La comunione nella Chiesa - In preparazione al Sinodo

 La comunione nella Chiesa

In preparazione al Sinodo

Il 9 ottobre scorso il Santo Padre ha fatto una riflessione in vista dell’inizio del Sinodo avente come tema Per una Chiesa sinodale. Per l’occasione ho pensato di proporre al lettore alcune considerazioni attinenti al tema, vale a dire il valore della comunione ecclesiale, che sta alla base del Sinodo e che a sua volta è incrementata dallo stesso Sinodo. 

La comunione nella Chiesa è l’unione e la concordia degli spiriti, delle menti, dei cuori, degli intenti, dei propositi, delle azioni sulla base della verità di fede ed attorno alla verità di fede comunemente accolta, compresa e condivisa. La comunione è la circolazione fraterna della carità di ognuno verso tutti e di tutti verso ognuno. 

La comunione è l’unione e la disciplina dei fedeli attorno ai pastori e sotto la guida dei pastori, innanzitutto il Romano Pontefice. La comunione ecclesiale è la comunione col Papa. Sono due cose indissociabili. Chi non è in comunione col Papa non può essere in comunione con la Chiesa.

Laddove c’è l’eresia, il dissenso, il tradimento, la frode, l’ambiguità, la doppiezza, la falsificazione, il fraintendimento, la reticenza nel campo della fede, non ci può essere comunione, ma vi sarà divisione, scisma, secessione, disobbedienza, litigio, conflitto, rancore, sopraffazione, disgregazione, faziosità.

La promozione della comunione non si fa col semplice appello alla comunione senza spiegare su quali idee, su quali princìpi teorici e pratici si deve fondare la comunione; non basta l’appello a stare uniti, a volersi bene, a non litigare, ad evitare le polemiche, ad andare d’accordo, a lavorare assieme, all’aiuto reciproco ed alla complementarità reciproca.

Non basta il semplice appello alla fratellanza, alla mutua comprensione e misericordia, al mutuo ascolto, all’accoglienza, alla carità reciproca o il semplice appello allo Spirito Santo, ma occorre, oltre a ciò, avere la massima cura per ottenere, custodire e mantenere, per quanto possibile, l’accordo degli spiriti nella verità eliminando tutto ciò che si oppone alla verità e alla sana dottrina. Non basta l’esortazione al discernimento, se non si offrono criteri solidi e sicuri, di fede per lo stesso discernimento, per distinguere la vera dalla falsa comunione, chi è in comunione e che non lo è.

La comunione nasce dalla conoscenza ortodossa e dalla messa in pratica sincera e non finta della Parola di Dio. Se questa manca o viene falsificata, la comunione è falsa, solo apparente o impossibile o si distrugge. Come osservava argutamente il Card. Ratzinger, la comunione ecclesiale non è un semplice stringere le fila dei soldati all’appello del caporale.

La comunione non è un qualunque stare assieme per la semplice volontà del capo o per una supposta immotivata «volontà generale» alla Rousseau, forse perchè si sta bene assieme. La comunione non ha il suo principio e fondamento in se stessa, anche se ha un valore assoluto: «amo perché amo», diceva San Bernardo. E tuttavia non sorge da se stessa, non si basa su se stessa, ma è giustificata e autenticata dalla verità. Ci può essere la verità senza la comunione, ma non la comunione se non perché si crede nella verità. Ci può essere la fede senza la carità, ma non la carità senza la fede.

Il superiore che non crede nella verità non ha alcun rispetto della dignità umana dei sudditi, di coloro che dovrebbe accomunare fra di loro, ma, come il Principe di Machiavelli, crea una massa di manovra, un ammasso di pecoroni, da manipolare come gli pare; non crea affatto una vera comunione fra di loro, ma non gl’interessa neppure: l’importante è che obbediscano. Sulla falsità non si costruisce nessuna comunione, ma solo un patto tra scellerati e un’associazione a delinquere.

Per questo, se vogliamo la comunione, dobbiamo avere molta cura a che la verità di fede sia da tutti condivisa. Appena notiamo il sorgere di un errore, occorre, se ne abbiamo la possibilità o l’autorità, intervenire subito a confutarlo, prima che il veleno si spanda a distruggere la comunione o a impedirla, perché il falso è il nemico della comunione e disgregatore della comunione.

La verità unisce e sorge dall’unità, anche se richiede la lotta contro l’errore; il falso divide e semmai crea un pacifismo di superficie basato sull’equivoco. Non qualunque polemica è divisiva, ma solo quella che sostiene l’errore contro la verità. Fautore di divisione non è semplicemente chi si oppone o dissente: occorre vedere a che cosa si oppone o da che cosa dissente. Se si oppone l’errore e alla discordia o ad una falsa comunione od unanimità, è fattore di riconciliazione e di pace.

Se la spada viene a produrre la pace vincendo i nemici della pace, come l’odio e la menzogna, ben venga la spada. In questo senso Cristo, re della pace, dice di essere venuto a portare una spada. La comunione infatti si spezza quando qualcuno, respingendo la verità ed abbracciando l’errore, si isola e si separa dalla comunione e diventa fautore e principio di divisione, creando divisione e suscitando reazioni opposte o tendenze faziose.

Lo scomunicato non è necessariamente chi è dichiarato tale dall’autorità, ma può essere benissimo uno che finge di essere in comunione, magari occupando posti di rilievo o di prestigio, ma che si è sostanziante ed interiormente messo contro la Chiesa e la divide e rovina dal di dentro.

La comunione ecclesiale è qualcosa di molto complesso, di non facile attuazione e di non facile mantenimento, perchè sempre sono in azione all’interno e dall’esterno le forze demolitrici della divisione e della rottura. Per questo la Chiesa deve ricorrere continuamente, come i polmoni hanno bisogno di ossigeno, alla forza dello Spirito Santo, che la unifica, la purifica, la santifica e le dà forza contro le potenze della divisione e della discordia.

Il punto di partenza speculativo per fondare la comunione è la conoscenza degli elementi e dei princìpi teorici e pratici che fondano, edificano, costruiscono e fanno crescere la Chiesa. La Chiesa, come ci insegna San Paolo, è un organismo vivente, sapientissimamente ordinato, è il Corpo di Cristo, dove ciascun membro e ciascun organo ha il suo posto e la sua funzione precisa a servizio delle altre parti della Chiesa e della Chiesa stessa nel suo insieme e riceve dalle altre parti, cosicchè esiste uno scambio vitale di ognuna con ogni altra a beneficio del tutto.

Occorre conoscere ciò che spetta a ciascun organo, perché sappiamo fin dove può arrivare e quali limiti non può superare. Occorre conoscere il principio dell’unità e della comunione, che è l’azione dello Spirito Santo per mezzo dei sacramenti e dei diversi doni e ministeri, nonchè lo spazio comunitario della pluralità, della diversità e della libertà, per non soffocare la libertà col pretesto dell’unità e non disgregare l’unità col pretesto del pluralismo.

Questi errori spezzano la comunione. Occorre sapere altresì che cosa nella Chiesa può mutare e che cosa non può mutare, per non cambiare ciò che va conservato e non mantenere ciò che va cambiato, perché anche questi errori spezzano la comunione.

Espressione della comunione ecclesiale è la sinodalità, da sìnodo, synodos, parola composta da syn=con; odòs=cammino, che comporta quindi il camminare insieme. Il sinodo implica l’idea del riunirsi, dell’incontrarsi, dal radunarsi. In più c’è l’idea del camminare, il vuol dire avanzare, procedere, progredire, migliorare.

L’essere assieme vuol dire anche comunicare, lavorare, gioire e soffrire insieme, possedere in comune, fruire assieme degli stessi beni. Tutto ciò è espresso magnificamente e poeticamente dal Salmo 133:

«ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme! È come olio profumato sul capo, che scende sulla barba, sulla barba di Aronne, che scende sui monti di Sion. Là il Signore dona la benedizione e la vita per sempre».

La sinodalità è la partecipazione abituale di tutti al bene comune della Chiesa. Il sinodo come fatto o atto concreto giuridicamente e socialmente regolato e strutturato è un incontrarsi occasionale di soli pastori o di fedeli e pastori sul piano locale o nazionale o internazionale per trattare di problemi comuni, potenziare i valori comuni, fare esperienza di carità fraterna. Vi sono sinodi di specie diversa. Essi interessano anzitutto i pastori, come per esempio il Concilio Ecumenico o il sinodo mondiale dei Vescovi. Il Sinodo del popolo di Dio è un incontrarsi di fedeli e pastori.

Il Sinodo è l’espressione visibile istituzionale e periodica su questa terra, presente soprattutto nella Chiesa di oggi, della massima socialità dell’uomo elevata al piano soprannaturale della fratellanza cristiana, che è la comunione dei santi, comunione spirituale che unisce la Chiesa terrena con quella celeste.

La sinodalità è espressione altresì della vita comune dei Religiosi, che ha il suo paradigma nella narrazione degli Atti degli Apostoli, come emerge dal racconto del giorno di Pentecoste (At 2,1) o della vita comune degli Apostoli (At 2,44; 5,12).

La Chiesa è maestra di fraternità, di socialità, di solidarietà e di comunione all’interno di se stessa e per tutta l’umanità, ma una piena comunione ecclesiale di tutti con tutti non è possibile su questa terra, a causa delle conseguenze del peccato originale e degli attacchi del mondo e di Satana.

La comunione ecclesiale è contrastata spesso dagli stessi fedeli, non sufficientemente illuminati dalla fede e scaldati dalla carità, non sufficientemente attenti agli impulsi dello Spirito Santo. Molti cristiani, pur rifacendosi a Cristo, pur devoti allo Spirito Santo, pur battezzati e fedeli al Credo, non sono in piena comunione con la Chiesa, quanto meno per il loro rifiuto di essere in comunione col Papa, quando non si aggiungono altre carenze e lacune dottrinali, che fanno sì che in essi non vi sia quella pienezza di verità che sola si trova nella Chiesa cattolica sotto la guida del Romano Pontefice.

Parlando del prossimo cammino sinodale, il Papa afferma:

 «abbiamo l’opportunità di diventare una Chiesa della vicinanza. Torniamo sempre allo stile di Dio: lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza. Dio sempre ha operato così. Se noi non arriveremo a questa Chiesa della vicinanza con atteggiamenti di compassione e tenerezza, non saremo la Chiesa del Signore. E questo non solo a parole, ma con la presenza, così che si stabiliscano maggiori legami di amicizia con la società e il mondo: una Chiesa che non si separa dalla vita, ma si fa carico delle fragilità e delle povertà del nostro tempo, curando le ferite e risanando i cuori affranti con il balsamo di Dio. Non dimentichiamo lo stile di Dio che ci deve aiutare: vicinanza, compassione e tenerezza».

Le parole del Papa sono indubbiamente da far nostre. Non è mai finito il compito della Chiesa di comprendere e far proprie le sofferenze del mondo, di «curare le ferite e risanare i cuori affranti con il balsamo di Dio», di sostenere i deboli, di incoraggiare i timidi, di illuminare chi cerca la verità, di soddisfare i bisognosi, di perdonare i pentiti, di liberare gli oppressi e di «stabilire maggiori legami di amicizia con la società e il mondo» al fine di renderci credibili annunciatori del Vangelo. E non c’è dubbio che «lo stile di Dio è vicinanza, compassione e tenerezza».

Ma non è solo questo lo stile di Dio. Dipende dalle persone con le quali ha a che fare. Al riguardo si esprime con molta chiarezza la Madonna nel Magnificat:

«Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi» (Lc 1,51-53).

Se Dio ha avuto pietà per Israele liberandolo dalla schiavitù del faraone, non è che per al faraone abbia mostrato una particolare tenerezza. Il fatto è che Dio ha uno scopo unico per tutti: ricordare a tutti che Egli è Dio, chiamare tutti a Lui e spingere tutti a convertirsi dai loro peccati e a farne penitenza.

E questo scopo salvifico lo raggiunge con due metodi diversi, adatti alla condizione di ciascuno: a tutti manda la sofferenza, senonché per i superbi quella sofferenza è un castigo, mentre per gli umili è una purificazione ed un’occasione per riparare ai propri peccati. Per questo nel libro di Tobia si dice che «Dio castiga ed usa misericordia» (Tb 13,2).

Similmente la Chiesa deve sì saper essere misericordiosa, ma deve saper anche essere battagliera. Costruire ponti per le persone di buona volontà che vogliono entrare, ma mura ben robuste per difendersi da coloro che la vogliono morta.  Certo siamo tutti fratelli, ma non tutti si comportano da fratelli; c’è anche chi ci odia. Che fare in questo caso? Gesù ci insegna a sottrarci e ad andare in un’altra città oppure ad essere prudenti come i serpenti. Egli non esclude altresì davanti a Pilato la possibilità di una guerra giusta (Gv 19,38).

Amore del nemico non vuol dire che non sia lecito combattere il nemico, ma vuol dire saper trovare lati buoni anche nel nemico. L’etica cristiana non ha mai dichiarato illecito il servizio militare e molti santi sono stati dei militari. Col mondo la Chiesa deve certo saper dialogare, ma quando il mondo vorrebbe sottometterla, è lei che deve saper vincere il mondo. Commentando le parole di Gesù «vi mando come agnelli in mezzo ai lupi», il Card. Biffi osservava con la sua solita arguzia: «poveri lupi!».

La vita cristiana non può esser fatta solo di dialogo e tenerezza, ma, stanti le conseguenze del peccato originale che spingono l’uomo al peccato, se vogliamo salvare noi stessi e gli altri, la nostra condotta cristiana deve avere anche un taglio agonistico ed ascetico di vittoria contro la carne, il mondo e Satana. Sarebbe bello se tutta la nostra vita si potesse svolgere in un piacevole dialogo da salotto.

Il Concilio Vaticano II, nel solco della tradizione e della Scrittura, riconosce che la Chiesa è impegnata in una lotta senza tregua contro Satana. L’Apocalisse lo dice in modo chiarissimo. Il discernimento, quindi, serve essenzialmente a decidere quale condotta dobbiamo tenere di volta in volta nei confronti del prossimo: se di misericordia o se di severità.

Gesù ha avuto atteggiamenti di estrema tenerezza verso i piccoli, gli umili e i pentiti, ma ha lanciato invettive terribili contro i farisei, i dottori della legge e i sommi sacerdoti, i quali, appunto perchè irritati, lo porteranno sulla croce. E nella croce stessa di Cristo certamente c’è la misericordia, ma è quella misericordia, per la quale in Cristo possiamo scontare i nostri peccati e così ottenere salvezza e perdono.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 12 ottobre 2021 

 


Se la spada viene a produrre la pace vincendo i nemici della pace, come l’odio e la menzogna, ben venga la spada. 

In questo senso Cristo, re della pace, dice di essere venuto a portare una spada. 

La comunione infatti si spezza quando qualcuno, respingendo la verità ed abbracciando l’errore, si isola e si separa dalla comunione e diventa fautore e principio di divisione, creando divisione e suscitando reazioni opposte o tendenze faziose.

 

 

Amore del nemico non vuol dire che non sia lecito combattere il nemico, ma vuol dire saper trovare lati buoni anche nel nemico. L’etica cristiana non ha mai dichiarato illecito il servizio militare e molti santi sono stati dei militari. 

Col mondo la Chiesa deve certo saper dialogare, ma quando il mondo vorrebbe sottometterla, è lei che deve saper vincere il mondo. Commentando le parole di Gesù «vi mando come agnelli in mezzo ai lupi», il Card. Biffi osservava con la sua solita arguzia: «poveri lupi!».

Immagini da internet

33 commenti:

  1. Caro Padre,

    Ottima requisitoria anti-buonista! Ne abbiamo bisogno.

    Grazie per il suo servizio.

    In Cristo

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. VORREI SAPERE COME è POSSIBILE CONCILIARE QUESTE SUE PAROLE CHE CONDIVIDO AL 100% :" Non basta il semplice appello alla fratellanza, alla mutua comprensione e misericordia, al mutuo ascolto, all’accoglienza, alla carità reciproca o il semplice appello allo Spirito Santo, ma occorre, oltre a ciò, avere la massima cura per ottenere, custodire e mantenere, per quanto possibile, l’accordo degli spiriti nella verità eliminando tutto ciò che si oppone alla verità e alla sana dottrina. Non basta l’esortazione al discernimento, se non si offrono criteri solidi e sicuri, di fede per lo stesso discernimento, per distinguere la vera dalla falsa comunione, chi è in comunione e che non lo è.

    La comunione nasce dalla conoscenza ortodossa e dalla messa in pratica sincera e non finta della Parola di Dio. Se questa manca o viene falsificata, la comunione è falsa, solo apparente o impossibile o si distrugge. Come osservava argutamente il Card. Ratzinger, la comunione ecclesiale non è un semplice stringere le fila dei soldati all’appello del caporale." CON QUANTO QUESTO PAPA ( ?) DICHIARA IN MOLTE OCCASIONI, COME AD ESEMPIO A PROPOSITO DELLE UNIONI CIVILI PER COPPIE OMOSESSUALI, GIUSTAMENTE FATTO PRESENTE DA CORRADO GNERRE IN QUEST'ARTICOLO : https://sway.office.com/GCeVXJtOv4oEZ6Qo?play

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    1. Caro Ignazio,
      gli interventi del Santo padre, riguardante le unioni civili degli omosessuali, vanno inquadrati, come Papa Francesco fa ben capire, nella tematica e nella problematica che devono essere affrontate dai governi per realizzare un principio di tolleranza, mentre il Papa dice chiaramente che la Chiesa non può approvare simili unioni dal punto di vista morale.
      Questo, che cosa significa? Che evidentemente due omosessuali cattolici devono sapersi astenere dal praticare una simile unione, mentre essa può essere tollerata per i non credenti.
      Cft. https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2021/september/documents/20210915-bratislava-volo-ritorno.html

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  4. Caro Padre Giovanni,
    circa 11 mesi fa, intervenendo in una trasmissione, via youtube, relativa alla presentazione del suo libro “L’eresia del buonismo” (vedi a partire da 1:12:00: https://www.youtube.com/watch?v=Kd0wg9ufFmU), lei così commentò un precedente intervento di Papa Francesco a favore delle unioni civili omosessuali, rilasciato nel corso di un’intervista televisiva:
    “[…] quella disgraziata intervista con quella giornalista […] non si tratta di magistero. E’ un’opinione privata […] Francesco si è trovato in contrasto con un documento della CDF del 2003 […] dove si dice esattamente che la Chiesa non può ammettere le unioni civili […] Francesco ha espresso un’opinione politica […] non so se Francesco conosceva già quel documento del 2003 […]”.
    Se l’essersi espresso, da parte del Papa, a favore delle unioni civili omosessuali nel corso di un’intervista televisiva, non costituisce un pronunciamento magisteriale, ma solo un’opinione privata, altrettanto si può dire di quando il Papa ha ribadito tale opinione, nella conferenza stampa durante il volo di ritorno da Bratislava del 15 settembre scorso.
    Si tratta sempre di un’opinione privata del Papa, quindi non è vincolante per i credenti. Inoltre, come lei stesso ha riconosciuto, tale opinione è in aperto contrasto con il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali del 2003, approvato dal Papa san Giovanni Paolo II, in cui si afferma:
    “In presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali […] è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all'applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo.
    […] la legge civile non può entrare in contraddizione con la retta ragione senza perdere la forza di obbligare la coscienza.
    Ogni legge posta dagli uomini in tanto ha ragione di legge in quanto è conforme alla legge morale naturale, riconosciuta dalla retta ragione, e in quanto rispetta in particolare i diritti inalienabili di ogni persona.
    Le legislazioni favorevoli alle unioni omosessuali sono contrarie alla retta ragione perché conferiscono garanzie giuridiche, analoghe a quelle dell’istituzione matrimoniale, all’unione tra due persone dello stesso sesso. […]
    La legalizzazione delle unioni omosessuali sarebbe destinata perciò a causare l’oscuramento della percezione di alcuni valori morali fondamentali e la svalutazione dell’istituzione matrimoniale. […]
    Non è vera l'argomentazione secondo la quale il riconoscimento legale delle unioni omosessuali sarebbe necessario per evitare che i conviventi omosessuali perdano, per il semplice fatto della loro convivenza, l'effettivo riconoscimento dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini. In realtà, essi possono sempre ricorrere – come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata – al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse.”
    Ora, davanti ad un documento della Chiesa approvato dal pontefice allora in carica, e ad un’opinione privata dell’attuale Papa, quale dei due dobbiamo considerare vincolante, come fedeli cattolici, dal momento che sono in contraddizione l’uno con l’altra?
    Possiamo mettere in dubbio che il pontefice san Giovanni Paolo II, all’atto di approvare il suddetto documento, non fosse assistito dallo Spirito Santo? Certamente no, non abbiamo alcun diritto di esprimere tale dubbio. Dunque, il contenuto di tale documento è per noi vincolante.
    Ne segue, logicamente, che una posizione contraria a tale documento, deve essere da noi respinta.
    Dunque, anche l’opinione privata espressa da Papa Francesco, essendo in contrasto con tale documento per noi vincolante, deve essere respinta.

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    1. Caro Bruno,
      il Documento della CDF dice giustamente che uno Stato non può legiferare contro la legge naturale. Ora, questa asserzione come va interpretata? Lo spiega il proseguo del discorso della CDF, precisando che una legge di tal genere non è una vera legge e quindi non merita di essere praticata.
      Da qui nasce il diritto all’obiezione di coscienza, per cui lo Stato non può su questo punto obbligare in modo coercitivo il cittadino dissenziente.
      Questo stato di cose, però, non lede il principio della tolleranza in base al quale uno Stato può andare incontro anche a quei cittadini che non credono ad una certa legge naturale, per esempio in campo sessuale. È in base a questo principio che anche gli Stati cattolici del Medioevo tolleravano la pratica della prostituzione.
      Oggi, dietro suggerimento del Concilio Vaticano II, questo principio di tolleranza si è allargato fino a diventare diritto alla libertà religiosa, diritto che consente allo Stato di emanare leggi che noi cattolici non possiamo accettare in quanto contrarie alla legge naturale. E questo è il senso di quello che dice la CDF.
      Per quanto riguarda la posizione di Papa Francesco, è decisivo prendere atto delle sue ultime posizioni, che sono molto chiare: rifiuto da parte dei cattolici di praticare l’unione omosessuale; tolleranza da parte dello Stato delle unioni omosessuali, praticate da non cattolici (cfr. https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2021/september/documents/20210915-bratislava-volo-ritorno.html ).
      Per quanto riguarda la questione dell’autorevolezza, non c’è dubbio che una dichiarazione fatta in una intervista formalmente non è vero e proprio magistero. Tuttavia c’è da notare che in quest’ultima intervista il Papa ha fatto riferimento alla dottrina della Chiesa, per cui, sotto questo punto di vista, la sua dichiarazione assume un livello magisteriale.

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  5. Caro Padre Giovanni,
    lei ha scritto: “il Documento della CDF dice giustamente che uno Stato non può legiferare contro la legge naturale […] Questo stato di cose, però, non lede il principio della tolleranza in base al quale uno Stato può andare incontro anche a quei cittadini che non credono ad una certa legge naturale, per esempio in campo sessuale.”
    Ora, se il documento della CDF si limitasse ad affermare che i cattolici omosessuali non debbono avvalersi delle unioni civili legalizzate dagli stati, mentre per i non cattolici ciò può essere tollerato, lei avrebbe ragione.
    Ma il documento della CDF dice un’altra cosa.
    Esso afferma che “è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva” al “riconoscimento legale delle unioni omosessuali”, senza operare, peraltro, alcuna differenziazione tra cattolici e no.
    Il tema ovvero l’oggetto del documento, e quindi del relativo ammonimento morale, non è rispondere alla questione se sia lecito a due cattolici omosessuali sottoscrivere un’unione civile, ma quale posizione la Chiesa assume, quale giudizio dà, rispetto ai “progetti di riconoscimento legali delle unioni omosessuali” in atto in vari stati.
    E la risposta, che fornisce il documento approvato da san Giovanni Paolo II, è stata che: “è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva. Ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione formale alla promulgazione o all'applicazione di leggi così gravemente ingiuste nonché, per quanto è possibile, dalla cooperazione materiale sul piano applicativo”.
    Ripeto, il monito del documento dice che “ci si deve astenere da qualsiasi tipo di cooperazione alla promulgazione o all’applicazione di tali leggi”, il focus non è sulla possibilità di sottoscrivere un PACS per due omosessuali che si riconoscono nella fede cattolica.
    Inoltre, il documento della CDF non dichiara in nessun punto, che quanto in esso contenuto valga “esclusivamente per i cattolici”, e non anche per tutti gli uomini, come si suol dire, di buona volontà.
    Dunque, la posizione espressa da Papa Francesco che davanti a tali leggi, invece di opporsi, al contrario le approva, quand’anche ciò fosse soltanto per i non cattolici, resta in contrasto con il documento della CDA.

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    1. Caro Bruno,
      io ritengo che il documento della CDF ci voglia dire che noi cattolici non possiamo approvare una legge che legalizzi le unioni civili, perché una simile legge sarebbe contraria alla legge naturale, per cui essa perde il valore di legge e quindi non può essere messa in pratica.
      Detto questo, possiamo farci una domanda: e se questa legge un domani dovesse avere la maggioranza, noi cattolici cosa possiamo fare? In base al principio della tolleranza dobbiamo accettare serenamente, benchè con dolore, che questa legge sia diventata legge dello Stato, per cui dovremo accettare che essa sia messa in pratica da coloro che la riconosco come legge.
      Il discorso di Papa Francesco si può dire in linea con quanto ha detto la CDF, interpretato nel modo che ho detto. Infatti Papa Francesco ha detto che gli Stati hanno il diritto di fare le loro leggi, in considerazione delle maggioranze che si creano in Parlamento. Ma è chiaro, come ha detto il Papa, che la Chiesa propone una sua etica, che è l’etica naturale, la quale, in base alla ragione pratica, dovrebbe far sì che tutti si sentano obbligati, anche se non cattolici, perché non c’è bisogno di essere cattolici per sentirsi obbligati in coscienza a praticare la legge naturale.

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    2. Nel precedente commento lei ha scritto:
      “Il discorso di Papa Francesco si può dire in linea con quanto ha detto la CDF, interpretato nel modo che ho detto. Infatti Papa Francesco ha detto che gli Stati hanno il diritto di fare le loro leggi, in considerazione delle maggioranze che si creano in Parlamento.”
      Sono costretto a ripetermi.
      In quel discorso, il Papa:
      - afferma che il sacramento del matrimonio non può essere cambiato dalla Chiesa, e dunque gli omosessuali non possono accedervi;
      - non parla del diritto degli stati di fare leggi in base alle maggioranze.;
      - soprattutto non esprime alcun dolore, alcun rammarico, che il cattolico dovrebbe manifestare, qualora gli stati approvino leggi sulle unioni civili per omosessuali.
      Egli invece, in modo esplicito, auspica che tali leggi vengano varate dagli stati, e dunque intende promuoverne l’approvazione.
      Infatti, ne evidenzia gli aspetti a suo parere positivi dicendo che “Queste sono leggi che cercano di aiutare la situazione di tanta gente, di orientamento sessuale diverso. E questo è importante, che si aiuti la gente. […] se loro vogliono portare la vita insieme, una coppia omosessuale, gli Stati hanno possibilità civilmente di sostenerli, di dare loro sicurezza di eredità, di salute,…”
      Dove leggere, in queste parole del Papa, una semplice tolleranza, un’accettazione ma “con dolore”, qualora vengano approvate tali leggi?
      Tale dolore, tale rammarico non è presente nelle parole del Papa.
      Ma soprattutto dove leggere, in queste parole del Papa, un invito ai cattolici a non approvarle?
      L’ indicazione ai cattolici di non approvare tali leggi non c’è, anzi dichiarandosi favorevole come Papa, è sottointeso l’invito ai fedeli e ai politici cattolici ad approvarle.
      E dunque, mi spiace ripetermi, ma resta confermato che questo discorso del Papa è in contrasto col documento della CDF.
      Del resto, sin da quando era arcivescovo in Argentina, Bergoglio, già nel 2010, si era pronunciato a favore delle unioni civili per gli omosessuali (non escludendo da ciò i cattolici), come confermato anche da Avvenire, che riporta anche l’intervento dell’arcivescovo di La Plata Victor Manuel Fernández, conoscitore del pensiero bergogliano, a ulteriore conferma di quella che è stata sempre la posizione dell’ arcivescovo di Buenos Aires che oggi è Papa (https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/niente-confusione-tra-unioni-civili-e-matrimonio).

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    3. Caro Bruno,
      in riferimento alle parole del Papa a leggi che regolano le unioni civili, dovrebbe essere ben chiaro che le parole di incoraggiamento e di appoggio non vanno assolutamente riferite all’aspetto sessuale della loro unione, il quale aspetto è oggettivamente illecito, ma vanno riferite al diritto che la coppia ha di essere assistita nei suoi bisogni legittimi e al dovere che la società eserciti un adeguato ruolo di assistenza alla coppia stessa.
      Certamente un serio problema morale per il cittadino cattolico, e soprattutto per il governante cattolico, è quello dell’atteggiamento da tenere nei confronti di leggi approvate dallo Stato, che permettono le unioni civili.
      A tutta prima il cattolico, che vuole essere sia un buon cittadino che un buon cattolico, sembrerebbe trovarsi davanti a un dilemma che lo costringe o a non essere un buon cittadino o a non essere un buon cattolico. Infatti, come cittadino dovrebbe ammettere che lo Stato abbia il diritto di legiferare circa le unioni civili; e come cattolico sa che una unione civile contrasta con la legge naturale. In pratica, che cosa dovrebbe fare? Secondo me, come cittadino deve mettere in pratica il principio di una giusta tolleranza, secondo quanto le ho spiegato circa questo concetto; mentre come cattolico ha il diritto di applicare l’obiezione di coscienza e il dovere in ogni caso di non valersi di quella legge.
      Infine, come ha suggerito il cardinale Bassetti, credo che i cattolici in Parlamento dovrebbero adoperarsi con tutte le loro forze per fare in modo che le leggi, che offendono il diritto naturale, possono recare il meno danno possibile.

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  6. Lei ha scritto: “questo principio di tolleranza si è allargato fino a diventare diritto alla libertà religiosa, diritto che consente allo Stato di emanare leggi che noi cattolici non possiamo accettare in quanto contrarie alla legge naturale. E questo è il senso di quello che dice la CDF.”
    Non so in quale documento del Magistero si affermi esplicitamente che, in nome del principio di tolleranza, la Chiesa possa approvare che lo Stato legiferi contro la legge naturale voluta da Dio. Sarei anche interessato a conoscere quale sarebbe il fondamento scritturistico di tale possibilità.
    La legge naturale è per l’appunto inscritta nella natura dal Creatore, e può essere appresa anche a prescindere dalla fede, con i mezzi della sola ragione, come da sempre ha insegnato la Chiesa (non sto qui a riportare citazioni, da san Paolo a san Tommaso, su cui lei è ben più dotto di me…).
    In altre parole, proprio in quanto si riferisce alla legge naturale, attingibile anche con la sola ragione, il documento si rivolge a tutti, credenti e no.
    E comunque, in nessun punto, il documento della CDF arriva ad ammettere che, per i non cattolici, lo stato possa legiferare contro la legge naturale.
    In quest’ottica, la frase con cui lei conclude lo stralcio sopra riportato, e cioè “E questo è il senso di quello che dice la CDF”, appare francamente infondata.

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    1. Caro Bruno,
      è vero che oggi la Chiesa non usa il termine “tolleranza”, ma ne usa altri similari, che in questo caso vanno spiegati, come quello di “misericordia”, di “pazienza” e di “libertà”.
      Il termine tolleranza ha una lunga tradizione, che risale all’illuminismo, ma che può essere messo in rapporto con la morale evangelica ed implica l’idea dell’aver pazienza e dell’essere comprensivi. Con questo termine non si deve intendere una specie di permissivismo, ma la capacità di capire che certe persone più di tanto non riescono a fare, per cui la persona tollerante non pretende dall’altro un grado di virtù superiore a quello di cui essa è capace.
      In questo senso San Tommaso diceva che lo Stato non può pretendere da tutti i cittadini il massimo della virtù. Ciò naturalmente non deve portare l’autorità civile a forme di permissivismo, che potrebbero mettere a repentaglio le basi della vita civile.
      Per quanto riguarda la misericordia, essa è un sentimento più delicato della tolleranza in quanto il misericordioso comprende e scusa ancora meglio, che non il tollerante, i limiti delle possibilità e la fragilità del misericordiato.
      Per quanto riguarda la libertà, essa è da intendere come espressione della coscienza, la quale può anche essere erronea, ma non per questo il soggetto non ha il diritto di agire liberamente secondo coscienza, come dice la Dignitatis Humanae del Concilio Vaticano II.
      Detto tutto questo, i riferimenti scritturistici di questi principi possiamo trovarli in tutte quelle situazioni in cui Cristo agisce senza pretendere dall’altro più di quanto egli possa fare, rispetta la libertà di coscienza di tutti, porta pazienza verso coloro che non ce la fanno oppure anche verso coloro che lo fanno soffrire, ha pietà per i fragili, anche se indubbiamente conduce un’opera educativa, formatrice e correttiva verso tutti, indirizzando tutti alla virtù e alla santità, e in certe occasioni usando anche toni severi verso coloro che potendo fare il bene non lo vogliono fare o fingono di farlo.

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  7. Lei ha scritto: “Per quanto riguarda la posizione di Papa Francesco, è decisivo prendere atto delle sue ultime posizioni, che sono molto chiare: rifiuto da parte dei cattolici di praticare l’unione omosessuale; tolleranza da parte dello Stato delle unioni omosessuali, praticate da non cattolici […]”.
    Per la precisione, nell’ intervento citato, Papa Francesco afferma chiaramente:
    1) che il matrimonio cattolico [e sottolineo “il matrimonio”] non può essere esteso alle coppie omosessuali;
    2) che lo Stato non può imporre alla Chiesa quanto essa non può accettare.
    Ma il Papa non afferma, in modo esplicito, che le unioni civili, siano lecite, ancorché tollerate, solo nel caso di omosessuali “non cattolici”, mentre per i cattolici resterebbero interdette.
    Infatti, egli dice: “Queste sono leggi che cercano di aiutare la situazione di tanta gente, di orientamento sessuale diverso. E questo è importante, che si aiuti la gente. […] Ma se loro vogliono portare la vita insieme, una coppia omosessuale, gli Stati hanno possibilità civilmente di sostenerli, di dare loro sicurezza di eredità, di salute,…”
    Letteralmente, qui il Papa parla genericamente di “una coppia omosessuale”, ma non esplicita che debba trattarsi di “una coppia omosessuale non cattolica”. Dunque, stando alla lettera delle sue parole, non si può affermare, inequivocabilmente, come lei sostiene, che il Papa abbia “molto chiaramente” preso posizione per il “rifiuto da parte dei cattolici di praticare l’unione omosessuale”.
    Peraltro, anche quando il Papa, nella famosa intervista televisiva (poi riportata in un film), si dichiarò favorevole alle unioni omosessuali, non escluse gli omosessuali cattolici da tale possibilità. Come possiamo rivedere in video come questo: https://www.youtube.com/watch?v=X_9aVWcy4Fs
    egli affermò: “Le persone omosessuali hanno diritto di essere parte di una famiglia. Sono figli di Dio e hanno il diritto a una famiglia”, e fin qui tutto bene, se ci riferiamo alla loro famiglia d’origine, che non deve rinunciare ad amarli, non deve allontanarli o sottoporli a ingiuste discriminazioni. E tutto ciò và altrettanto bene se ci riferiamo alla più larga “famiglia” dei fratelli in Cristo… Ma poi il Papa aggiunse: “Quello che dobbiamo fare è creare una legge sulle unioni civili”. E non specificò che ciò non valeva per omosessuali cattolici.
    Lei potrà obiettarmi che il Papa non ha bisogno di specificare questo divieto, perché è scontato che il Papa non potrebbe mai approvare la sodomia.
    Però resta il fatto che in ambedue le occasioni questa distinzione, tra cattolici e non cattolici, rispetto alle unioni civili, non è stata esplicitata dal Santo Padre.
    Da notare inoltre che il Papa dice “dobbiamo… creare una legge sulle unioni civili”, parla dunque di un “dovere”, quasi morale, di realizzare tali leggi, e non semplicemente di tollerarle.

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    1. Caro Bruno,
      non mi sembra che occorra una particolare perspicacia per capire che se il Papa non parla di coppie omosessuali cattoliche, ciò non significa che egli autorizzi questo tipo di convivenze, tanto più che insiste nel ricordarci la dottrina della Chiesa.
      Come lei ha affermato, è chiaro che è sottintesa la proibizione di convivenze omosessuali, le quali costituiscono, come ben sappiamo, il peccato di sodomia.
      Detto questo, dobbiamo però prendere atto anche del fatto che il Papa ci esorta a fare tutto il possibile per essere vicini a queste coppie, le quali, a parte il legame sessuale, hanno bisogno di molte cose, nelle quali la carità fraterna esige che si vada loro incontro.

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  8. Se si ammette che, in nome del principio di tolleranza, la Chiesa possa o addirittura “debba” approvare leggi civili in contrasto con i dieci comandamenti, con la legge naturale, è lecito domandarsi “perché limitarsi solo alle unioni civili omosessuali?”
    Perché, ad esempio, non si potrebbe applicare il medesimo principio di tolleranza all’aborto?
    Se la madre, e magari anche il padre, del feto, e pure il medico abortista, non sono cattolici, non credono che il feto sia una sacra persona umana, ovvero se, per usare le sue parole, “non credono ad una certa legge naturale”, perché la Chiesa non dovrebbe tollerare, che uno stato, non confessionale, approvi una legge a favore dell’interruzione volontaria di gravidanza? I cattolici sarebbero comunque liberi di non fruirne. In fondo è quello che da sempre ci raccontano i cosiddetti “cattolici adulti”, da Romano Prodi, a tanti esponenti del Partito Democratico, allo stesso presidente degli USA Biden.
    Si potrebbe obiettare che non si può mettere sullo stesso piano di gravità morale, una legge che favorisce il peccato di sodomia (ricadente solo sulla responsabilità personale dei due adulti consenzienti), con una legge che, per usare le giuste parole di Francesco “assolda un sicario”, travestito da medico, per uccidere una vita umana innocente e certo non consenziente.
    D’accordo, e tuttavia resta la domanda: con quale criterio la Chiesa può stabilire su quale peccato mortale e dunque violante un comandamento divino, si può “chiudere un occhio” se lo stato lo legalizza, e su quale altro invece non si può transigere?
    Peraltro, la sodomia non è una “mera” violazione del sesto comandamento ma, come riporta il Catechismo al numero 1867, un peccato che grida vendetta verso il cielo come l’assassinio dell’innocente Abele:
    “La tradizione catechistica ricorda pure che esistono «peccati che gridano verso il cielo». Gridano verso il cielo: il sangue di Abele; il peccato dei Sodomiti…” (Gn 18, 20; 19, 13).

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    1. Caro Bruno,
      a proposito della questione che lei mi pone, io direi due cose.
      Uno. Bisogna distinguere la pastorale della Chiesa dalla politica dello Stato. Nella medesima questione delle unioni civili, che noi cattolici chiamiamo unioni sodomitiche, la Chiesa ha un compito ancora più delicato, di maggiore carità, di maggiore discernimento, di maggior pazienza, di maggiore prudenza, e all’occasione sa esercitare anche un intervento severo, sempre per il bene dei soggetti.
      Secondo. Su queste basi dobbiamo distinguere due tipi di tolleranza: la tolleranza esercitata dalla Chiesa e quella esercitata dallo Stato. Per quanto riguarda la guida dei propri figli, la Chiesa è più esigente, però è più misericordiosa verso la fragilità dei non credenti. Invece lo Stato, che non ha quella conoscenza profonda del cuore umano che ha il cattolico, nel campo della tolleranza ha il diritto o la facoltà, in base al diritto alla libertà religiosa, di concedere una tolleranza che noi cattolici non praticheremmo verso altri cattolici. Però, per un altro verso lo Stato, sempre per il fatto che non dispone di questa conoscenza dell’uomo che abbiamo noi, può in certi casi avere il diritto di essere meno tollerante di quanto siamo noi. Infine, i mezzi educativi e formativi dei quali dispone la Chiesa sono più ricchi e più efficaci di quelli dei quali dispone lo Stato. Mi riferisco all’uso dei Sacramenti, dei quali evidentemente lo Stato non può disporre.

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  9. Quando il credente, al termine della Confessione, recita l’atto di dolore, promette “di fuggire le occasioni prossime di peccato”.
    Ora è chiaro che chi chiede per sé e il proprio partner, l’unione civile, è perché, nella grande maggioranza dei casi, intende convivere con quella persona, intrattenendo con essa anche rapporti carnali i quali, nel caso di omosessuali, rientrano nel peccato di sodomia.
    Ma se io considero il mio prossimo come un fratello, e non mi riferisco solo al fratello in Cristo ma, nello spirito della “Fratelli tutti”, anche al fratello non credente e omosessuale, come posso approvare una legge che favorisce, in qualche modo riconosce, legalizza… l’occasione quotidiana di peccare contro natura?
    Sarebbe vera misericordia la mia?
    Lo starei davvero aiutando questo fratello non credente?
    Quale vangelo gli starei annunciando?
    Da un lato gli dico: “non posso approvare gli atti carnali omosessuali”, poi aggiungo: “però visto che tu non sei cattolico, appoggio che una legge ti favorisca nel praticarli col tuo partner”.
    Non le sembra, Padre Giovanni, che tale mio comportamento sarebbe, quanto meno, contraddittorio ed anche ipocrita?
    Si potrebbe obiettare che “l’intenzione del Santo Padre non è certo di indurre al peccato i due omosessuali, ma, per usare le stesse parole del Papa di sostenerli, di dare loro sicurezza di eredità, di salute,…”.
    A parte che una buona intenzione non può giustificare un “effetto collaterale” (i rapporti carnali) gravemente immorale… ma, in ogni caso, il documento della CDA afferma lapidariamente:
    “Non è vera l'argomentazione secondo la quale il riconoscimento legale delle unioni omosessuali sarebbe necessario per evitare che i conviventi omosessuali perdano, per il semplice fatto della loro convivenza, l'effettivo riconoscimento dei diritti comuni che essi hanno in quanto persone e in quanto cittadini. In realtà, essi possono sempre ricorrere – come tutti i cittadini e a partire dalla loro autonomia privata – al diritto comune per tutelare situazioni giuridiche di reciproco interesse”.
    Dunque, anche in questo aspetto, la posizione di Francesco è in contrasto col documento approvato da san Giovanni Paolo II.

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    1. Caro Bruno,
      tanto dalle posizioni di Papa Francesco, della CDF e di San Giovanni Paolo II, si evince che noi cattolici non abbiamo nessun obbligo di votare una legge favorevole alla sodomia, anzi ci è tassativamente proibito.
      Tuttavia noi cattolici in Parlamento possiamo e dobbiamo fare il possibile per riconoscere eventuali aspetti positivi in quella legge o per diminuirne la dannosità. Detto questo, noi cattolici, da buoni cittadini democratici, dovremo accettare serenamente, seppure con dispiacere, l’eventuale approvazione di quella legge, anche se naturalmente noi non ne faremo mai uso.

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  11. Lei ha detto “[…] in quest’ultima intervista il Papa ha fatto riferimento alla dottrina della Chiesa, per cui, sotto questo punto di vista, la sua dichiarazione assume un livello magisteriale.”
    Pur ammettendo che lei abbia ragione, e che si possa considerare “pronunciamento magisteriale” tale risposta del Papa, ci troveremmo di fronte a due pronunciamenti del magistero, in contrasto, almeno in alcuni punti, l’uno con l’altro: quello della CDF e quello dell’intervista di Papa Francesco.
    Ma poiché, certamente lo Spirito Santo non può mai contraddirsi, ne segue, oserei dire logicamente, che, in tali punti di disaccordo, uno dei due pronunciamenti non può essere stato veramente ispirato dallo Spirito di Dio, ma rappresenti solo l’opinione privata di uno dei due pontefici.
    E poiché il documento della CDF approvato dal pontefice san Giovanni Paolo II, è non solo “tecnicamente” un documento magisteriale, ma è anche perfettamente in linea con tutto il magistero precedente (cosa che non può dirsi dell’intero contenuto dell’intervista di Francesco), ne segue che, come fedeli cattolici, siamo vincolati al rispetto di quanto affermato dal documento della CDF, riguardo ad approvare o meno le leggi sulle unioni civili, e non di quanto su ciò ha detto Papa Francesco. Tertium non datur.
    La cosa che mi rattrista, mi amareggia di più, mi creda Padre Giovanni… è che lei, di cui ho grande stima come teologo, molto probabilmente, nei successivi commenti a questi miei, si ostinerà a negare che sussista contraddizione tra il documento della CDF e la posizione espressa da Papa Francesco.
    Eppure quando era intervenuto alla presentazione del suo libro sull’eresia del buonismo, a proposito dell’intervista televisiva trasposta in film, in cui Francesco sosteneva le unioni civili per gli omosessuali, lei aveva definito “sciagurata” quell’intervista, aveva puntualizzato che non doveva considerarsi un pronunciamento magisteriale ma un’opinione politica, aveva tacciato il Papa di imprudenza, aveva affermato che era in contrasto con il documento della CDA, arrivando a persino a domandarsi se il Papa ne fosse a conoscenza, sottintendendo che, nel caso l’avesse conosciuta, presumibilmente non avrebbe parlato così…
    Ed oggi, davanti al fatto che il Papa ribadisce la medesima tesi, cosa le ha fatto cambiare idea?
    Che oggi ha compreso che il Papa vuole in tal modo aiutare gli omosessuali non cattolici?
    E in questo modo li aiutiamo ad avvicinarsi alla verità che “maschio e femmina li creò”?

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    1. Caro Bruno,
      io rimasi dispiaciuto per quella intervista, perché essa dava l’impressione che il Papa fosse favorevole alle unioni civili. Infatti, in quella intervista il Papa non aggiunse alcune importanti precisazioni, che egli ha fatto di recente e in altre circostanze. E cioè, quali?
      Uno. Che per la Chiesa l’unica unione che si può chiamare matrimonio è quella tra uomo e donna.
      Due. Che la dottrina della Chiesa si è già pronunciata circa la illiceità della sodomia.
      Da tutto ciò si evince quello che il Papa ha detto nelle sue ultime dichiarazioni. Ha ribadito il diritto dello Stato di legiferare in fatto di unioni civili; ha ribadito la dottrina della Chiesa e ha anche detto che noi cattolici non possiamo approvare questo tipo di unioni sodomitiche.

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  12. Caro Padre Cavalcoli,
    dopo aver riletto questo suo articolo dello scorso anno, di grande attualità per la Chiesa, in preparazione al prossimo Sinodo, mi è venuto in mente di consultarli su un tema particolare di morale fondamentale o morale delle virtù, che è giunto a mente quando leggi la sua frase: "Se la spada viene a produrre la pace vincendo i nemici della pace, come l’odio e la menzogna, ben venga la spada".
    L'argomento su cui li consulto riguarda la moralità della menzogna.
    Ho letto quanto insegna il Catechismo attuale, quello di San Giovanni Paolo II, e anche quanto insegna il Catechismo Maggiore di San Pio X e anche il Catechismo Romano ai parroci, di Trento. In tutte, dopo aver affermato l'illegittimità della menzogna (anche con espressioni forti, come "la menzogna è per sua stessa natura condannabile", come dice l'attuale Catechismo nel suo n. 2485), però, in seguito sorgono -a le sembrano- eccezioni, ad esempio come indicato nei numeri 2488-2489.
    A tal proposito, spero di non infastidirvi troppo se vi pongo una domanda che mi sta preoccupando molto ultimamente. Ed è il seguente:
    Nei dialoghi con altri cattolici, mi è stato affermato con forza: "Mentire è intrinsecamente mala".
    Da parte mia, ricordando il suo pensiero, ho risposto che mentire, oltre a dare la morte ad un altro, può avere l'aspetto di atti intrinsecamente malvagi, ma non si basano sulla gerarchia dei fini: così come può essere uccidere un aggressore ingiusto o in una guerra giusta, allo stesso modo possono esserci casi specifici in cui non c'è diritto-dovere di comunicare la verità (questo implica una menzogna?).
    In tali dialoghi, io indico abitualmente la dottrina che ho appreso da voi, riferendosi all'intrinsece malum e all'intrinsece bonum (Veritaris Splendor, di Giovanni Paolo II), e l'ho applicata alla menzogna. Pertanto, ho affermato che la menzogna è un extrinsece malum (cioè genericamente cattiva, ma con eccezioni che lo rendono buona o lecita). Sono proprio qui?
    Tuttavia, la mia preoccupazione non è cessata, perché ho letto diversi trattati o manuali classici di teologia morale (Royo Marin, Tanquerey, ecc.) che affermano che... mentire è "intrinsecamente malo".
    Cosa pensare di questa domanda? Hai scritto articoli sull'argomento? (se è così, per favore dimmi dove trovarlo).
    Li sarò molto grato per ogni possibile aiuto.

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    1. Caro Silvano,
      rispondo per partes.
      1. Possono esserci casi specifici in cui non c'è diritto-dovere di comunicare la verità (questo implica una menzogna?)
      Risposta - La menzogna è il dire una cosa falsa o non vera per ingannare l’altro. In linea di principio è peccato, perché si toglie all’altro il diritto di conoscere la verità. Ma può accadere che uno si serva della verità per fare il male o a chi gli dice quella verità o a se stesso o ad altri. Per esempio, se uno, nemico di una persona buona volendo farle del male, mi chiedesse dove si trova quella persona ed io lo so, in questo caso io posso mentire per difendere quella persona. È un procedimento simile a quello che legittima l’omicidio nella pena di morte, nel conflitto bellico e nella difesa personale. Ha diritto di vivere chi rispetta la vita degli altri. Ma se non lo fa, perde questo diritto e può essere ucciso.
      La Bibbia offre un esempio famoso di come in casi gravi sia lecito, anzi lodevole mentire a persone malintenzionate, il caso della prostituta Raab, la quale protegge in casa sua i due emissari d’Israele ingannando gli inseguitori col deviarli nella loro ricerca (Gs 2,1-21). La sua condotta viene poi più volte lodata dalla stessa Scrittura (Eb 11,31 e Gc 2,25). Si tratta di quella «astuzia che occorre usare col perverso» (Sal 18, 27) per bloccarlo nei suoi piani perversi. Certo il mentire dev’essere un’extrema ratio, se è possibile sottrarsi a domande indiscrete o maligne semplicemente usando toni evasivi o invocando il segreto. Ma se il nemico ci mette alle strette, non dobbiamo temere di usare quest’arma di difesa contro il male, che può fare anche a se stesso.

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    2. 2. Io indico abitualmente la dottrina che ho appreso da voi, riferentesi all'intrinsece malum e all'intrinsece bonum (Veritaris Splendor, di Giovanni Paolo II), e l'ho applicata alla menzogna. Pertanto, ho affermato che la menzogna è un extrinsece malum (cioè genericamente cattiva, ma con eccezioni che lo rendono buona o lecita). Sono proprio qui?
      Tuttavia, la mia preoccupazione non è cessata, perché ho letto diversi trattati o manuali classici di teologia morale (Royo Marin, Tanquerey, ecc.) che affermano che... mentire è "intrinsecamente malo".
      Risposta - Intrinsece malum vuol dire che un certo atto è sempre e di per se stesso cattivo, supponendo le condizioni per cui è cattivo. Esso corrisponde al bonum honestum, all’intrinsece bonum. Tuttavia bisogna fare attenzione. Per esempio, il comandamento non uccidere, che implica l’uccidere come intrinsece malum, non va preso in senso assoluto ed incondizionato, ma dev’essere interpretato così: non uccidere l’innocente, sottintendendo che può essere ucciso il malvagio. Quindi il giudice che condanna a morte o il soldato che uccide il nemico non fanno un’eccezione al V comandamento, ma lo applicano secondo la sua giusta interpretazione.

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    3. Occorre tuttavia distinguere due tipi di intrinsece malum: c’è l’intrinsece malum sotto condizione e l’intrinsece malum incondizionato. Il primo in certi casi diventa lecito quando c’è l’adeguata condizione, non nel senso che si faccia eccezione alla sua malizia, ma perché interviene un valore morale o fine superiore, allo scopo di osservare quel valore o realizzare quel fine. Questa è la condizione adeguata, affinchè quell’atto, che pur è intrinsecamente cattivo, sia tuttavia permesso per salvare un valore o fine superiore. Per esempio, l’aborto è atto intrinsece malum, ma sotto condizione, perché, se si tratta di salvare la madre, diventa lecito.
      Ciò significa che in morale esiste una gerarchia di fini o una scala di valori tutti obbligatori, tutti intrinsece boni, per cui il contrario è intrinsece malum. Ma se il valore inferiore impedisce quello superiore, occorre che l’inferiore si faccia da parte per dar spazio al superiore. Ubi maior, minor cessat. Il procreare è un dovere per tutti, per cui il non voler procreare è un intrinsece malum.
      Tuttavia, se alcuni sentono il bisogno di una maggiore spiritualità, alla quale il matrimonio fa ostacolo, fanno bene a rinunciare al matrimonio per realizzare quel fine superiore. La virtù che consente di fare queste scelte difficili e rare si chiama epicheia o equità, che è una forma di giustizia e prudenza che consente di dare un retto giudizio in casi straordinari, in cui è in gioco il confronto fra grandi valori e si tratta di vedere qual è il maggiore.
      Non si tratta di ammettere delle eccezioni; si tratta di interpretare bene il valore. Eccezioni le può ammettere la legge positiva. Per esempio: «qui è vietato parcheggiare tranne la domenica». La legge naturale invece non ammette eccezioni, così come non le ammette la natura sulla quale si basa: come non può esistere eccezionalmente un uomo che non abbia il potere di ragionare, così dal punto di vista morale non è mai permesso ovvero è intrinsece malum agire contro ragione. Qui non si danno eccezioni. Si può parlare di valori assoluti o non-negoziabili.
      Esistono anche atti intrinsecamente cattivi in modo incondizionato. Come si stabiliscono? Sono valori o fini, al di sopra dei quali non ce ne sono altri. Si tratta di ciò che riguarda Dio e la sua immagine, uomo o angelo. Tutti i valori possono essere accantonati per rispettare questi sommi valori, ma questi non possono essere disattesi, senza il fallimento nel conseguimento del fine ultimo, che è Dio.
      Questi atti o vizi incondizionatamente ed intrinsecamente cattivi sono grosso modo i seguenti: l’empietà, l’incredulità, il sacrilegio, la bestemmia, lo scisma, l’eresia, l’apostasia, il culto del demonio, la magia, la superstizione, l’idolatria, la calunnia, il turpiloquio, la diffamazione, lo scandalo, la seduzione, il tradimento, l’infedeltà, l’ipocrisia, la doppiezza, la maldicenza, l’odio del prossimo, l’invidia, la derisione, la stoltezza, l’accidia, la superbia, la gola, la frode, la truffa, la fornicazione, la sodomia, la pedofilia, la prostituzione, il concubinaggio, l’adulterio, la rapina.

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    4. Caro Padre Cavalcoli:
      si dici: "Per esempio, l’aborto è atto intrinsece malum, ma sotto condizione, perché, se si tratta di salvare la madre, diventa lecito".

      Vale a dire che in questo caso la vita della madre vale più di quella del figlio? Con quali criteri si determini quale vale di più? C'è differenza se il bambino è già nato? O è che mentre sei nel grembo materno la sua vita non vale così tanto?

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    5. Caro N.Màrquez,
      l’uccisione del feto si giustifica in base al principio del volontario indiretto, secondo il quale un atto diventa moralmente lecito, per non dire necessario, quando salva una vita umana a prezzo della vita di un altro essere umano. Si dice allora che questa uccisione non è voluta in modo diretto, ma indiretto, ossia non di per sé, ma accidentalmente.
      La domanda è: che cos’è che fa preferire una vita all’altra? Infatti, l’osservazione che viene spontanea è che ogni persona abbia diritto alla vita.
      Ci sono invece dei casi nei quali una persona ostacola o impedisce la vita di un’altra. La persona che costituisce questo ostacolo può agire o volontariamente o involontariamente. Azione volontaria può essere quella del criminale, che mette in pericolo il bene comune; l’ingiusto aggressore, che mette in pericolo una persona innocente; oppure il nemico della Patria, che mette in pericolo il bene della Patria.
      Il caso dell’aborto è quello di un agente, che agisce involontariamente, e tuttavia costituisce un pericolo mortale per la madre. In questo caso gioca il principio della soppressione di colui che oggettivamente è il “nemico”. Indubbiamente questa soluzione estrema ci riempie di compassione per il povero piccolo innocente, il quale indubbiamente va in paradiso.
      Dobbiamo peraltro ricordare l’esempio delle madri eroiche, le quali, pur di mettere al mondo il figlio, rinunciano volontariamente alla propria vita. Tuttavia si tratta di atti virtuosi straordinari, che richiedono una generosità che Dio non concede a tutte le mamme. Per questo una madre, che si trova ad affrontare quella scelta drammatica, può pacificare la propria coscienza sapendo che la morale le permette di fare quanto ho detto sopra.
      Il principio suddetto del volontario indiritto in caso di aborto, fu enunciato da Pio XII in un discorso del 1951:
      - parole del Pontefice nel Discorso alle associazioni delle famiglie numerose del 1951, «se la salvezza della vita della futura madre richiedesse urgentemente un atto chirurgico, o altra applicazione terapeutica, che avrebbe come conseguenza accessoria, in nessun modo voluta né intesa, ma inevitabile, la morte del feto, tale atto non potrebbe più dirsi un diretto attentato alla vita dell’innocente».
      (cf. https://www.avvenire.it/agora/pagine/bioetic-16537cbf9e154928acb3d0b6ecdbc6c8)

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    6. Grazie, padre Giovanni, per la sua dettagliata spiegazione, che mi chiarisce molto e mi rassicura.
      Ora, suppongo che la sua espressione: "il povero piccolo innocente, il quale indubbiamente va in paradiso", resti a livello di opinione teologica altamente fondata e ragionevole, anche se potrebbe non essere condivisa da tutti, specialmente dai più conservatori, ancora sostenitori della dottrina del limbo dei bambini morti senza battesimo.
      Grazie.
      Nadia

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    7. Cara Nadia,
      la dottrina del limbo in passato è sempre stata accolta dalla Chiesa nell’insegnamento corrente dei catechisti, ma tuttavia la Chiesa non l’ha mai fatta propria, per cui non la si può considerare dottrina cattolica e tanto meno dottrina di fede.
      Questo fatto è testimoniato dal fatto che nel Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC), cf. n. 1261, la Chiesa spera che vi sia “una via di salvezza per i bambini morti senza battesimo”.
      Questo vuol dire che la grazia della salvezza arriva a questi bambini anche se non sono stati battezzati. Il che naturalmente non vuol dire che battezzare il bambino non sia uno stretto dovere dei genitori.
      Questo fatto invece testimonia che Dio salva anche senza i sacramenti. A questo punto ci poniamo il problema della salvezza del feto o dell’embrione.
      La teologia, la quale ha la facoltà di dedurre delle conclusioni dal dato rivelato o dalla dottrina della Chiesa, ci autorizza a questo punto a dedurre che se si salva il bambino già nato, si salva anche l’embrione e il feto, per il fatto che Dio vuole salvi tutti gli uomini e per sue vie spesso misteriose, note a Lui solo, fa giungere a tutti la grazia di Cristo.
      È chiaro che nell’adulto, capace di scegliere, la grazia può essere respinta. Invece, nei suddetti soggetti, non ancora giunti all’età di ragione, la grazia produce il suo effetto salvifico senza che occorra il loro libero consenso, dato che non lo possono ancora esercitare.
      Riproduco in nota l’articolo del CCC, che tocca l’argomento:
      1261 Quanto ai bambini morti senza Battesimo, la Chiesa non può che affidarli alla misericordia di Dio, come appunto fa nel rito dei funerali per loro. Infatti, la grande misericordia di Dio, «il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1 Tm 2,4), e la tenerezza di Gesù verso i bambini, che gli ha fatto dire: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite » (Mc 10,14), ci consentono di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza Battesimo. Tanto più pressante è perciò l'invito della Chiesa a non impedire che i bambini vengano a Cristo mediante il dono del santo Battesimo.

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  13. Aggiungo altro: Tratto dalla Summa Theologica - Parte II-IIae - q. 110: Ciò che è intrinsecamente e naturalmente cattivo non è possibile che sia buono o lecito, perché perché una cosa sia buona è necessario che tutto in lei è; poiché, come dice Dionisio nel capitolo 4 del Div. Nom., il bene richiede il concorso di tutte le sue cause, per il male, invece, ogni difetto è sufficiente. Ora dunque: mentire è cattivo per natura, perché è un atto che ricade su materia impropria, poiché le parole sono segni naturali di idee, è innaturale e improprio significare con le parole ciò che non è pensato. Per cui dice il Filosofo nella IV Etica, che la menzogna è di per sé cattiva e vitale; la verità, invece, è buona e lodevole. Perciò ogni menzogna è peccato, come afferma anche sant'Agostino nel suo libro Contra mendacium.
    Quindi, tutto questo non significa che mentire sarebbe "intrinsecamente cattivo"?
    Grazie padre.

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    1. 3. Leggo nella Summa Theologiae, Parte II-IIae - q. 110: «Ciò che è intrinsecamente e naturalmente cattivo non è … Quindi, tutto questo non significa che mentire sarebbe "intrinsecamente cattivo"?
      Risposta – Tommaso appare qui effettivamente troppo rigoroso. Accenna però al caso di Giuditta che mente ad Oloferne; «a causa dell’amore che ebbe per il suo popolo» (ad 3m). Per altri casi Tommaso si esibisce in difficili acrobazie, pur di non riconoscere apertamente che il soggetto ha mentito. È strano che non gli venga in mente il caso eclatante di Raab, lodata dalla Sacra Scrittura. Ma è evidente che l’autorità di questa vale di più di quella di S.Tommaso, il quale appare qui in certo modo non sufficientemente esperto della malizia umana, egli che da buon medioevale pur non esita ad ammettere la pena di morte per gli eretici.

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    2. Caro padre,
      Grazie per le spiegazioni così dettagliate e illuminanti! Grazie anche per essere stato così generoso con il tuo tempo con me.
      Sono stato sorpreso dalla sua libertà e dalla sua delicatezza di filosofo e teologo tomista nel giudicare la posizione di Tommaso d'Aquino.
      A questo proposito, allora, si può dire che, in definitiva, san Tommaso sbaglia su questo punto? O dovremmo piuttosto dire che Tommaso, quando dice che "mentire è un male per natura", farebbe un'affermazione generale, in quali casi vanno distinti in cui questa qualificazione non si applica?
      Grazie per la sua pazienza con me.

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    3. Caro Silvano,
      il dovere di dire la verità va collegato col dovere della giustizia. La menzogna vera e propria, in quanto peccato, non è il puro e semplice fatto di dire a qualcuno ciò che non è vero, ma è causata dalla volontà di fare del male a quella persona che così viene ingannata. Vera e propria menzogna è per esempio l’inganno con il quale l’eretico confonde una persona ingenua; oppure fare una propaganda menzognera di un prodotto, al fine di un guadagno illecito.
      Viceversa l’atteggiamento di Raab, che assomiglia a quello di Giuditta, è dettato innanzitutto dalla volontà di proteggere gli emissari di Israele, i quali sarebbero certamente stati uccisi dai nemici, che li stavano cercando. In questo caso, in cui un malvagio vuol servirsi della verità per fare del male, perde il diritto di conoscerla e non gliela si deve dire per impedire che faccia del male. Per esempio è stato lecito ingannare i nazisti per proteggere gli ebrei.
      Ora, Tommaso è molto preso dal valore della veridicità, perché effettivamente in linea di principio illuminare gli altri nella verità è opera sommamente buona. Qui però si nota, secondo me, nel grande teologo un certo disagio psicologico, come se l’Aquinate fosse combattuto tra l’esigenza di dire la verità e i casi eccezionali, nei quali invece la verità dev’essere nascosta e che ci sono presentati dalla stessa Sacra Scrittura.
      Bisogna inoltre distinguere le verità circa le quali non è mai permesso mentire, e queste sono le verità che riguardano Dio e la fede, e altre verità particolari, circa le quali è consentito per grave ragione di nasconderle a una persona che farebbe cattivo uso di quelle verità per fare del male. Per quanto riguarda le prime verità dobbiamo confessarle assolutamente, anche a costo della vita. Invece le altre possono essere celate in nome della giustizia e della stessa verità, intesa in un senso superiore come obbedienza alla volontà di Dio, che è la Verità assoluta.

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