Papa Francesco ai Domenicani

 Papa Francesco ai Domenicani

In occasione delle celebrazioni dell’VIII centenario della Fondazione dell’Ordine dei Frati Predicatori il Papa ha inviato al Maestro dell’Ordine una Lettera che arreca a tutti noi Domenicani gioia, conforto e incoraggiamento dell’adempimento della nostra missione di annunciatori del Vangelo in vista della salvezza delle anime.

Infatti, come ha voluto il nostro Fondatore San Domenico di Guzmàn, la ragione del nostro esistere è quella di aiutare il Papa nel compimento del suo ufficio di Vicario di Cristo, di Successore di Pietro, di Maestro della Fede e di Pastore universale della Chiesa. E fu lo stesso Papa Onorio III, in una bolla del 1216, a definirci come «pugiles fidei et vera mundi lumina»[1].

Tuttavia Papa Francesco non tocca questo aspetto battagliero, che resta sottinteso, ma preferisce sottolineare l’attitudine di Domenico alla misericordia, ossia l’aspetto terapeutico dell’azione domenicana, per la quale il Domenicano, sull’esempio di Cristo, che non è venuto per i sani, ma per i malati, è abilitato a curare soprattutto le malattie dello spirito con particolare riferimento alla conoscenza della verità di fede.

Per questo, il motto domenicano è, come è noto, Veritas. Al riguardo, un compito particolarmente qualificato del sacerdote domenicano è il ministero della penitenza, per il quale egli guarisce le anime infette dal peccato e ridona ad esse la vista dello spirito.

Per questo nella nostra formazione è prevista una speciale conoscenza del  magistero e della dottrina della Chiesa e della sua arte medica, in particolare uno speciale impegno nel sostenere, interpretare, spiegare, diffondere e difendere gli insegnamenti del Papa e le sue direttive nella guida della Chiesa verso il regno di Dio.

Stando così le cose, la nostra predicazione è il frutto di una lunga preparazione di studio della Scrittura e della Tradizione nell’interpretazione del Magistero della Chiesa, in un lavoro assiduo e metodico di aggiornamento e di rinnovamento, onde andare incontro ai nuovi e diversi bisogni delle anime, e per un approfondimento continuo della Parola di Dio.

Il Santo Padre ha sottolineato più volte quella che è la caratteristica misericordia domenicana. Senza trascurare l’attenzione alle miserie del corpo, essa si volge preferenzialmente a curare i mali dello spirito. Se da una parte il Domenicano si piega a soccorrere le necessità dei poveri e ad alleviare le pene dei sofferenti, dall’altra è una guida alla sapienza innalzando l’animo degli ascoltatori dall’attaccamento a questo mondo all’amore per le cose celesti, dalle agitazioni terrene al desiderio della divina contemplazione, da uno sguardo meschino che bada solo ai propri interessi ad uno sguardo largo ed ampio che fa propri i bisogni della Chiesa e gli interessi del regno di Dio.

Il Papa ha ricordato giustamente come una specialità della predicazione domenicana sia quella di mettere la ragione in rapporto con la fede e di saper guidare gli uomini mediante il retto uso della ragione ad accogliere la luce soprannaturale della fede. A tal riguardo il Papa ha ricordato il rapporto della filosofia con la teologia. È ovvio infatti che alla coltivazione della ragione corrisponde la filosofia e alla coltivazione della fede corrisponde la teologia.

In base a queste osservazioni il Papa ci ha fatto capire che a noi Domenicani si offre un immenso campo di azione in tutto il mondo. E per questo egli ha insistito tanto sull’evangelizzazione e sulla missione, per cui dobbiamo essere pronti a dare la vita sino al martirio. 

Tuttavia Papa Francesco, col suo esempio di predicatore, ci fa capire che, stante il fatto che oggi l’umanità è smarrita e disorientata sul piano stesso dei fondamenti metafisici e teologici degli universali non negoziabili  diritti e doveri dell’uomo, circa il valore stesso assoluto della verità, della ragione, della morale, della legge naturale, della fraternità, uguaglianza e libertà umane, della giustizia e della pace tra i popoli, nella varietà e nel rispetto delle diverse culture, occorre insistere soprattutto verso quell’umanità che non ha la grazia di credere in Cristo, nel proporre instancabilmente i suddetti valori umani che fanno da presupposto e da introduzione al possesso della fede e alla pratica della vita cristiana.

Ma il Papa ci ha fatto capire anche che un compito urgente e importante per noi Domenicani, sull’esempio di Santa Caterina da Siena, è quello, all’interno della Chiesa, di essere fari della fede, fautori e promotori di riconciliazione, di concordia e di pace, pur nel legittimo pluralismo e nell’autentica sinodalità, tra gli opposti estremismi, conducendo tutti i fratelli alla comunione col Romano Pontefice, in modo tale che possiamo, tutti, uniti nell’unica fede, essere al mondo autentici e credibili testimoni di Cristo.

Può sorprendere il fatto che il Papa, in mezzo al ricordo di tanti Santi Domenicani, non abbia ricordato San Tommaso, il Dottore Comune della Chiesa, sempre raccomandato dai Papi e dallo stesso ultimo Concilio Ecumenico. Se infatti la Famiglia domenicana, nella sua meravigliosa ricchezza e varietà di vocazioni e di carismi, appare come una riproduzione in piccolo della complessità della Chiesa stessa, non c’è dubbio che San Tommaso è, tra tutti i Santi che Dio ha donato a questa Famiglia, quello che maggiormente caratterizza la specificità del carisma domenicano, affinché l’Ordine ne facesse dono alla Chiesa, la quale ha utilizzato l’alta sapienza filosofica e metafisica dell’Aquinate  per la definizione di alcuni dogmi, come quello dell’anima umana forma sostanziale del corpo al Concilio di Viennes del 1312, quello della Persona divina come Relazione sussistente al Concilio di Firenze del 1442, quello dell’immortalità dell’anima al Concilio Lateranense V del 1513, quello della transustanziazione eucaristica e della Redenzione al Concilio di Trento, e infine per la definizione della natura divina e degli attributi divini, e del rapporto ragione-fede al Concilio Vaticano I del 1870.

Immaginiamo quale sarà la reazione di lefevriani e modernisti, secondo un copione ormai in uso da otto anni, davanti a questo silenzio del Papa su San Tommaso. I lefevriani grideranno allo scandalo e al tradimento della tradizione di otto secoli di raccomandazioni pontificie di San Tommaso proprio in una Lettera pontificia ai Domenicani, nella quale invece il Papa più che mai avrebbe dovuto secondo loro raccomandare il discepolato tomista.

I modernisti, dal canto loro, esulteranno per l’idea che il Papa abbia finalmente posto fine a una tradizione sorpassata, abbia chiuso definitivamente con la teologia scolastica, dando spazio alla sostituzione di Rahner a San Tommaso come modello di teologo.

Ora diciamo a chiare lettere che né gli uni né gli altri hanno capito le intenzioni e la saggezza del gesto del Papa. Il Papa non ha citato San Tommaso per il semplice motivo che non lo ha ritenuto necessario, appunto per la chiara ed indiscutibile autorità ufficiale, della quale Tommaso tuttora gode nella Chiesa.

Del resto, citando l’illustre scuola teologica di Salamanca, dove regna San Tommaso, citando il grande e famoso fondatore del diritto internazionale Francisco De Vitoria, nonché i coraggiosi difensori degli lndios, Antonio de Montesinos e Bartolomé De Las Casas, che appunto applicavano i princìpi del De Vitoria, che cosa ha fatto se non raccomandare indirettamente la dottrina tomistica del diritto e della legge naturali insegnata dall’Aquinate, sulla quale si basava appunto il De Vitoria?[2].

E quando il Pontefice ricorda l’importanza per il Domenicano dell’impegno nel dialogo ecumenico ed interreligioso, quali princìpi teorici suppone, se non quelli di San Tommaso, il quale, precorrendo il Concilio Vaticano II di sette secoli, in una cristianità in lotta armata contro l’Islam e ancora ignara dell’eresia protestante, già chiariva come il dialogo con gli eretici deve basarsi della Scrittura, accettata da noi e da loro, mentre il dialogo con i non-cristiani, come per esempio con gli islamici, deve essere basato sulla ragione naturale – ecco il tema della fratellanza - , appartenente a noi e loro e quindi sulla religione naturale, per la quale islam e cristianesimo sono due religioni monoteistiche.

È vero che oggi il tomismo è attaccato più che mai da false filosofie e da numerose eresie oppure si tenta di adattarlo al modernismo imperante mescolando il pensiero di Tommaso con quello di autori dannosi e fuorvianti e quindi indubbiamente il tomismo ha bisogno di essere sostenuto e liberato dalle contaminazioni.

Il tomismo, tuttavia, dev’essere conservato e fatto progredire non più nello stile preconciliare dei lefevriani, perché questo tomismo, chiuso com’è ai valori della modernità, è controproducente e aumenta i conflitti. Bisogna invece realizzare quel tomismo aperto che non per questo cede agli errori della modernità, un tomismo che fu realizzato già prima del Concilio da un Maritain o un Congar e che è promosso dal Concilio e dalle Costituzioni domenicane del 1968, nonché proposto dai Papi del postconcilio.

Ciò che occorre invece assolutamente evitare è la dissoluzione del tomismo nello sdilinquimento naturalista ed empirista pseudomistico di Schillebeeckx, che fu all’origine del famigerato Catechismo Olandese, che San Paolo VI dovette far correggere da una commissione di Cardinali.

 Il Papa non entra in questa complessa problematica del rinnovamento del tomismo, che impegna filosofi e teologi, ma non ha mancato di denunciare ripetutamente i più gravi errori filosofici e teologici del nostro tempo in nome del realismo gnoseologico e della metafisica tomista: lo gnosticismo, il pelagianesimo, l’idealismo, il relativismo morale, il soggettivismo, l’individualismo.

Noi Domenicani siamo grati al Sommo Pontefice, che ancora una volta ci conferma e ci incoraggia nella nostra missione e ci indica la strada per una fruttuosa messa in opera del nostro carisma secondo le esigenze del nostro tempo e una prospettiva di avvicinamento della Chiesa verso la conquista del regno di Dio.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 25 maggio 2021


https://www.op.org/praedicator-gratiae-and-the-grace-of-preaching-in-the-church/

http://www.domenicani.it/lettera-a-quattro-mani-degli-ultimi-maestri-dellordine-sul-capitolo-generale-domenicano/

[1] Vedi: Alberto Grech, OP, De Confirmaione Ordinis FF.Praedicatorum. Historia synoptica, Empire Press, Melitae 1916, p.28.

[2] Cf il mio libro Teologi in bianco e nero. Il contributo della scuola domenicana alla storia della teologia, Piemme 2000, Cap.VI.

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