La
perfezione evangelica
Siate perfetti, come è perfetto
il Padre vostro celeste
Mt 5,48
Un
intervento sbagliato nel momento sbagliato
In queste
settimane di prova e di preoccupazione per milioni di Italiani per il
diffondersi del coronavirus, nemico tanto più odioso quanto più
incontrollabile, tutti sentiamo il bisogno di un conforto, di pazienza, di
autocontrollo per non perdere la testa, di speranza che la cosa finisca quanto
prima e di capire il senso di quanto sta succedendo. In questa situazione angosciante
viene ovviamente spontaneo farci forza e adottare con fiducia col massimo impegno
tutte le misure sanitarie e difensive, che ci vengono prescritte dalle competenti
autorità, accettando disagi ed incertezze.
In particolare noi cattolici avvertiamo come
la situazione che stiamo vivendo ci stimoli a trarre dal tesoro di sapienza della
Sacra Scrittura e del Magistero della Chiesa e dei Santi quelle medicine e quei
conforti spirituali che da millenni hanno dato luce, forza e consolazione a
innumerevoli anime turbate, smarrite o afflitte in casi simili.
Se ciò è
vero come è vero, tanto più ci sentiamo stupiti ed amareggiati per certi articoli
che il quotidiano Avvenire sta pubblicando
proprio in queste settimane, nelle quali noi cattolici più che mai dovremmo cibare
le anime col genuino alimento del Vangelo e dalla Parola di Dio. Invece è motivo
di dolore e di sdegno notare come da questo illustre Quotidiano che dovrebbe
essere di luce e guida spirituale e culturale per i cattolici Italiani, vengano
fuori, sia pur tra cose di indubbio valore, discorsi equivoci, dissennati,
scandalosi, diseducativi e contrari alla verità del Vangelo.
Mi riferisco all’articolo di Luigino Bruni
del 1 marzo scorso, dal titolo «Quella
perfezione che inganna».
Contro un falso concetto di perfezione? No! Proprio contro lo stesso concetto
di perfezione! E questo è assolutamente intollerabile. Nel contempo il concetto
evangelico di perfezione è profondamente travisato, sì da renderlo odioso. Ma
con quali prospettive? Quella di una vita «imperfetta».
Che tutti noi siamo imperfetti, anche i migliori, anche i santi su
questa terra, è un dato di fatto: ma pretendere che il Vangelo faccia
l’apologia dell’imperfezione è una grave menzogna, smentita dalle chiarissime
parole del Signore. Con tutto ciò non si può negare che l’imperfezione sia già
un valore, giacché anche una virtù imperfetta è pur sempre virtù. E chi abbandona il vizio per la virtù non si
può pretendere che sia perfetto di colpo. Ma cercare l’imperfezione per sé stessa,
adagiarci su di essa, non far alcuno sforzo per giungere alla perfezione, vuol
dire ristagnare nella mollezza e nella mediocrità ed è contrarissimo al comando
di Gesù stesso e a tutta la Sacra Scrittura. Certo è da condannare il
perfezionismo, che è rigidezza farisaica e presuntuosa, questo sì che conduce
alla neurosi ed all’infelicità.
Che cosa è la perfezione evangelica?
Il concetto evangelico di perfezione suppone quello umano e naturale.
Il per-fectum è ciò che è stato fatto
e portato o condotto a termine, o completato, ciò che è stato eseguito, in modo
che abbia tutto quello che deve avere e non gli manchi nulla. Quel «per» è un
rafforzativo.
L’imperfetto, viceversa, è ciò a cui manca ancora qualcosa che gli
occorre per essere del tutto, completamente e totalmente, fino in fondo ciò che
deve essere e ciò per cui esiste. Il perfetto è ciò che ha raggiunto il suo
fine, quindi il suo sommo bene. Questo appare chiaro nel termine greco. Infatti
Il greco tèleios implica l’idea del
fine (telos); il perfetto è ciò che
ha raggiunto il suo fine, per cui non c’è nulla da aggiungere, ma anche nulla
da togliere, sennò diventerebbe imperfetto.
Ecco che allora il perfetto non muta, al contrario dell’imperfetto,
che deve mutare o progredire per divenire perfetto. L’uomo imperfetto
accidioso, bloccato, fiacco, impigrito, ristagnante o che si crogiola nella sua
comoda imperfezione e falsa umiltà, senza progresso e senza speranza, è il
fallito, il frustrato: nulla a che vedere col Vangelo.
Gesù propone la perfezione al giovane ricco (Mt 19,21). Santità e
perfezione sono strettamente unite.
Queste parole del Signore sono certamente accostabili al comando del
Levitico: «Siate santi, perché io sono santo» (19,2). Gesù batte molto sul
dovere di una obbedienza alla volontà di Dio, ed Egli stesso ne dà l’esempio.
Ebbene, perfezione e santità non sono altro che l’adesione piena alla volontà
di Dio.
Paolo è ricco di insegnamenti sulla perfezione, che egli fa
dipendere soprattutto dall’influsso dello Spirito Santo. Paolo esorta a
«discernere ciò che è perfetto» (Rm 12,2) e comanda di «tendere alla
perfezione» (II Cor 13,119. Egli insegna che esiste una certa perfezione sin da
quaggiù, che consiste nello sforzo stesso di raggiungere quella perfezione che
potrà essere piena solo in cielo (Cf Fil 3, 12-15). In tal senso egli ammette
l’esistenza di «perfetti» (I Cor 2, 6s), che fruiscono della sapienza dello
Spirito Santo. Questa perfezione non è ancora quella piena perfezione che
avremo raggiunto in cielo (cf Eb 11,40), ma è il tendere, il progredire verso
la perfezione in mezzo a tante imperfezioni, frustrazioni, debolezze e peccati.
«La carità è il vincolo della perfezione» (Col 3,14).
Il cristianesimo, per
Paolo, è un cammino che prepara l’«uomo perfetto» (Ef 4,13) ad immagine di
Cristo, in modo che «ciascuno sia perfetto in Cristo» (Col 1,28). Occorre
chiedere la perfezione nella preghiera (Col 4,2; II Cor 13,9). S.Giacomo
propone esplicitamente la perfezione come scopo della vita cristiana (1,4). Per
lui la fede diventa perfetta quando si attua nelle opere (4,2). Chi esercita la
carità è già perfetto, anche se in quello stadio incoativo del quale parla
S.Paolo. S.Giovanni prospetta il dovere di praticare un amore perfetto (I Gv
2,5) e la «gioia perfetta» (I Gv 1,4) come scopo della vita cristiana.
Bruni distoglie dalla ricerca della
perfezione evangelica
Dice Bruni: «È errato considerare i Vangeli come trattati di morale, tanto meno di
un’etica delle virtù. Le beatitudini non sono virtù. Dai Vangeli e da Paolo emerge
un messaggio dove non sono le opere che salvano né i digiuni».
Osservo che la morale non è altro che la
scienza dei nostri doveri verso Dio e verso il prossimo. Come non si può vedere
nel Vangelo Cristo stesso che ci insegna questi doveri mettendoli in pratica
Egli stesso per primo e donandoci la grazia per compierli perfettamente? Quanto
alle beatitudini, esse sono il premio delle virtù, perché appunto l’esercizio
delle virtù rende beati.
È
certo che è la grazia che salva. Eppure, come insegna lo stesso Paolo, le opere
sono necessarie. Come dice Cristo al giovane ricco? «Se vuoi entrare nella vita, osserva i
comandamenti» (Mt 19,17),
anche se ciò è impossibile senza il soccorso della grazia. D’altra parte la
gratuità della grazia non esclude la necessità dei meriti, come spiega bene il
Concilio di Trento contro Lutero, perché mentre la grazia rappresenta la parte
di Dio, i meriti soprannaturali, fondati sui meriti di Cristo, rappresentano la
nostra parte e sono dono della stessa grazia, come già diceva S.Agostino.
Sbagliatissimo è anche negare che il Vangelo
sia un’etica delle virtù. La virtù è una qualità preziosa dell’anima, nota già
ai pagani, necessaria alla salvezza. E’un abito dell’intelligenza o della
volontà, in forza del quale possediamo una disposizione stabile nel compimento
facile e perfetto del bene e diventiamo docili all’impulso dello Spirito Santo.
Esistono virtù naturali, intellettuali e morali, che acquistiamo gradualmente
con i nostri sforzi, ed esistono virtù soprannaturali, infuse da Dio, ossia le virtù
teologali della fede, della speranza e della carità.
Il Vangelo ci insegna tutte le virtù con la
parola e l’esempio del divino Maestro. S.Paolo raccomanda l’acquisto delle
virtù (Fil 4,8). Pietro e Paolo fanno elenchi di virtù da praticare, e si fanno
le lodi dell’uomo virtuoso (At 11,24). Senza la pratica delle virtù non c’è
salvezza. Disprezzare le virtù vuol dire lodare il vizio, che è il loro
contrario; il che ha per conseguenza la dannazione eterna.
Ancora Bruni: «il
messaggio di Gesù non è una proposta di perfezione etica, ma un cammino di donne
e uomini liberati dai vari ideali di perfezione, che producono soltanto nevrosi
e infelicità».
Mi domando: che cosa vale un uomo senza
ideali di perfezione? È un uomo
privo di intelligenza, che vive come una bestia, schiavo delle passioni e una
canna sbattuta dal vento. Altro che Vangelo! I pagani Socrate e Platone sono
molto al di sopra di questo falso cristiano.
Per Bruni l’inconveniente del meccanismo della
ricerca della perfezione sarebbe «il
limite vissuto come colpa che dev’essere espiata con precise penitenze. Gli
incentivi sono le penitenze codificati e oggettivati nei manuali per i confessori. E anche se gli incentivi non si presentano
esplicitamente come penitenze ma come premi, in realtà sono espressione di un’antropologia
che considera il limite umano come “peccato” e vede lo scarto tra ideale e
reale come fallimento e colpa di “perdenti” incapaci di raggiungere gli
standard».
Dalla
padella alla brace
Qui si vede come Bruni ignora che cosa sia il
peccato, confondendolo col «limite». I limiti umani sono barriere oggettive entitative,
esistenziali ed operative, indipendenti dalla volontà, oltre le quali il
soggetto non può andare con le proprie forze.
Sono di due tipi: naturali e difettivi. I primi sono normalità e sanità
e sono effetto dell’opera creatrice divina; i secondi sono fenomeni di corruzione
derivanti dal peccato originale e dai nostri peccati personali.
Viceversa, il peccato in sé è un atto
volontario di trasgressione o violazione della legge divina o naturale, per il
quale il soggetto pone volontariamente e quindi colpevolmente un limite
difettivo. Può esistere anche il peccato in senso meramente oggettivo, del
quale il soggetto o non è consapevole o che commette per forza maggiore: nel
qual caso il soggetto non ha colpa.
Incolpare
uno di un difetto o di un peccato involontario, pretendere da uno che faccia
più di quanto può fare, o che eviti quanto non riesce ad evitare è chiaramente
ingiustizia e crudeltà. Il semplice limite difettivo ovvero la tendenza a peccare
(«concupiscenza»),
non è ancora peccato, se il soggetto vi fa resistenza. Non bisogna confondere
il peccare col poter peccare. È questa la
confusione che faceva Lutero e che il Concilio di Trento gli rimprovera.
Certamente siamo tutti peccatori, nel senso
che tutti abbiamo la tendenza a peccare;
ma questo non vuol dire, come credeva Lutero, che ogni nostro atto sia peccato. E stoltezza ancora
maggiore è considerare come male o peccato un limite naturale, dal quale invece
procede un atto conforme a natura, ossia ragionevole, buono e conforme alla volontà
di Dio, creatore della natura.
Ancora Bruni: «Il Vangelo è buona notizia perché è una liberazione dai nostri
ideali astratti, per poter incontrare gli altri e Dio nella bellezza perfetta
di una vita imperfetta».
Senza astrazione niente pensiero
Osservo che qui Bruni con questo attacco all’astrazione e
all’ideale, appare come quell’«uomo carnale» o «animale», del quale parla
S.Paolo, il quale «non comprende le cose dello Spirito di Dio» (I Cor 2,14).
Infatti, prendendosela irragionevolmente con l’astrazione, che è funzione
essenziale del pensiero, si chiude non solo all’intelligenza razionale, ma
anche a quella spirituale, di fede. Infatti, l’attività astrattiva, che coglie
l’universale e l’immutabile, con la formazione del concetto, aperta al puro
intellegibile, quindi a Dio, è opera propria della conoscenza umana, al di sopra
di quella animale, racchiusa nell’ambito del concreto, del mutevole, del
sensibile e dell’immaginabile.
L’azione umana si pone sì nell’ambito del concreto, ma in forza
della volontà discende dall’astratto, ossia dal pensiero, dal concetto e
dall’idea, mentre il pensiero speculativo, quindi le verità filosofiche, gli
articoli della fede, la teologia e il dogma, restano nell’orizzonte
dell’astratto. È solo la condotta degli animali che parte dal concreto e va al
concreto.
Ma c’è inoltre da notare che la perfezione cristiana non prevede
un’azione fine a se stessa, ma che l’azione sia orientata alla contemplazione,
che è pregustazione della visione beatifica[1].
Ma la verità che è oggetto della contemplazione è verità speculativa e
soprattutto teologica, che è quindi verità astratta.
L’epidemia più pericolosa
A conclusione di questo articolo io mi domando qual è oggi
l’epidemia veramente preoccupante: se il coronavirus, che ha mietuto alcune
migliaia di morti su milioni di abitanti, o il diffondersi di falsificazioni del
Vangelo come queste, che sta facendo milioni di morti nello spirito, con poche
migliaia di sopravvissuti, come indicano le statistiche e l’esperienza
pastorale di sacerdoti come me, operanti nella Chiesa da cinquant’anni.
Stando allora così le cose, vorremmo rivolgere a Bruni un accorato
e fraterno appello, facendogli presente che dovrebbe rendersi conto che
purtroppo col suo articolo non ci ha offerto il vero Vangelo, così come è
interpretato dalla Chiesa cattolica, dai Padri, dai Dottori e dai Santi, ma
quello che è stato decurtato, manipolato e deformato dai luterani e dai modernisti,
oggi molto influenti nella Chiesa.
Chi glie l‘ha fatto fare? Sospettiamo la soggezione a questi
eretici, pronti, peraltro, dato il loro potere economico, a compensare e
foraggiare chi li sostiene e ne diffonde gli errori. Ma è cosa conveniente e dignitosa
per un pubblicista cattolico? Barattare la salvezza delle anime con un misero
guadagno terreno e l’acquisto di un inglorioso successo mondano, che è l’anticamera
della perdizione eterna?
P.Giovanni Cavalcoli
Fontanellato, 4 marzo 2020
[1] Cf R.Garrigou-Lagrange, Perfection chrétienne et contemplation, Editions de La Vie
Spirituelle, S.Maximin, 1923-1952; A.Royo Marίn, Teologia della perfezione cristiana, Edizioni Paoline Roma 1965.
Caro Padre,
RispondiEliminaLa ringrazio infinitamente per la chiarezza e la fedeltà alla dottrina e al Magistero. Per il suo servizio instancabile nonostante gli attacchi. Che San Tommaso protegga la sua missione.