Pietà per l’Ucraina La vocazione ecumenica dell’Ucraina - Terza Parte (3/4)

 Pietà per l’Ucraina

La vocazione ecumenica dell’Ucraina

Terza Parte (3/4)

Parte II – le vie della pace 

Come si rimedia alla guerra 

Innanzitutto dobbiamo ricordare che cosa è la pace, perché la pace è la meta che si propone di raggiungere il pacifico che si trova a dover affrontare o sopportare la guerra, che un nemico gli muove contro. Infatti il pacifico non è uno che non combatte, ma che combatte per una giusta causa.

Certo, se col termine «guerra» s’intende la pratica della violenza, dato che il pacifico è un uomo buono e la violenza è peccato, in tal senso il pacifico non fa guerra a nessuno. Ma se per «guerra» intendiamo il semplice uso delle armi, in questo senso anche il pacifico può guerreggiare, in quanto è possibile far uso delle armi per un nobile fune, come per esempio la difesa della patria.

Per quanto riguarda la pace, essa è la tranquillità di un animo che domina le proprie passioni, pratica la volontà di Dio ed è benevolo verso tutti. Questa è la pace interiore, che riguarda la singola persona. Ma la pace è anche l’effetto gratificante dell’accordo o della comunione fra due persone sul sentiero della verità e della giustizia.  E questa è la pace sociale, ossia tra due o più persone.

Il singolo può fruire della pace interiore senza che tra lui e il prossimo vi sia pace.  La pace interiore dipende solo da lui. Perché vi sia la pace sociale, bisogna che almeno due persone in pace siano in rapporti pacifici. Infatti, affinchè fra due persone vi sia pace, occorre buona volontà da entrambe. Se io voglio essere in pace con Dio e col prossimo, non ho che da fare un atto di buona volontà, mettendo in pratica la volontà di Dio, ed ecco che io sono in pace con Dio ed anche eventualmente con chi ce l’avesse con me, benché egli non sia in pace con mne, ma potrebbe farmi guerra.

E allora, che cosa devo fare? Devo evidentemente difendermi fino, se ce la faccio, a renderlo innocuo, ossia a vincerlo nella lotta o in battaglia ed assoggettarlo, in modo che non gli venga più la voglia di aggredirmi. In questo caso io sono in pace con lui, ma non è escluso che egli morda il freno, continui ad odiarmi e aspetti il momento opportuno per aggredirmi un’altra volta.

Uno potrebbe dirmi: invece di difenderti con la forza, perché non entri in dialogo con lui? Perché non gli proponi una tregua, una trattativa? Se lui non ti viene incontro, va’ tu incontro a lui, fa’ il primo passo! Ma il problema è che si suppone che chi ti è nemico non abbia né stima né fiducia in te; per questo non è disposto ad ascoltarti e ti considera un mentitore pieno di cattiva volontà o quanto meno incapace di saggezza, anche se in buona fede.

Oppure egli stesso ce l’ha con te perché ha idee sbagliate, contrarie alle tue, idee che lo portano ad invidiarti o a disprezzarti e a odiarti, ritenendo naturalmente di avere ragione lui o perché non accetta i tuoi rimproveri o perché vuol dominare su di te. E allora come è possibile il dialogo in queste condizioni? Io posso volerlo; ma siccome lui non lo vuole o lo vuole basato su idee false, come sarà possibile un dialogo onesto e fruttuoso? Devo accettare le sue idee false pur di dialogare ed accordarmi con lui? Accordarmi con lui su princìpi falsi o immorali? Approvare i suoi peccati? Seguirlo sulla via del male?

Oppure è possibile, forse anche persuaso dal mio avergli dimostrato il suo torto,  che egli si penta, desista dal combattermi, mi chieda perdono e sia pronto a riparare il male che mi ha fatto.  È chiaro allora quello che devo fare: perdonarlo, accettare le riparazioni ed ecco sorgere una vera e benedetta pace tra me e lui: lui in pace con me ed io in pace con lui.

San Vladimiro fondatore dell’Ucraina cattolica 

L’unione di Brest, sollecitata dalla Polonia cattolica, provocò purtroppo una violenta reazione dell’Ucraina ortodossa, che vide nell’unione con Roma un tradimento della patria. San Giosafat, invece, fu il vero patriota, che volle veramente e pienamente la patria sotto il regno di Cristo, perchè, allacciandosi a San Vladimiro cattolico, seppe riannodare il filo spezzato, seppe capire a quale àncora doveva attaccarsi la sua patria per essere veramente sotto il regno di Cristo. Capì che il legame col Patriarcato di Mosca, per quanto ricco di valori cristiani, a causa della sua indipendenza dal Papa, non era sufficiente allo scopo, ed anzi conteneva anche alcuni elementi fuorvianti e quindi anticristiani.

Se quindi l’Ucraina vuole finalmente trovare o ritrovare il suo volto nazionale, l’unità del suo popolo e dello Stato, nella pluralità delle sue componenti e nella libertà religiosa, deve andare alle sorgenti della sua esistenza. E quste sono indubbiamente nel già più volte citato battesimo di San Vladimiro.

Così ne parla sapientemente San Giovanni Paolo II, il Papa slavo:

 

«Vladimiro, il protagonista del Battesimo del 988, accettò la fede cristiana e promosse la conversione, stabile e definitiva, del popolo della Rus’. Vladimiro e i nuovi convertiti sentirono la bellezza della liturgia e della vita religiosa della Chiesa di Costantinopoli. Fu così che la nuova Chiesa della Rus’ attinse da Costantinopoli l’intero patrimonio dell’Oriente cristiano e tutte le ricchezze ad esso proprie nel campo della teologia, della liturgia, della spiritualità, della vita ecclesiale, dell’arte. …

 

In questo modo si realizzò quella particolare “inculturazione slava” del Vangelo e del cristianesimo, che si ricollega alla grande opera dei Santi Cirillo e Metodio, i quali, da Costantinopoli portarono il cristianesimo, nella versione slava, nella Grande Moravia e, grazie ai loro discepoli, ai popoli della Penisola Balcanica.

 

Fu così che San Vladimiro e gli abitanti della Rus’ di Kiev ricevettero il Battesimo da Costantinopoli, dal più grande centro dell’Oriente cristiano e, grazie a questo, la giovane Chiesa fece il proprio ingresso nell’ambito del ricchissimo patrimonio bizantino, della sua eredità di fede, di vita ecclesiale, di cultura. …

 

Vladimiro, grazie alla sua saggezza e alla sua intuizione, mosso dalla sollecitudine per il bene della Chiesa e del popolo, accettò nella liturgia, in luogo del greco, la lingua paleoslava, facendone uno strumento efficace per avvicinare le verità divine a quanti parlavano tale lingua»[1].

Il messaggio di pace di San Giovanni XXIII: cerchiamo ciò che ci unisce[2]

Con l’indire il Concilio Vaticano II non c’è dubbio che San Giovanni XXIII ha avuto in mente, come uno dei suoi fini primari, animare la Chiesa a farsi custode e promotrice di pace nel mondo: pacem in terris, come recita la famosa enciclica da lui pubblicata proprio nel corso dei lavori conciliari, quasi a dare ad essi un poderoso impulso e una linea di azione per l’edificazione della pace. 

La parola stessa «concilio» è atto eminente di costruzione della pace, che consegue ad un atto di conciliazione o di riconciliazione tra due forze in precedenza in conflitto. L’opera di pace richiede quindi il toglimento di ciò che ostacola la conciliazione e la concordia.  Inoltre la pace è assicurata dal fatto che le volontà degli avversari si accordano nel perseguimento di un bene a essi comune. A sua volta la ricerca del bene suppone la conoscenza del vero bene. Da qui il compito di tutti Concili, al fine di creare la pace, è quello di far conoscere la verità su ciò che conduce alla pace, condannando gli errori contrari. Occorre conoscere dunque ciò che divide, per toglierlo e realizzare ciò che unisce.

Il nobilissimo discorso di San Paolo VI all’ONU

Si tratta del documento più importante della Chiesa dedicato all’approvazione ed alla raccomandazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite come supremo organismo politico di unità internazionale finalizzato ad assicurare e difendere il bene comune universale. Il documento è ricco di spunti e di stimoli affinchè l’ONU sia all’altezza del suo compito istituzionale della promozione del bene comune mondiale, prospettiva che si presenta ancora a lungo termine, ma alla quale l’ONU deve mirare con tutte le sue forze e risorse morali, politiche ed economiche.

Stralciamo qui alcuni passi del memorabile discorso, invitando il Lettore a leggerlo e a meditarlo per intero:

«Il Nostro messaggio vuol essere, in primo luogo, una ratifica morale e solenne di questa altissima Istituzione. Questo messaggio viene dalla Nostra esperienza storica; Noi, quali "esperti in umanità", rechiamo a questa Organizzazione il suffragio dei Nostri ultimi Predecessori, quello di tutto l'Episcopato cattolico, e Nostro, convinti come siamo che essa rappresenta la via obbligata della civiltà moderna e della pace mondiale. 

…….

La vostra caratteristica riflette in qualche modo nel campo temporale ciò che la Nostra Chiesa cattolica vuol essere nel campo spirituale: unica ed universale. Non v'è nulla di superiore sul piano naturale nella costruzione ideologica dell'umanità. La vostra vocazione è quella di affratellare non solo alcuni, ma tutti i Popoli. Difficile impresa? Senza dubbio. Ma questa è l'impresa; questa la vostra nobilissima impresa. Chi non vede il bisogno di giungere così, progressivamente, a instaurare un'autorità mondiale, capace di agire con efficacia sul piano giuridico e politico?

……. 

Finché l'uomo rimane l'essere debole e volubile e anche cattivo, quale spesso si dimostra, le armi della difesa saranno necessarie, purtroppo; ma voi, coraggiosi e valenti quali siete, state studiando come garantire la sicurezza della vita internazionale senza ricorso alle armi: questo è nobilissimo scopo, questo i Popoli attendono da voi, questo si deve ottenere! Cresca la fiducia unanime in questa Istituzione, cresca la sua autorità; e lo scopo, è sperabile, sarà raggiunto. Ve ne saranno riconoscenti le popolazioni, sollevate dalle pesanti spese degli armamenti, e liberate dall'incubo della guerra sempre imminente, il quale deforma la loro psicologia.

………

Un altro principio costitutivo di questo Organismo, cioè il suo vertice positivo: non solo qui si lavora per scongiurare i conflitti fra gli Stati, ma si lavora altresì con fratellanza per renderli capaci di lavorare gli uni per gli altri. Voi non vi contentate di facilitare la coesistenza e la convivenza fra le varie Nazioni; ma fate un passo molto più avanti, al quale Noi diamo la Nostra lode e il Nostro appoggio: voi promovete la collaborazione fraterna dei Popoli. Qui si instaura un sistema di solidarietà, per cui finalità civili altissime ottengono l'appoggio concorde e ordinato di tutta la famiglia dei Popoli per il bene comune, e per il bene dei singoli. Questo aspetto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite è il più bello: è il suo volto umano più autentico; è l'ideale dell'umanità pellegrina nel tempo; è la speranza migliore del mondo; è il riflesso, osiamo dire, del disegno trascendente e amoroso di Dio circa il progresso del consorzio umano sulla terra; un riflesso, dove scorgiamo il messaggio evangelico da celeste farsi terrestre. Qui, infatti, Noi ascoltiamo un'eco della voce dei Nostri Predecessori, di quella specialmente di Papa Giovanni XXIII, il cui messaggio della Pacem in terris ha avuto anche nelle vostre sfere una risonanza tanto onorifica e significativa».

Indubbiamente il Papa, con sano realismo, senza indulgere ad un’immaginaria anche se sublime concezione dell’autorità politica mondiale dell’ONU, che non corrisponde all’attuale configurazione del suo Statuto, non fa appello ad alcun suo dovere immediato e concreto di procurare e difendere, magari con la forza, il bene comune universale come se il Segretario dell’ONU fosse a capo di una repubblica presidenziale, sul tipo degli Stati Uniti.

Tuttavia a nessuno che legga fra le righe del discorso sfugge il chiarissimo e fermo richiamo all’ONU ad essere concretamente ed efficacemente fautore e difensore della giustizia e della pace nel mondo, al di sopra di qualunque altra potenza particolare, che volesse avocare a sé tale gravissimo, nobilissimo ed urgentissimo compito ed ufficio al servizio della comunità internazionale in ordine alla sua stessa sicurezza e sopravvivenza. San Paolo VI spinge sull’acceleratore affinchè ciò a cui l’ONU tende, auspica, vuole e desidera divenga quanto prima realtà concreta sul piano dell’agire e dei fatti.

Il messaggio di pace di San Giovanni Paolo II:

 i due polmoni dell’Europa 

Il messaggio pontificio più importante per estinguere la guerra presente e attuare la mutua comprensione, la riconciliazione e la pace fra occidente ed oriente, Stati Uniti e Russia, cattolici ed ortodossi, Ucraini dell’est ed ucraini dell’ovest, Ucraini di lingua ucraina e Ucraini russofoni, Ucraini di sinistra e Ucraini di destra, per attuare l’unità e indipendenza nazionale del popolo ucraino, affinchè l’Ucraina non sia più oggetto di appetiti né da parte del Est né da parte dell’Ovest e realizzi se stessa una piena libertà  politica e religiosa, in pacifica convivenza nel consesso dei popoli, è il poderoso e sapientissimo messaggio di San Giovanni Paolo II, il quale, come Pio XII è stato chiamato Defensor civitatis per aver salvato con il suo luminoso magistero l’Europa dalla barbarie nazista originata dall’idealismo hegeliano, così passerà alla storia come Defensor Europae christianae, in quanto riconciliatore delle due anime cristiane dell’Europa e rifondatore dell’Europa cristiana.  

Lo slavo Karol Wojtyla non poteva non essere sensibile alla necessità della riunificazione dell’Europa cristiana e quindi alla ricomposizione dello scisma del 1054. Nel contempo era ben consapevole della differenza fra la spiritualità occidentale e quella orientale dell’Europa e in certo modo quella del mondo.

Famoso e significativo è stato lo slogan col quale San Giovanni Paolo II ha propagandato la sua consegna: «l’Europa deve respirare con i suoi due polmoni e ritrovare le sue radici cristiane». Questa calda, convinta e convincente esortazione fu espressa in modo speciale in due importanti documenti del Papa, uno dedicato alla rievocazione dell’opera evangelizzatrice dei Santi Cirillo e Metodio nell’undicesimo centenario, la Lettera apostolica Slavorum Apostoli del 2 giugno 1985 e l’altro, la Lettera Apostolica Euntes in mundum del 25 gennaio 1988, in occasione del millennio del battesimo della Rus’ d Kiev.

Il primo documento ricorda la fondazione dell’Europa cristiana slava dell’Est nel sec. IX, in un momento in cui non era avvenuto il disgraziato scisma del 1054, per cui i Santi fratelli greci Cirillo e Metodio poterono sintetizzare lo spirito latino con lo spirito slavo sotto l’egida ad un tempo di Roma e di Costantinopoli.

Il secondo ricorda specificamente la fondazione cristiana del popolo russo da parte di San Vladimiro nel 988, quindi anche qui nel clima della comunione di Costantinopoli con Roma.  Occorre tuttavia qui notare il finissimo accorgimento pastorale del Santo Pontefice, che lo ha condotto a scrivere due distinti documenti rievocativi del battesimo della Rus’: uno dedicato al popolo russo del sec. IX e l’altro ai cattolici dell’Ucraina, con riferimento all’Unione di Brest del 1596.

Che significa tutto ciò in relazione alla guerra presente? È un evidente richiamo a fare da una parte un’importante distinzione, e dall’altra a evidenziare una altrettanto importante identità. Tanto gli Ucraini che i Russi sono slavi. Ma il popolo russo ha subìto nella storia un processo di distinzione-differenziazione, che lo ha condotto ad un particolare trasferimento di identità dal centro originario di Kiev a Mosca. Il russo originario, di Kiev, dando luogo al russo moscovita, che nel sec. XIV acquistò un primato politico-religioso sul kieviano, cominciò nel sec. XVI a diventare soggetto al moscovita e nel contempo a distinguersi anche per la lingua, usi e costumi, come se fosse un altro popolo, un’altra nazione.  E cominciò a chiamarsi ucraino. Ecco dunque, nel sec. XX, nata la distinzione fra Russia ed Ucraina non solo come popoli distinti, ma come Stati distinti.

Torniamo ai documenti del Papa. Vediamo allora la sua prudenza pastorale, per la quale egli ha posto i due documenti in una graduatoria d’importanza, che traspare dalla loro denominazione letteraria, che, nel linguaggio del Magistero della Chiesa, esprime tre diversi gradi di autorità pastorale: la lettera su Cirillo e Metodio, la più importante, è denominata «epistola enciclica»; si scende poi al grado di «lettera apostolica» con la commemorazione del battesimo della Rus’ e infne al grado minimo troviamo il «messaggio» ai cattolici ucraini.

Il Papa dà dunque più importanza al battesimo dei Russi (Rus’) quando erano ancora un solo popolo, che non all’esistenza dei cattolici ucraini. Ciò ovviamente non vuol dire che l’esser cattolico sia alla pari dell’essere ortodosso. Ma, dato che il Papa sa benissimo della prevalenza numerica in Ucraina degli ortodossi dipendenti da Mosca, lancia implicitamente un messaggio ecumenico, come a dire: voi cattolici ucraini, siete miei figli; ma ricordarvi il vostro dovere di collaborare con gli ortodossi per l’edificazione della patria comune. Da notare inoltre l’uso curioso del termine raro Rus’. Uno potrebbe dire: perché non ha parlato apertamente della Russia? Perché la Russia di oggi non è la Rus’ del sec.IX, benchè sia nata da lì, distinguendosi dall’Ucraina.

Il Papa con questo linguaggio abilmente studiato, suggerisce dunque la via per ottenere la pace fra Russia ed Ucraina. Egli evita due estremismi opposti, entrambi fautori di guerra: l’integrismo imperialista di Putin, che pretende che Russi ed Ucraini siano ancora un solo popolo, per poterli dominare, e il liberalismo individualista di Biden, che prende a pretesto l’indipendenza e la libertà dell’Ucraina e la sua distinzione dalla Russia per mettere le mani sull’Ucraina e metterla contro la Russia.

Altro fatto notevolissimo da ricordare è l’opera svolta dal Papa in collaborazione col Segretario di Stato Casaroli per ottenere lo scioglimento dell’Unione Sovietica avvenuto nel 1991, fatto che segnò, conformemente almeno parzialmente alla profezia di Fatima, il ritorno della Russia alla tradizione cristiana ortodossa.

Da allora è avvenuto un processo storico per il quale, mentre la Russia cominciò a spostarsi a destra, gli Stati Uniti, con l’amministrazione Biden, hanno preso una posizione di sinistra, tanto che oggi abbiamo il comunista Letta che sostiene Biden contro la Russia reazionaria, mentre Salvini è diventato amico del filosofo Dugin sostenitore della tradizione della Santa Russia contro il modernismo americano.

Da questo fatto si evince la necessità, per ottenere pace fra occidente ed oriente, che la destra orientale tradizionalista trovi un accordo con la sinistra occidentale modernista per la realizzazione di un sistema politico mondiale, sotto l’egida dell’ONU, nel quale il progresso si coniughi con la continuità[3].

Fine Terza Parte (3/4)

P. Giovanni Cavalcoli       

Fontanellato, 12 maggio 2022

Memoria della Prima Apparizione della Madonna a Fatima

San Giosafat

San Giosafat fu il vero patriota, che volle veramente e pienamente la patria sotto il regno di Cristo, perchè, allacciandosi a San Vladimiro cattolico, seppe riannodare il filo spezzato, seppe capire a quale àncora doveva attaccarsi la sua patria per essere veramente sotto il regno di Cristo.

 

Lo slavo Karol Wojtyla non poteva non essere sensibile alla necessità della riunificazione dell’Europa cristiana e quindi alla ricomposizione dello scisma del 1054. 

Nel contempo era ben consapevole della differenza fra la spiritualità occidentale e quella orientale dell’Europa e in certo modo quella del mondo.

Famoso e significativo è stato lo slogan col quale San Giovanni Paolo II ha propagandato la sua consegna: «l’Europa deve respirare con i suoi due polmoni e ritrovare le sue radici cristiane».  

Immagini da Internet

[1] Lettera Apostolica Euntes in mundum in occasione del millennio del battesimo della Rus’ di Kiev, del 25 gennaio 1988, n.3.

[2] Sull’insegnamento della Chiesa concernente la questione della guerra, dal Concilio Vaticano II a San Giovanni Paolo II, cf Compendio della dottrina sociale della Chiesa a cura del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Libreria Editrice Vaticana 2004, c.XI.

[3] Si tratta dello stesso doloroso fenomeno interno alla Chiesa cattolica dalla fine del Concilio: l’ostinata opposizione fra modernisti e passatisti. Il rimedio è ispirato al Magistero di Benedetto XVI, che ha coniato l’espressione «progresso nella continuità» è proposto mio libro che porta lo stesso titolo, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2011.

2 commenti:

  1. Caro Padre Giovanni,
    lei ha scritto:
    “Pio XII è stato chiamato Defensor civitatis per aver salvato con il suo luminoso magistero l’Europa dalla barbarie nazista originata dall’idealismo hegeliano”.
    Mi consenta di parzialmente dissentire. Al Venerabile Pio XII fu attribuito il titolo di Defensor civitatis, più che per l’attività magisteriale, soprattutto per la sua grande opera di carità, in favore delle vittime del secondo conflitto mondiale, in particolare degli ebrei, molti dei quali si salvarono perché ospitati all’interno di strutture della Chiesa.
    In un attestato delle Comunità israelitiche italiane che si trova al Museo della Liberazione in Via Tasso a Roma, si trova scritto: “Il Congresso dei delegati delle comunità israelitiche italiane, tenutosi a Roma per la prima volta dopo la liberazione, sente imperioso il dovere di rivolgere reverente omaggio alla Santità Vostra, ed esprimere il più profondo senso di gratitudine che anima gli ebrei tutti, per le prove di umana fratellanza loro fornite dalla Chiesa durante gli anni delle persecuzioni e quando la loro vita fu posta in pericolo dalla barbarie nazifascista”.
    Pinchas Lapide, ex console d’Israele a Milano, scrisse: «La Chiesa cattolica, sotto il pontificato di Pio XII, ha salvato 700.000 ebrei da morte sicura. Secondo alcuni addirittura 860.000» (P. Lapide, Roma e gli ebrei, Mondadori 1967).
    Alla morte del pontefice, Golda Meir, allora premier israeliano, dichiarò: “Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata a favore delle vittime. Piangiamo la perdita di un grande servitore della pace”).
    Per quanto concerne l’attività magisteriale, nella sua prima enciclica “Summi Pontificatus”, il Papa deplora l’appena avvenuta invasione nazista della Polonia:
    “Il sangue di innumerevoli esseri umani, anche non combattenti, eleva uno straziante lamento specialmente sopra una diletta nazione, quale è la Polonia […]”.
    E condanna ogni discriminazione razziale, affermando la «comune origine in Dio» di tutto il genere umano, nonché i movimenti anticristiani e neopagani dell’epoca:
    “Dal gigantesco vortice di errori e movimenti anticristiani sono maturati frutti tanto amari da costituire una condanna, la cui efficacia supera ogni confutazione teorica […]
    anche in regioni, nelle quali per tanti secoli brillarono i fulgori della civiltà cristiana, sempre più chiari, sempre più distinti, sempre più angosciosi i segni di un paganesimo corrotto e corruttore: «Quand'ebbero crocifisso Gesù si fece buio»”.
    Tali condanne, quantomeno nell’aspetto dell’anticristianesimo, potevano comprendere anche l’ideologia comunista, e peraltro il Pontefice non nomina mai né il Nazismo né la Germania, e dunque, condannano solo in modo indiretto l’ideologia hitleriana.
    Del resto, è lo stesso Pio XII, in un altro passo dell’enciclica, a ripromettersi di affrontare con il dovuto approfondimento dottrinale, la questione in futuro:
    «Una presa di posizione dottrinale completa contro gli errori dei tempi presenti può essere rinviata, se occorrerà, ad altro momento meno sconvolto dalle sciagure degli esterni eventi».
    Ciò però non avvenne prima della fine della guerra.

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    1. Caro Bruno,
      la ringrazio vivamente per questo suo prezioso contributo, che mi illumina su alcuni atti del grande pontificato di Pio XII.
      Accolgo con gratitudine questa integrazione del mio giudizio sul venerato Pontefice.
      Lei comprenderà che io, come teologo, non potevo non essere sensibile al sapiente magistero di Pio XII, ma nello stesso tempo era effettivamente doveroso riempire di maggiore contenuto il titolo di Defensor Civitatis.
      Del resto Pio XII, con la sua grandiosa azione a favore degli ebrei, non fece che mettere in pratica quei nobili principi morali che costituiscono una delle perle del suo magistero.

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