Il rapporto della mente col cervello secondo Cartesio (Seconda ed Ultima Parte)

 Il rapporto della mente col cervello secondo Cartesio

Seconda ed Ultima Parte

 

Critica della antropologia cartesiana

La biofisica dell’Università di Bologna Rita Casadio alla fine di un suo saggio LA COSCIENZA: MACCHINA “PENSANTE” MICROCOSMO? in Divus Thomas, anno 113, 2, L'uomo e i saperi, maggio-agosto 2010, pp. 74-93, scrive: «Le domande difficili cominciano quando si tenta di caratterizzare la coscienza interna, cioè il «teatro della mente» cartesiano. In altri termini esiste un baratro tutto da colmare tra ciò che le neuroscienze hanno acquisito sul cervello e sul suo funzionamento e l’essenza totalmente soggettiva dello stato di consapevolezza».

La questione della forma sostanziale

Per comprendere il rapporto tra coscienza e cervello non si deve partire dal «teatro della mente cartesiano», ma si deve partire dall’esperienza dell’uomo come corpo vivente (neurologia), evidenziare le manifestazioni proprie della vita umana (psicologia), ossia l’intendere e il volere, ed affermare l’anima spirituale come causa e principio di questi fenomeni e come forma sostanziale del corpo.

A questo punto comprendiamo che mente (anima) e cervello (corpo) non sono uniti come due sostanze (res cogitans e res extensa), ma come in un’unica sostanza, la forma sostanziale, che è l’anima, è immediatamente unita alla materia, senza bisogno di alcun vincolo che li unisca.

Si sa che Cartesio, nel definire l’essenza dell’anima umana, ha ripudiato il concetto di «forma sostanziale», sostituendolo con quella di «res cogitans». Ma è stato un grave errore, per cui, sostituendo la sostanza (res) alla forma della sostanza, ha lasciato fuori dalla sostanza umana la materia, cioè il corpo, per cui, per dargli una sussistenza, ha dovuto elevare anch’esso al livello ontologico di sostanza (res extensa) separatamente dall’anima.

Oltre a ciò la res extensa non è una vera e propria sostanza materiale, ma, nella mente di Cartesio, è un ente fittizio da lui inventato, ossia una sostanza dotata della sola estensione, ma senza qualità sensibili. Si sa infatti che per Cartesio le qualità sensibili non sono oggettive, ma puramente soggettive. Quindi alla fine riduce il corpo reale concreto a un corpo astratto geometrico. Ne consegue che per Cartesio lo studio del corpo umano mediante la biologia e la neurologia è impossibile, ma esso può essere studiato solo col metodo fisico-matematico, come un qualunque altro corpo fisico non vivente dell’universo.

Occorre ricordare altresì che la forma sostanziale pone la sostanza nella sua specie e nel suo genere ed è la forma della sua essenza, a differenza della forma accidentale, che dà alla sostanza un certo contingente esser-tale. L’anima spirituale fa sì che l’uomo sia uomo, animale ragionevole. Che la pelle di un uomo sia bianca o sia scura, è invece una forma accidentale, che non intacca la sostanza dell’uomo.

Diversa dalla forma è la figura, che costituisce la configurazione esterna, sensibile o misurabile della sostanza materiale, sia vivente che non vivente. Occorre distinguere la forma fisica dalla forma ontologica o sostanziale. La prima, percepibile empiricamente è la figura, la sagoma, la configurazione, la morfologia, il contorno di una cosa, di una realtà fisica o di una persona umana.

La forma ontologica si coglie solo con l’intelletto e riguarda la specie, l’essenza, la sostanza o l’essere di una cosa. La forma fisica invece è l’aspetto esterno di un corpo, per esempio l’uomo, animato da una data forma sostanziale. Un corpo ha una forma; è una materia formata; ma l’anima umana o lo spirito è una forma anche senza la materia da essa informata. La materia non può non avere una forma. Invece lo spirito è una forma che può sussistere anche senza materia.

Cartesio affronta la conoscenza del corpo umano col metodo matematico, che è utile, ma insufficiente ed inadeguato a conoscere l’essenza del vivente fisico[1]. La matematica misura la quantità o l’estensione, che è certo un accidente della sostanza materiale, e può essere un aspetto della vita fisica; ma non può cogliere l’essenza della vita e a maggior ragione dello spirito, quindi dell’anima umana, della mente e della coscienza, per cogliere la quale occorre l’intelligenza dell’ente sostanziale, di competenza o della filosofia della natura[2] (ens reale sensibile et mobile) o della metafisica (res spirituale, res cogitans)[3].

Oggetto della matematica invece è l’ens rationis quantum, che è ente mentale astratto, benché con fondamento reale. Non può quindi essere la sostanza reale e concreta, anche se è possibile una fisica sperimentale, che usa il metodo matematico. Ma con questo metodo si può cogliere solo l’aspetto quantitativo e meccanico del vivente, non si coglie l’anima. Si può avere una scienza chimica del corpo umano; ma anche questa non è sufficiente se non è inserita nel quadro della biologia. Per questo occorre la scienza della sostanza vivente, che è la biologia e la filosofia della natura.

Cartesio ha respinto il concetto di forma sostanziale perché ha affrontato la conoscenza del corpo umano solo col metodo matematico. Ora la matematica usa sì il concetto di forma, che però non è la forma sostanziale, propria dell’ente reale, ma è solo la forma ideale ed astratta dell’ens quantum, che è una forma accidentale.

Invece il corpo umano appartiene all’ordine del reale, non dell’ideale o dell’intelligenza matematica. Cartesio confonde il corpo reale con quello matematico, che si fonda solo sulla causa formale immaginabile, mentre il corpo reale si fonda sull’esperienza sensibile e concreta della causa materiale, finale ed efficiente, ignote alla matematica. Se si usa solo il metodo matematico nello studio del corpo umano, si finisce con l’inventare l’uomo-macchina e la coscienza-macchina, che fanno comodo a tutti i tiranni e gli sfruttatori dell’uomo.

L’errore di Cartesio, comunque, non è quello di concepire l’uomo come composto di spirito e corpo. Questo è un dato certo di senso comune ed è verità di fede insegnata dal Concilio Lateranense IV del 1215 (Denz.800)[4]. L’errore di Cartesio è quello di concepire la loro unione in modo sbagliato, oltre a sbagliare nel concepire l’essenza dell’anima e l’essenza del corpo. Non fa meraviglia, allora, se nella visuale cartesiana tra mente e cervello esiste un baratro invalicabile e l’uomo è spaccato in due senza possibilità di essere un’unica sostanza.

Sono ben note peraltro le due concezioni reciprocamente opposte, che vengono proposte da due secoli per evitare il dualismo cartesiano: l’idealismo, che riduce il corpo a prodotto e manifestazione dello spirito, e il materialismo, che riduce la mente a prodotto del cervello. La prima concezione ignora i dati della scienza sperimentale e del senso comune. La seconda offende la dignità umana abbassandola al livello delle bestie. Non occorre essere docenti universitari per riconoscere la stoltezza di queste concezioni e respingerle con fermezza.

Nessuno dunque ci obbliga a partire dalle premesse cartesiane, anzi la cosa è del tutto improponibile, mentre ormai da otto secoli si mostra soddisfacente la soluzione tomista, che ricorderò qui brevemente, confermata dalla dottrina della Chiesa.

Cominciamo con l’osservare che la soluzione cartesiana non corrisponde al vero rapporto della mente col cervello, sia perchè in Cartesio è errato il concetto della mente e sia perchè è errato il concetto del cervello. Sappiamo infatti come Cartesio intende la mente come res cogitans e il corpo come res extensa.

Alcune importanti distinzioni

La mente o l’anima sarebbe per Cartesio una sostanza spirituale completa in atto di pensare sé stessa (autocoscienza). Ora invece occorre distinguere l’anima della mente. L’anima è la forma sostanziale del corpo, verità già dimostrata da S.Tommaso d’Aquino[5] e confermata in forma di dogma dal Concilio di Viennes del 1312 (Denz.902). La mente non esaurisce l’essenza dell’anima, ma è una semplice potenza dell’anima, che non sempre è in atto. Solo la mente divina è pensante in atto ossia per essenza.

La mente (mens) è l’insieme delle potenze spirituali dell’anima: l’intelletto e la volontà radicate nell’anima e profluenti dall’anima. La riflessione dell’intelletto sul pensato come pensato costituisce la coscienza. L’anima è il soggetto di queste potenze o facoltà.

Allorché l’intelletto riflette sul proprio atto (il pensare) e coglie il pensante, il soggetto attua la coscienza di sé o autocoscienza[6]. Abbiamo il sé parlando in terza persona. Abbiamo l’io parlando in prima persona. Egli coglie il suo sé. E’ conscio di sé. Io colgo il mio io. Sono conscio di me.

Occorre distinguere l’inconscio dal conscio. L’inconscio è ciò che è fuori e prima della coscienza attuale. Può essere preconscio o subconscio. Il preconscio è il sapere iniziale, originario, diretto e spontaneo[7]. Il subconscio è il sapere abituale memorizzato, ma non attualmente esplicitato. Dall’inconscio l’intelletto passa al conscio e dal conscio (coscienza) all’autocoscienza[8]. Non si può salire più in alto o più nell’intimo[9]. Dio esiste certo in Sé fuori di noi, ma è anche nella nostra autocoscienza. In interiore homine habitat Veritas, come diceva Sant’Agostino.

Cartesio, riducendo tutto il sapere a coscienza, trascura l’esistenza dell’inconscio. Chi imposta il problema mente-cervello nei termini coscienza-cervello, mostra di essere fuorviato dall’idealismo cartesiano e si trova davanti al «baratro» invalicabile. Infatti l’esercizio della coscienza e soprattutto dell’autocoscienza è quanto di più distante si possa immaginare dalla fisiologia cerebrale.

Per capire come lo spirito entra a contatto col cervello, bisogna concepirlo come anima, ossia come forma sostanziale del cervello mediante la funzione vegetativa. Dall’anima sorge la mente, dalla mente sorge il sapere preconscio, dal sapere preconscio sorge quello conscio e dal sapere conscio sorge l’autocoscienza, che è il vertice dell’attività dello spirito, l’atto più lontano dalla materia ed elevato sulla materia e quindi sul cervello, l’atto meno dipendente dall’attività cerebrale.

Non c’è quindi da meravigliarsi se, considerando l’autocoscienza, abbiamo l’impressione del baratro incolmabile. In realtà il baratro non c’è. Ma per capire che non c’è, dobbiamo considerare le mediazioni spirituali che esistono fra l’autocoscienza e il cervello.

Per arrivare a cogliere l’autocoscienza siamo partiti dal dato empirico, ossia dal cervello, oggetto dalla neurologia e siamo saliti per mezzo della psicologia al vertice dello spirito. É come se fossimo saliti sulla cima di una montagna. Il cervello è a valle. Cartesio invece fa il cammino alla rovescia: parte dall’autocoscienza e tenta di arrivare al cervello. Ma finisce in un dualismo insuperabile. Il sapere umano non parte dall’alto, ma dal basso. È prerogativa del sapere divino partire dall’alto. Dio parte da Sé; noi partiamo dalle cose.

Per comprendere invece il collegamento dell’autocoscienza col cervello, ripercorriamo il cammino percorso: dall’autocoscienza alla coscienza, dalla coscienza al preconscio, dal preconscio all’intelletto, dall’intelletto alla mente, dalla mente all’anima. E alla fine chi incontriamo? Il cervello! Dunque tra spirito e cervello c’è un contatto diretto perchè l’anima è la forma sostanziale del cervello.

Allora bisogna dire che l’anima o la mente non sono affatto costituiti dall’atto dell’autocoscienza, perché questo atto dipende delle decisioni intermittenti del soggetto allo stato di veglia, e il soggetto non è evidentemente sempre in questo stato, anche se è vero che ogni atto spirituale è accompagnato da una coscienza almeno implicita[10].

Esiste peraltro un’attività spirituale preconscia e spontanea, che precede quella conscia. Esiste un’autocoscienza nel sogno ma non nel sonno. Eppure il soggetto (l’anima) continua a sussistere, anche se non esercita le sue potenze. Questo vuol dire che l’anima è realmente distinta dalle sue potenze, mentre queste sono proprietà essenziali dell’anima. Ma gli atti delle potenze sono contingenti ed accidentali, perché decisi dal libero arbitrio, per cui ora ci sono ed ora non ci sono, mentre perdurano l’anima con la mente e le potenze della mente.

Quanto al corpo e quindi al cervello, che è la parte più nobile del corpo, perché alle dirette dipendenze dell’intelletto e della volontà, ossia della mente, esso non è affatto una sostanza o res per conto proprio, ma è un organo fisico formato dall’anima, che sussiste solo nel corpo vivente e grazie all’anima. E non si tratta di mera materia quantitativa o estesa, come se fosse un corpo geometrico o meccanico, ma di materia vivente, nella quale l’estensione non sussiste da sé ma è accidente della sostanza corporea, insieme con le altre qualità sensibili e forze fisiche motrici corporali, animate e mosse a loro volta dall’anima per mezzo del cervello, a formare con l’anima quell’unica sostanza ilemorfica che è la persona umana.

Manca in Cartesio il concetto della vita fisica. Egli concepisce solo la vita dello spirito come autocoscienza. Ma non sa che cosa è e che cosa comporta il vivente fisico, uomo o vivente inferiore. Non sa cosa vuol dire dar vita a un corpo, il che è come dire che non sa che cosa è l’anima, che è appunto il principio vitale del corpo.

L’unica azione immanente, propria della vita, che egli sa concepire, è quella che scaturisce dall’autocoscienza. Ma l’azione vitale immanente propria della vita fisica, come quella del corpo umano, biologica, neurologica e vegetativa, gli sfugge, per cui per lui il corpo umano con le sue attività non è mosso dall’azione vitale immanente al corpo stesso e da lui proveniente, grazie all’animazione dell’anima.

Cioè il corpo non si muove grazie alla sua vita fisica, ma è mosso dal di fuori meccanicamente dal soggetto spirituale come un’automobile è attivata o guidata dal guidatore. L’azione immanente, propria del soggetto fisico su sé stesso, è sostituta da quella transitiva proveniente dal soggetto spirituale, che agisce sul suo corpo e la applica ad esso come fosse un oggetto esterno.

Per questo, il «baratro tutto da colmare tra ciò che le neuroscienze hanno acquisito sul cervello e sul suo funzionamento e l’essenza totalmente soggettiva dello stato di consapevolezza» esiste solo nell’antropologia cartesiana, la quale, supponendo due sostanze complete così eterogenee, quali sono lo spirito e il corpo, non è riuscita a spiegare come possano formare l’unica sostanza umana.

È soltanto sul piano biologico che da due sostanze può formarsene una sola, così come dai due gameti si forma lo zigote. Ma i caratteri del corpo e quelli dello spirito sono addirittura opposti e quindi non è pensabile qualcosa come una mescolanza o un miscuglio.

Essi sono incomunicabili sul piano dell’essenza. In ciò Cartesio ha visto giusto contro il confusionismo monistico materialista ed idealista. Ma non ha capito che comunicano sul piano dell’essere, tanto che nell’uomo materia e spirito hanno un solo essere, perché assieme formano appunto quell’unico essere, che è l’essere della persona umana concreta.

Inconvenienti della concezione cartesiana

 Cartesio non si accorse che, benché lo spirito sia tanto diverso dal corpo, tra l’anima e il corpo c’è un contatto immediato e multiforme non solo sul piano spirituale, ma anche sensitivo, vegetativo e motore, come tra la forma e la materia della sostanza materiale[11]. In tal modo il corpo è animato e l’anima è incarnata o materiata. Infatti, pur essendo spirituale, essa informa ed attiva le funzioni sensitive, vegetative e neurobiologiche, a cominciare dal cervello.

Così Cartesio concepì il corpo come una macchina esterna all’anima, funzionante per conto proprio, e l’anima non come forma ontologica e principio vitale del corpo, ma come motore del corpo, esterno al corpo già costituito in se stesso indipendentemente dall’anima, a somiglianza di un nocchiero che guida una nave, come già aveva pensato Platone.

Non riuscì quindi a concepire il corpo come sostanza vivente e l’anima come principio della vita del corpo, presenza animatrice a vari livelli vitali nei vari organi, in tutto il corpo. Egli comprese che l’anima come spirito trascende il corpo, e lo domina con la volontà, ma trascurò il fatto che invece le funzioni sensitive, vegetative e nervose dell’anima sono immerse nel corpo e in vari organi, per cui il corpo, con le funzioni sensitive, vegetative, nervose cerebrali, fisiche e chimiche possiede leggi proprie e una vitalità propria e relativamente autonoma rispetto ai poteri della mente e dello spirito.

Da qui l’influsso reciproco fra mente e cervello, che Cartesio non riesce a spiegare perché non dà al corpo nessuna iniziava vitale, concependolo come una semplice macchina semovente per leggi fisiche, diremmo oggi, come se fosse un’automobile o un computer.

In tal modo la sua antropologia ha finito con l’ammettere la possibilità di formulare l’ipotesi assurda della macchina pensante, dimenticando che il pensiero sorge da un soggetto vivente, mentre la macchina è un assemblaggio di ingranaggi privi di vita, governata da leggi fisico-chimiche. Inoltre il pensiero è un atto spirituale, che è prodotto dallo spirito e non dalla materia, mentre una macchina è ovviamente un complesso di elementi materiali assolutamente incapace di produrre non solo il pensiero, ma neppure la più bassa forma di vita. Una macchina non ha anima.

Cartesio resta bloccato in questo impasse perché il suo metodo per fondare l’antropologia è sbagliato. Non si deve partire dall’autocoscienza, ma dall’esperienza applicando il principio di causalità non limitatamente ai fenomeni, ma in modo radicale, ossia ontologico. Se no, ci si ferma a Hume e non si arriva a scoprire la spiritualità dell’anima e si concepisce l’uomo alla stregua di un animale come fa Darwin.

Bisogna quindi cominciare col constatare che l’uomo è un corpo vivente, cioè animato. E bisogna chiedersi che tipo di anima è la sua, capace di porre non solo atti biologici, chimici, fisici, vegetativi, cerebrali e neurologici, ma anche atti immateriali, come sono l’intendere, il volere, lo scegliere, il pensare, la memoria, la coscienza di sé, il giudicare, il valutare, il ragionare, il poetare, la comunicazione del pensiero, il progresso della conoscenza, le operazioni della tecnica, gli atti morali e religiosi.

In base al principio di causalità, che dice che la causa dev’essere all’altezza di produrre l’effetto, si deve concludere con certezza che un’anima che compie atti spirituali, dev’essere necessariamente spirituale. E se è spirituale, è immortale, ossia continua a sussistere dopo la morte del corpo.

 

La pluralità delle forme

San Bonaventura vedeva nella teoria tomista dell’anima come forma sostanziale della materia prima il rischio del materialismo, per cui sentiva il bisogno di ammettere una forma corporis distinta dall’anima spirituale come forma sostanziale, per non mettere questa forma a diretto contatto con la materia.

Senonchè però l’uomo veniva ad essere composto da due forme sostanziali: l’anima che doveva presiedere alla forma del corpo. Tommaso fece notare che ciò rendeva impossibile l’unità sostanziale della persona umana, perché è evidente che ad ogni forma sostanziale deve corrispondere una sostanza. Quindi l’uomo, risultante da due forme, si divideva in due sostanze. Era un precorrimento del cartesianismo.

Tommaso fece notare che la sua teoria, che fu poi approvata dal Concilio di Viennes, non materializzava per nulla lo spirito, perché l’anima spirituale mantiene il suo essere spirituale e la sua perfetta trascendenza ed indipendenza nei confronti degli atti del corpo, ma nel contempo l’essere materiale del corpo, benché distinto dall’essere spirituale dell’anima, costituisce con l’essere dell’anima l’unico essere della persona composta di anima e corpo.

Tommaso faceva altresì notare che l’unico essere sostanziale della persona dipende dalla forma sostanziale (forma substantiale dat esse substantiale sustantiae formatae ab illa forma), che è l’anima. Pertanto, dato che l’essere materiale del corpo fa un solo essere con l’essere dell’anima che dà alla persona il suo essere sostanziale materiale-spirituale, non fa alcuna difficoltà che la forma sostanziale che dà alla materia corporale il suo essere materiale, informi direttamente la materia prima della sostanza umana, ossia della persona. La forma umana è atto della materia umana. È grazie all’anima che il cervello ha la sua forma.

Mentre l’anima spirituale pervade tutto il corpo in ogni sua parte mantenendolo in vita, le funzioni o potenze vegetative e sensitive dell’anima si soggettano in speciali organi o parti del corpo: le potenze sensitive si attuano negli organi del senso esterno ed interno; le potenze vegetative negli apparati organici addetti alla vita vegetativa, tra i quali organo direttivo è il cervello.

Tutto l’esercizio fisiologico delle potenze vegetative e sensitive è presieduto, regolato e guidato dal sistema nervoso sotto la direzione del cervello, al quale arrivano le sensazioni, le sollecitazioni e gli stimoli neurali e dal quale, in base alle tracce neurali (memoria), sotto l’impulso dell’intelletto e della volontà, partono i comandi e gli impulsi neurologici all’azione sensitiva, vegetativa e fisica per la vita personale e di relazione.

Difficoltà dell’antropologia cartesiana

L’antropologia cartesiana patisce inoltre gravissime difficoltà per quanto riguarda il fenomeno della generazione e della corruzione dell’individuo, della crescita e dell’invecchiamento fino alla morte. La generazione e la corruzione del corpo richiedono evidentemente che il corpo sia animato da una forma – l’anima –, la cui energia aumenta con la generazione e la crescita e diminuisce e si indebolisce con l’invecchiamento. Nella fase iniziale e in quella terminale della vita il cervello non è in grado di fornire una base organica sufficiente per l’esercizio delle potenze superiori.

L’individuo umano inizia il corso della propria esistenza con la creazione ed infusione dell’anima da parte di Dio nello zigote al momento del suo formarsi. Se si concepisce invece, come Cartesio, il corpo come sostanza distinta dall’anima, bisognerà ammettere due atti creativi, uno per il corpo e l’altro per l’anima, contro il dogma della creazione dell’uomo, evidentemente con un unico atto creativo, dato che la persona umana è una sola sostanza.

 L’uomo poi giunge alla fine della sua esistenza allorché l’anima non è più in grado di dar vita a un corpo le cui condizioni non sono più tali per il loro stato degenerativo, da costituire soggetto dell’anima. Quando l’anima non ha più la forza di animare un corpo che, per la sua corruzione, non le concede più le condizioni per essere animato dall’anima, questa si separa dal corpo ed è il momento della morte. Il corpo, persa la sua forma umana, si dissolve e gli elementi chimici che durante la vita del soggetto erano stati coordinati ed organizzati dall’anima, riprendono la loro autonomia secondo le leggi della chimica.

Nell’antropologia di Cartesio, invece, l’anima è per sua natura separata dal corpo, per cui non si vede che cosa di nuovo dovrebbe comportare la morte. Il corpo, anche durante la vita dell’individuo, vive già da sé separatamente dall’anima spirituale, come fosse uno zombie, mentre l’uomo-spirito vive separatamente dal suo corpo come il famoso nocchiero di platonica memoria. L’individuo ha così modo di muoversi su due registri e di giocare due parti a seconda di come gli conviene: fa lo spiritualista per riscuotere successo tra i credenti; fa il materialista per aver successo nel mondo. Si trasferisce dallo spirito al corpo e viceversa, come se dovesse possedere un doppio domicilio. Gioca due parti a seconda di come egli conviene.

L’esperienza dell’autocoscienza è certamente esperienza della spiritualità e quindi dell’immortalità dell’anima. Bisogna dar atto a Cartesio che egli è cosciente e certo di ciò. E ciò gli fa onore. Tuttavia egli non si rende conto del gravissimo problema dell’immortalità dell’anima, perché non ha la percezione dell’unità della persona umana, per cui non si pone la domanda se al corrompersi del corpo anche l’anima muore.

Sottovaluta la dipendenza della mente dal cervello. Il materialista indubbiamente non percepisce il primato dello spirito sul corpo, però sa che l’uomo è una sostanza materiale composta di materia e forma, per cui giustamente si pone il problema se, come in tutte le sostanze materiali, anche per l’uomo, al momento della morte la sostanza umana si dissolva totalmente senza che di essa non rimanga neppure la forma. Se una cera si scioglie, se ne annulla anche la forma. Perché l’uomo, che è una sostanza materiale come le altre, dovrebbe avere una sorte diversa?

Cartesio se la cava con troppa disinvoltura con la sua teoria dualistica, come se l’io dicesse: io per mio conto sono immortale e ne ho esperienza. Il mio corpo è altro da me; non è parte del mio io. Segua pure il suo destino, chè tanto io continuo comunque a vivere in eterno. La risposta di Cartesio è troppo semplicistica. Cartesio si dimentica che l’uomo non è un puro spirito, ma è anima e corpo. La vita umana non è solo vita dello spirito, ma vita e dello spirito e del corpo. Senza il corpo la natura umana è incompleta.

Invece qui il materialista si mostra più realista. Egli certamente risolve male il problema. Ma il suo problema è serio e va preso in considerazione. Non può essere evaso con la dottrina dualistica di Cartesio, che è falsa. La risposta viene dalla considerazione del fatto che l’uomo, prima di compiere l’atto dell’autocoscienza, compie gli atti spontanei dello spirito, intelletto e volontà, che si manifestano empiricamente nell’esercizio della sensibilità, nella condotta esterna, nel linguaggio e nelle funzioni cerebrali. Il difetto del materialista è che non riesce a vedere in questi atti esterni l’impronta dello spirito.

Sia dunque che si tratti della generazione sia che si tratti della corruzione dell’uomo, secondo la verità delle cose si dà nell’uomo corrispondenza o coincidenza fra l’atto dell’anima e le condizioni del corpo: l’anima entra quando il corpo è pronto ed esce quando il corpo non è più disponibile. Queste coincidenze si spiegano se l’anima è forma del corpo e se la mente è forma sostanziale del cervello. Ma se anima e corpo se ne stanno ciascuno per conto proprio come in Cartesio, queste coincidenze non si spiegano più.

 E fare intervenire la provvidenza divina è un artificio forzato come il deus ex machina della religione pagana. Dio non crea delle creature sconnesse per poi intervenire a rimediare. Certo l’umanità è ferita dl peccato originale e Dio interviene a guarirla. Ma supporre come fa Cartesio una natura umana sgangherata all’atto della creazione è offendere il Creatore.

E Cartesio non spiega neanche più il fatto che agli albori della vita e al suo termine lo spirito sia impedito od ostacolato nel suo esercizio da parte del cervello. Se lo spirito, come vuole Cartesio, è separato dal cervello, esso dovrebbe essere in funzione anche negli embrioni e negli agonizzanti. Se il corpo è come un’auto a disposizione del guidatore, che l’auto funzioni o non funzioni, il guidatore è sempre capace di guidarla. E invece come mai se il cervello non è adatto o disponibile la vita spirituale è impossibile? Eppure, se non c’è il guidatore la macchina non va.

L’autocoscienza cartesiana

 L’esperienza dell’autocoscienza è senz’altro utile come esperienza della propria vita spirituale. Ma il cogito cartesiano ha pretese molto più ampie e del tutto esorbitanti rispetto a quelle che possono essere avanzate da una normale autocoscienza. Esso infatti pretende di essere il principio primo e assoluto del sapere e della certezza, fondamento della conoscenza della verità della realtà esterna, quasi fosse l’Autocoscienza divina.

Cartesio trascura il fatto che il contenuto dell’autocoscienza sono dati che provengono dall’esperienza precedentemente attuata. Se l’autocoscienza non parte da questi dati, è vuota e invano vorrebbe raggiungere su questa base ciò che si suppone essa abbia già in possesso avendolo colto in precedenza col contatto diretto col reale.

Partendo dalla semplice esperienza del proprio io pensante alla maniera cartesiana, non si può affatto costruire un’antropologia realista, ma si finisce come è finito Cartesio col compito insensato di dedurre l’esistenza del corpo dallo spirito, anzichè di scoprire l’esistenza dello spirito partendo dalla conoscenza sperimentale della realtà esterna, cioè del corpo proprio o altrui.

Per forza alla fine si spalanca un baratro tra lo spirito e il corpo, tra la mente e il cervello, e non si sa come colmarlo, perché se tutto il mio io è il mio spirito, il mio corpo non sarò più io, ma sarà un aggeggio meccanico o matematico (res extensa), che ho davanti e a disposizione – un’auto, una nave, un computer, un robot o qualunque altra macchina -, dove io e lei facciamo due e non si vede perché mai dovremmo essere una sola sostanza. Oppure potrei scegliere, come mio io, non il mio spirito, ma il mio corpo ed ecco allora l’uomo-macchina di Helvetius, Lamettrie e d’Holbach.

Le neuroscienze hanno approfondito il fatto che il funzionamento del cervello comporta un’attività neurologica autonoma regolata da leggi biologiche, che si divide fra centri di recezione o di raccolta dati o registrazione e centri di reazione, di comando, di organizzazione, di comunicazione e di trasmissione, connessi fra di loro da centri o funtori di collegamento e di sintesi, le sinapsi.

L’attività cerebrale è a disposizione e promuove tutte le potenze dell’anima: la mente e le potenze sensitive e vegetative. La volontà muove la base cerebrale direzionale dell’attività spirituale conscia e inconscia e sensitiva, mentre le funzioni vegetative sono mosse dal cervello senza l’intervento della volontà. Mens sana in corpore sano.

Le conseguenze del dualismo cartesiano nel campo dell’etica sono disastrose. Cartesio, avendo viva la percezione della dignità dello spirito, ha viva altresì la coscienza della sua libertà. E ciò distingue certamente l’etica cartesiana da ogni forma di etica materialista o determinista, sebbene abbiamo visto il possibile risvolto dell’uomo-macchina, fondato sulla ipostatizzazione della res extensa.

 Ma, a parte ciò, questo non basta per fondare l’etica. Non basta il semplice esercizio della libertà, se questo non è disciplinato dall’obbedienza alla legge morale naturale fissata da Dio per l’anima e per il corpo. Invece nell’etica cartesiana abbiamo uno spirito puro che ha a disposizione l’uso del suo corpo, come io posso avere a disposizione un aggeggio della tecnica, che io posso manipolare o mutare a mio piacimento. Questo principio spiega l’attuale diffondersi di pratiche immorali nell’uso del corpo, in particolare della sessualità.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 23 agosto 2020



[1] Sulla concezione cartesiana della scienza, cf J.Maritain, Le songe de Descartes, Buchet&Chastel,Paris 1932.

[2] Cf J.Maritain, La filosofia della natura, Morcelliana, Brescia 1974.

[3] Sulla distinzione fra scienze naturali, fisico-matematiche, filosofia della natura, matematica e metafisica, vedi: J.Maritain, Distinguer pour unir. Les degrès di savoir, Desclée de Brouwer, Bruges 1959.

[4] È una grande falsità quella di certi esegeti biblici, i quali sostengono che la Bibbia salverebbe l’unità della persona umana negando la distinzione fra anima e corpo.

[5] Sum.Theol., I, q.76, a,1

[6] IL CONCETTO DI COSCIENZA IN San TOMMASO, in AA.VV., La coscienza morale e l’evangelizzazione oggi, Atti del convegno organizzato dallo STAB, ESD, Bologna 1992; AUTOCOSCIENZA E COSCIENZA MORALE IN S. TOMMASO D’AQUINO, in Coscienza. Storia e percorsi di un concetto, a cura di L.Gabbi e V.U.Petruio, Ed.Donzelli, Roma, 2000, pp.45-72.

[7] Errato è il concetto rahneriano del preconscio (Vorgriff), che deriva dalla Vorverständnis di Heidegger (Kant et le problème de la métaphyisique, Gallimard, Paris 1953), inteso come esperienza apriorica implicita e preconcettuale dell’essere autocosciente, perché confonde l’autocoscienza umana con quella divina (il mio libro Karl Rahner. Il Concilio tradito, Edizioni Fede&Cultura, Verona 2009, cap.I). Il Maritain afferma un preconscio non-concettuale come se l’intelletto potesse cogliere il reale esterno senza concepirlo almeno implicitamente. Ma ciò è possibile solo a Dio creatore del reale. Cf il mio studio IL PROBLEMA DEL “PRECONSCIO” IN MARITAIN, Divus Thomas, 7, 1994, pp.71-107.

[8] La distinzione di Padre Giuseppe Barzaghi «fra l’autoriflessione o. autodescrizione del sé (ordine psicologico o psichico) dalla autocoscienza intesa come pura trasparenza dell’essere (ordine spirituale e metafisico dell’anima)» (Assisi, Seminario sulla Bellezza, 26-29 Agosto 2005), vorrebbe attribuire all’uomo due piani di autocoscienza: uno, l’«autodescrizione del sé», che certamente è proprio dell’uomo, ed un secondo, «la pura trasparenza dell’essere», che evidentemente è la caratteristica dell’autocoscienza divina, confondendo l’autocoscienza umana con quella divina, giacché solo Dio è l’ipsum Esse.

[9] Il Maritain parla anche di un «sovraconscio». Egli suppone che l’intelletto dopo esser tornato su stesso, ritorni a intuire la verità. Questo concetto si può applicare nel caso della visione beatifica, preparata dalla contemplazione mistica.

[10] F.-X.Putallaz, Le sens de la réfléxion chez Thomas d’Aquin, Vrin, Paris 1991.

[11] San Tommaso porta l’esempio della sfera di bronzo e della forma sferica.

 

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