Andrea Grillo è tornato di recente sul tema
della transustanziazione eucaristica nel suo blog Rivista Europea di Cultura il
27 dicembre scorso con l’articolo Presenza reale e transustanziazione:
congetture e precisazioni.
Nel suo articolo si lamenta di essere stato
frainteso e promette di spiegarsi meglio. Ma purtroppo egli si limita a ripetere
quello che aveva già detto. Io a suo tempo rivolsi una critica alle sue posizioni
nel sito isoladipatmos. Ma, visto che le mie osservazioni non sono state prese
in considerazione, le ripeto qui, con ulteriori sviluppi, data l’importanza dell’argomento.
Cito i brani di Grillo e do a ciascuno la risposta.
Prima tesi di Grillo.
“Transubstantiatio non
è un dogma e come spiegazione ha i suoi limiti. Ad esempio contraddice la
metafisica”.
Risposta. Falso. La dottrina della
transustanziazione non è una semplice possibile spiegazione o interpretazione
della presenza reale, facoltativa ed affiancabile ad altre possibili, ma è un dogma della fede insegnato dal Concilio di
Trento.
Ciò risulta con evidenza dalle parole stesse
usate dal Concilio in merito, come dimostrerò sotto. La dottrina di Trento è
dunque l’unica spiegazione possibile, perché le alternative che si sono tentate,
come per esempio la teoria luterana dell’impanazione o della consustanziazione
si sono rivelate assurde e incompatibili con le parole del Signore.
Infatti il dogma è un’interpretazione o
spiegazione assolutamente vera e definitiva, fatta dalla Chiesa, del dato rivelato[1].
Un dogma non è un modo tra altri possibili per spiegare il dato rivelato; ma
siccome c’è in gioco un concetto di fede, e i concetti hanno un significato univoco
o tutt’al più analogico, come ad ogni concetto corrisponde una sola realtà
significata, così ad ogni concetto di fede corrisponde un solo dogma, e se
eventualmente la Chiesa successivamente chiarisce ulteriormente il significato
di quel concetto dogmatico, potrà bensì definire un nuovo dogma, che però non
sarà altro che un’illustrazione maggiore del dogma precedente, nello stesso significato, come è
avvenuto nello sviluppo del dogma cristologico.
Un nuovo dogma può essere solennemente ed
esplicitamente definito dalla Chiesa come tale, come è avvenuto nel caso dei
dogmi dell’Immacolata e dell’Assunta. Ma tale modo di proclamare un dogma non è
necessario perché ci sia il dogma. Esistono infatti anche dogmi non definiti
come dogmi e che in futuro possono essere definiti. L’essenziale perché ci sia
il dogma è quello che ho detto e che comunque da certi segni o espressioni ci fa
capire che è un dogma, ossia che c’è in gioco la verità di fede insegnata dalla
Chiesa.
E questo, come vedremo subito, è appunto il
caso del dogma della transustanziazione. La forma solenne della definizione
dogmatica non tocca la qualità o il contenuto del dogma, ma è solo un espediente
pastorale adottato dalla Chiesa in particolari circostanze, nelle quali occorre
dar piena certezza e sottolineare la verità con una forza speciale per
risolvere dubbi o contro avversari petulanti o eresie insistenti, un po’ come
uno che alzi la voce per farsi sentire meglio e incutere rispetto.
Infatti, il Concilio di Trento usa appunto al
riguardo della transustanziazione delle espressioni, dalle quali si evince con certezza
che esso intende enunciare un dogma. Il Concilio infatti fa riferimento alla fede («cogitatione per fidem illustrata», Denz.1636)
e ad una costante convinzione della Chiesa
(«persuasum semper fuit», Denz.1642). Ora, di quale verità la Chiesa potrà mai essere
sempre persuasa, se non di una verità
di fede?
Spiegazione
di Grillo alla sua prima tesi:
«Questa mia affermazione, nella sua brevità, non intende in alcun
modo negare che la eucaristia realizzi la presenza del Signore nella sua
Chiesa, ma vuole soltanto distinguere il dogma fidei – ossia la
affermazione della presenza reale – dalla sua spiegazione in termini di transubstantiatio.
A questa distinzione conduce un lungo dibattito che soprattutto nella teologia
tedesca – in particolare in J. Auer – ha permesso di distinguere accuratamente
tra “oggetto della fede” e “giustificazione teorica di tale oggetto”.
Come ho già
detto a suo tempo, il dogma fidei in
questione non è la semplice affermazione della presenza reale, ammessa anche da
Lutero, ma è l’affermazione della transubstantiatio.
È questo il contenuto del dogma. La
transustanziazione non è una possibile, non obbligatoria spiegazione o interpretazione
della presenza reale, ma ci dice che cosa
comporta questa presenza reale.
E se comporta
la transustanziazione, non può comportare per libera scelta anche quella luterana
della consustanziazione «per la contradizion che no’l consente», direbbe il
divino Poeta. Tra il fatto che Cristo sia nel
pane e che Cristo stia sotto le specie
del pane o è vera una o è vera l’altra. Non possono essere vere entrambe come oggetto
di libera scelta, perché l’una esclude l’altra. Tertium non datur.
O il pane
resta pane accanto a Cristo, ossia Cristo mescolato col pane, Cristo-pane o il pane
non è più pane ma è corpo di Cristo. Cristo non ha detto: «Io sono nel pane o mescolato
col pane o sono diventato pane», ma ha detto: «Questo» (Hoc, un pronome neutro, cioè questo «qualcosa») è il mio corpo.
Allora vuol dire che, dopo queste parole, quello che sembra pane non è più pane
ma il corpo di Cristo.
Quindi,
volendo riprendere la distinzione di Grillo fra «oggetto di fede» e
«giustificazione teoretica dell’oggetto di fede» a proposito della
transustanziazione, si deve dire che la transustanziazione è oggetto di fede.
Si può e si deve dare, certo, una giustificazione teoretica di questo oggetto.
Ma allora questo è il compito del teologo, il quale, ben lungi dal render
facoltativa l’espressione, la giustifica, ne spiega il significato e l’importanza
e confuta le false spiegazioni ed alternative.
Seconda tesi.
«Se già
Tommaso aveva rischiato di ridurre la presenza reale eucaristica al “miracolo”
di una sostanza cui ineriscono gli accidenti di un’altra, con lo sviluppo
successivo al termine “sostanza” si sono correlate, indebitamente, dimensioni
fisiche e chimiche che la nozione originale aveva precisamente la funzione di
escludere».
Tommaso esclude positivamente che gli
accidenti eucaristici ineriscano alla sostanza del corpo di Cristo, perché
invece essi sono miracolosamente fatti sussistere dall’onnipotenza divina senza
il supporto della loro sostanza naturale[2],
che si è convertita nella sostanza del corpo di Cristo. E questa sostanza non è
la sostanza materiale del corpo di Cristo risorto in cielo[3],
ma è sostanza intesa come modalità
sostanziale[4] della presenza
reale, spirituale, non locale[5],
mistica ed ineffabile della suddetta sostanza celeste in tutte le ostie consacrate
del mondo fino alla fine del mondo. Le cose sono più complesse di come Grillo
se le immagina.
Quanto alla cosiddetta «sostanza del pane e
del vino» della formula dogmatica, la Chiesa non intende supporre il concetto
vero e proprio, ossia ontologico, di sostanza materiale, perché il pane,
propriamente, in quanto artefatto, è un composto di sostanze parziali, con gli ingredienti
fisici e chimici del pane. Per cui qui la Chiesa usa il termine nel senso
volgare e corrente, per significare semplicemente un qualcosa, cioè il pane e il vino.
Quanto agli accidenti o «specie», si tratta
delle qualità sensibili del pane: dimensioni, peso, figura, massa, colore,
odore, temperatura, mollezza, composizione fisico-chimica. Queste qualità restano
e sono percepibili ai sensi anche dopo la consacrazione.
Una volta che il fedele ha ingerito l’ostia,
essa svolge nell’apparato digerente del fedele le stesse funzioni nutritive, che
svolgerebbe un reale pezzo di pane. Eppure l’Eucaristia non nutre solo il
corpo, ma anche e soprattutto l’anima del credente in grazia. Come segno che essa
svolge anche questa funzione di nutrimento fisico, esistono, come si sa, casi
di Santi, i quali, almeno per un certo tempo, si sono nutriti di sola Eucaristia.
Un non credente che vedesse un’ostia
consacrata, giudicherebbe che si tratta di un puro e semplice pezzo di pane. E
la cosa è comprensibile, perché è normale che noi conosciamo una cosa o
sostanza materiale mediante l’esperienza dei suoi accidenti sensibili. Solo il credente
invece sa che quelle qualità nascondono il corpo di Cristo, per cui ciò che al
senso appare come pane, all’occhio della fede è il corpo di Cristo.
E precisiamo che se diciamo che all’occhio del
credente ciò che sembra pane, pane non è, non vuol dire che gli accidenti sperimentati
siano solo apparenze soggettive o siano illusione. No. Sono reali. I sensi non
ingannano. Ai sensi del credente un’ostia consacrata è indiscernibile da
un’ostia non consacrata. È soltanto che agli occhi del credente che i sensi non
indicano il pane, ma il corpo di Cristo. Ma di per sè, sia per il credente che
per il non credente, quelle qualità sono fatte per indicare il pane. Per questo
nell’adorazione eucaristica solo il credente, contemplando quegli accidenti con
i sensi, sa e gusta con l’intelletto di fede di contemplare il corpo di Cristo e
per concomitanza il sangue, l’anima e la divinità.
Per questo l’adorazione eucaristica si
risolve ad essere una forma di contemplazione divina, sia pur mediata dalle
specie eucaristiche. Se non valesse la transustanziazione, si sarebbe davanti a
un semplice pezzo di pane. Per questo i protestanti non conoscono l’adorazione
eucaristica, perché non credono alla transustanziazione.
Terza tesi.
«La concentrazione sulla ‘presenza sostanziale sotto le specie’ ha
distratto profondamente dalle altre forme di presenza del Signore, nella
Parola, nella preghiera, nella assemblea (cfr. SC 7)».
«La ‘presenza sostanziale sotto le specie’ ha ridotto il peso
della ‘presenza ecclesiale’ del corpo di Cristo, che rimane pur sempre
l’effetto primario – la res sacramenti - della celebrazione eucaristica».
Accuse
ingiuste e immotivate. La percezione delle varie forme di presenza del Signore
nell’assemblea eucaristica ha il suo fondamento, la sua ragion d’essere e la sua prima
scaturigine proprio dalla fede nella verità della transustanziazione. Infatti,
nella Messa il Signore è presente nello stesso rito e negli atti liturgici
della Messa, è presente in quanto inviato dal Padre, è presente nella
Scrittura, è presente nel celebrante e nei ministri, è presente nei fedeli, è
presente nello Spirito Santo che discende sui fedeli, è presente come Capo e
Sposo della Chiesa, in comunione con la quale la Messa viene celebrata.
Ora è evidente
che quanto più abbiamo davanti agli occhi del nostro spirito questo mistero sublime
e fecondissimo di ogni grazia che è il fatto della transustanziazione, tanto
più saremo stimolati, incentivati ed incoraggiati ad avvertire queste presenze
e a trarre da esse ogni possibile luce, conforto e sostegno per la pratica
quotidiana dei nostri doveri cristiani ed essere docili strumenti dello Spirito
Santo.
Quarta tesi.
«Il concetto di transustanziazione deve
essere riconosciuto come il frutto di una preziosa “mediazione” a salvaguardia
della comunione ecclesiale. Ciò ha tuttavia comportato – anche al di là delle
migliori intenzioni – una forte trascrizione della esperienza cristiana nelle
categorie della teoresi filosofica, intellettualistica e metafisica di
derivazione greca e di elaborazione scolastica. Ciò ha determinato una
“declinazione” della presenza reale impostata secondo la articolazione
dell’essere come “sostanza” e come “accidente”».
Le nozioni di sostanza e accidente sono nozioni fondamentali,
originarie, basilari, spontanee, comunissime ed irrinunciabili della mente umana,
per ogni cultura e indipendentemente da qualunque cultura, anche se è innegabile
che esse hanno ricevuto uno speciale riconoscimento e sono state elucidate da
Aristotele e conseguentemente dalla filosofia cristiana, specie quella di
S.Tommaso d’Aquino, che ha saputo eccellentemente utilizzare, purificandole, certe
categorie aristoteliche per l’interpretazione del dato rivelato, per
l’interpretazione della Scrittura e della Tradizione, nonché per l’edificazione
della teologia cattolica, categorie in parte utilizzate dallo stesso magistero della
Chiesa per la formulazione degli articoli di fede e la definizione dei dogmi.
Così in
particolare la nozione di sostanza, usìa,
è entrata nel dogma cristologico, per il
quale la Chiesa ha definito la divinità di Cristo (consubstantialem Patri, omoùsion
to Patrì), le due nature (physis)
di Cristo nell’unità della persona (hypostasis).
Troviamo un riferimento all’unità della sostanza divina nella trinità delle persone
nel Prefazio della Messa della SS. Trinità,
mentre troviamo la definizione della stessa natura del Dio uno al Concilio
Vaticano I: «una singularis simplex omnino et incommutabilis substantia spiritualis»
(Denz,3001). Il Concilio di Viennes del 1312 (Denz. 902), parlando della
«sostanza dell’anima, definisce l’anima come «forma sostanziale», mentre il Concilio
Lateranense V del 1513 ribadisce la dottrina del predetto Concilio.
Gli insegnamenti del Signore non ignorano affatto le
categorie della metafisica, perché, come più volte ci ha fatto notare il magistero
della Chiesa, la comprensione e l’apprezzamento delle verità rivelate da
Cristo, che toccano i misteri più alti e più profondi dell’esistenza, che
culminano nel Mistero di Dio, suppone
l’apertura della ragione umana all’intero orizzonte dell’essere. Per questo gli
insegnamenti di Cristo istruiscono la ragione per elevarla alla luce della fede[6].
Ora, le nozioni analogiche di sostanza e accidente
sono le prime due grandi divisioni dell’ente in generale, nozioni primarie,
universali, spontanee e necessarie della mente umana come tale. Non è difficile dunque accorgersi di come
Gesù, nell’enunciare il mistero eucaristico, supponga l’uso del concetto di sostanza
e accidente, giacché, se il pane e il vino conservano gli accidenti, ma al loro
posto c’è il corpo e il sangue di Cristo, vorrà ben dire che la loro sostanza
si è convertita nel corpo e nel sangue di Cristo.
Quinta tesi. La fede nel dogma della transustanziazione
avrebbe prodotto, secondo Grillo, altri danni.
«Ciò ha introdotto, inevitabilmente, una certa
sopravvalutazione dell’invisibile (cui accede l’intelletto aiutato dalla fede)
e una certa sottovalutazione del visibile (che viene considerato soltanto nella
sua funzione di elemento/materia o di oggetto della rubrica). Ciò per cui la
distinzione tra sostanza e accidenti è stata concepita – ossia l’unità del
reale in divenire – ottiene nella dottrina eucaristica un effetto capovolto –
un risultato di “scissione” e di “separazione” – cui poi è difficile rimediare.
La “essenzializzazione della
presenza” nel solo momento della consacrazione ha di fatto ridotto ad “usum”
tutto il resto della esperienza di presenza, nella Parola, nella preghiera
eucaristica e nella comunione.
Grillo lamenta una certa «sopravvalutazione dell’invisibile (cui accede l’intelletto
aiutato dalla fede) e una certa sottovalutazione del visibile» con «un effetto
capovolto» – un risultato di “scissione” e di “separazione”» e deplora
che la detta fede riduca la presenza reale «al solo momento della consacrazione» e abbia di
fatto ridotto ad “usum” tutto il resto della esperienza di presenza, nella
Parola, nella preghiera eucaristica e nella comunione».
Difficile capire che cosa intende dire Grillo con questo discorso
confuso. Per fortuna che questo doveva essere l’articolo di chiarimento. Ad
ogni modo, ci pare di riscontrare due cose: la prima, a Grillo non va che la
transustanziazione dia il primato dell’invisibile sul visibile. Ma questo è un
merito del dogma, che ci allena a cercare le «cose di lassù» (Col 3,1). Grillo
sembra dimenticarsi dell’avvertimento di S.Paolo: «noi non fissiamo lo sguardo
sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un
momento, ma quelle invisibili sono eterne» (II Cor 4, 18).
In secondo luogo, non è vero che il dogma riduca la
presenza reale «al solo
momento della consacrazione». La presenza reale continua anche dopo la consacrazione
e dura fino a che le specie, conservate nel tabernacolo, non si sono corrotte.
Sesta tesi.
«Per dire la
“presenza reale” il ricorso al linguaggio della “conversione di tutta la
sostanza” resta legittimo, possibile, talora anche raccomandabile, ma non è
in sé necessario. Non costituendo una “verità” diversa dalla “presenza
reale”, ne costituisce una autorevole esplicazione, ma non è “altro” dalla “presenza reale” del corpo e sangue del
Signore Gesù nel pane e vino della eucaristia.
Non
si tratta di credere “altro dalla presenza”, ma di affidarsi ad una autorevole
mediazione, il cui intento non è la testimonianza della fede, ma la sua
spiegazione».
Falso. Il dogma della transustanziazione, come ho
dimostrato, è necessario per capire in che consiste la presenza reale.
L’alternativa della consustanziazione, come abbiamo dimostrato, è assurda, per
non parlare di altre interpretazioni, ancora più lontane dalla verità. Quanto alla presenza reale, essa non è affatto
come ho detto più volte ed anche nel mio articolo precedente, la «“presenza reale” del corpo e sangue del
Signore Gesù nel pane e vino della eucaristia». La presenza reale è la presenza
del corpo del Signore sotto le specie
del pane e del vino.
Volendo tirare le somme di questa impresa di Grillo, viene proprio
fatto di dire, riprendendo una sua espressione, che egli ottiene un «effetto
capovolto» rispetto a quello che dovrebbe produrre con la sua teologia: anziché
persuadere i luterani circa il vero senso dell’Eucaristia, cerca di indurre i cattolici
con vani sofismi, ad abbandonare la loro fede eucaristica e a cadere
nell’errore luterano. In realtà, al di là di alcuni punti di convergenza, fra la
Cena protestante e la Messa cattolica c’è un abisso.
Ammettiamo pure il comune riconoscimento della «presenza reale» di
Cristo nella comunità alla mensa eucaristica. Ma mentre questa presenza per il
cattolico comporta che il sacerdote offre al Padre a nome della comunità in
sacrificio il vero corpo di Cristo e il fedele si nutre del corpo di Cristo, e
cresce nella grazia, «ricevendo il pegno della gloria futura», per dirla con
l’Aquinate, per il luterano Cristo è sì spiritualmente presente nella comunità,
nel rito e nel pane, ma il pane resta pane e il fedele, sia pure in unione con
Cristo, si nutre di pane e non di Cristo, il Quale è bensì presente col suo
potere salvifico, ma solo nella fede, solo spiritualmente, nella lettura
biblica, nel ministro, nel rito, nelle preghiere e nella comunione fraterna.
Non è presente nell’eucaristia sotto le specie del pane e del vino,
e quindi Cristo non nutre il fedele con
la grazia dell’eucaristia, effetto della transustanziazione, per cui il cristiano
non è vero membro vivo del Corpo di Cristo che è la Chiesa, non può dire con
S.Paolo «per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21) e «non sono più io che vivo, ma Cristo
vive in me» (Gal 2,20), ma tutt’al più il luterano si sente davanti a Cristo
Salvatore, sia pur in una comunità di fratelli, in un rapporto simile a quello del
fedele e fidente discepolo col maestro o del colto esegeta col testo biblico,
possibilmente affrontato col metodo storico-critico.
P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 29 dicembre 2019
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Presenza reale e transustanziazione: congetture e
precisazioni
di Andrea Grillo
[1] Sul significato e il valore del dogma, vedi
il mio libro La questione dell’eresia
oggi, Edizioni VivereIn, Monopoli (BA)
2006, c.IV.
[2] Summa Theologiae, III, q.77, a.1.
[3] Ibid., q.75, a.2.
[4] Ibid., a.1, 3m.
[5] Ibid., q.76, a.2; a.5.
[6] Ho cercato di mostrare la metafisica di Gesù
nel mio libro Gesù Cristo fondamento del
mondo, inizio,centro e fine ultimo del nostro umanesimo integrale,Edizioni
L’Isola di Patmos, Roma 2019.
Sostanza, accidenti, noumeni, transustanziazione… Gesù si esprime così? Ma non è più giusto tornare al Vangelo, a tutte le parole che ha pronunciato Gesù, non limitandosi alla frase “questo è il mio corpo”. Es.: “Io sono il pane di vita”, “il pane disceso dal cielo”, “il pane è la mia carne per la vita del mondo”? E poi cosa c’entra la scienza dell’uomo moderno e la chimica? Se aveste fede quanto un granello di sabbia sapreste che Dio può far nascere figli di Abramo dai sassi. Il papa è un uomo di fede e bene fa a non dare alcun rilievo a parole che Gesù non ha mai detto nè mai si sarebbe sognato di pronunciare ai suoi discepoli. Dio non ha bisogno della Teologia.
RispondiEliminaCaro Massimo,
Eliminacapisco la tua perplessità davanti a termini e concetti che non si trovano nel linguaggio di Gesù. Tuttavia Egli ha detto agli apostoli: “Chi ascolta voi, ascolta me”. Gesù si riferiva al magistero della Chiesa, sotto la guida del Papa.
Allora, che cosa è avvenuto nel corso dei secoli? Che i successori degli apostoli, per assolvere a questo comando di Cristo, hanno utilizzato i teologi per spiegare le parole del Signore.
Quelle parole che lei cita sono state effettivamente propose da filosofi e da teologi, ma la Chiesa nei Concili e nel Magistero pontificio, infallibilmente assistita dallo Spirito Santo, ha ritenuto di doverle utilizzare per interpretare gli insegnamenti di Cristo.
Quindi, proprio al fine di comprendere il messaggio del Vangelo, noi, come cattolici, fedeli figli della Chiesa, guidata dal Papa, siamo tenuti ad accogliere con fiducia quei dogmi e quelle dottrine che troviamo nel Simbolo della fede e nel Catechismo della Chiesa Cattolica, accogliendo i quali siamo sicuri di capire la dottrina di Cristo, anche se Egli non si è espresso con quelle parole.
C’è inoltre da aggiungere che, come insegna la Chiesa, per comprendere le verità di fede occorre far uso della ragione, meglio se educata nella filosofia, soprattutto tomista. In tal modo i concetti razionali preparano ad accogliere e a comprendere le parole di Cristo.
Grazie, Padre Cavalcoli, per la sua spiegazione.
RispondiEliminaLa mia ignoranza di filosofia e teologia è stata evidente nel mio commento precedente.
Nella scienza, invece, sono un po' più informato. E a questo proposito vorrei aggiungere qualche altro commento.
A beneficio dell’uomo moderno, che rispetto agli antichi sa un po’più di scienza e meno di metafisica, ritengo utile dire esplicitamente che le specie accidentali del pane e del vino non sono solamente il loro aspetto esteriore immediatamente percepibile, ma anche la loro struttura molecolare e atomica osservabili con gli strumenti scientifici quale il microscopio, i reagenti eccetera. Insomma il miracolo eucaristico (impropriamente miracolo, perché il miracolo è tale in quanto visibile) non ha niente a che fare con una mutazione alchemica della struttura molecolare della materia, al microscopio elettronico l’ostia consacrata non rivela proprio nulla di diverso.
Caro Massimo,
Eliminanella transustanziazione avviene effettivamente un miracolo, inquantoché l’onnipotenza divina fa sì che gli accidenti eucaristici non sussistano più nel loro soggetto naturale, ma siano sostenuti dalla onnipotenza divina.
Ora, perché ci sia un miracolo non è necessario che esso sia verificabile empiricamente, ma è sufficiente che si dia questo intervento dell’onnipotenza divina, la quale opera al di sopra delle capacità della natura. E di fatti che degli accidenti sussistano senza la loro sostanza è un fatto che oltrepassa le forze della natura.
L’utilizzo del microscopio o di altre apparecchiature, aventi per scopo l’evidenziamento delle strutture molecolari dell’ostia consacrata, mette in luce evidentemente ancora le specie accidentali, per cui effettivamente non consentono di verificare l’esistenza del miracolo.
Invece che noi sappiamo dell’esistenza del miracolo ce lo dice solo la fede, che consiste nel credere quello che ha detto Gesù nel momento della consacrazione: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. Quindi non si tratta di un miracolo sperimentabile, ma che è oggetto soltanto della fede. Per questo è importante la spiegazione razionale e filosofica.
Diverso è il caso dei miracoli eucaristici, come per esempio quello di Bolsena o di Siena. Qui abbiamo effettivamente un miracolo sperimentabile, inquantochè c’è la presenza del sangue, presenza evidentemente miracolosa, oppure ci sono le ostie consacrate che non si corrompono.
Grazie Padre Giovanni. Spero per lui che questa confusione sia realmente nella testa del Signor Grillo. Pensare che Malafede sia l ispiratrice di queste ridicole scalate con le unghie sugli specchi, ê pensiero che mette i brividi. Come vivono male coloro che vogliono demolire ciò che è Santo, Vero ed Eterno..Come vivono male, quanto si rendono i buffoni dell avversario.
RispondiEliminaCaro Anonimo, certo, queste posizioni così contrarie alla nostra fede da parte di teologi che si dicono cattolici sono molto dolorose. Ad ogni modo lei ha citato il mio articolo del 2019. Da allora non ho più seguito l’attività di Grillo e nessuno mi ha segnalato qualche cosa su di lui.
EliminaOra sappiamo come la grazia lavora nei cuori. Quindi non mi stupirei se avesse corretto le sue posizioni. Anzi, per noi cattolici sarebbe una grande gioia.