Molti i chiamati pochi gli eletti - Ancora sull’inferno nelle parole del Santo Padre

 

Molti i chiamati pochi gli eletti

Ancora sull’inferno nelle parole del Santo Padre

Non tutti si salvano

Nell’intervista[1] di venerdì scorso a Che tempo che fa, interrogato da Fabio Fazio circa la questione dell’inferno, il Papa, riferendosi ad una sua opinione, ha detto: «Questo non è dogma di fede - quello che dirò - è una cosa mia personale, che a me piace: a me piace pensare all’Inferno vuoto. È un piacere: spero che sia realtà. Ma è un piacere».

Il Papa ha voluto esprimere, come fa spesso, con una battuta, in un certo tono scherzoso, nonostante la estrema serietà del tema, una specie di immaginazione personale, come a dire: se dipendesse da me, se io fossi Dio, salverei tutti. Ma sappiamo come le verità di fede non corrispondono a quello che avremmo fatto noi o alla nostra immaginazione.

Esse rispondono a piani o progetti divini misteriosi, apparentemente paradossali o scandalosi, che affondano le loro ragioni in abissi che noi non riusciamo a scandagliare o provengono da piani o progetti infinitamente superiori a quelli che con la nostra ragione siamo capaci di concepire; e la cosa è comprensibile, giacchè è evidente che la mente divina trascende infinitamente la nostra e il modo divino di amare sembra un amore folle, che oltrepassa le nostre comuni misure.

Con questo stile spontaneo e piccante, al di fuori di ogni ufficialità, il Papa ha probabilmente voluto rimbeccare paternamente coloro che oggi rifiutano la benedizione delle coppie irregolari, perché, a loro dire, sarebbero «in stato di peccato mortale», pronunciando un giudizio in foro interno riguardo allo stato di coscienza di quelle coppie, che appare decisamente temerario, senza che ciò implichi la benchè minima approvazione dei peccati di adulterio o di sodomia in se stessi certamente meritevoli dell’inferno.

In base a quanto ho osservato, la cosa importante da dire è che coloro che vorrebbero negare l’esistenza di dannati non possono appellarsi a queste parole del Papa, che, come egli stesso ha detto, non hanno nessun carattere di ufficialità, mentre su questo tema delicatissimo ci sono chiarissime le parole di Nostro Signore e gli insegnamenti della Chiesa.

Occorre inoltre dire che la speranza che tutti si salvino, espressa dal Santo Padre, non va intesa come atto della virtù teologale della speranza, che ha per oggetto la semplice salvezza personale, ma come espressione di un voto personale, col quale il Papa, non come Papa ma come semplice cristiano lascia liberamente viaggiare la sua immaginazione di fede, quasi rendendo attuale una semplice possibilità dell’onnipotente bontà divina.

Cristo stesso infatti, nella sua preghiera al Padre prima di offrirsi per l’estremo sacrificio, come ci riferisce Giovanni (Gv 17,9), ha queste parole: «io prego per loro», cioè per «gli uomini che mi hai dato dal mondo» (v.6): sono chiaramente gli eletti; per questo continua: «non prego per il mondo, ma per coloro che mi hai dato perché sono tuoi» (v.9).

Fatichiamo a capire come un Dio onnipotente, infinitamente buono e misericordioso, perfetto nelle sue opere, che rimedia a tutti i mali, possa ammettere l’esistenza di creature create a sua somiglianza e redente dal sangue di Cristo, punite per sempre con spaventosi tormenti senza alcuna possibilità di salvezza.

È chiaro che, se Dio avesse voluto, avrebbe potuto salvare tutti. I buonisti trasformano in dato di fatto quella che è stata una semplice possibilità. Ma perché di fatto Dio non salva tutti? Perché lascia che alcuni Lo rifiutino, Gli dicano di no? Perché ha più cura che ognuno faccia la sua scelta anche a costo di vederSi rifiutato, piuttosto che avere la soddisfazione di essere accolto da tutti. Egli sa di essere il vero sommo bene di ciascuno. Tiene bensì alla salvezza di ciascuno. Se no, non avrebbe dato il Figlio per la loro salvezza. Ma preferisce che ognuno decida secondo la sua volontà, tanto è il rispetto che Dio ha di essa.

Ognuno di noi è posto davanti a due possibilità relativamente al suo fine ultimo: o per Dio e allora ecco il paradiso; o contro Dio ed ecco l’inferno. Tutti, almeno implicitamente, lo sanno, e ognuno fa la sua scelta. Non si sfugge. Nessuno può astenersi e nessuno può essere neutrale, ma tutti sono obbligati a pronunciarsi, a prendere posizione.

Nessuno può dire: non m’interessa, io sono ateo e non credo in Dio. Sono parole. In realtà anche lui sa che Dio esiste e che deve rispondere a Lui del suo operato. Tutti sanno che cosa c’è in gioco e quali sono le conseguenze della sua scelta.

L’ateo o il bestemmiatore o l’empio che rifiuta Dio o il panteista che ritiene di essere Dio lui stesso, sa bene che rifiutando Dio lo attende l’inferno. Ma non gl’importa: meglio – così egli ragiona – stare nell’inferno lontano da Dio che godere in paradiso insieme con Dio.

Nietzsche non nutriva alcun timore di andare all’inferno. All’empio l’ira divina e le minacce di Cristo fanno ridere. Quello che lo interessava assolutamente Nietzsche di sfogare il proprio odio contro Dio. Se ciò voleva dire andare all’inferno, ben venga l’inferno. Per questo eglie parla della necessità e della gioia di «danzare all’inferno».

I dannati dell’inferno, nonostante gli atroci ed eterni tormenti, sono ben contenti di essere lì e di aver ottenuto quello che hanno voluto: stare il più possibile lontano da Dio. Al ricco epulone, certo, la fiamma da fastidio. Ma, tutto sommato, è andato là dove sapeva che sarebbe andato.

In che termini esprimere la dinamica della perdizione?

Per rendere più comprensibile ed accettabile questo tragico mistero di libertà, forse oggi converrebbe sostituire l’espressione tradizionale non omnes salvantur con  non tutti scelgono Dio.

È vero che ognuno fa la sua scelta, ma anche il fatto che Dio scelga solo alcuni e non altri senza che ne sappiamo il perchè movendo la loro volontà verso il bene, sicchè senza questa mozione decisiva che dipende dalla discrezione divina non si salverebbero, sembra stridere con la volontà divina espressamente dichiarata dalla Scrittura, di salvare tutti. La volontà del peccatore vince la volontà divina? Ma come allora è vero che Egli «apre e nessuno chiude» (Ap 3,7)?

Eppure, se guardiamo alla nostra coscienza di peccatori e alla condotta peccatrice degli uomini non è difficile immaginare come quanto meno plausibile l’esistenza di dannati, giacchè l’inferno non è altro che lo stato di coloro che hanno deciso l’irrevocabile rifiuto della visione beatifica di Dio, nella quale consiste l’essenza del paradiso. Da notare però che anche coloro che odiano il prossimo, implicitamente rifiutano la visione beatifica di Colui che ne è il creatore e il salvatore.

Quando pecchiamo, fosse anche con un semplice peccato veniale, infatti, che cosa esprimiamo se non il rifiuto di cercare o vedere il volto o l’immagine di Dio in se stesso o nel fratello o un noi stessi? E non è già, questo, un inizio ed una pregustazione dell’inferno?

Per scacciare la paura di andare all’inferno, il rimedio proposto dai buonisti – l’inferno è vuoto - è peggiore del male, perché capita quello che è successo a Lutero, il quale, volendo la botte piena e la moglie ubriaca, vittima di un falso concetto della divina misericordia, credendo che per salvarsi basti credere di essere salvato (sola fides, sola gratia), rinunciò alla vita ascetica e ai voti religiosi per continuare tranquillante a peccare nella convinzione di essere perdonato.

Il sapere che commettendo quel dato peccato si va all’inferno è un aiuto per evitare quel peccato. Per questo, la convinzione che comunque tutti ci salviamo toglie un freno al peccato e fa sì che uno si senta libero di peccare: tanto – così egli ragiona – non mi succederà niente. Qui si scopre evidentemente il gioco dei buonisti. Il riferimento alla misericordia è solo un pretesto per sentirsi liberi di soddisfare la propria concupiscenza e di peccare. Dal che si vede come i misericordisti hanno un falso concetto di misericordia. Un peccato che non è punito non appare più come peccato.

Inoltre, per capire come sia possibile l’inferno, non dobbiamo riferirlo alla categoria della salvezza, come si fa spesso, ma alla categoria della scelta. È vero che l’inferno accoglie coloro che non sono stati salvati o non hanno voluto salvarsi. Tuttavia se puntiamo l’attenzione piuttosto sulla categoria della scelta, comprendiamo meglio perché ci sono alcuni che vanno all’inferno, naturalmente non perché scelgano di penare eternamente, cosa che ripugna a chiunque, ma perchè vogliono star lontani da Dio.

Dottrina di fede

L’esistenza di dannati non è dogma definito ma dottrina conciliare del Concilio di Quierzy dell’853 (Denz.  623-624) e del Concilio di Trento (Denz.1523). Non meraviglia che i pronunciamenti della Chiesa siano così scarsi, perché la Chiesa ha sempre avuto a disposizione gli insegnamenti stessi di Cristo, che sono chiarissimi ed hanno ancora più autorità del dogma, essendo la stessa parola di Dio.  

Stando dunque a quanto sopra, per credere ortodossamente all’esistenza dell’inferno non basta credere alla semplice possibilità della dannazione. Non è neppure giusto dire che non sappiamo se ci sono o non ci sono dannati. No, la vera fede ci prescrive di credere che i dannati ci sono. Solo che non sappiamo chi sono e quanti sono. Possiamo ritenere, stando a quanto dice Cristo, che gli eletti siano pochi.

Gesù infatti nel Vangelo, quando parla dell’inferno, usa tre modalità  espressive: a volte annuncia l’esistenza dei dannati come un futuro dato di fatto; a volte parla dell’inferno in tono di minaccia o avvertimento; a volte parla al condizionale: chi disobbedisce ai comandi del Padre, va all’inferno.

Inoltre, se, come credono i buonisti, tutti si salvano, è chiaro che perdono di senso due concetti biblici essenziali che sono quello degli eletti e quello dei predestinati, dei quali parla abbondantemente la Tradizione e in particolare il Concilio di Trento, concetti dei quali oggi, in diffuso clima buonistico, non si sente mai parlare.

Io mi domando come il luterano s’immagina il paradiso. Se il paradiso è rappresentato da Cristo nelle parabole nelle quali i servitori vanno dal padrone a presentare i frutti del loro lavoro o i talenti da loro guadagnati, come fa Lutero a negare che occorrano meriti per acquistare il paradiso?

Se la salvezza è salvezza dal peccato, come fa Lutero a credere che la misericordia divina copra solo il peccato o faccia finta di non vederlo e non lo cancelli? È chiaro che il luterano s’immagina il paradiso semplicemente come uno stato di immenso ed eterno benessere, col beato accarezzato da un Dio che lo coccola senza aver preteso alcuno sforzo ascetico o sacrificio espiatorio, giacchè è un Dio che non considera più peccato ciò che è peccato; è un Dio che, come si dice oggi con pessima espressione, ha «sdoganato» il peccato. Il male non c’è più, ma tutto è bene, anche il male, come diceva Hegel, in ciò in linea con Lutero.

La scomparsa del Dio severo

Sappiamo bene altresì quanta parte nella Scrittura ha il concetto dell’ira divina. Non possiamo ignorare assolutamente la figura e l’opera del Dio adirato, terribile, che fa giustizia, allontana da sé, non perdona, fa vendetta dei suoi nemici e punisce con la morte. Eppure si tratta dello stesso Dio infinitamente buono, misericordioso, pietoso, amantissimo, dolcissimo, tenerissimo, perdonante.[2]

Certo non è facile sciogliere questo apparente paradosso. Eppure in questi duemila anni i cristiani hanno sempre accettato questo dato di fede, che in fondo corrisponde a un concetto insito nella religione naturale, perché in tutte le religioni esiste il concetto del dio che premia e castiga. Ogni uomo sa che deve render conto a Dio del proprio operato, per ricevere il premio o il castigo

Oggi non si riesce più a sciogliere questo paradosso e ci si crede obbligati a scegliere: o il Dio adirato o il Dio che perdona; o il Dio che castiga o il Dio della tenerezza; o il Dio che salva alcuni o il Dio che salva tutti; o il Dio misericordioso o il Dio che non fa misericordia: o il Dio che perdona o il Dio che non perdona.

Ed avendo optato per il Dio che non castiga, non ci si fa scrupolo di ignorare tutti i passi della Scrittura che parlano del Dio che castiga. Come si è arrivati a questo punto? Si è mutato il concetto di Dio fino ad arrivare a concepire un Dio di comodo, che non esiste ed equivale alla sua negazione. Si è diventati atei continuando ad usare la parola «Dio».

È vero che il Dio dell’Antico Testamento si presenta con accenti terrificanti e mostra una severità della quale oggi Egli ci risparmia. Gesù infatti è venuto per mostrarci un piano di maggiore misericordia del Padre, ma anche il Dio dell’Antico Testamento mostra tanti segni di misericordia. E d’altra parte, non è vero, come crede Kasper[3], che il Dio del Nuovo Testamento non castighi più[4]. Anzi, seguendo quanto ci dice la Lettera agli Ebrei (10, 26-31), possiamo dire che il Dio di Gesù Cristo è ancora più esigente, proprio perché, avendo noi ricevuto maggiore misericordia, saremo tanto più colpevoli se l’abbiamo respinta rispetto a coloro che vissero nel regime dell’Antica Alleanza.

È successo comunque che con questa diffusione di buonismo Dio ha perduto la sua realtà così come è insegnata dalla teologia naturale, dalla Scrittura e dalla fede cristiana, ed è diventato un fantasma della nostra immaginazione – un’idea della ragione, come ha detto Kant - avente lo scopo di giustificare e avallare tutte le nostre azioni, per le quali, essendo noi e non Lui a decidere ciò che è bene e ciò che è male, è chiaro che non abbiamo bisogno di essere giudicati da Lui perché siamo noi i giudici di noi stessi.

Non lui ma noi siamo gli amministratori della giustizia, non secondo le sue leggi, ma le nostre. Non esiste una giustizia divina con la quale Dio premia e castiga. O se vogliamo parlare di giustizia divina, come ci suggerisce Lutero, essa non è altro che la sua misericordia, con la quale perdona tutti e salva tutti avallando ogni tipo di azione umana per il semplice fatto che è frutto della nostra coscienza e della nostra libertà.

Sappiamo già da soli chi merita premio e chi merita castigo. Basta la giustizia umana. Per fare le leggi non occorre basarsi sulla Scrittura, ma basta il Parlamento. Basta la Meloni in accordo con la Schlein. Noi stessi, in quanto giudici del bene e del male siamo Dio. Dunque: o il panteismo o l’ateismo.

L‘etica buonista è l’espressione del rahneriano cristianesimo anonimo

L’etica buonista trova la sua base antropologica nella visione rahneriana dell’uomo, che egli non concepisce nel quadro della cosmologia come animal rationale, ma alla maniera di Heidegger, nell’orizzonte della metafisica come ente orientato all’essere. Ora è indubbio che ciò che fa la dignità dell’uomo è l’esser fatto per l’essere assoluto.

Tuttavia Rahner non distingue la tendenza naturale verso l’assoluto con la libera opzione per Dio frutto del libero arbitrio. In tal modo l’uomo viene definito come orientamento a Dio. Non solo, ma in Rahner la natura ha il suo vertice nella grazia, l’umano ha io suo vertice nel cristiano («cristiani anonimi»), e addirittura in Dio stesso. Si capisce allora come sulla base di questi presupposti tutti gli uomini sono in grazia e tutti tendono verso Dio. Quindi tutti si salvano.

C’è inoltre da dire che il misericordismo, per il quale Dio fa misericordia a tutti e diversamente non potrebbe fare, è l’esatta falsificazione del concetto biblico di misericordia divina, la quale non dice affatto questo. Certo, se Dio avesse voluto, avrebbe potuto farlo. Ma in base alla sua essenza, Egli non è affatto necessitato a fare misericordia.

L’essere misericordioso non entra nell’essenza divina, ma è atto libero del suo agire nel mondo.  La teologia dev’essere anzitutto la considerazione di Dio in se stesso indipendentemente dal suo rapporto con l’uomo e col mondo. È questo lo sbaglio di Kasper. Infatti l’esercizio della misericordia suppone l’esistenza del mondo. Ma Dio avrebbe potuto benissimo esistere da solo anche senza creare il mondo.

Non è che il mondo, come credeva Hegel, completi l’essenza di Dio, giacchè, essendo Egli l’ente perfettissimo, che cosa mai potrà aggiungerGli il mondo? Non ci è lecito trasformare in un dato di fatto una semplice possibilità, ossia quella della salvezza di tutti. È bello, certo, ammirare questa possibilità. Ma noi non ci salviamo in base a delle possibilità o a delle semplici astrazioni, ma in base a dati di fatto.

Ciò indubbiamente non ci autorizza a ridurre tutta la teologia a teologia pastorale, come vorrebbe Rahner. La teologia speculativa, che si esprime nel trattato De Deo uno et Trino si giustifica sempre come trattato a sé indipendentemente dal De Deo Incarnato. In realtà la teologia pastorale presuppone quella speculativa o dogmatica e ne è l’applicazione nella guida della comunità e delle anime. È un settore della teologia morale.

Viceversa, nel rahnerismo è la dogmatica che suppone la morale e ne deriva sul piano del sapere. In tal modo l’agire umano viene a coprire tutto l’orizzonte del pensiero che si risolve quindi nella prassi e trattandosi della prassi dell’autotrascendenza dell’uomo in Dio, da qui viene da divinizzazione costitutiva dell’uomo, che per la sua divinità non può evidentemente comportare un fallimento o una perdizione, ma comporta in ogni individuo umano questa divinizzazione della natura umana, che evidentemente appartiene ad ogni individuo della specie umana.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 16 gennaio 2024


Il Papa ha voluto esprimere, come fa spesso, con una battuta, in un certo tono scherzoso, nonostante la estrema serietà del tema, una specie di immaginazione personale, come a dire: se dipendesse da me, se io fossi Dio, salverei tutti. Ma sappiamo come le verità di fede non corrispondono a quello che avremmo fatto noi o alla nostra immaginazione.

 

Esse rispondono a piani o progetti divini misteriosi, apparentemente paradossali o scandalosi, che affondano le loro ragioni in abissi che noi non riusciamo a scandagliare o provengono da piani o progetti infinitamente superiori a quelli che con la nostra ragione siamo capaci di concepire; e la cosa è comprensibile, giacchè è evidente che la mente divina trascende infinitamente la nostra e il modo divino di amare sembra un amore folle, che oltrepassa le nostre comuni misure.

Con questo stile spontaneo e piccante, al di fuori di ogni ufficialità, il Papa ha probabilmente voluto rimbeccare paternamente coloro che oggi rifiutano la benedizione delle coppie irregolari, perché, a loro dire, sarebbero «in stato di peccato mortale», pronunciando un giudizio in foro interno riguardo allo stato di coscienza di quelle coppie, che appare decisamente temerario, senza che ciò implichi la benchè minima approvazione dei peccati di adulterio o di sodomia in se stessi certamente meritevoli dell’inferno.

Immagine da Internet


[2] Da: https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2024-01/papa-francesco-intervista-fazio-che-tempo-che-fa.html - Il Signore corregge con amore”

Francesco nell’intervista con Che tempo che fa ha quindi parlato delle due direzioni, quella «di avvicinarci al Signore» e quella di «lasciare che il Signore si avvicini». «Delle volte, per le circostanze, per la guerra per esempio, abbiamo rabbia nel cuore e ce la pigliamo con il Signore: “Ma perché tu permetti queste cose, perché tu lasci che noi ci distruggiamo così?”. Ma il Signore è vicino. E noi, la strada vera, anche gridando così il nostro dolore, è lasciare che il Signore si avvicini.  E non dimentichiamo questo: delle volte ci presentano il Signore come il giudice implacabile… È vero è giudice, è vero. Ma Lui è vicino, compassionevole e misericordioso, questo è il Signore. Non è il Dio che freme per castigare, così lo presenta la Bibbia, sempre. Il problema è che noi abbiamo paura di chiedere perdono».

A proposito dei castighi, il Papa ha spiegato che quella di Dio «è la punizione di papà e mamma con il bambino, quando gli danno qualche castigo, qualche penitenza per correggerlo. Il Signore, diciamo così, castiga per correggere, castiga con amore. È una mamma o un papà quando danno qualcosa a un bambino “bum bum” (mima con la voce un gesto) se è un bel papà o una bella mamma, gli duole più la mano, ha più dolore nelle mani che il dolore nel sedere, è così. Guai al papà e alla mamma che non sentono dolore quando bacchettano un po’ il bambino, qualcosa non va lì».

Francesco ha quindi osservato a proposito della frase dell’Atto di Dolore che recita «perché peccando ho meritato i tuoi castighi»: «Se una persona fa una cosa brutta il giudice lo mette in carcere. Le cose brutte vanno castigate. Ma è un’espressione troppo dura dell’amore di Dio. A me piace più dire: “perché peccando ho rattristato il tuo cuore”. A me piace più questo. Perché il cuore di Dio è anche un cuore umano, Lui si è fatto uomo e Lui si rattrista quando vede la nostra durezza di cuore, il nostro piano di andare avanti con i nostri egoismi… Ma una cosa bella che a me piace pensare, che Dio ci castiga carezzando, perché Lui ci mette in difficoltà della vita perché noi pensiamo le cose brutte che abbiamo fatto e cambiamo vita. A Lui interessa cambiare vita, Lui è il grande perdonatore, non si stanca di perdonare. “E quante volte devo perdonare?” - 80 volte? - Sempre - 8? 80? 800 volte? Sempre”. Perché dice il Signore che noi dobbiamo perdonare così perché Lui è così, Lui perdona sempre, non si stanca di perdonare».

[3] Misericordia. Concetto fondamentale del Vangelo. Chiave della vita cristiana, Queriniana, Brescia 2015.

[4] Questa eresia fu propria di Marcione nel sec.III.

6 commenti:

  1. Dio castiga, nella sua infinita misericordia, esperienza personale. Ho meritato i suoi castighi e li merito in ogni momento e in ogni momento sono chiamata alla conversione, al pentimento perché Cristo ha dato la sua vita anche per me

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Cara Anonimo,
      le sue parole sono molto sagge.
      Come ha detto il Santo Padre nell’intervista da Fazio, Dio è come un papà e una mamma che castigano per amore dei figli, affinchè si correggano.
      Questo atteggiamento è sì di giustizia, ma è soprattutto dettato dalla misericordia, che si propone di sollevare il misericordiato dalla sua condizione miseranda per sollevarsi alla redenzione, alla conversione e alla speranza.
      Occorre tuttavia ricordare che, accanto alla pena correttiva, esiste la pena afflittiva caratteristica della pena infernale. Essa è puramente afflittiva, perché corrisponde a una decisione definitiva del peccatore di rifiutare Dio come Sommo Bene, per cui, mancando questo Sommo Bene, è logico che la pena sia somma ed eterna.

      Elimina
  2. Padre,

    Che dire del commento del Cardinale Dulles in:

    https://www.firstthings.com/article/2003/05/the-population-of-hell

    Ecco una traduzione fornita da Google:

    https://www-firstthings-com.translate.goog/article/2003/05/the-population-of-hell?_x_tr_sl=en&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=pt-BR&_x_tr_pto=wapp

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Luiz,
      il metodo che seguo in questo servizio ai Lettori consiste nel rispondere a domande che essi mi rivolgono circa questioni che riguardano la teologia, la morale, la filosofia e la vita della Chiesa.
      La inviterei pertanto a segnalarmi, se crede, ciò che di questo discorso del Card. Dulles ha suscitato il suo interesse e le ha creato difficoltà o qualche dubbio, in modo che io abbia la possibilità di esaminare il suo problema e darne una risposta.

      Elimina
    2. Grazie per la risposta, Padre!

      Ho letto l’articolo del Card. Dulles e, per me che non sono teologo - anche se, da laico, ogni tanto leggo qualcosa qua e là in modo non sistematico, mi è sembrato interessante.

      E come ho letto il Suo articolo anche, ho pensato che ci fosse qualcosa di simile tra i due, anche se non esattamente identici.

      In fondo, volevo sapere se Lei pensava anche come il Card. Dulles, o se c’era qualcosa che, dal punto di vista teologico, li differenziava, per quanto riguarda il tema trattato.

      Elimina
    3. Caro Luiz,
      a proposito di questo articolo del Card. Dulles, dato che lei ha notato delle differenze, me ne segnali qualcuna ed io eventualmente ne farò un commento.
      Se ha notato delle similitudini, questo si spiega molto bene col fatto che entrambi condividiamo la dottrina della Chiesa.

      Elimina

I commenti che mancano del dovuto rispetto verso la Chiesa e le persone, saranno rimossi.