Il Dio che si fa uomo e l’uomo che si fa Dio - Meditazione sul Natale

 Il Dio che si fa uomo e l’uomo che si fa Dio

Meditazione sul Natale

Siamo giunti oggi ad un punto della storia nel quale siamo tutti chiamati a prender posizione in un’alternativa alla quale non possiamo sfuggire, siamo tutti chiamati ad affrontare una sfida che coinvolge il nostro destino, è giunta l’ora della verità. Ormai sono chiari i termini del conflitto, i termini della sfida: la battaglia decisiva oggi è attorno all’uomo.

Il confronto è su che cosa è l’uomo, qual è il valore, il bene e il potere dell’uomo. Ma ciò implica necessariamente anche altre sfide connesse con il quesito sull’uomo. La sfida è anche su cosa è la verità: essa è ciò che è in sé o ciò che appare a me? La sfida è anche sulla morale: cosa è bene e cosa è male? Quello che voglio io o quello che vuole Dio? Che cosa è la libertà? Obbedire agli uomini od obbedire a Dio od obbedire a me stesso? Con la morte tutto è finito o c’è una sopravvivenza in un al di là?

È l’uomo stesso ad essere Dio o Dio trascende l’uomo? L’uomo è il sommo bene o trova la felicità in un sommo bene che lo supera? L’uomo trova la sua felicità da sé o la ottiene da Dio? Occorre andare oltre l’uomo o l’uomo basta a sé stesso? Questa è la sfida. Chi ha ragione?

Ma non basta. La sfida è anche quella sul valore del mondo, perché l’uomo non può non rapportarsi col mondo. Infatti, il fine dell’uomo è Dio o è il mondo? Il mondo lo ha creato Dio od esiste da sé stesso e per se stesso? È la Chiesa che salva il mondo o è il mondo che salva la Chiesa? Questo mondo è il solo mondo o al di là di questo ce n’è un altro? L’uomo può dominare il mondo o è schiavo del mondo? Questo mondo basta alla felicità dell’uomo? Il bene può vincere il male o deve convivere col male?

Chi è che ha ragione in tutte queste questioni? C’è una risposta? La Chiesa è credibile o hanno ragione gli atei, gli gnostici e i nichilisti? San Giovanni nell’Apocalisse distingue bene i contendenti, gli sfidanti: la Donna, che è la Chiesa e il Drago, che sono le potenze sataniche. Lo scontro è tra due umanesimi: quello dell’Incarnazione, ossia del Verbo divino che si fa uomo e quello dell’autodivinizzazione; quello dell’uomo che si assoggetta a Dio e quello dell’uomo che rifiuta Dio; l’umanesimo teista e l’umanesimo ateo; Dio che crea l’uomo o l’uomo che crea se stesso? C’è distinzione fra Dio e il mondo o c’è identità panteistica di Dio col mondo?

È evidente oggi più che mai l’azione nel mondo contro la Chiesa di quel Drago e di quelle «bestie» dei quali parla l’Apocalisse:

«il Drago si pose davanti alla Donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro» (Ap 12,5).

 Ecco allora il momento dell’azione del Drago e delle bestie sue collaboratrici:

«Vidi salire dal mare una bestia con sette teste e su ogni testa un titolo blasfemo. Il Drago le diede la sua forza, il suo trono e la sua potestà grande. Allora la terra intera fu presa d’ammirazione e adorarono la bestia dicendo: “chi è simile alla bestia e chi può combattere contro di essa?”. Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d’orgoglio e bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo.

Le fu permesso di far guerra ai santi e di vincerli. L’adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell’Agnello immacolato. Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia simile ad un agnello, ma che parlava come un drago. Essa costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia. Operava grandi prodigi, per mezzo dei quali sedusse gli abitanti della terra. Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte e che nessuno potesse comprare o vendere senza quel marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome» (c.13).

Questa visione dell’Apocalisse combacia bene con quella di San Paolo, che prevede, prima del ritorno di Cristo, un’apostasia generalizzata. Ma quello che descrive Paolo va bene anche per quello che sta succedendo adesso:

«dovrà avvenire l’apostasia e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che vien detto Dio od è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio.

Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene. Solo allora sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta, l’iniquo, la cui venuta avverrà nella potenza di Satana con ogni specie di portenti, di segni e di prodigi menzogneri e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l’amore della verità per essere salvi»» (II Ts 2 3-10).

Da notare l’insistenza sul tema dell’empietà.  L’uomo sotto l’influsso del serpente che ha fatto cadere i progenitori, si erge contro Dio per mettersi al posto di Dio. È il crollo evidente della religione e del senso del sacro. Oggi assistiamo a un diffondersi dell’irreligiosità, del vilipendio o dell’irrisione del sacro, della bestemmia, della dissacrazione, del sacrilegio, dell’indifferentismo e relativismo religioso, dell’idolatria, del politeismo, dello spiritismo, della magia, del satanismo e di ogni pratica superstiziosa.

Si ignora affettatamente, si deforma o non si fa alcuna attenzione al dogma cattolico e a qualunque rivelazione divina, considerata fanatismo o mitologia, non tanto perché Dio non parla all’uomo, ma semplicemente perché Dio non esiste. Non è che Dio, avendo creato l’uomo, insegna all’uomo come deve regolarsi per essere felice, ma l’uomo, essendo l’effetto della sua propria volontà ed avendo creato se stesso, sa già da sé cosa deve fare per essere felice.

Lo gnostico infatti si considera Dio, per cui il suo esser uomo è il passare dal suo Io assoluto al suo io empirico, una storpiatura mostruosa del mistero dell’Incarnazione. Quanto al pelagiano, egli si considera un superuomo, un Prometeo capace di strappare il fuoco agli dèi, in linguaggio cristiano, di elevarsi da sé alla grazia e addirittura di conquistare la natura divina.

 Modernisti ed ultratradizionalisti sembrano agli antipodi gli uni degli altri, ma in realtà gli estremi si toccano e in fin dei conti sono mossi dalla stessa superbia, manifesta nei modernisti, mascherata da umiltà negli ultratradizionalisti. Il modernista infatti concepisce l’Incarnazione come un Dio in divenire, che si muta nell’uomo, e confonde Dio con la storia e la modernità.

 L’ultratradizionalista non vede nell’Incarnazione il fattore del progresso storico, ma la risolve in un teorema astratto al di fuori della storia. Ma la protervia è la stessa, nel momento in cui entrambi, magari dichiarandosi cattolici, in realtà pretendono di sapere che cosa è l’Incarnazione meglio di quanto ne sappiano la Chiesa e il Papa.

Ma ecco il capovolgimento della situazione. Quel bimbo fragilissimo e bisognoso di tutto nelle braccia di Maria è il Re dell’universo, il Redentore del mondo e il vincitore finale delle potenze sataniche. Per comprendere a fondo il Mistero del Natale non basta fermarsi al tenero, commovente e delizioso racconto di Luca (2, 1-20), ma occorre fare un balzo nell’Apocalisse, dove Giovanni ci dà una descrizione della condotta di Cristo ben diversa da quella che tiene come neonato nella mangiatoia di Betlemme, condotta, che non è che preparatoria, nella sua umiltà, alla gloria futura.

Abbiamo infatti al c.20 la visione del Giudizio universale, che è l’atto di Cristo giudice dell’umanità dopo il suo trionfo sul peccato e sulla morte. Vediamo da una parte Cristo che premia i suoi fedeli e dall’altra Cristo che castiga gli empi.

«Vidi un grande trono bianco e Colui che sedeva su di esso. Poi vidi i morti grandi e piccoli, ritti davanti al trono. Furono aperti i libri. I morti vennero giudicati in base a ciò che era scritto in quei libri, ciascuno secondo le sue opere» (Ap 20 11-13).

Al giudizio segue l’ingresso dei beati nella Gerusalemme celeste:

«Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà con loro ed essi saranno suo popolo ed Egli sarà il Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi, non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 21, 2-5). Invece i reprobi cadono nell’inferno (Ap 20, 14-15).

Grandiosa è la duplice visione dell’Agnello trionfante nei cc.7 e 14, che ha al suo seguito tutti i beati del cielo. Giovanni infatti ci mostra a due riprese la sorte dei salvati, una prima immensa moltitudine, entrambe di 144.000 persone, che Giovanni chiama dei «segnati col sigillo» e la seconda moltitudine dei «redenti della terra». La prima moltitudine è costituita dai salvati d’Israele, seguita da

«una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: “la salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello”. Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello”. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo santuario e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame né sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l’Agnello che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti della vita e Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7, 4-17).

La seconda moltitudine:

«Guardai ed ecco l’Agnello ritto sul monte Sion e insieme centoquarantaquattromila persone che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo. La voce che udii era come quella di suonatori d’arpa che si accompagnavano nel canto con le loro arpe. Essi cantavano un cantico nuovo davanti al trono e davanti ai quattro esseri viventi e ai vegliardi. E nessuno poteva comprendere quel cantico se non i centoquarantaquattromila, i redenti della terra.  Essi sono stati redenti fra gli uomini come primizie per Dio e per l’Agnello. Non fu trovata menzogna sulla loro bocca, sono senza macchia» (Ap 14,1-5).

Ma ecco il castigo degli empi:

«Vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco: colui che lo cavalcava si chiamava Fedele e Verace; egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi, porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui. È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell’ira furiosa del Dio onnipotente. Un nome porta scritto sul mantello e sul femore: Re dei re e Signore dei signori.

Vidi allora la bestia e i re della terra con i loro eserciti radunati per muover guerra contro colui che era seduto sul cavallo e contro il suo esercito. Ma la bestia fu catturata e con essa il falso profeta, che alla sua presenza aveva operato quei portenti con i quali aveva sedotto quanti avevano ricevuto il marchio della bestia e ne avevano adorato la statua. Ambedue furono gettati vivi nello stagno di fuoco ardente e di zolfo. Tutti gli altri furono uccisi dalla spada che usciva dalla bocca del cavaliere e tutti gli uccelli si saziarono delle loro carni» (Ap 19, 11-21).

«Quando i mille anni saranno compiuti» - cioè alla fine del mondo -, «Satana verrà liberato dal suo carcere e uscirà per sedurre le nazioni ai quattro venti della terra, Gog e Magog, per adunarli per la guerra: il loro numero sarà come la spiaggia del mare. Marciarono su tutta la superficie della terra e cinsero d’assedio l’accampamento dei santi e la città diletta. Ma un fuoco scese dal cielo e li divorò. E il diavolo, che li aveva sedotti, fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo, dove sono anche la bestia e il falso profeta; saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli» (Ap 20, 7-10).

Nell’umile capanna di Betlem occorre intravvedere questi misteri di morte e risurrezione, di sofferenza e di lotta, di vittoria e di sconfitta, di giustizia e di misericordia. Così impariamo gli umili inizi della nostra futura grandezza conquistata attraverso la croce. Noi siamo come quel gruppo di Greci, che, secondo la narrazione di Giovanni (Lc 12, 2-28), vogliono vedere Gesù. E per questo andiamo a visitare il presepe, attendendoci la soddisfazione della nostra umana religiosità.

Pensiamo di trovare un Gesù teneramente amabile e grazioso. Sì lo è. Ma Gesù, come con quei Greci, che forse si aspettavano di vedere un saggio stoico od epicureo, ci raffredda nel nostro entusiasmo o nella nostra curiosità di vedere un bel presepe, perchè non ci facciamo illusioni. Entra subito nel discorso della croce.

Anche noi sentiamo che il grazioso Gesù Bambino nell’intimo ci avverte: «Se il chicco caduto a terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde; chi invece odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna». Se vogliamo scoprire e gustare il Mistero del Natale, occorre guardare all’Apocalisse.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 21 dicembre 2020

 

 

 

Lo gnostico si considera Dio, per cui il suo esser uomo è il passare dal suo Io assoluto al suo io empirico, una storpiatura mostruosa del mistero dell’Incarnazione.

 

 

Quanto al pelagiano, egli si considera un superuomo, un Prometeo capace di strappare il fuoco agli dèi, in linguaggio cristiano, di elevarsi da sé alla grazia e addirittura di conquistare la natura divina.

 

 


 

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