L’infallibilità nel credere e nell’insegnare.


Infallibile nella dottrina, peccabile nella pastorale.
Il mistero della dignità pontificia

L’infallibilità nel credere e nell’insegnare

Come sappiamo dalla fede cattolica, il Sommo Pontefice ha ricevuto da Cristo due incarichi fondamentali: quello di confermare i fedeli nella fede, e quello di guidarli a raggiungere la vita eterna. Per il primo compito il Papa ha ricevuto da Cristo il dono spirituale di insegnare infallibilmente la verità del Vangelo senza venir meno nella fede (Lc 22,32).

Il Papa possiede questo dono perché Cristo lo ha reso “roccia” sulla quale poggia la Chiesa, che non sarà mai vinta dalle “porte degli inferi” (Mt 16,18). Per quanto invece riguarda il secondo compito, Gesù usa due espressioni: “pascere il suo gregge” (cf Gv 21,17) e “legare e sciogliere” (Mt 16,19).

Grazie al primo dono, ossia il dono della fede concesso al Papa, esso non può venir meno, il che è come dire che il Papa lo possiede con una tale saldezza, che non lo può perdere, non lo può rifiutare o rinnegare o falsare, perché grazie a questo dono egli illumina e regge la Chiesa, tanto che essa non potrà mai essere corrotta o vinta o distrutta dalle forze delle tenebre e del male. Se dunque il Papa perdesse la fede, la Chiesa crollerebbe; ma siccome la Chiesa non può crollare, dunque nessun Papa perderà mai la fede.

Nessuno nella Chiesa ha un dono di fede così salda, da superare quella del Papa, cosicchè possa per avere la forza e la saggezza di sostenere la Chiesa nel caso che il Papa per assurdo perdesse la fede. E’ tipico degli eretici credere di poter correggere il Papa nella fede e sostituire il Papa nel reggere la Chiesa, credendo di rappresentare Cristo meglio del Papa. Invece Cristo non regge la Chiesa immediatamente, ma per mezzo del Papa, il quale rende partecipe della sua autorità l’episcopato.

Il Papa è infallibile, insostituibile ed impeccabile nel sostenere la Chiesa nella fede. È vero che lo Spirito Santo è l’anima della Chiesa. Egli sostiene il Papa nel suo ufficio e santifica il Corpo mistico del Signore. Ma lo Spirito Santo illumina interiormente i fedeli nella fede per mezzo del Magistero esterno pontificio. Ma perché le forze del male non prevalgano in ciascuno di noi, occorre che siamo in comunione con la Chiesa e col Papa.

Per quanto riguarda invece la condotta morale del Papa e l’annesso compito di pascere, ossia di governare la Chiesa, di santificare con i sacramenti, e guidare pastoralmente e giuridicamente i fedeli, singolarmente e collettivamente presi, il Papa riceve certamente dallo Spirito Santo la grazia sufficiente e necessaria per un così alto compito e per salvare la propria anima, ma ha la possibilità di respingere questa grazia.

Per quanto riguarda la verità in materia di fede e di costumi insegnata dal Magistero pontificio, la Chiesa insegna che questa verità ci viene comunicata dal Papa secondo tre gradi decrescenti di autorità, a ciascuno dei quali corrisponde un grado di assenso da parte del fedele[1].

Partendo dal grado della massima autorità, abbiamo come primo grado il «magistero solenne», che definisce un nuovo dogma, e al quale il fedele aderisce con «fede divina e cattolica»; come secondo grado, il «magistero definitivo», che insegna «verità connesse con la verità rivelata», al quale il fedele aderisce «con fede nell’assistenza dello Spirito Santo al magistero».

Qui il Papa insegna dogmi già definiti,  e infine, come terzo grado, il «magistero autentico», che insegna «verità in materia di fede o di morale», oggetto di insegnamento ordinario, senza essere proposte come «definite o definitive». Si tratta di verità dogmatiche definibili, ossia che un giorno potranno essere elevate alla dignità di dogma. Il fedele aderisce ad esse «con religioso ossequio dell’intelletto e della volontà».

Il compito di insegnare la verità di fede è sostenuto da una grazia di stato, dono specialissimo riservato solo al Papa, dono che non può venir meno, né può essere respinto dal Papa, perché lo illumina infallibilmente. Quindi il Papa non può peccare nella fede.

Il Papa è infallibile nell’insegnare la verità rivelata a tutti e tre gradi della sua autorità magisteriale, e non soltanto al primo, come sostengono i lefevriani, per aver modo di accusare di falsità le dottrine che il Papa o un Concilio insegnano ai gradi inferiori. I lefevriani, per sostenere la loro tesi citano il dogma dell’infallibilità pontificia definito da Pio IX nel 1870 (Denz.3074), ma lo interpretano in modo restrittivo, come se il dogma insegnasse che il Papa è infallibile solo quando definisce solennemente un nuovo dogma, mentre nei gradi inferiori potrebbe sbagliare. Ma in realtà nella formula dogmatica non c’è questo «solo», ma si dice semplicemente che il Papa al primo grado è infallibile, senza escludere che lo possa essere anche ai gradi inferiori.

Ora «infallibile» significa «che-non-può-sbagliare». Esso equivale quindi a «veridico». Ma nell’Ad tuendam fidem si dice che il Papa dice il vero a tutti e tre i gradi. L’infallibilità del primo grado, quindi, non è l’infallibilità sic et simpliciter, ma l’infallibilità solenne. Si attua dunque al secondo grado l’infallibilità ordinaria e al terzo quella autentica.

Occorre dunque espungere dall’ambito dell’infallibilità certe frasi o certe battute o motti di spirito, che il Papa pronuncia o per impulso umorale o per avventatezza o forse sotto l’influsso della stanchezza o per imprudenza o forse per ischerzo o come opinioni personali. Tali frasi non smentiscono il suo carisma dell’infallibilità. Si deve semplicemente dire che nelle dette circostanze esso non si esercita. Non vanno prese sul serio, nè va loro dato peso.

Il Papa può peccare nelle virtù morali e nella carità

Invece la rettitudine della condotta morale del Papa, che garantisce la saggezza, la giustizia e la prudenza nel governo della Chiesa, dipendono dalla grazia santificante, che il Papa ha ricevuto da Cristo, come tutti i fedeli, la quale grazia è a disposizione del Papa, ma può essere distrutta dal peccato.

Cioè Cristo, prima di incaricare Pietro di pascere il suo gregge, non per nulla gli ha chiesto tre volte se Lo amava. Il che vuol dire che il retto assolvimento del compito di pascere il gregge di Cristo non dipende, come nel caso della fede, da un dono inamissibile, ma dipende, sia pur sotto l’impulso della grazia, dalla buona volontà del Papa, relativa anzitutto alla propria salvezza personale, e per conseguenza alla preoccupazione di custodire e guidare il gregge di Cristo con zelo e totale dedizione e disinteresse, anche a costo della vita. Questa preoccupazione deve spingere e sostenere costantemente il Papa nella cura pastorale del gregge di Cristo, ovverosia nel fedele e saggio governo della Chiesa.

Da quanto detto nascono delle conseguenze per quanto riguarda il giusto atteggiamento, che, come cattolici, dobbiamo tenere verso un Papa, la cui condotta morale e il cui governo della Chiesa recassero danno a lui stesso ed alla Chiesa e fossero in contrasto con quella dottrina che egli predica, sempre che la predichi in modo chiaro, completo ed onesto.

Può pertanto accadere che un Papa, pur mantenendo la sua autorità magisteriale non necessariamente esercitata nel migliore dei modi, pecchi nella sua condotta morale e nel governo della Chiesa per mancanza di virtù, di carità e di giustizia: un Papa ambizioso e attaccato a se stesso, quindi preoccupato della gloria che viene dagli uomini più di quella che viene da Dio; un Papa che predica la misericordia, ma che in pratica è un prepotente; un Papa che predica la riforma conciliare ed attua quella di Lutero; un Papa che dice di voler riformare la Curia e intanto si vale di collaboratori corrotti ed adulatori; un Papa che si dichiara per il dialogo e intanto non accoglie gli appelli che gli giungono dai fedeli; un Papa che predica la verità, ma non corregge chi la nega; un Papa che predica la pace, ma poi divide la Chiesa; un Papa che predica la evangelizzazione del mondo, ma che poi nella prassi scende a patti col mondo.

Che fare in questo caso? Occorre ascoltarlo come maestro; ma non possiamo imitarlo nella sua condotta e nella nostra prassi ecclesiale. Possiamo esortarlo a ravvedersi, come fece S.Caterina da Siena e sperare che lo faccia. Ma se non ci ascolta, i Santi dicono che bisogna apprezzare i lati buoni, sopportarlo, pregare per lui e lasciare alla Provvidenza che intervenga in modi efficaci, migliori di quelli che potremmo escogitare noi.

Il paradosso di Papa Francesco

In tutta la storia del Papato mai, forse, come oggi, balza agli occhi l’apparente paradosso della dignità papale di un uomo, che per una specialissima grazia dello Spirito Santo, conosce ed insegna infallibilmente la verità del Vangelo, ma che nel contempo può resistere alla grazia santificante, vivere in stato di peccato mortale ed arrecare danni alla Chiesa con una pastorale indiscreta, cercando i favori del mondo, anziché la gloria che viene da Cristo. Quest’uomo è il Papa.

Questo paradosso, questo fatto di fede difficilmente digeribile o comprensibile induce a una duplice tentazione: o quella di rifiutare l’insegnamento del Papa perché ha una condotta riprovevole, oppure quella di seguire il cattivo esempio morale del Papa perchè è il Papa. 

Così ci possono essere gli ultrapapisti, che celano la loro mondanità ed il loro opportunismo sotto un falso zelo e un malinteso rispetto per il Papa, i quali si sforzano, anche contro l’evidenza, di giustificare  tutto quello che dice e fa, tutti i suoi atti morali e del governo della Chiesa, adulandolo e lodando i suoi difetti come fossero il massimo della virtù. 

E ci sono dall’altra parte gli antipapisti, spiriti farisaici, corrosivi e ipercritici, che dimenticano la povera umanità del Papa, e trovano da ridire su tutto quello che egli dice e fa, sempre interpretando in male, magari accusandolo di eresia, mai riconoscendo un lato buono, dimenticando che anch’egli, come ogni comune mortale figlio di Adamo, è obbligato a portare, direbbe S.Paolo, “un tesoro in un vaso fragile”.

I buoni cattolici, che sanno distinguere nel Papa la sua fragile umanità dalla sacralità del ministero petrino, hanno sempre saputo riconoscere, salvo gli eretici,  il maestro della fede al di là della crudeltà di Lucio III, della severità di Innocenzo III, della prepotenza di Bonifacio VIII, dell’avarizia di Clemente V, dell’iracondia di Urbano VI, della lussuria di Alessandro VI, della bellicosità di Giulio II,  del nepotismo di Giulio III o dei festini di Leone X.

Ma non era mai capitato che la Chiesa soffrisse scandalo o restasse turbata da un Papa come Francesco, che suscita dubbi sulla sua ortodossia, ossia in quella funzione magisteriale, nella quale, per la promessa di Cristo, la luce dello Spirito illumina infallibilmente la mente del Papa nel conoscere la verità di fede e muove la sua volontà ad insegnare la verità.

Davanti a questa circostanza sorprendete e inaudita, i nostri spiriti non si devono turbare, ma bisogna che noi ci ricordiamo di questa infallibilità del Papa e lo richiamiamo francamente e filialmente ad usarlo per il bene della Chiesa e la salvezza delle anime.
P.Giovanni Cavalcoli
Varazze, 13 febbraio 2019



[1] Cf S.Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Ad tuendam fidem, con nota dottrinale della CDF, del 18 maggio 1998.

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