, in questo caso, della persona umana. L’atto di fede inoltre è pieno
nel suo ordine quando l’uomo aderisce con assenso alle verità rivelate e riceve
una pienezza aggiunta, gratuita, ma non opposta o separata, che è quella della
carità quale forma virtutum.
S.Tommaso
non ha affatto due concezioni della fede: una essenzialistica e una
personalistica, una statica e una dinamica, una cosmocentrica e l’altra
antropocentrica, ma una sola concezione espressa in termini precisi,
scientifici, inequivocabili, che fa piena giustizia a tutte le dimensioni di
questo primo atto dell’uomo che si avvicina al suo Dio.
b. Fede e legge.
Gesù ha
detto “se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Gv 14,23), insegnando così il
legame strettissimo che vi è tra la carità e l’osservanza della legge. La fede
giustificante converte il cuore umano a Dio in quanto la sua forma che è la
carità ordina l’uomo al suo fine ultimo soprannaturale. La fede giustificante
non solo non si oppone alla legge, ma ne richiede la più fedele e la più perfetta
osservanza.[40]
S.Tommaso
infatti si chiede esplicitamente in che modo i precetti della legge possono
giustificare e distingue diversi modi in cui la legge può essere in rapporto con la giustificazione per mezzo della
fede. Sopratutto la legge dispone alla ricezione della grazia di Cristo e la
significa. Se poi si considera la giustizia già realizzata nell’uomo giusto,
ancora si può distinguere l’abito della giustizia e il suo atto. La giustizia
abituale intesa come virtù particolare, può essere acquisita o infusa: come
virtù acquisita proviene dall’osservanza della legge; come virtù infusa invece
non può essere causata dalla legge, ma soltanto dall’infusione gratuita da
parte di Dio.
Questo vale
poi anche per la giustizia soprannaturale, che racchiude in sé tutte le virtù
ed è il termine proprio della giustificazione. La giustizia poi trova la sua
applicazione pratica nelle opere concrete della giustizia e in questo senso
praticare la giustizia vuol dire osservare i precetti della legge. I precetti
cerimoniali contenevano la giustizia solo in genere, in quanto esigevano
l’onore dovuto a Dio, ma le loro determinazioni speciali erano di legge
positiva divina.
I precetti
giudiziali e morali invece contenevano la giustizia genericamente e anche
specificamente, ma i primi si riferivano solo alla giustizia come virtù
speciale, mentre questi ultimi si riferivano alla giustizia in quanto comprende
in sè tutte le virtù.[41] E’ ovvio che la giustizia, che è l’insieme di
tutte le virtù, costituisce il termine proprio della giustificazione ed esige
pertanto l’osservanza di tutti i precetti morali, i quali appunto determinano
la giustizia genericamente e specificamente non solo in quanto è una virtù
speciale, ma in quanto comprende in sé tutti gli atti di tutte le virtù.
L’uomo
giusto è colui che osserva tutti i precetti morali della legge e la
trasgressione voluta e deliberata di uno di essi in materia grave costituirebbe
senza dubbio un peccato grave e per conseguenza comporterebbe l’immediata
perdita della grazia abituale e della giustizia soprannaturale. La giustizia ex fide è così strettamente connessa con
l’osservanza della legge, che una trasgressione grave di essa potrebbe far
ricadere l’uomo giusto nello stato di ingiustizia e di empietà.
La finalità
della legge umana civile è differente da quella della legge divina. La legge
umana infatti intende come suo fine principale la pace della società civile e
pertanto non reprime tutti i peccati, ma solo quelli che in qualche modo
potrebbero turbare la convivenza pacifica dei cittadini. La legge divina invece
intende portare l’uomo a Dio come suo fine ultimo soprannaturale e pertanto si
oppone a tutti i peccati, perchè tutti i peccati allontanano l’uomo dal suo
fine ultimo. La legge da sola però non basta a trasferire l’uomo dal peccato
alla giustizia facendolo entrare in una comunione di vita soprannaturale con
Dio. Un tale effetto infatti può produrlo solo la grazia dello Spirito Santo,
che “diffonde la carità nei nostri cuori” ed è pegno “di vita eterna”.
La Legge
antica era soltanto legge, mentre la Legge nuova, oltre ad essere norma di
legge, contiene anche la realizzazione della medesima in virtù della grazia. La
grazia non distrugge la legge, la norma, l’obbligo, ma la perfeziona
realizzandola. La legge infatti fornisce la conoscenza del peccato e della
virtù, ma una tale conoscenza rimane troppo speculativa e rende solo più
infelice e più cattivo, perchè più consciamente peccatore, l’uomo dotato della
conoscenza del bene e del male senza la minima capacità pratica di fuggire
completamente il male e di realizzare perfettamente il suo bene connaturale e
soprannaturale.[42]
La grazia
come pienezza della legge aggiunge alla conoscenza della norma morale la
possibilità pratica di soddisfare alle sue esigenze, non solo sotto un aspetto
particolare, ma completamente e non solo sul piano naturale, ma anche su quello
soprannaturale. L’uomo giustificato e rinnovato in Cristo per mezzo della
grazia dello Spirito Santo esegue spontaneamente, liberamente, gioiosamente gli
obblighi della legge, non perchè vi è costretto per paura o per violenza, ma
perchè è dolcemente attratto dal Padre, che lo chiama.
In questo
senso la legge non si presenta all’uomo giusto sotto l’aspetto di un obbligo
gravoso, ma piuttosto sotto l’aspetto di una esigenza intima; oggettivamente
però la legge non perde nulla della sua normatività ed obbligatorietà.[43]
Anzi, si può addirittura dire che la legge nuova sottolinea l’obbligo oggettivo
della norma morale, perchè l’uomo non rivestito della grazia di Cristo, non
solo trasgredisce la legge, ma distrugge in sé l’immagine di Dio ricostruita in
lui dalla grazia di Cristo, una grazia che Cristo gli meritò con la sua
passione, morte e risurrezione.
Inoltre, a
parità di altre condizioni, pecca più gravamente l’uomo che più facilmente
potrebbe evitare il peccato, ma questo è proprio il caso dell’uomo inserito in
Cristo, rinato dall’acqua e dallo Spirito. Infine sarebbe illusorio pensare che
l’uomo nuovo, redento da Cristo, non possa più sperimentare la tentazione, la seduzione
del male e talvolta perfino la caduta nel peccato.
Infatti, lo
stato di natura decaduta e rinnovata non è uno stato di impeccabilità come è
quello dei beati nella vita eterna, ma è uno stato di cammino aperto verso il
paradiso e sostenuto dall’aiuto divino, ma sempre soltanto un cammino, che non
esclude né la fatica, né la tragica possibilità di un nuovo smarrimento. E
sotto questo aspetto l’uomo della nuova economia della salvezza conosce anche
lui la legge come obbligo esterno, anche se questo aspetto non è predominante
né specifico di questo stato dell’economia salvifica.
Sarebbe
pertanto del tutto sbagliato pensare che tra l’antica e la nuova legge non vi
sia altro che rottura e discontinuità. E’ vero che la grazia efficacemente
presente tra noi costituisce una novità radicale del Nuovo Testamento, ma
questa stessa grazia, pur eliminando degli elementi puramente dispositivi
dell’Antica Legge, sancisce, conferma e realizza le esigenze della legge morale
ribadita da Dio nella rivelazione dell’Antico Testamento. La struttura della
giustificazione rimane sempre la stessa, presentandosi in ogni economia della
salvezza come un risultato mirabile della condiscendenza divina e di un appello
severo alla volontà umana.[44]
Ovviamente
la presenza divina tra gli uomini era differente e lo era per conseguenza anche
la norma della legge proposta alla volontà umana. La legge antica è imperfetta
perchè non contiene la grazia, ma i fedeli potevano essere giustificati per
mezzo della loro fede in Cristo, che aspettavano come il Messia futuro e in
quanto le cerimonie antiche significavano esteriormente questa fede,
disponevano gli uomini alla fede in Cristo e alla giustificazione.
La legge
dell’Antico Testamento non conteneva un obbligo di fede, ma di opere, anche se
evidentemente annunciava anche dei contenuti di fede. La legge nuova invece
trae la sua virtù non dalle opere, ma dalla fede formata ed operante. Ogni
legge dipende dalla fede (s’intende ogni legge divina), ma la legge antica non
conteneva ancora la virtù della fede; la legge nuova invece possiede in sé la
potenza della fede giustificante.
S.Tommaso
illustra questo stato di cose con un esempio: come le cose naturali agiscono
secondo un intelletto che ne ordina dal di fuori le azioni, senza però avere la
conoscenza intellettiva in sé, così la legge antica dipendeva dalla fede in
Cristo, ma non la conteneva. La legge nuova invece contiene la fede di Cristo
come l’agente intelligente non solo dipende nel suo agire dall’intelletto, ma
ha in se stesso la conoscenza intellettiva che guida le sue azioni.[45] Mentre la legge antica desiderava la fede, la
legge nuova la possiede.
La giustizia
della legge nuova non esclude in nessun modo l’osservanza della legge morale,
anzi coincide in qualche modo con essa trovando in essa la sua propria
espressione. La legge morale fedelmente osservata dà una impronta di verità e
di autenticità alla carità e Cristo stesso, a cui i cristiani sono conformati,
è il Verbo di Dio e in questo senso è un’espressione della volontà divina, un
modello della vita nuova e perciò una vera e propria “legge” della condotta
degli uomini che veramente gli appartengono.[46]
S. Paolo dice esplicitamente che la legge è
per natura sua buona, ma il peccato può servirsene per distorcerla ed
accrescere così il suo potere sull’uomo. La legge, come espressione della
volontà divina, non può essere cattiva, ma rimane imperfetta, in quanto non
contiene la sua realizzazione, il suo adempimento, la sua pienezza.
Solo la fede
e la promessa data ai credenti può completare questa insufficienza della legge.
Il credente non si sente dispensato dall’osservanza dei precetti della legge,
ma si accorge nella fede della loro imperfezione e della novità della fede
giustificante rispetto alla sola lettera della legge. L’esteriorità della legge
dà la conoscenza del peccato senza dare il potere effettivo di eliminarlo e in
questo senso aumenta la responsabilità del pecccatore e dà alla concupiscenza
l’occasione di “svegliare il peccato” per mezzo del suo stesso divieto.[47]
Il concetto
neotestamentario della legge non può assolutamente essere scambiato con una
specie di antinomismo. La grazia anima la legge nuova, ma non ne sopprime la
normatività. Così la stessa legge nuova si presenta sotto due aspetti: quello
della grazia interiore (lex indita),
che giustifica per mezzo della fede ed è la parte principale della legge nuova
e anche quello dei precetti, consigli, obblighi esterni (documenta novae legis) e questo aspetto è secondario (ma sempre
presente!) nella legge nuova, mentre era primo e principale nella legge antica.
Ogni uomo
giustificato riceve la grazia per mezzo della sua fede implicita o esplicita in
Cristo e secondo questa fede appartiene già al Nuovo Testamento. La legge nuova
poi giustifica in quanto contiene la grazia. Se invece contenesse
soltanto i documenti esterni, non avrebbe il potere di salvare.[48] Solo la grazia dello Spirito Santo è in grado
di giustificare l’uomo, ma nessuno si può giustificare se non osserva la legge
morale dettata da Dio. Così solo la grazia è la condizione sufficiente della
giustificazione; la legge nondimeno rimane la sua condizione strettamente
necessaria, anche se non sufficiente. La stessa grazia poi si traduce in un’
operazione moralmente retta, rispettosa della norma legale.
La fede
soprannaturale e la legge morale sono perciò in una stretta connessione tra di
loro e la presenza dell’una e dell’altra è richiesta proprio nella
giustificazione. Sarebbe però un errore gravissimo voler confondere la legge
naturale con la fede soprannaturale. S.Tommaso fa rientrare talvolta i
contenuti e le esigenze della fede soprannaturale nella legge morale naturale,
ma non per questo si può affermare che la sua concezione di legge morale sia
ambigua e valga a pari titolo indistintamente per i valori naturali e quelli
soprannaturali. La legge naturale perderebbe così la sua autonomia e sarebbe
tutta fondata sulla rivelazione soprannaturale.[49]
Ora, già S.
Paolo conosce una legge morale naturale al di fuori di ogni rivelazione
soprannaturale, secondo la quale gli stessi pagani sono in grado di volere il
bene e di realizzarne dei contenuti particolari. La legge naturale infatti era
perfettamente nota ai filosofi e agli scrittori dell’antichità pagana.[50] La legge naturale ha perciò una sua
consistenza propria e si situa sul piano strettamente naturale; il che però non
vieta, anzi, postula che essa serva come base per le esigenze soprannaturali
della legge divina rivelata.
Giustamente
afferma il GAETANO[51]
che i precetti “della prima tavola” riguardano di per sè la virtù naturale
della religione, ma riguarderanno anche la fede e la carità dal momento stesso
dell’infusione della grazia santificante. Lo stesso S. Tommaso afferma che la
fede trova un appoggio naturale nella verità naturalmente conoscibile
dell’esistenza di Dio: “quia in fide continentur ordinata ad fidem qua credimus
Deum esse, quod est primum et principale inter omnia credibilia … ideo,
praesupposita fide de Deo, per quam mens humana Deo subiiciatur, possunt dari
praecepta de aliis credendis”.[52]
Così anche
la carità soprannaturale trova la sua corrispondenza naturale nella dilezione
naturale che si porta a Dio, in quanto è l’autore della bontà naturale del
creato.[53]
S.Tommaso distingue sempre bene i due ordini, anche se non li separa mai l’uno
dall’altro. L’ordine naturale è in potenza obbedienziale rispetto a quello
soprannaturale e l’ordine soprannaturale perfeziona la natura supponendola come
suo soggetto.
La legge
naturale ha perciò un’autonomia propria e a sua volta la legge divina rivelata
conosce diversi gradi di perfezione secondo le singole tappe dell’economia
della salvezza. La legge raggiunge poi la sua perfezione, quando è intimamente
unita alla grazia. In questo stato la legge giustifica. Ad ogni modo la grazia
giustificante esige la piena osservanza della legge morale naturale e, se se ne
ha una conoscenza esplicita, anche della legge positiva divina e umana.
S. Tomnaso
distingue tra la legge e l’uso legittimo della medesima. Questa distinzione non
riguarda solo i precetti cerimoniali, ma anche quelli morali. Vi può essere
quindi un abuso della legge morale secondo S.Tommaso? Sembra di sì, ma si
tratta di una concezione ben diversa da quella luterana. La legge è data per
far conoscere il peccato, ma nella sua esteriorità, nella sua “lettera” non
contiene mai la salvezza (nemmeno la legge nuova) e l’abuso della legge
consisterebbe quindi nell’attribuirle un potere salvifico che essa non ha nè
può avere.[54]
Questo però
non significa affatto che si possa opporre la fede giustificante alle opere
della legge. I loro compiti sono diversi, ma complementari e ognuna di queste
due realtà è buona nel suo proprio ordine. In questo modo S.Tommaso assicura
con la sua dottrina lucida e inequivocabile che la grazia non solo non
distrugge, ma stabilisce ed adempie alla legge, facendone vedere chiaramente i
limiti e aiutando così l’uomo a usarne legittimamente, a osservarne i precetti,
attribuendo però lo stesso fatto di osservarli non alla legge, ma alla grazia
divina, che, nell’economia nuova della salvezza, la accompagna come la sua
parte più alta e più importante (“potissimum”).
c. Fede e carità.
Già S.Paolo
parla di una fede viva, operante per mezzo della carità (Gal 5,6). Questa
espressione si può intendere sia nel senso di una fede animata (passivamente)
dalla carità, sia di una fede che dispiega la sua forza operante per mezzo
della carità (attivamente). In ogni caso la fede salvifica, la fede che
giustifica, è sempre legata alla carità, animata e formata da essa, attiva ed
operosa per mezzo di essa.[55] La fede da sola, senza la carità e le sue
opere, non salva. Si potrebbe obiettare che la fede per natura sua è legata
alla carità, in un modo tale che credendo l’uomo riceve la grazia e con essa
anche la carità e le buone opere e questa appunto è la dottrina protestante.
La teologia
cattolica invece non può ammettere la fede come una apprensione soltanto
intellettuale, personale ed esistenziale, ma esige che la fede giustificante
nella prima giustificazione, nel momento stesso di ricevere la grazia, sia già
formata dalla carità e contenga quindi l’insieme di tutte le virtù infuse,
raggiungendo la pienezza delle opere della legge.[56]
Molti esegeti sostengono che l’espressione “sola fide” non altera il senso
paolino della giustificazione ed oggettivamente possono aver ragione, ma
sicuramente costituisce una grave corruzione del pensiero dell’Apostolo il
senso soggettivo che Lutero dà a queste sue famose parole.[57]
Il concetto
di fede di M. Lutero è infatti diametralmente opposto a quello cattolico, in
quanto la fede per lui è una adesione apprensiva, fiduciale, personale, in cui
non si possono distinguere bene gli atti dell’intelletto e della volontà (come
è noto il Riformatore non amava molto simili distinzioni) e così la fede non è
né conoscenza, né amore e non può essere considerata nemmeno un atto umano vero
e proprio[58].
Il concetto cattolico della fede invece esige un’adesione intellettiva ad un
contenuto preciso sotto la mozione della volontà e della grazia.
Alla fede
così intesa si aggiunge la carità come una virtù ben distinta dalla fede, che
nondimeno la informa e la rende operosa. La fede formata dalla carità
giustifica rientrando nel processo della giustificazione come il primo atto
umano con cui l’uomo si converte al suo Dio, un atto d’altronde che segue
l’infusione della grazia come suo primo effetto nell’anima del giusto, come
primo segno della sua vita spirituale e soprannaturale.
Il libero
arbitrio dell’uomo sarebbe in grado di adempiere a tutta la legge naturale
amando Dio come fine ultimo dell’ordine naturale sopra ogni cosa ed aderendo a
lui con un atto naturalmente perfetto di dilezione naturale. Questo però
sarebbe possibile nello stato di un libero arbitrio perfettamente sano, non
nello stato presente della natura decaduta. Nella giustificazione dell’empio si
richiede pertanto la grazia e la carità soprannaturali, anche per ordinare la
volontà umana nel suo proprio ordine naturale[59]
159) e tanto più sarà necessario il loro intervento per elevarla a livello
soprannaturale di una adesione a Dio, oggetto della beatitudine eterna. -559-
La
giustificazione dell’empio trasferisce l’uomo dallo stato di peccato allo stato
di adesione a Dio, fine ultimo soprannaturale della vita umana. Per
conseguenza, la giustificazione non può mai realizzarsi senza la carità, tanto
per ordinare la volontà umana al suo bene connaturale, quanto soprattutto per
elevarla al suo bene proprio soprannaturale.
Il moto della fede nella giustificazione dev’essere
perfetto per congiungere l’uomo con Dio e questa sua perfezione deriva appunto
dalla carità. La fede non giustifica senza la carità.[60]
Con
la fede vi sono ovviamente anche altre virtù che accompagnano con i loro atti
l’atto della fede viva ed operante per mezzo della carità e S.Tommaso
nomina esplicitamente l’umiltà e il timore filiale, virtù che sottomettono la
mente umana all’influsso della grazia divina. La misericordia precede la giustificazione
a modo di preparazione o la segue a modo di soddisfazione per i peccati, ma
l’atto della misericordia rientra nell’essenza stessa della giustificazione in
quanto la misericordia è inclusa nell’amore del prossimo e deriva perciò dalla
carità.
A questo
punto ci si può chiedere perchè allora si parla nella conversione a Dio del
moto della fede e non anche degli altri moti, che pure la accompagnano. S.
Tommaso risponde fondandosi sull’antropologia e sull’analisi psicologica (nel
senso aristotelico del termine) dell’anima umana. Nei moti della mente umana il
moto dell’intelletto precede sempre il moto della volontà e dell’affetto, e
pertanto la fede deve precedere tutte le altre virtù che si trovano nella parte
appetitiva dell’anima umana.
Per questo
si dice che la conversione a Dio nella giustificazione avviene per mezzo della
fede, ma la fede da sola non basta, perchè la stessa accettazione della grazia
non avviene a livello dell’intelletto, ma a livello della volontà[61].
Nella volontà poi il primo moto è quello dell’amore e perciò la fede è
immediatamente seguita dalla carità. L’amore a sua volta suscita il desiderio
della realtà amata e così segue ancora il moto della speranza teologale. La
conversione a Dio implica quindi tutte le virtù teologali, ma si denomina dalla
fede che è la prima tra di loro.[62]
La fede
precede le altre virtù teologali causandone in qualche modo l’atto e le
contiene virtualmente in un modo tale che esse si presentano come la
spiegazione della fede viva dell’uomo giusto e allo stesso tempo la fede è
contenuta nelle altre virtù dell’appetito intellettivo, in quanto quest’ultimo
non si muove se non presupponendo il moto previo della fede come virtù dell’intelletto. L’uomo si converte a Dio (fede)
amandolo (carità) e sperando di conseguire il perdono dei peccati (speranza).[63] La giustificazione come moto della mente
umana verso Dio causato dall’infusione della grazia, comprende da parte
dell’uomo stesso nell’atto della sua conversione a Dio la fede insieme con le
altre virtù teologali.
A sua volta
la carità come la più perfetta tra le virtù teologali e la forma di tutte le
virtù in genere, non può essere senza la fede e la speranza. La carità infatti
è una amicizia[64]
con Dio implicante non solo l’amore, ma l’amore mutuo. L’uomo come amico di Dio
inizia una comunione di vita con lui per mezzo della grazia ed entra nella
perfetta adesione a lui per mezzo della gloria.
La grazia e
la gloria, l’amicizia con Dio in genere, è poi oggetto di fede e di speranza,
in quanto un amico crede al suo amico e spera nel suo aiuto. Così l’uomo, amico
di Dio, deve credere nella comunione di grazia e di gloria degli uomini con il
Signore e deve sperare di condividere questa comunione.[65] Questo non può sorprendere perchè la carità è
la forma e la perfezione di tutte le virtù e la ragione della loro connessione
sul piano soprannaturale.
L’atto di
fede è un atto del libero arbitrio in ordine a Dio. Prima che subentri la forma
della carità la fede non può agire in virtù di essa, ma una volta ricevuta la
grazia e la carità, l’atto di fede ne è informato e agisce in sua virtù. La
fede formata è essenziale alla giustificazione, mentre la fede informe la
precede preparando e disponendo ad essa. Ora l’atto della fede giustificante,
essendo un atto umano buono procedente dalla grazia e dalla carità, dev’essere
un atto meritorio.[66]
La fede
giustificante infatti procede dalla mozione della grazia attuale, ma questa
stessa mozione infonde già la grazia santificante e quindi non solo muove la
volontà all’atto, ma le conferisce anche gli abiti di tutte le virtù derivanti
dalla grazia, in primo luogo quello della carità, e informa i loro rispettivi
atti rendendoli meritori.
In tal modo
nell’atto dell’infusione si ha già la grazia santificante come principio del
merito, ma si ha titolo però ad un atto destinato a diventare un abito, il che
avviene nella consecuzione della grazia, alla quale termina il processo della
giustificazione. In tal modo si spiega come la grazia santificante possa agire
“prima” ancora di essere conseguita come un abito. L’atto di fede nella
giustificazione risulta così un atto meritorio e salvifico, un atto procedente
dalla grazia santificante.
Nel
tentativo di avvicinare la tesi luterana a quella tomista, certi autori recenti
sono arrivati fino ad affermare che secondo lo stesso S. Tommaso l’atto di fede
non sarebbe veramente dell’uomo, ma di Dio nell’uomo. L’uomo rimarrebbe così
perfettamente passivo sottomettendosi soltanto all’azione giustificante di Dio
e ricevendone gli effetti[67].
Questo contraddice evidentemente tutto l’insegnamento di S.Tommaso sull’atto di
fede, che è un atto di virtù, un atto addirittura meritevole e quindi
sicuramente un atto pienamente umano, attivamente prodotto dall’uomo, dalla sua
libertà mossa da Dio.
d. Fede e opere
La grazia e la carità sono la vita delle opere buone, sono il principio del merito e il loro effetto proprio è quello di condurre alla vita eterna. Anche le opere annientate e distrutte dal peccato riacquistano “vita” nella penitenza, quando subentra la grazia e la carità.[68] La grazia raggiunge l’opera umana per mezzo della carità e la carità a sua volta è per natura sua operosa.
Se perciò la
fede giustificante in quanto giustificante si riveste sempre della carità, ne
segue che la fede intesa come parte della giustificazione è una fede operosa,
anzi lo stesso atto di fede è già un’opera buona e meritoria. Non si può quindi
dire che la fede si limiti ad una semplice apprensione fiduciale dei benefici
di Cristo e diventi operante solo in un secondo tempo. L’operosità a livello
soprannaturale (cioè a livello del merito de
condigno della vita eterna) rientra a far parte della stessa struttura
della fede giustificante. L’atto di fede nella giustificazione ha infatti tutti
i requisiti di un merito, essendo un atto veramente umano, virtuoso, formato
dalla carità e proveniente dalla grazia santificante.
Non vi è
evidentemente un merito alla giustificazione (se non de congruo nella preparazione remota), ma vi è un merito de condigno alla vita eterna nella giustificazione stessa. Dopo
l’infusione della grazia e prima ancora di conseguirla come un abito, il libero
arbitrio si muove mosso da Dio per mezzo della grazia attuale all’accettazione
della grazia santificante, la quale però agisce già a modo di atto
nell’infusione informando gli atti del libero arbitrio e rendendoli così
meritori (il “prima” e il “dopo” in questo processo non devono essere intesi
nel senso temporale bensì secondo l’ordine naturale delle parti).
Tra
l’infusione attuale della grazia abituale e la sua consecuzione da parte del
soggetto, vi sono gli atti del libero arbitrio, i quali agiscono in un modo
strumentale-dispositivo alla consecuzione della grazia abituale, in quanto sono
mossi dalla grazia attuale nell’atto dell’infusione e sono già meritori della
vita eterna, in quanto informati dalla grazia santificante, già infusa a modo
di primo atto, prima ancora di conseguirla come un abito, nei confronti del
quale si comportano in un modo materiale-dispositivo.[69]
S. Tommaso
nelle sue opere posteriori (soprattutto nella Summa Theologiae) sembra
infatti considerare l’infusione della grazia come una mozione attuale, con la
quale però subentra la forma soprannaturale abituale. L’infusione della grazia
è poi distinta dalla sua consecuzione da parte del soggetto a modo di un abito
vero e proprio e gli atti del libero arbitrio che si trovano tra questi due
momenti di infusione e di consecuzione della grazia, possono essere considerati
sia come strumenti in linea di causalità efficiente (grazia attuale come
motore), sia come materia disposta in linea di causalità formale (grazia
abituale come forma soprannaturale).
La vita e la
morte spirituale si distinguono secondo la presenza o l’assenza della carità.
Le opere morte per loro natura sono le opere che distruggono la carità, i
peccati. Le opere buone mortificate dal peccato sono quelle opere che sono
state compiute nella carità, ma rimangono vuote e prive di vita in un soggetto
che ha perso la carità, che prima aveva. Le opere buone, ma morte, sono quelle
opere che l’uomo fa in stato di peccato mortale senza la grazia e senza la
carità. Anche l’atto di fede è vuoto, informe e “morto” senza la carità
operosa.
Le opere
mortificate possono riassumere la loro vita quando torna la carità, ma le opere morte
che non procedono
dalla carità, non possono procedere da essa quando il
soggetto ne è nuovamente rivestito. La vita delle opere buone è il loro
principio, cioè la carità.[70]
La fede
costituisce un vero e proprio abito di virtù e il suo atto, essendo un atto del
libero arbitrio, è un atto pienamente umano. Se questo atto umano buono procede
dalla carità, allora si tratta di un’opera viva, di un merito de condigno
della vita eterna. La giustificazione di un adulto capace della mozione attuale
del libero arbitrio non avviene mai senza un’opera buona (anzi, senza più opere
buone, in quanto l’atto di fede è accompagnato da atti di altre virtù),
un’opera viva di vita spirituale soprannaturale, un’opera meritoria della
beatitudine eterna.
Nella considerazione
del merito stesso bisogna distinguere due aspetti: la grazia e la carità, da
cui da una parte l’opera procede e dall’altra procede la quantità dell’opera
stessa. Tra questi due aspetti il primo prevale nettamente sull’altro e gli è
dovuto il premio essenziale, cioè la stessa fruizione di Dio, mentre all’altro
è dovuto il premio accidentale, consistente nella fruizione delle creature. La
carità infatti come principio e radice del merito è più importante della
quantità sia assoluta sia proporzionale dell’opera buona, perchè la carità
ordina tutto a Dio come fine ultimo soprannaturale e rende tutti gli atti più
spontanei e più volontari.[71]
Questo però
non significa che la quantità del merito dipenda principalmente dall’intenzione
di volere o di operare il bene, perchè l’intenzione può rimanere puramente
velleitaria o realizzare solo una parte del bene intento.[72] Per l’atto meritorio si richiede un vero e
proprio atto umano sia interiore sia esteriore procedente dalla grazia
santificante e dalla carità. Questo poi è proprio il caso della fede
giustificante, il cui atto è un vero atto umano formato dalla carità e
procedente dalla grazia. Anche se la giustificazione non può essere oggetto del
merito, essa comprende sempre in sé delle opere meritorie ordinate all’acquisto
della vita eterna.
e. La certezza della fede.
La fede
esclude l’esitazione e il dubbio; essa deve essere sicura, decisa, certa. La
certezza però è comune alla fede e alla scienza, ma l’origine della certezza è
diversa nell’uno e nell’altro caso. La fede deriva la sua certezza dalla verità
suprema di Dio che si rivela, di Dio che non può essere ingannato[73],
né può ingannare.
La scienza
invece trae la sua certezza dai principi naturali della ragione umana. Per
quanto riguarda la causa oggettiva della certezza, si può dire senza dubbio che
la fede è più certa della scienza; se invece si considera il dominio soggettivo
dell’intelletto sul suo oggetto, allora la scienza che riguarda delle verità
proporzionate all’intelletto umano risulta più certa, ma di per sé e
semplicemente è più certa la fede.[74]
La fede è certa perchè si fonda sulla rivelazione infallibile di Dio. Siccome
poi la fede della giustificazione è un fede piena, l’uomo giustificato dovrà
sicuramente avere la certezza della fede.
Occorre però
distinguere bene tra la certezza oggettiva e quella soggettiva: la prima
riguarda l’oggetto della fede, che sono i misteri rivelati; la seconda invece
riguarda il vero e proprio atto di fede giustificante. Ora, se si deve essere
certi dell’oggetto della fede, non è detto che si debba essere certi anche
della propria fede soggettiva e tanto meno si può essere certi della pienezza e
“vita” della propria fede, della sua forza giustificante e santificante.
L’atto di
fede preso in se stesso come l’atto di una virtù intellettuale è in una maniera
intelligibile nel soggetto e quindi si può avere la certezza morale della
propria fede, ma non si può avere la stessa certezza per quanto riguarda la
carità e la grazia santificante, senza le quali la fede rimane informe, vuota,
“morta” ed incapace di giustificare. La questione non è allora se qualcuno può
conoscere il suo atto di fede, ma se si può avere la certezza del proprio stato
di grazia e di carità, che informano la fede rendendola giustificante.
Lo stesso
poi si deve dire a proposito della certezza della speranza, che deriva la sua
certezza da quella della fede.[75] La speranza
aderisce con certezza al suo oggetto, ma l’oggetto della speranza non è
il possesso attuale della grazia, bensi la possibilità di ottenere dalla
misericordia divina il dono della sua grazia e di poter arrivare così alla vita
eterna.
La fede e la
speranza hanno una adesione certa al loro oggetto e anche soggettivamente si
possono conoscere i loro abiti dagli atti[76]
, ma la carità non rientra nell’oggetto certo della fede, nè si può essere
certi di possederla a causa della somiglianza estrema tra atti di dilezione
naturale e di carità soprannaturale. Il possesso soggettivo della carità e
della grazia santificante è e
rimane incerto nonostante la certezza della fede e della speranza.
Non è giusto
perciò confondere la certezza della speranza e della fede con quella della
grazia e della carità. La salvezza individuale come possesso attuale della
grazia santificante non fa parte né dell’oggetto della fede nè dell’oggetto
della speranza. L’uomo può credere e sperare con certezza di salvarsi se possiede
la grazia, ma non può essere certo di possederla effettivamente.[77]
S. Tommaso
non contraddice se stesso quando afferma con chiarezza che la conoscenza del
proprio stato di grazia può derivare da una rivelazione privata, ma se deriva
da un giudizio naturale, proprio allora non può essere mai certa; al massimo
può avere una validità congetturale ricavata da alcuni segni (assenza di un
rimorso in coscienza, compiacenza nelle cose divine, ecc.). La rivelazione
divina dà una certezza, ma allora si tratta di un dono particolare, che Dio fa
eccezionalmente a certi uomini scelti per la loro utilità o per qualche altro
motivo a Lui solo conosciuto.[78]
L’incertezza
in cui siamo a proposito del nostro stato di grazia e di giustizia è d’altronde
molto proficua per la vita morale, in quanto permette di evitare lo
scoraggiamento e la disperazione da una parte[79],
nonchè la superbia e la temerarietà dall’altra. Per quanto riguarda la fede
giustificante si può dire che non se ne ha generalmente la certezza, in quanto
è formalmente giustificante (procedente dalla grazia e dalla carità), anche se
se ne conosce l’atto in quanto è atto di fede. (Termine brano di P.Tomas Tyn)
[1] Cf Erasmo, Il libero arbitrio – Lutero, Il servo arbitrio, a cura di R.Jouvenal,
Claudiana Editrice,Torino 1984, p.169.
[2] Sviluppo
queste considerazioni nel mio libro La
liberazione della libertà. Il messaggio di P.Tomas Tyn ai giovani, dove
riporto e commento alcuni brani del pensiero di Tomas Tyn, Edizioni
Fede&Cultura, Verona 2008.
[3] Testo tratto dalla
Bozza originale della Tesi di Dottorato "L'azione divina e la libertà
umana nel processo della giustificazione secondo la dottrina di San Tommaso
d'Aquino", testo rivisto con note da P. Giovanni Cavalcoli O.P.
(http://www.arpato.org/).
[4] Cfr. Franz MUSSNER, Der Galaterbrief, in Herders
theologischer Kommentar zum Neuen Testament, Herder, Freiburg i. Br.,1974,
p.350.
[5] Cfr. Summa
Theologiae III, q.86, a.2 c.a.
[6] Cfr.
D. BAÑEZ, OP, Comentarios inéditos,
ed. Heredia, Salmanticae, 1948, III, pp.291 e 293.
[7] Cfr. B. MEDINA, OP, Expositio in I-II, Ventura, Bergomi,1586, (q.113, a.3), p.639 a.
[8] Cfr.
Conradus KOELLIN, OP, Expositio commentaria
in I-II, Franciscius, Venetiis, 1589, p.952a e 953a.
[9] Cfr.
Ioannes a Meldula NICOLUCCIO, OP, Tractatus
theol. etc., Bononiae, 1695, p.42.
[10] Cfr. Summa
Theologiae III, q.86, a.2 c.a. Per quanto riguarda il giudizio sul
possibile e l’impossibile cfr. De Pot.,
q.1, a.4 c.a., dove afferma che rispetto alla natura dell’oggetto sottoposto al
giudizio, l'effetto dev’essere giudicato possibile o meno secondo le cause
prossime che determinano l'azione della causa remota. Dio può supplire la
causalità seconda, ma non può fare che l'effetto della causa seconda le
appartenga e allo stesso tempo non le appartenga. Così può creare il calore
senza il fuoco, ma non può fare che questo calore prodotto senza il fuoco sia
allo stesso tempo prodotto di questo determinato fuoco.
[11] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.5, a.7 c.a.
[12] Cfr. F. AMIOT, Les idées maîtresses de Saint Paul, in Lectio divina n.24, Cerf, Paris, 1959, p.135.
[13] Cfr. IV Sent. d.17, q.1, a.2, q.la 1 sol.
[14] Cfr. S. BONAVENTURA, Exp. in lib. IV Sent., dist.17, pars 1, art.2, q.3, concl.; In: Opera Omnia, Borde-Arnaud, Lugduni,
1668, t.V, p.217b: “quia praeparatio debet esse secundum convenientiam ad
iustificationem, in qua est motus liberi arbitrii et contritio, necesse est
quod homo se praeparet motu fidei, et doloris, ita quod gratia inveniat liberum
arbitrium in utroque istorum actuum, vel etiam summe paratum ad utrumque, ita
quod in eodem instanti paratum sit moveri, in quo gratia advenit”.
[15] Cfr. D.
SOTO, OP, De Natura et Gratia,
Floravans a Prato, Venetiis, 1584, lib.II, c.1; p.102 a.
[16] IV Sent. d.20, q.1, a.1, q.la 1 sol.
[17] Cfr.
I.GONZALEZ DE ALBEIDA, OP, Comment. et
disputationum etc., disp.72, sect.4, q.23, a.2; p.229 ab: “actus fidei ea
ratione qua est consensus noster liber, conducit ad salutem aeternam: ergo sub
ea ratione formali spectatus, est effectus gratiae, et praedestinationis. Patet consequentia : nam, quidquid
conducit ad vitam aeternam, datur nobis a Deo gratuito per Iesum Christum”.
[18] Cfr. Contra Gentes IV, 72, nn.4069-4070.
[19] Cfr. Decr. de iustificatione, c.5, DS 1525.
[20] Cfr. S.
AUGUSTINUS, De pecc. merit. et rem.
II, 5; MPL 44/154-155: “Adiutor enim noster Deus dicitur (Psal. 61,9), nec
adiuvari potest, nisi qui etiam aliquid sponte conetur. Quia non sicut in
lapidibus insensatis, aut sicut in eis in quorum natura rationem voluntatemque
non condidit, salutem nostram Deus operatur in nobis. Cur autem illum adiuvet,
illum non adiuvet; illum tantum, illum autem non tantum ; istum illo,
illum isto modo; penes ipsum est et aequitatis tam secretae ratio, et
excellentia potestatis”. Per S.Agostino come
difensore del libero arbitrio, cfr. O. BARDENHEWER, Geschichte
der altkirchlichen Literatur, Herder, Freiburg i.Br., 19242,
Bd.IV, p.507.
[21] Cfr. S.BONAVENTURA, In IV Sent., d.17, p.1, a.1, q.2 ad 1 e ad 3, ed. cit., p.213 a.
[22] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.113, a.3 c.a.:
“Deus … movet omnia secundum modum uniuscuiusque: sicut in naturalibus videmus
quod aliter moventur ab ipso gravia et aliter levia, propter diversam naturam
utriusque. Unde et homines ad iustitiam movet
secundum conditionem naturae humanae. Homo autem secundum propriam naturam
habet quod sit liberi arbitrii. Et ideo in eo qui habet usum liberi arbitrii, non fit motio a Deo ad
iustitiam absque motu liberi arbitrii; sed ita infundit donum gratiae
iustificantis, quod etiam simul cum hoc movet liberum arbitrium ad donum
gratiae acceptandum, in his qui sunt huiusmodi motionis capaces”. Cfr.
Ibid. aa. 6 e 8, IV Sent. d.17, q.1, a.4, q.la 3 sol.; lo
schema motore/mobile vi è anche in ALEXANDER HALENSIS, Summa Theologiae, l.3, p.3, i.1, t.1, q.2, c.3, resp.; ed.
Quaracchi IV, 1001-2.
[23] Cfr. M. FLICK, L’attimo etc., pp.46-47.
[24] Cfr. a questo proposito l'ottimo lavoro di
P. De VOOGHT, La justification dans le
sacrament de pénitence d’après S. Thomas d’Aquin, in: Ephemerides
theologicae Lovanienses, 1928, pp. 225 ss.
[25] Cfr. Summa
Theologiae I, q.105, a.4 c.a.; Summa Theologiae I-II, q.80, a.1 c.a.
[26] Cfr. Summa Theologiae I, q.106, a.2 c.a.; I-II, q.9, a.6 c.a.
[27] Cfr. De Malo, q.16, a.5 c.a.
[28] Cfr. Contra Gentes III, 89, nn.2648-2651.
[29] Cfr. Summa
Theologiae I-II, q.109, a.6 c.a., a.9
c.a. (necessità della grazia attuale oltre a quella abituale) e In Rm.
IX, lect.3, n.772, per la necessità della grazia attuale per essere protetti
dalle tentazioni conseguendo così il dono della perseveranza finale, cfr. Summa Theologiae I-II, q.109, a.10 c.a.
Per il ruolo della grazia attuale nella preparazione remota alla
giustificazione cfr. R. SCHULTES, OP, Circa
doctrinam S.Thomae de iustificatione, p.345 con riferimento in n.1 a IV Sent., d.17, q.1, a.1, q.la 2 sol.
[30] Cfr.
Summa Theologiae I-II, q.113, a.4
c.a.
[31] Cfr. II Sent.,
d.26, q.1, a.4 ad 4; d.27, q.1, a.4 ad 1; IV Sent., d.17, q.1, a.3, q.la 3 sol.
[32] J.M. DE CEA, La fe, causa formal de la justificación; in: Naturaleza y gracia, XXIII, 1976, 1, p.30 / cfr. Anche n.1 / e
idem, Fe y justificación en Santo Tomás
de Aquino, Madrid, ICCE, 1976, pp.84-85. Cfr.
A. DEISSMANN, Paulus, Mohr,Tübingen,
1911, p.98. Secondo il Deissmann per S.Paolo la fede non è un atto dell'uomo,
ma di Dio nell'uomo, cosicchè la giustificazione non avviene per mezzo della
fede, ma nella fede; la fede è l'esperienza della giustificazione. Evidentemente
bisogna aggiungere che se la fede è infusa da Dio ciò non toglie che sia anche
un atto veramente umano" .
[33] Cfr.
F. MUSSNER, Der Galaterbrief, p.170. La fede giustificante secondo S.Paolo è anche
“fides historica”, “credere in”, “sapere”. Nella letteratura patristica la
somiglianza a Dio avviene con la “gnosis”, cfr. S. BASILIUS, Liber de Spiritu sancto,1,2; MPG 32, 69
B.
[35] Cfr. Summa Theologiae II-II, q.16, a.1 ad 1; In Gal. III, lect. 4, n.142.
[36] Cfr. III Sent. d.23, q.2, a.2, q.la 2 ad 5: “Illa quatuor pertinent ad fidem
secundum ordinem ad voluntatem … voluntas autem est finis; et ideo ista quatuor
distinguuntur secundum ea quae exiguntur ad consecutionem finis”.
[37] (Cfr. H. KÜNG, Rechtfertigung, p.246 con riferimento a S.Tommaso, in Rm. 4,5: “Ex eo enim, quod credit in
Deum iustificantem, iustificationi eius subiicit se, et sic recipit eius
effectum”.
[38] Ovviamente è un falso ecumenismo. Nota mia
[39] Cfr. O.-H. PESCH, Die
Theol. d. Rechtf. etc., pp.723, 728, 733-734, 736 con particolare
riferimento a S.Tommaso, In Rm. 8,30
dove la fede viene descritta come “mentis esse instinctum, quo cor movetur a
Deo”.
[40] Cfr. CONCILIUM TRIDENTINUM, DS 1536, cfr.
anche 1570, 1571 e 1976, 2001. Il Concilio insegna: “Nemo autem, quantumvis
iustificatus, liberum se esse ab observatione mandatorum putare debet … Qui
enim sunt filii Dei Christum diligunt: qui autem diligunt eum (ut ipsemet
testatur) servant sermones eius / Io. 14,23 /, quod utique cum divino auxilio
praestare possunt”.
[41] Cfr. Summa
Theologiae I-II, q.100, a.12 c.a.: “Si vero accipiatur iustificatio pro
executione iustitiae, sic omnia praecepta legis iustificabant”.
[42] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.98, a.1 c.a.; In Rm. III, lect.2, n.298.
[43] Cfr. E. KACZYNSKI, OP, La legge nuova, pp.107-108.
[44] Cfr. H.von REVENTLOW, Rechtfertigung im Horizont des AT, p.33:
“Ein Miteinander von Zuwendung Gottes und strenger Willinsforderung, das ist
der Hintergrund der Frage nach der Rechtfertigung im AT”.
[45] Cfr. Summa
Theologiae I-II, q.103, a.2 c.a.; In
Gal. III, lect.4, n.145: “Lex tamen est quoddam effigiatum et effectum ex
fide, et ideo comparatur lex vetus ad legem novam sicut opera naturae ad opera
intellectus, non quod res naturales intelligant, sed quia aguntur et ordinantur
ab intellectu ut fidem consequantur”.
[46] Cfr. Mc KENZIE, Dictionary, p.742: “Paul … knows that righteousness is observance
of the law, morally right conduct (Ro 2,13; 10,5)” e cfr. p.501 con riferimento
a Gc 2,8-11; 4,11 ss. e Gv 1,17, dove fondandosi sull’analogia con Es 24,8,
dimostra come logos e
?? hanno anche il significato di norma legale.
[47] Cfr. E. KÄSEMANN, An die Römer, Mohr, Tubingen, 19743,
p.190; K. KERTELGE, “Rechtfertigung” bei
Paulus, Aschendorff, Münster, 1967, pp.202-206 e R. LEMONNYER voce
“justification”, DThC VIII/2, col. 2054.
[48] Cfr. Summa
Theologiae I-II, q.106, a.1 ad 3 e q.107, a.1 ad 3; I-II, q.106, a.2 c.a.:
“ad legem Evangelii duo pertinent. Unum quidem principaliter: scilicet ipsa
gratia Spiritus Sancti interius data. Et quantum ad hoc, nova lex iustificat. …
Aliud pertinet ad legem Evangelii secundario: scilicet documenta fidei, et
praecepta ordinantia affectum humanum et humanos actus. Et quantum ad hoc, lex
nova non iustificat… . Unde etiam littera Evangelii occideret, nisi adesset
interius gratia fidei sanans”.
[49]Tale è la tesi di U. KÜHN, Via Caritatis, Vand. &Rup, Göttingen, 1965, p.154 e passim
con riferimento a Summa Theologiae
I-II, q.100, a.1 c.a.; a.3 ad 1; a.4 ad 1; q.104, a.1 ad 3. Le sue affermazioni
sono state riprese da O.-H. PESCH, Die Theol. d. Rechtfertigung etc.,
pp.418-424, nn.33-35 e 39-40, in quanto favoriscono il punto di vista
protestante.
[50] Cfr J.HUBY, S. Paul, Epître aux Romains, Beauchesne Paris, , 19572, pp.114-115
con ricca documentazione di testi antichi.
[51] Cfr. Thomas De Vio CAIETANUS, OP, Com., t.VII, p.210 e t.VIII, p.122.
[52] Summa
Theologiae II-II, q.16, a.1 c.a.
[53] Cfr. A.GOUDIN, OP, Tract. theol. etc., Peeters, Lovanii, 1874; t.II, p.61 con
riferimento a Summa Theologiae I,
q.109, a.3 ad 1.
[54] Cfr. S. Tommaso, in 1 Tim.1,8 cit. da H. KÜNG, Rechtfertigung, pp.244-245.
[55] Cfr. C. SPICQ, OP, Agapé dans le NT, Gabalda, Paris, 1959 ; II, pp.169-171.
[56] Cfr.
D. SOTO, OP, De natura et Gratia,
p.122: “Nos autem … defendimus quod apprehendere est actus credendi, sperandi
et diligendi per detestationem peccatorum, praeveniente afflatu et ope divina
disponi, parari, trahi, venire et converti ad suscipiendum gratificantem
gratiam. Ita ut fides non solum post gratiam, sed in receptione ipsius gratiae
per actum dilectionis operetur”.
[57] Cfr. R.
LEMONNYER, voce “justification”, DThC
VIII/2, col.2066: “Inacceptable, la formule per
fidem solam ne l'est proprement qu’au sens luthérien”.
[58] Non c’è dubbio che per Lutero l’atto di fede
è un atto umano. Il problema è come egli concepisce l’atto umano di fede, che
per lui è un volere che non suppone un intendere, ma che – secondo il modello
occamistico – la produce. Nota mia.
[59] Cfr. A. GOUDIN, OP, Tract. theol.etc., II, p.181 con riferimento a Summa Theologiae I-II, q.109, a.3.
[60] Cfr. Summa
Theologiae I-II, q.113, a.4 ad 1: “motus fidei non est perfectus nisi sit
caritate informatus: unde simul in iustificatione impii cum motu fidei est
etiam motus caritatis”.
[61] Per Lutero la fede basta, perché per lui non
è un semplice atto dell’intelletto,ma è occamisticamente un volere produttivo
del vero. Nota mia.
[62] Cfr. De
Verit., q.28, a.4 c.a. dove S.Tommaso conclude così: “Sic ergo liberum
arbitrium in iustificatione impii movetur in Deum motu fidei, caritatis et
spei: oportet enim iustificatum in Deum converti amando ipsum cum spe veniae.
Et haec tria computantur pro uno motu completo, in quantum unum includitur in
alio, denominatur tamen iste motus a fide, eo quod virtute continet in se illos
motus et in eis includitur”.
[63] Cfr. Contra Gentes III, 153, nn.3250-3251 e De Verit. q.28, a.4.
[64] Comunione.
Nota mia.
[65] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.65, a.5 c.a.
[66]
Cfr. Summa Theologiae II-II, q.2, a.9 c.a. e ad 1.
[67] Cfr. KÜNG H., Rechtfertigung, p.246 con
riferimento. a In Rm. 4,5 : “Ex eo
enim, quod credit in Deum iustificantem, iustificationi eius subiicit se, et
sic recipit eius effectum”.
[68] Summa
Theologiae III, q.89, a.4 c.a.: “Effectus … operum virtuosorum quae in
caritate fiunt, est perducere ad vitam aeternam”. Per la reviviscenza delle
opere “morte” cfr. ibid., a.5 c.a.
[69] Cfr. a
questo proposito BAÑEZ comm. II-II, q.24, a.6 e B. MEDINA, OP, comm. I-II,
q.63, a.4, cit. da DUMMERMUTH, S.Thomas
et doctr. Praemotionis phys., p.294; cfr. anche VAN DER MEERSCH in DThC
VI/2, col.1629 ss.. Il GAETANO, in I-II, q.111, a.2; VII, p.319 (IV) dice che
il merito della fede nella prima accettazione della grazia santificante
proviene dalla grazia abituale operante attualmente, introdotta con la grazia
attuale. In un secondo momento l’atto della fede sarà imperato dalla grazia già
conseguita come abito e pertanto procederà da essa come dalla grazia
cooperante.
[70] Cfr. Summa
Theologiae III, q.89, a.6 c.a.
[71] Cfr. Summa
Theologiae I, q.95, a.4 c.a. e I-II, q.114, a.4 c.a.
[72] Cfr. Summa Theologiae I-II, q.19, a.8 c.a.
[73] Non si inganna. Nota mia.
[75] Cfr. Summa
Theologiae II-II, q.18, a.4 c.a.; ad 2 e ad 3; III Sent. d.26, q.2, a.4 c.a. e ad 5; a.5, q.la 4 sol.; Summa Theologiae I-II, q.40, a.2 ad 2
dove S.Tommaso definisce la fiducia come l'atteggiamento dell’appetito
procedente dalla conoscenza che si può conseguire il bene desiderato e dalla
convinzione di conseguirlo di fatto (S.Tommaso dice “credit se adepturum”, ma
dal contesto appare che questo “credere” deve essere inteso di una “fede” o
convinzione puramente umana. Si tratta di una analisi “psicologica” della “fiducia”).
[76] Cfr. CAIETANUS, in I-II, q.112, a.5; VII,
p.327 (II): “ex actibus gratiae, quamvis homo putet se esse in gratia, stat
tamen cum formidine partis oppositae; ex actibus vero fidei homo credit absque
formidine alterius partis, se habere fidem, sicut etiam credit alia credita”.
[77] Questa precisazione è doverosa davanti a
certi tentativi troppo affrettati di avvicinamento tra S.Tommaso e Lutero, nei
quali non poteva mancare la volontà di attribuire a S,Tommaso la “fiducia”
luterana identificandola con la sua certezza della fede e della speranza. Cfr.
S. PFÜRTNER, Angoisse et certitude de
notre salut, Centurion, Paris, trad. dal tedesco, 1967, passim e sopratutto
p.77; PESCH, Die Theol. Der Rechtf.
etc., p.755.
[78] 174) Cfr. Summa Theologiae I-II, q.112, a.5 c.a.; I Sent. d.16, q.1, a.1 ad 5.
[79] Perché si confida nella divina misericordia.
Nota mia
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