Commento alla Lettera del Santo Padre a Mons. Fernandez

 

Commento alla Lettera del Santo Padre a Mons. Fernandez

Per capire che cosa il Papa si aspetta

 dal Dicastero per la Dottrina della Fede

Come sappiamo, il Santo Padre ha di recente inviato a Mons. Victor Manuel Fernandez, nuovo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, una Lettera in spagnolo[1], della quale diamo qui una traduzione[2], per dagli l’orientamento da seguire nel delicato ufficio che il Prelato si accinge ad assumere.

Il testo è di grande importanza perché rivela la mente del Sommo Pontefice riguardante il servizio che dovrà svolgere il nuovo Prefetto in un campo, quale quello della custodia, della difesa e della diffusione della Dottrina della Fede, un campo d’azione dove egli dovrà svolgere un’opera di stretta collaborazione con la missione dottrinale del Papa, così che possiamo senz’altro dire che la sua autorità come rappresentante del Papa supererà quella di qualunque altra autorità dottrinale nella Chiesa, seconda solo all’autorità del Papa.

Certo, non si tratta di un istituto di diritto divino, ma opportunamente sorto solo sin dall’alto Medioevo come aiuto del Papa in un compito così gravoso come la custodia della dottrina della Fede, così da partecipare nelle dovute circostanze allo stesso dono di infallibilità dottrinale concesso a Pietro per confermare i fratelli nella fede.

Come sappiamo, il Dicastero per la Dottrina della Fede si distingue da tutti gli altri perché è l’unico che riguarda l’infallibilità dottrinale del Papa. Tutti gli altri Dicasteri possono dare direttive sbagliate o rivedibili. Questo è l’unico, che, quando partecipa dell’autorità petrina di confermare i fratelli della fede, è a sua volta infallibile e non si smentisce mai.

L’unico caso, famosissimo, di errore del Sant’Offizio fu la sentenza di condanna contro Galilei, che fu giudicato eretico, mentre in realtà l’eresia non c’entra niente, giacchè che la terra giri o non giri attorno al sole non è materia di fede, che tocchi il deposito della divina Rivelazione.

Il Sant’Offizio era preso dalla preoccupazione in sé giusta ma forse eccessiva e male illuminata di escludere interpretazioni della Scrittura che supponessero la negazione della sua inerranza, cosa evidentemente eretica, secondo quanto allora cominciava a farsi strada, ossia una critica biblica demolitrice, i cui più famosi esponenti sarebbero stati Spinoza e Reimarus.

In tal senso il Sant’Offizio parlò di eresia per Galileo, perché tutti allora avevano l’impressione che Galileo volesse smentire il racconto biblico. Si trattava, in realtà, non di una questione dogmatica, ma esegetica e lo stesso Galileo cattolico non intendeva assolutamente sostenere che la Scrittura potesse contenere una qualche falsa rivelazione divina, ma faceva solo questione di esperienza scientifica, che evidentemente non c’entra con l’accoglienza dei dogmi della fede.

Il dramma fu che allora l’esegesi biblica non aveva ancora acquisito il metodo storico-critico, benché non ci volesse molto a capire che il cosiddetto «miracolo del sole», preso alla lettera, era un miracolo assurdo, un modo di dire, per cui gli esegeti del tempo avrebbero dovuto quanto meno sospendere il giudizio sull’attendibilità storica di un racconto così incredibile. Per questo, se si avesse avuto una certa larghezza di mente, si poteva dar ragione tranquillamente a Galileo senza temere pregiudizio per l’inerranza biblica, giacchè, come disse argutamente un Domenicano del tempo, essa non ci insegna come è fatto il cielo, ma come si va in cielo.

Ad ogni modo questa volta il decreto non portò la firma del Papa[3], il quale volle tenersene fuori, per cui il Dicastero agì per conto proprio, sia pur ovviamente col permesso del Papa. E quindi il Papa rimase salvo da questo incresciosissimo incidente.

Il Papa nel suo ufficio di maestro della fede non è aiutato soltanto dal Dicastero per la Dottrina della Fede, ma anche dal Teologo della Casa Pontificia, che attualmente è il Padre Domenicano Wojciek Giertych, secondo una antica tradizione risalente allo stesso San Domenico. Questa carica è pertanto assegnata tradizionalmente un teologo domenicano. Essa però non rappresenta ufficialmente l’insegnamento della Chiesa, ma il teologo della Casa pontificia è il consigliere o consultore teologico personale del Papa. Il quale, naturalmente è libero di valersi anche di altri consiglieri di sua scelta, per esempio tra i Cardinali.

Inoltre il Papa si vale anche dell’aiuto della Commissione Teologica Internazionale, fondata da San Paolo VI nel 1969, la quale sotto la presidenza del Prefetto del DDF, ha il compito di «studiare i problemi dottrinali di grande importanza, specialmente quelli che presentano aspetti nuovi, e in questo modo offrire il suo aiuto al magistero della Chiesa, particolarmente alla sacra Congregazione per la dottrina della fede, presso la quale viene costituita»[4].

Dal 1902 funziona inoltre, sempre in aiuto alla missione dottrinale del Papa come definitivo interprete della Parola di Dio, la Pontificia Commissione Biblica, organismo della Curia Romana fondato da San Pio X il 30 ottobre 1902 «con funzione consultoria in materia biblica, all'interno della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Santo Uffizio), il cui cardinale prefetto è anche il presidente della commissione. Ha sede presso la Città del Vaticano, nel palazzo del Sant'Uffizio»[5].

La sorpresa e il disappunto, per non dire lo scandalo, che la nomina di Mons. Fernandez ha suscitato negli ambienti passatisti si spiega con la loro tendenza a fermarsi sui lati negativi veri o presunti degli altri, a volte anche a ragione, se la loro è un’impostazione modernista, ma a volte essi, facendo uso di criteri di giudizio superati, scambiano per modernismo il vero progresso promosso dal Concilio Vaticano II. E allora non ci siamo più.

«Si iniquitates observaveris, Domine, Domine, quis sustinebit?» (Sal 130, 3). Il Santo Padre non era obbligato a scegliersi un nuovo San Tommaso d’Aquino. Fortunato Urbano IV, che poté valersi dell’aiuto di San Tommaso! Ma non tutti i Papi hanno questa grazia. Devono accontentarsi con gli uomini che Dio mette a loro disposizione.

È vero che Mons. Fernandez è un soggetto discusso, ma dobbiamo aver fiducia che con l’aiuto del Papa e dello Spirito Santo farà bene. Egli infatti aiuterà sì il Papa, ma evidentemente sempre sotto la guida del Papa. In altre parole, aiuterà il Papa a chiarire una questione mediante opportune informazioni, ma poi è chiaro che sarà il Papa ad approvare o meno il parere del Prefetto o a formare egli stesso il giudizio definitivo, incaricando  il Prefetto, sia pur a nome del Dicastero e con l’autorità del Dicastero, ma partecipando dell’autorità del Papa, di dichiarare se una data proposizione è o non è eretica o erronea o prossima all’eresia o sconveniente o ideologica[6] malsonante o quello che è. Roma locuta, causa finita.

Lettera di Papa Francesco a Mons. Fernandez

 

Come nuovo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, Le affido un compito che considero molto prezioso. Il suo scopo centrale è quello di custodire l'insegnamento che scaturisce dalla fede per "dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che additano e condannano".

Mio commento.

«Custodire l'insegnamento che scaturisce dalla fede»: quindi ricordare non solo le verità di fede, ma anche «l'insegnamento che scaturisce dalla fede», ossia conseguenze dottrinali e morali che si deducono o si ricavano dalle verità di fede, chiarificazioni, applicazioni, attualizzazioni, esplicitazioni, sviluppi delle verità di fede.

Il Papa dà come «scopo centrale» del DDF quello di «custodire l'insegnamento che scaturisce dalla fede per dare ragione della nostra speranza». Interessante questa finalità apologetica, che risulta nuova nella prassi passata di questo Dicastero. Siamo sempre davanti ad un’istanza evangelizzatrice. Il Pontefice dimostra con queste parole l’alta stima che la Chiesa ha sempre avuto per la ragione umana come preambolo alla fede, sì da affidare la custodia della sua dignità allo stesso DDF, ponendosi sul solco del grande insegnamento su questo tema, che ci ha lasciato S.Giovanni Paolo II con la sua enciclica Fides et Ratio del 1988, erede a sua volta del grande insegnamento sul rapporto fra ragione e fede del concilio Vaticano I. La ragione umana è indebolita dal peccato originale, ma non tanto – come credeva Lutero - da non saper più vedere la verità su Dio, sì da poter vederla solo se illuminata dalla fede. Al contrario, come si espresse il Beato Pio IX per mezzo della Sacra Congregazione dell’Indice de 1855, «l’uso della ragione precede la fede e ad essa conduce l’uomo per opera della Rivelazione e della grazia» (Denz.2813).

D’altra parte il Papa ci fa capire che la condanna degli errori non dovrà essere condanna delle persone, se non nei termini previsti dal diritto canonico per i delitti contro la dottrina della fede, al di là di ogni animosità o inimicizia, che non si addice assolutamente ad un Tribunale, che dev’essere assolutamente imparziale come si addice a quello della Dottrina della Fede e che, ispirandosi a Cristo giudice non può che essere animato da carità e misericordia.

 

Il Dicastero che lei presiederà in altri tempi è arrivato a usare metodi immorali. Erano tempi in cui, anziché promuovere la conoscenza teologica, si perseguivano possibili errori dottrinali. Quello che mi aspetto da lei è certamente qualcosa di molto diverso.

Il Papa si riferisce ai ben noti eccessi di severità che prevedevano la pena di morte per il crimine di eresia. Il riferimento alla condanna degli errori non va inteso evidentemente nel senso che l’errore non dovrà essere perseguito e corretto, quando invece è noto che un compito essenziale di questo Dicastero è la difesa dei fedeli dall’errore e la correzione degli erranti, così come compito del medico è curare e guarire i malati.

Il Papa, seppur in forma un po’ troppo antitetica, intende sottolineare il compito soprattutto propositivo ed educativo del Dicastero, nella linea conciliare della prevalenza della misericordia sulla severità. In passato c’è stata un’eccessiva tendenza alla colpevolizzazione del deviante. La psicologia moderna insegna quanto spesso quella che può apparire una colpa da redarguire o castigare è una fragilità da compatire e da tollerare.

 

Lei è stato decano della Facoltà di Teologia di Buenos Aires, presidente della Società Argentina di Teologia ed è presidente della Commissione Fede e Cultura dell'Episcopato argentino, in tutti i casi votato dai suoi pari, che hanno così apprezzato il suo carisma teologico. Come rettore della Pontificia Università Cattolica Argentina ha favorito una sana integrazione dei saperi. D'altra parte, Lei è stato parroco di "Santa Teresita" e finora arcivescovo di La Plata, dove ha saputo far dialogare il sapere teologico con la vita del popolo santo di Dio.

Il Papa richiama due valori importanti: «una sana integrazione dei saperi» e «far dialogare il sapere teologico con la vita del popolo santo di Dio». Essenziale all’ordine interiore dello spirito e alla pacifica convivenza civile ed ecclesiale è la promozione di un coordinamento organico delle scienze nella luce della fede e convergente verso gli orizzonti della fede che trovano la loro espressione concettuale nella dottrina della fede.

Il Papa ricorda inoltre il dovere del Dicastero di essere a servizio dei fedeli, così che mentre essi sono educati all’acquisto della sapienza, il Dicastero si mette al contempo «in ascolto di quello che lo Spirito dice alle Chiese» (Ap 2,11) e nasce così una circolarità nella quale gli uni hanno da imparare dagli altri, salvo restando il dovere del Dicastero di guidare a nome del Papa sul sentiero della verità, dissipando le tenebre dell’errore.

 

Dato che per le questioni disciplinari - legate in particolare agli abusi sui minori - è stata recentemente creata una Sezione specifica con professionisti molto competenti, Le chiedo, in qualità di Prefetto, di dedicare il Suo impegno personale in modo più diretto allo scopo principale del Dicastero che è quello di "custodire la fede".

Più che opportuna è l’idea del Papa di liberare il Dicastero da incombenze provvisorie ed urgenti, estranee alla sua natura e ai suoi fini, affidandole alla sede opportuna e consentendo che il Dicastero abbia tutto il tempo per dedicarsi allo svolgimento dei suoi insostituibili compiti istituzionali, ai quali oggi si offre un’imponente massa di lavoro, considerando sia la gran quantità di fermenti nuovi da vagliare, assumere o respingere a seconda della loro qualità, sia la pericolosità delle forze oscurantiste, ingannatrici o disgregatrici, che stanno agendo all’interno della Chiesa o dal di fuori di essa.

 

Per non limitare il significato di questo compito, va aggiunto che si tratta di "accrescere l'intelligenza e la trasmissione della fede al servizio dell'evangelizzazione, affinché la sua luce sia un criterio per comprendere il senso dell'esistenza, soprattutto di fronte agli interrogativi sollevati dal progresso della scienza e dallo sviluppo della società". Questi interrogativi, ripresi in un rinnovato annuncio del messaggio evangelico, "diventano strumenti di evangelizzazione", perché permettono di entrare in dialogo con "il contesto attuale in un contesto che non ha precedenti nella storia dell'umanità".

È interessante l’orientamento dato dal Papa al compito del DDF: la promozione dell’evangelizzazione «affinché la sua luce sia un criterio per comprendere il senso dell'esistenza», un evidente richiamo all’importanza della filosofia e della metafisica e l’impegno a dare una risposta «agli interrogativi sollevati dal progresso della scienza e dallo sviluppo della società».

Dunque il DDF non può limitarsi ad intervenire nelle questioni dottrinali che sorgono all’interno della Chiesa, ma deve anche esprimere un giudizio, n un sapiente dialogo, sulle sfide che vengono dal pensiero laico e dalle ideologie e religioni del mondo moderno «in un contesto che non ha precedenti nella storia dell'umanità».

 

Inoltre, sapete che la Chiesa "ha bisogno di crescere nell'interpretazione della Parola rivelata e nella comprensione della verità" senza che questo implichi l'imposizione di un unico modo di esprimerla. Perché "le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, se si lasciano armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell'amore, possono anche far crescere la Chiesa". Questa crescita armoniosa preserverà la dottrina cristiana più efficacemente di qualsiasi meccanismo di controllo.

Il Papa ricorda l’importanza della pluralità delle culture in un mondo come quello di oggi nel quale non mai come oggi vengono alla ribalta dello scenario mondiale le più diverse culture da tutte le parti del mondo[7]. Il che ovviamente, per essere ben compreso e non dar l’impressione di un progetto dispersivo e scoordinato, va collegato con la raccomandazione che più volte ha fatto il Santo Padre negli ultimi mesi del pensiero di San Tommaso, Doctor Communis Ecclesiae, come eccellente fattore di comunione ecclesiale nel campo intellettuale e di unità attorno al Vicario di Cristo in campo dottrinale.

Col mettere in secondo piano  i «meccanismi di controllo» il Papa non intende certamente sottovalutare la premurosa ed oculata vigilanza sulla produzione teologica e sulle idee un circolazione, che è compito essenziale del DDF, ben conscio che nella Chiesa si nascondono «lupi travestiti da agnelli», «sepolcri imbiancati» e pastori «mercenari», ma giustamente forma l’auspicio che il DDF dia opera a che le diverse linee di pensiero filosofico, teologico e pastorale, si lascino armonizzare dallo Spirito nel rispetto e nell'amore, tanto da poter far crescere la Chiesa.

 

È bene che il vostro compito esprima che la Chiesa "incoraggia il carisma dei teologi e il loro sforzo di ricerca teologica", purché "non si accontentino di una teologia da tavolino", di "una logica fredda e dura che cerca di dominare tutto".

È chiaro a chi si riferisce il Papa col rifiutare la «teologia da tavolino e la «logica fredda e dura che cerca di dominare tutto». Teologia da tavolino non vuol dire che il teologo non debba spendere le ore nello studio sul suo tavolo di lavoro, ma che la teologia non si costruisce a forza di astrazioni aprioriche, ma mediante il caldo contatto umano, fosse pure mediante il computer.

Il Santo Padre dice altresì che il DDF deve promuovere ed apprezzare la «ricerca teologica». La prassi del passato si è mostrata poco sensibile a questo aspetto della teologia. Nel nuovo ha più rintracciato l’errore che la parte di verità. Il caso di Lutero è emblematico. La Chiesa ha giustamente condannato le sue eresie. Ma certe sue proposte di riforma hanno dovuto attendere il Concilio Vaticano II per farsi sentire.

Il Pontefice se la prende con gli gnostici e con i pelagiani, sui quali torna spesso: i primi, i quali, ritenendosi la teofania della scienza divina, discendono benignamente fra i mortali come apparizioni dell’Essere; i secondi, che invece salgono alle altezze sfogando la loro volontà di potenza al di là del bene e del male nell’affermazione dell’uomo che è Dio per l’uomo.

 

Sarà sempre vero che la realtà è superiore all'idea. In questo senso, abbiamo bisogno che la teologia sia attenta a un criterio fondamentale: considerare "inadeguata ogni concezione teologica che alla fine metta in dubbio l'onnipotenza di Dio e soprattutto la sua misericordia". Abbiamo bisogno di un modo di pensare che possa presentare in modo convincente un Dio che ama, che perdona, che salva, che libera, che promuove le persone e le chiama al servizio fraterno.

Abbiamo qui una chiara professione di realismo gnoseologico da parte di Papa Francesco, contro la concezione idealista, che dà il primato dell’idea sulla realtà. Il DDF dovrà farsi promotore e difensore del realismo – e ciò nella linea della raccomandazione di San Tommaso -, contro gli avanzi di idealismo, il quale, nonostante le sue sconfitte storiche e le sue vergognose conseguenze nel settore della morale, pretende ancora di dominare il campo. Il Dio dei misericordisti è veramente «un Dio che ama, che perdona, che salva, che libera, che promuove le persone e le chiama al servizio fraterno»?

Chi mette in dubbio l’onnipotenza e la misericordia divine? Sono fautori del Dio «debole», che, «dopo Auschwitz», non riesce a vincere il male, sono i buonisti, per i quali tutti gli uomini sono buoni, sono i misericordisti, che negano la misericordia con la quale il Padre trasforma i suoi castighi in vie di espiazione.

È chiaro che misericordia e onnipotenza sono indissolubilmente associate. Un Dio dal potere limitato, avrà una misericordia limitata. Un Dio infinitamente misericordioso non potrà non essere onnipotente. Non può fare le cose a metà o per finta. Un Dio come quello di Lutero, che copre ma non cancella il peccato, non è né onnipotente, perchè non ha la forza di toglierlo, né quindi è veramente misericordioso, perché, assicurando al peccatore che è perdonato, ma lasciandolo nel suo peccato, lo salva solo per finta o al massimo lo salva a metà, lasciandolo sostanzialmente nella sua miseria.

Ricordiamo inoltre che «un Dio che ama, che perdona, che salva», non è, come credono i misericordisti, un Dio che non castiga, perché i suoi castighi sono miti e frutto dell’amore di un Padre che ci chiama a penitenza e a far nostra la croce di suo Figlio per ottenere il perdono dei nostri peccati.

 

Questo avviene se "l'annuncio si concentra sull'essenziale, che è il più bello, il più grande, il più attraente e allo stesso tempo il più necessario". Sapete bene che esiste un ordine armonico tra le verità del nostro messaggio, dove il pericolo maggiore si verifica quando le questioni secondarie finiscono per mettere in ombra quelle centrali.

Questo, cioè il presentare in modo convincente un Dio che ama, che perdona, che salva, che libera, che promuove le persone e le chiama al servizio fraterno, vuol dire, secondo il Papa, concentrare l'annuncio sull'essenziale, che è il più bello, il più grande, il più attraente e allo stesso tempo il più necessario.

Il che vuol dire che compito del DDF, secondo il Pontefice, non è quello di disperdersi nell’entrare nel merito delle varie infinite diatribe teologiche della ricchissima e svariatissima produzione teologica odierna. Questo fatto cospicuo testimonia certamente della vitalità culturale della Chiesa, ma il DDF deve lasciare ai teologi la libertà di discutere fra loro, salve le regole di un dialogo che si astenga dalla volontà di prevalere sull’altro, dall’ingiuria, dalla denigrazione e dalla diffamazione. Ma per questo ci sono le Facoltà teologiche pontificie, c’è la Commissione Teologica Internazionale, la Commissione Biblica e le due Accademie Teologiche Pontificie, la Romana e quella di San Tommaso.

Non è proibito peraltro in linea di principio, ad un teologo giudizioso e bene informato notare di eresia un altro teologo, senza o prima dell’avallo ufficiale del DDF. Infatti normalmente il DDF può prendere in esame una questione del genere sulla base di segnalazioni provenienti dai teologi o dai Vescovi o da qualunque fedele ben informato. Non è questo gesto necessariamente una delazione, ma un servizio a fedeli. La delazione è una denuncia malevola e calunniosa. Non è delazione se un derubato va dai carabinieri a denuncia il ladro che lo ha derubato.

Sarà poi compito del DDF confermare o smentire il giudizio del teologo segnalante. La segnalazione non deve avere necessariamente la forma di denuncia formale, come era più in uso un tempo, quasi sottintendendo una colpa nell’eretico, ma può limitarsi alla semplice constatazione dei fatti, fatta da un esperto, dei quali rendere edotto il DDF.

D’altra parte oggi le eresie in circolazione sono talmente tante, che il DDF non ha la possibilità di esprimere per tutte la sua sentenza, per cui il cattolico avveduto e prudente, per evitarle, deve accontentarsi del parere di un buon teologo tomista fedele al Magistero. Il DDF si limita, come dice il Papa, al suddetto lavoro promozionale. Il rimedio alle eresie correnti è quindi affidato ai buoni pastori e buoni teologi fedeli a San Tommaso e al Magistero.

Siccome l’ignoranza religiosa è molto diffusa e tanti equivocano su cosa vuol dire essere cattolico, si può anche supporre che molti erranti, anche fra i teologi e i pastori, siano in buona fede e quindi bisogna guardarsene, ma anche sopportarli.

 

Nell'orizzonte di questa ricchezza, il vostro compito implica anche una particolare cura nel verificare che i documenti del vostro Dicastero e degli altri abbiano un adeguato supporto teologico, siano coerenti con il ricco humus dell'insegnamento perenne della Chiesa e allo stesso tempo tengano conto del Magistero recente.

Da notare i punti di riferimento indicati dal Papa per il lavoro del DDF:

 

1. Un adeguato supporto teologico e quindi la necessità di utilizzare i migliori apporti della teologia contemporanea; il DDF deve essere in grado di apprezzare il valore di questi nuovi apporti;

2. «Coerenza con il ricco humus dell'insegnamento perenne della Chiesa»: chiaro accenno all’universalità ed all’immutabilità delle verità dogmatiche svilite o negate dai modernisti, ma anche fraintese dai lefevriani, i quali intendono quell’immutabilità così da opporle al progresso dottrinale avvenuto col Concilio, non vedendo la continuità nel progresso, l’antico nel nuovo ed opponendosi irragionevolmente a qualunque «evoluzione omogenea del dogma cattolico», per usare il titolo di una famosa opera del grande teologo domenicano spagnolo Francisco Marin Sola[8].

 

La Vergine Santissima vi protegga e vegli su di voi in questa nuova missione. La prego di non smettere di pregare per me.

Infine non poteva mancare un appello alla Beata Vergine Maria, Madre del Verbo Incarnato, Colui che ha detto di sé Io Sono e lo sono la Verità, Maria sede della Sapienze e Regina degli apostoli. Bella l’antifona mariana contenuta nell’Officium parvum Beatae Mariae Virginis dell’Ordine Domenicano: «Gaude, Beata Virgo, cunctas haereses sola interemisti in universo mundo!».

E troviamo la ormai consueta richiesta del Papa di pregare continuamente per lui nella sua lotta contro lo spirito della menzogna, dal quale continuamente ci esorta a tenerci in guardia.

P. Giovanni Cavalcoli

Fontanellato, 4 settembre 2023




Immagine da Internet:
mons. Víctor Manuel Fernández




[2]A cura di J.F.L. 

[3] Maritain ne parla nel c.XIV di De l’Eglise du Christ. La personne de l’Eglise et son personnel, Desclée de Brouwer, Bruges 1970.

[4] Dallo Statuto.

[5] Notizia da Wikipedia alla voce TEOLOGO DELLA CASA PONTIFICIA.

[6] Questo termine-attributo di «ideologico» è entrato nel linguaggio della Chiesa solo da pochi decenni. Il termine è di origine marxista, ma è stato cristianizzato. Deriva infatti dal titolo della famosa opera di Marx «L’ideologia tedesca», dove egli critica l’idealismo di Hegel. Successivamente, nel linguaggio della storia della filosofia, per «ideologica» si è cominciato ad intendere una tesi o un’idea che riduce alla sua particolarità una tesi più vasta, con ciò stesso falsificandola. Così si dice per esempio che il razzismo, il nazionalismo, il soggettivismo, il fideismo, il razionalismo, il relativismo, il fondamentalismo sono ideologie. È il vizio dell’idealismo, che riduce il reale al pensato. «Ideologico» è quindi sinonimo di «falso». In teologia corrisponde ad «eretico». Rosmini usò bensì il termine ideologia per designare il suo trattato sull’origine delle idee Ma nessuno oggi usa questo termine in questo senso.

Il magistero pontificio postconciliare ha scelto di usare al minimo il termine «eresia», a causa delle sue risonanze emotive, per cui preferisce usare il termine «ideologico». Non so però quanto ciò possa favorire la chiarezza del linguaggio. Bisognerebbe che cominciassimo ad usare il termine «eresia» senza passionalità o faziosità, certo a ragion veduta e non con troppa facilità, ma con la stessa serenità ed obbiettività con le quali il medico parla con preoccupata premura della malattia da curare. Bisogna guardare l’eretico più con compassione che con sdegno, pensando che si può correggere e non dire «non c’è niente da fare». Se l’eretico rende infelici gli altri, il primo ad essere infelice è lui, anche se fa lo spavaldo e lo smargiasso.

[7] Pensiamo soltanto alla cultura amazzonica, illustrata dal documento del Sinodo dei Vescovi del 2019  sull’Amazzonia.

[8] La evolución homogenea del dogma católico,,BAC, Madrid 1963. Quest’opera fu scritta per confutare l’evoluzionismo modernista dei tempi di San Pio X, ma va benissimo per confutare anche il modernismo di oggi.

9 commenti:

  1. Grazie per le dovute precisazioni atte a calmare gli animi. Teniamo i pugni.

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  2. Caro padre Giovanni,
    mi fa piacere constatare che nel brano dove il Papa dice: "Il Dicastero che lei presiederà in altri tempi è arrivato a usare metodi immorali. Erano tempi in cui, anziché promuovere la conoscenza teologica, si perseguivano possibili errori dottrinali. Quello che mi aspetto da lei è certamente qualcosa di molto diverso", sono perfettamente d'accordo con lei quando spieghi che: "il Papa si riferisce ai ben noti eccessi di severità che prevedevano la pena di morte per il crimine di eresia. Il riferimento alla condanna degli errori non va inteso evidentemente nel senso che l’errore non dovrà essere perseguito e corretto, quando invece è noto che un compito essenziale di questo Dicastero è la difesa dei fedeli dall’errore e la correzione degli erranti...".
    Il suo articolo mi dà una certa tranquillità e, come lei, nutro le mie migliori speranze che il ministero o servizio di Mons. Víctor Fernández nel DDF possa essere impregnato (almeno nelle occasioni che più ne hanno bisogno) con una partecipazione al carisma docente petrino, che Papa Francesco certamente possiede per istituzione divina. Tralasciando nelle mie speranze i timori che, umanamente, la prestazione di Mons. Fernandez negli anni precedenti.
    Ho ricevuto e letto con piacere il suo articolo, perché non avevo trovato nessun altro commento alla lettera del Papa, al di là delle diffamazioni ideologiche dei pubblicisti passatisti, che hanno dipinto il compito futuro di Fernández con oli e tempere apocalittiche, come se possedessero il palla di cristallo. E anche al di là del commento, a mio avviso venato sospettosamente di modernismo, del dottor Andrea Grillo, il quale, a mio avviso, è un teologo di tutto rispetto quando si occupa di liturgia (disciplina e pastorale), ma non quando approfondisce acque della teologia dogmatica e della teologia morale, mostrandovi poche risorse metafisiche.
    Mi riferisco al articolo intitolato: "Le due immoralità. Sui compiti del Dicastero per la dottrina della fede", e trovato su: https://www.cittadellaeditrice.com/munera/le-due-immoralita-sui-compiti-del-dicastero-per-la-dottrina-della-fede/
    Come già suggerisce il titolo, Grillo interpreta le parole del Papa (nel brano citato) non come riferite ai noti eccessi dell'Inquisizione medievale, ma ad una presunta "doppia moralità" che il DDF avrebbe dimostrato nell'ultimi decenni.

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    1. Caro Ross,
      mi fa piacere che lei condivida la mia valutazione della lettera del Santo Padre.
      Per quanto riguarda Grillo, ho letto il suo articolo, dove ho trovato dei punti che coincidono con il mio apprezzamento della lettera del Papa. Mi sembra invece di notare in Grillo la confusione tipicamente modernista tra la pastorale e la dottrina, in quanto i modernisti, negando l’immutabilità della verità, vorrebbero omologare la dottrina all’azione pastorale, la quale, viceversa, comporta effettivamente una mutabilità.
      Ora, bisogna tenere presente che nella prassi del DDF ci sono due aspetti. Uno, è la pubblicazione di documenti dottrinali, che rappresentano il magistero del Papa; questi documenti non possono essere sbagliati o rivedibili, perché partecipano dell’autorità dottrinale del Papa. L’altro aspetto è quello disciplinare, che riguarda i procedimenti canonici, i provvedimenti disciplinari e le disposizioni pastorali. In questa materia il DDF può mancare contro la giustizia e contro la prudenza, o per eccesso di severità o per eccesso di indulgenza.

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    2. Grazie per il suo aiuto, padre Giovanni. Appare chiaro, allora, che, indipendentemente dall'importanza che viene variamente attribuita dall'uno o dall'altro Papa ai vari Dicasteri della Curia Romana, ce n'è uno che, per essenza stessa delle cose (istituzione divina), il Dicastero che aiuta il Papa in materia di Fede e di Morale gode di una preminenza che altri non hanno. Non sto dicendo qui, ovviamente, che né la Curia Romana né i suoi Dicasteri siano un'istituzione divina (ovviamente no! Sono un'istituzione ecclesiastica). Ma Cristo ha stabilito la distinzione nell'ufficio petrino, nella sua missione docente e nella sua missione pastorale. E il DDF è stato creato dai Papi per aiutarlo nella sua missione docente. Ergo...

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    3. Caro Ross,
      sono pienamente d’accordo con quello che lei dice.
      Il DDF è la logica applicazione del comando che Cristo ha dato a Pietro di confermare i fratelli nella fede.
      I Successori di Pietro hanno capito subito che, per un compito così gravoso, avevano bisogno di collaboratori saggi.

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  3. Il caso Galileo da sempre per me è stato incomprensibile. Ossia, come la Chiesa potesse prendere un granchio così solenne con conseguenze nefaste per la credibilità della Chiesa ben sfruttato dagli illuministi nei secoli. S.GPII cerco di spiegarlo con la mentalità del tempo. Non mi convinse del tutto. Finalmente qualche anno fa una bella trasmissione Rai mi illuminò. Vi fu il caso dei terrapiattisti che S.Agostino bollò come ignoranti e che pregò di non far fare brutta figura alla Chiesa. Non capivo come per Galileo non potesse accadere la stessa casa. Bisogna analizzare bene la situazione del tempo e concludere che fu un errore della DDF come pura vendetta per il comportamento bugiardo, prepotente e saccente di Galileo senza rendersi della gravità di un atto così importante dottrinalmente. Galileo sapeva benissimo di come doveva comportarsi. Ma pensò per la grande stima di cui godeva ad ogni livello di potere andare oltre al ruolo di buon cattolico. Galileo é un toscano abituato a polemizzare con toni forti e un certo disprezzo per chi dissente. Un esempio é il termine " Simplicio" (sempliciotto o tontorello)appioppato nel suo libro al sostenitore del sistema tolemaico. Creò un clima di scontro feroce tra le parti. Questo infastidì molto il DDF, che chiamò Galileo a discolparsi per la mancata attuazione dell'imposizione datagli dal Bellarmino di considerare la sua tesi eliocentrica solo come teoria e non come scienza certa, come in realtà lui faceva. Galileo contestò l'imposizione del Bellarmino e affermò che sempre aveva pensato alla sua tesi come un semplice teoria. La DDF creò un commissione di ricerca che facilmente sbugiardò Galileo. Inoltre, il fatto che Galileo si arrogasse il diritto di interpretare il testo biblico , cosa esclusiva di diritto del DDF, indispettì ulteriormente la Commissione che pendeva per il sistema tolemaico(come il Bellarmino). E così la frittata é stata fatta. Ci fosse stato ancora il Bellarmino quasi certamente non sarebbe successo. Fu un errore dato dalla rivalsa dei membri della commissione verso Galileo e un sistema per far cessare la guerra tra fazioni opposte. Peccato e malissimo!

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    1. Caro Vincenzo,
      la sua ricostruzione della vicenda galileiana, improntata ad una sentita partecipazione a quegli eventi drammatici ed esposta con grande vivacità, mi è molto piaciuta, la trova attendibile e conforme a quella interpretazione che ormai è emersa dagli studi storici e sta alla base del documento di San Giovanni Paolo II, il quale, come è noto, riconobbe l’errore del Sant’Uffizio, errore che però non tocca la dottrina della fede, ma, sebbene si parli di eresia, si trattò di un provvedimento disciplinare motivato dal timore che Galileo si fosse lasciato influenzare dalla dottrina luterana del libero esame della Sacra Scrittura, andando oltre le sue competenze di scienziato.

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  4. La ringrazio per la gentile e apprezzata risposta. Vorrei ancora aggiungere che Galileo, oltre ad essere astronomo si dilettava molto di astrologia, cosa che allertava la DDF. Le sue consulenze astrologiche personalizzate furono richieste da principi e nobili e pagate bene, soldi di cui Galileo necessitava in abbondava. Si fece un piccolo tesoretto! Era anche un furbacchione, oltre avere l'abitudine di prendersi meriti non suoi. Oggi Galileo é considerato il padre della scienza moderna. Grossolano errore. Il metodo galileiano non è altro che l'organizzare concetti detti da altri. Fu la chiesa che ha inventato la scienza moderna(teologia naturale, come anche Newton la chiamò nel suo libro principale), come dimostra bene il bel libro divulgativo di Rodney Stark "False testimonianze ,come smascherare alcuni secoli di storia
    anticattolica" E' pur vero che la chiesa per altro tempo considerò la teologia come unico mezzo per arrivare alla Verità. La distinzione tra teologia e scienza tardò ad affermarsi creando alcuni problemi.

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    1. Caro Vincenzo,
      la ringrazio per queste notizie su Galileo, che non conoscevo.
      Vorrei notare che il metodo galileiano ha le sue prime origini nello stesso metodo aristotelico della scienza fisica. Già Aristotele, nel campo dell’ottica, pensò di utilizzare il metodo matematico nella scienza fisica. È vero tuttavia che la cosmologia aristotelica, più che una scienza sperimentale, è una conoscenza filosofica della natura di grande importanza per dare un fondamento filosofico alla fisica sperimentale, anche se è vero che il metodo matematico cominciò ad essere elaborato a partire dal secolo XIV da Ruggero Bacone e dagli scienziati inglesi.
      Inoltre c’è da notare che la cosmologia filosofica di Aristotele è stata utilizzata dalla Chiesa per quanto riguarda la dogmatica della creazione, della sacramentaria, della psicologia e dell’antropologia.

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