Un miliardo
e 800mila persone candidate all’inferno
Dio
onnipotente vuol salvare tutti gli uomini senza eccezione,
ma non tutti si salvano
Concilio di Quierzy dell’853
Prima Parte (1 di 2)
Una
dolorosa spaccatura nella Chiesa
La Chiesa,
benché resti sempre in sé stessa una e santa per essenza, tuttavia è lordata ed
invasa da una tale quantità di peccatori ed eretici, che di fatto si trova oggi
dolorosamente lacerata fra due partiti contrapposti: i buonisti, che sostengono
che l’inferno non esiste e che tutti si salvano, e gli anticonciliari, i quali
sostengono che i musulmani vanno all’inferno.
I buonisti
si considerano la Chiesa del progresso, preparatori di una «svolta epocale» e
illuminati da un «nuovo paradigma». Sostengono che la modernità va accolta in toto e senza riserve. Scagionano i
modernisti condannati da San Pio X, considerano il Concilio Vaticano II troppo
conservatore e si ispirano alla riforma luterana.
Gli
anticonciliari, all’opposto, si considerano la Chiesa della tradizione, dei
valori «non negoziabili» e della Messa «di sempre». Respingono in blocco la
«modernità». Vorrebbero tornare alla Chiesa di Pio XII e vogliono annullare
come false le dottrine innovatrici del Concilio Vaticano II.
I primi in
nome del diverso trascurano l’opposizione fra il vero e il falso e riducono ogni
idea ad opinione. I secondi badano solo all’opposizione fra vero e falso
rifiutandosi di apprezzare il diverso e la pluralità delle opinioni. Per i primi
ogni religione è buona e voluta da Dio; per i secondi è vera solo quella cristiana
e tutte le altre sono false e diaboliche. Gli uni e gli altri pretendono di
essere la vera Chiesa. Il più recente motto dei primi è: «dopo la pandemia
nulla sarà come prima». Il motto invece dei secondi è: «si è sempre fatto
così».
In mezzo,
contesa o tentata dalle due parti ricche di soldi, arroganti, strombazzanti e
litiganti come cani e gatti, c’è la minoranza sparuta di cattolici normali, la vera
Chiesa, umile, sofferente, derisa e bistrattata, senza voce e, senza mezzi
economici, di cattolici onesti e fedeli al Concilio, ma non nell’interpretazione
modernista, bensì in quella del Catechismo e della Chiesa, sotto la guida
di Papa Francesco, adulato dai buonisti ed odiato dagli anticonciliari, il
quale fatica a mediare fra le due parti per un difetto di imparzialità, per il
quale accarezza i buonisti e bastona i conservatori.
Eppure sono
questi cattolici, che, sotto la guida del Papa, principio dell’unità
ecclesiale, e con la forza dello Spirito Santo, sono i testimoni dell’unità
della Chiesa, la tengono unita e la difendono dalle insidie del demonio che la
vuol dividere.
A loro
spetta, sull’esempio di Cristo, la funzione di costruttori di pace e di concordia
nella verità. Essi soli, in mezzo a un pluralismo, un soggettivismo e
relativismo esasperati, posseggono il senso dell’universalità della Chiesa.
Essi soli, tra l’ipocrisia e la superbia degli uni e degli altri, ne promuovono
la santità. Essi soli, tra gli odiatori e gli adulatori del Papa, rispettano
sinceramente la sua autorità apostolica e gli prestano vera obbedienza nella
libertà dei figli di Dio.
Lo scontro
fra i due partiti avversi sembra oggi essersi concentrato attorno alla
questione dell’Islam ed emerge sotto i riflettori, quasi simbolo ed emblema
dello scontro epocale, il grande e prezioso affresco quattrocentesco della splendida
e grandiosa basilica trecentesca di San Petronio in Bologna, dove è dipinto
Maometto all’inferno.
Da un ventennio, ossia da quando soprattutto
nel mondo islamico si è sparsa la notizia dell’affresco, al quale fino ad
allora nessuno aveva fatto caso, la basilica è costantemente presidiata dalla
polizia nel timore di attentati islamici. Dal che gli antiislamici pensano di
avere una controprova o una conferma ecclesiastica –trattandosi di un tempio
cattolico - che chi segue Maometto va all’inferno. Ora, calcolando che i musulmani nel mondo sono
all’incirca 1.800.000.000, gli antiislamici hanno, a loro giudizio, motivo per
temere che tanti seguaci del Profeta abbiano un piede sull’inferno.
Il nodo
della questione è il problema di Dio
Il nodo della questione fra cristiani ed
Islamici è stato definito con molta chiarezza dal Concilio Vaticano II[1]
dove – fatto mai successo dalla nascita
dell’Islam nel sec. VII – la Chiesa impegna la sua infallibile autorità
dottrinale nel riconoscere solennemente gli aspetti positivi del concetto del
Dio dei musulmani, che essi chiamano Allah.
Il Concilio per la verità non usa questa parola, ma è evidente che riconoscendo
il Concilio che essi adorano il vero ed unico Dio, è quel Dio che essi chiamano
Allah.
Sbagliano quindi coloro che dicono che Dio
non è Allah e che Allah sarebbe un dio pagano. Chi fa un’affermazione simile,
se vuol fregiarsi del titolo di cattolico, deve sapere che, accusando di errore
il Concilio, si pone al di fuori della verità cattolica. È solo una questione
di nomi, così come i Tedeschi chiamano Dio Gott
o i Francesi Dieu.
Per essere più precisi in questa individuazione
del pomo della discordia tra buonisti ed islamofobi, credo si possa dire che esso
sta nel precisare il rapporto fra il Dio Uno e il Dio Trino. Per i buonisti noi
cristiani non dobbiamo proporre agli islamici la fede trinitaria come fosse
necessaria anche per la loro salvezza. Semplicemente hanno una fede diversa, e
quindi non dobbiamo disturbarli nelle loro convinzioni, perché anche la loro
fede è salvifica.
Il buonista
e l’islamofobo.
Per il buonista non esiste una verità
assoluta, universale ed oggettiva, valida, indiscutibile ed obbligatoria per
tutti, ma la verità muta, è soggettiva, è filia
temporis. Ognuno di noi concepisce la verità come appare a lui: verum est quod videtur. Il suo motto è quot capita, tot sententiae. Quello che è
vero per me può essere falso per te. Non esiste la religione, ma ci sono solo le
religioni. E questo è normale ed inevitabile. È la libertà di pensiero senza la
quale c’è violenza ed intolleranza.
Lo stesso avviene per la religione. Per
questo, per lui, il cristianesimo non ha alcun primato sulle altre religioni, ma
tutte le religioni non sono che diverse vie alla salvezza, tutte alla pari, tutte
parziali e relative, ma legittime e sufficienti per ogni religione. Nessuna religione
può obbligare l’intera umanità ad obbedire al proprio credo. La vera religione
è solo l’insieme di tutte le religioni, dove ognuna dà il proprio contributo al
bene comune, senza la pretesa di correggere supposti difetti o di aggiungere
qualcosa alle altre religioni o di essere indispensabile per tutte le altre.
In base
a questi princìpi per il buonista è sufficiente che noi e loro crediamo in Dio.
Ognuno dev’essere libero di pensarlo trino o non trino. Silvia Romano
dev’essere rispettata nella sua scelta. Il Card. Bassetti ha fatto bene a
chiamarla «nostra figlia» e Famiglia
cristiana ha fatto bene a portarla a modello per i giovani di donna libera
e coraggiosa. Al buonista manca qualunque interesse all’annuncio del Vangelo ai
musulmani, perché secondo lui gli islamici si salvano già col Corano.
Il buonista estremizza la posizione di Papa Francesco,
che ha detto che tutte le religioni cercano la pace, che anche la religione
islamica è voluta da Dio e che i vizi dei fedeli di questa si trovano anche tra
i cristiani, negando, a quanto pare, che vi possa essere maggior santità nel
cristianesimo che non nell’islamismo.
L’islamofobo invece non vede nel Corano
nessuna verità su Dio, ma solo menzogne e idolatria. In esso non rintraccia
alcun incitamento alla virtù, ma solo al vizio e all’odio contro i cristiani. L’islamofobo estremizza la posizione di
Benedetto XVI, che ha accusato di volontarismo dispotico il concetto islamico
di Dio paragonandolo al volontarismo di Guglielmo di Ockham.
L’islamofobo si immagina fra Cristianesimo ed
Islam un’opposizione frontale e radicale, sotto ogni rapporto ed ogni punto di
vista, come tra il diavolo e l’acqua santa. È una concezione estremamente rozza
e semplicistica, che la Chiesa non ha mai approvato. L’islamofobo non ha
recepito le dottrine del Concilio e nei confronti dell’Islam ha l’audacia di
accusare di falso quanto il Concilio insegna circa la parziale validità della
concezione islamica di Dio, afferma che Allah non è Dio o che il Dio islamico è
un idolo o un falso dio o un dio pagano o prendendo a pretesto che non è il Dio
trinitario.
L’islamofobo non nutre alcuna speranza nella conversione
dei musulmani al cristianesimo. «Sono sempre stati così e sempre saranno così».
Questo è il suo ragionamento falsamente realistico, assolutamente privo di
qualunque speranza cristiana. Secondo lui essi sono degli irrimediabili nemici di
Cristo destinati all’inferno, dove li attende Maometto. Chi si azzarda ad approvare
qualche elemento del Corano è un traditore e un infedele, fosse anche il
Concilio o il Papa.
L’islamofobo è colui che non ammette l’et-et,
ossia il questo e quello, il pluralismo e la diversità, ma riduce tutto all’aut-aut,
all’opposizione fra il sì e il no: o sei con me o sei contro di me. Così secondo
loro, a proposito nel problema dell’Islam, non può esistere convivenza pacifica
fra cristiani e musulmani. Non si deve né si può dialogare con loro, perché non
abbiamo niente in comune con loro, ma solo dobbiamo ammonirli senza mezzi
termini, accusarli, rimproverarli e minacciarli. Si deve mantenere con loro un atteggiamento
combattivo ed intransigente, di condanna assoluta e globale del Corano. Bisogna
mostrar loro con chiarezza l’aut-aut: o in paradiso con Cristo o all’inferno con
Maometto.
Al contrario, per i buonisti, per i quali non
c’è nessun aut-aut, ma solo l’et-et[2],
il problema dell’Islam non è una questione di salvezza o di perdizione, giacché
per loro tutti in fondo (molto in fondo) sono buoni, in buona fede e si salvano.
Il problema per loro è semplicemente quello di una convivenza pacifica e di una
reciproca collaborazione politica per il bene comune temporale fra gruppi religiosi
differenti.
Frequente
invece tra gli antiislamici è l’accusa a Silvia di apostasia. È una donna
perduta e sull’orlo dell’inferno. Non nego che la cosa sia possibile, nel caso
che in passato essa abbia avuto una fede cattolica, perché l’apostasia è
l’abbandono dell’intero patrimonio delle verità della fede cattolica.
Anch’io sono preoccupato, come sacerdote, della
sua anima. Non faccio come il Card. Bassetti, che la chiama paternamente e
tranquillamente «nostra figlia». Mi chiedo invece: ma se si è fatta musulmana, come
sarà mia figlia o figlia di Dio, se è vero che i musulmani negano la possibilità di essere «figli di Dio»? Come potrà essere
mia sorella o mia figlia nel senso in cui ne parla Cristo (Mt 12,50)? È in buona
fede o in cattiva fede?
Chiunque vuol veramente bene a Silvia ed ama
l’onestà, non può non porsi queste domande, prima di condannarla senza appello
o di esaltarla come eroina della libertà. E in fin dei conti, sappiamo forse
scrutare l’intimo della sua coscienza? Che ne sappiamo se essa è in buona o
cattiva fede? Ma il peggio è che gli antiislamici non sanno vedere nel caso di
Silvia la conferma della dottrina del Concilio sul Dio islamico e quindi un
fattore di incoraggiamento del dialogo con i musulmani.
Nell’intervista che ho citato nel mio
articolo su Silvia, essa non parla di un passato cattolico. Al contrario dice
di essere stata atea e di aver scoperto Dio leggendo il Corano. La cosa è
plausibile, perché appunto, come insegna il Concilio, il Dio coranico, benché
concepito solo in modo parzialmente vero[3],
è il vero Dio uno ed unico, anche se purtroppo è respinta la divinità di Gesù
Cristo.
La necessità urgente che s’impone per il bene
della Chiesa, dell’Islam e della stessa società è che sorgano cattolici i
quali, fondandosi sull’insegnamento del Concilio circa l’Islam, chiariscano la
convergenza di attributi divini del Dio cristiano con quello islamico,
segnalata dal Concilio. Al riguardo è molto interessante confrontare gli
attributi divini della teologia di San Tommaso con i 99 attributi di Allah che
il pio islamico recita uno di seguito all’altro in un’apposita catena di
palline, detta dikr, simile al nostro
Rosario.
Il nostro Dio
non è il loro
È un’affermazione che capita frequentemente
di sentire, che equivale a questa: «non abbiamo lo stesso Dio». Ora, per sapere
se questa tesi è vera o falsa, dobbiamo tener presente che con la parola «Dio»
possiamo riferirci a due cose diverse: o a Dio
in sé stesso, come esiste nella realtà, oppure possiamo riferirci al nostro concetto di Dio.
Un conto, infatti, è il Dio reale e un conto è il Dio pensato, concepito da noi, benché ciò
che pensiamo di Dio – siamo cristiani o siamo musulmani – possa e debba
rispecchiare il Dio reale, altrimenti di Dio avremmo un concetto falso. In altre parole: un conto è Dio in
sé e un conto è la conoscenza che
noi cristiani e i musulmani abbiamo di Dio. Se ci riferiamo a Dio in sé stesso,
è chiaro che abbiamo lo stesso Dio; noi e i musulmani siamo tutti sue creature.
Non esistono due Dèi: uno per i cristiani e uno per i musulmani. Dio è uno
solo.
Per questo, la Chiesa parla di Cristianesimo
e di Islamismo come di due religioni monoteiste. E si badi bene che, per riconoscere il vero
Dio, non basta riconoscere che c’è un solo Dio, se poi questo Dio è un Dio falso. Anche Fichte ed Hegel sostengono
che c’è un solo Dio; eppure, il loro Dio è un Dio falso. Ora, il Concilio dà
atto agli islamici non solo che ammettono un solo Dio, ma che si tratta del vero Dio, non si tratta di un falso dio
o di un idolo, come Giove o Pachamama o di un Dio pagano[4].
Se invece ci riferiamo alla conoscenza o al concetto che noi cristiani e i musulmani abbiamo di Dio, allora
bisogna dire che è la stessa solo in parte, e in parte non coincide. È la
stessa in quanto riflette la verità su Dio. E questo è il punto rilevato dal
Concilio. Non coincide, in quanto, come ha fatto notare Benedetto XVI, nel
concetto coranico di Dio c’è un aspetto sbagliato, che è l’aspetto
volontaristico, come vedremo più avanti.
Coloro che obiettano che Allah non è Dio,
sbagliano, perché è evidente che quando il Concilio parla del Dio islamico, è
quel Dio che essi chiamano «Allah», che è il termine arabo. Ma siccome consideriamo
una traduzione italiana del Concilio, è logico che troviamo il termine italiano
«Dio», così come non avrebbe avuto senso, se avessimo incontrato il termine Gott o Dieu. La cosa da tener presente non è la differenza dei termini, ma
il fatto che i termini significano il medesimo
concetto, il quale a sua volta rappresenta il medesimo Dio.
Ugualmente sbagliano coloro che sostengono
che il Concilio non ha capito chi è veramente il Dio islamico, perchè, a sentir
loro, gli islamici saprebbero meglio del Concilio chi è il loro Dio, per cui il
Concilio avrebbe sbagliato nell’assimilare il Dio islamico al nostro.
Rispondiamo dicendo che le sentenze
pronunciate da un Concilio circa gli attributi della natura divina, sono infallibili,
non importa che si tratti del Dio cristiano o del Dio di altre religioni. Ma i
teologi islamici e lo stesso Maometto non hanno ricevuto dallo Spirito Santo la
stessa capacità di giudizio e di discernimento, che Cristo ha concesso alla Chiesa
cattolica proprio per la soluzione delle difficili questioni teoretiche o
ermeneutiche concernenti gli attributi della natura divina.
Il Concilio, quindi, riconoscendo ed
approvando in parte gli attributi del Dio islamico, ha reso omaggio alla
sapienza di Maometto e dei teologi islamici, senza per questo voler affatto
invadere la loro competenza nello studio del loro Dio.
Va però anche precisato che il Concilio non dice tutto quello che la Chiesa pensa
del Dio islamico, ma si limita ad evidenziare i caratteri positivi ed
accettabili, perché la dottrina conciliare in merito dev’essere completata con
le precisazioni fatte da Benedetto XVI, circa i difetti della concezione islamica.
Un punto, inoltre, che occorre chiarire e
tenere presente per evitare equivoci circa questa questione se il nostro Dio è
o non lo stesso che il loro, è la distinzione che occorre fare fra le nozioni del Dio Uno[5]
e il Dio Trino. Certo Dio in Sé stesso,
è la Trinità. Ontologicamente sono indistinguibili, perché sono il medesimo Dio.
Ed è chiaro d’altra parte che quando il cristiano pensa a Dio, pensa alla
Trinità, perché sa che Dio è Trino. Ciò tuttavia non gl’impedisce di pensare
alla natura divina senza pensare alle tre Persone. E questo gli permette di
entrare in dialogo con coloro che, con colpa o senza colpa, non sanno o non riconoscono
o non vogliono riconoscere che Dio è Trino. E tra costoro ci sono i musulmani.
Tanti, infatti, sin dall’antichità pagana[6],
sanno che Dio esiste e Lo conoscono in modi o misure più o meno completi o
difettosi, ma, anche senza colpa, non sanno che è Trino o, se si tratta del
musulmano, il Corano gli ingiunge di non credere alla Trinità. Il Corano non si
limita così ad ignorare l’esistenza della Trinità, ma pretende di confutarne il
concetto rendendolo odioso e assurdo. Ma si vede che non ne ha la minima idea e
che non si tratta altro che di un fantasma della mente di Maometto, un triplice
idolo pagano, che è quanto di più contrario si possa immaginare alla vera Trinità
cristiana.
Maometto quindi parte da un concetto della Trinità
che non è quello giusto. Egli non ha mai saputo veramente che cosa è la Trinità.
E nessuno glielo ha mai spiegato. Per questo, dobbiamo pensare che se una buona
volta a un musulmano un cristiano spiegasse veramente che cosa è la Trinità,
non si può escludere che l’accetti.
Vien però da dire: ma possibile che in 14 secoli
non si sia trovato l’agio per un dialogo serio e sereno su questo tema importantissimo
per entrambe le religioni, quella cristiana perché afferma la Trinità e quella
islamica, perché la nega? Occorre però domandarsi: le due religioni si riferiscono
alla stessa cosa? Non pare. Anche tra i cristiani, quanti equivoci, quanta superficialità,
quanta trascuratezza, quanta ignoranza, quante eresie su questo divino Mistero,
che dovrebbe essere al centro dei nostri interessi e la vita della nostra vita!
E quindi è urgente proseguire il dialogo cristiano-musulmano sul tema della Trinità.
Periodo buono di dialogo fra teologi
cristiani e musulmani fu nei secc. XIII-XIV, allorché si dibatté animatamente
di metafisica sulla base di Aristotele fra San Tommaso e Duns Scoto da una
parte e dall’altra filosofi islamici come Averroè, Avicenna, Al-Gazzali,
Al-Kindi o Avempace. Ciò che faceva incontrare i dialoganti era la comune
dottrina di Dio creatore nel suo rapporto con l’uomo e col mondo. Ma purtroppo
è stato solo un felice momento breve, per giunta ristretto solo agli ambienti
intellettuali, che poi con l’aspro periodo delle crociate purtroppo venne meno.
Comunque, quando parliamo del Dio cristiano e
del Dio islamico ricordiamoci che si tratta di due gradi di conoscenza di Dio,
il primo proprio della ragione naturale, conoscenza comune ad ogni uomo
ragionevole e presente anche nel Corano, per riconoscimento dello stesso Concilio.
Il secondo grado suppone il primo ed è un livello di conoscenza di Dio molto
più elevato, che proviene dalla divina rivelazione cristiana.
Quando dunque diciamo che il nostro Dio non è
il loro non dobbiamo intendere che esistano due dèi, uno per noi e uno per i
musulmani, perché questo sarebbe volgare politeismo. Non è quindi la stessa
cosa di quando dico la mia automobile non è la tua, dove evidentemente abbiamo
due automobili. Dire che il Dio cristiano non è il Dio islamico vuol dire che
la conoscenza del medesimo Dio, unico Dio per noi e per loro, creatore di
entrambi, che abbiamo noi cristiani è superiore a quella che hanno gli islamici
e la più alta che l’umanità possa raggiungere perchè comunicataci da Cristo Figlio
di Dio ed è la conoscenza della Trinità.
Fine
Prima Parte (1 di 2)
P. Giovanni
Cavalcoli
Fontanellato,
29 luglio 2020
[1] Cost. Dogm. Lumen Gentium, 16 e Dichiaraz. Nostra
aetate, 3.
[2] Questa tesi è sostenuta da C. Giaccardi-M.Magatti,
La scommessa cattolica, Il
Mulino,Bologna, 2019.
[3] Come ha fatto notare Benedetto XVI.
[4] San Tommaso, trattando del culto divino,
distingue il culto al vero Dio dal culto a un idolo, ossia a un dio falso, a una
creatura divinizzata. E questa è l’idolatria (Sum.Theol.,II-II, q.94). E poi, per quanto riguarda il culto al
vero Dio, distingue un modo giusto, secondo le norme della Chiesa, da un modo
sbagliato, che è quello degli eretici e degli Ebrei (Sum.Theol., II-II, q.93). Tommaso non nomina i musulmani, ma non
c’è dubbio che essi rientrano in quest’ultima categoria, che è quella del
Concilio. I medioevali giudicavano sbagliato il culto islamico, perché non
rendevano culto a Cristo, ma sapevano benissimo che non sono degli idolatri, tanto
da considerare l’islamismo un’eresia cristiana. Dunque per i medievali si dà
negli islamici un culto al vero Dio, ma in un modo sbagliato. Il Concilio si
muove esattamente su questa linea. Si nota nello sfondo lo schema tomista.
Invece la distinzione fra concetto di Dio parzialmente giusto (islamico) e
concetto pienamente giusto (cristiano) la troviamo solo in un Papa Benedetto
XVI.
[5] Il Dio Uno è quello che
nella religione naturale è il Dio personale, dove questa personalità metafisica
non è assolutamente da confondere con la Persona Trinitaria, perché questa è
Relazione sussistente, mentre il Dio uno è Sostanza o Natura.
[6] Si pensi per esempio a Platone o ad
Aristotele o allo stesso Antico Testamento.
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